Gaza: e
leggerò domani sui vostri giornali (Lettera di Mustafa
Barghouthi) Ramallah, 27 dicembre 2008
E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è
finita la tregua. Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel
campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa
dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei
morti? E i bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si
addebitano? Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca
l'elettricità in sala operatoria? Si chiama pace quando mancano
i missili - ma come si chiama, quando manca tutto il resto? E
leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è
solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di
autodifesa. La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli
nucleari contro razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi
sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un
attacco contro i civili - e d'altra parte, ma come potrebbe mai
esserlo, se tre uomini che chiacchierano di Palestina, qui all'angolo
della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza, e
dunque un gruppo illegale, una forza combattente? - se nei documenti
ufficiali siamo marchiati come entità nemica, e senza più
il minimo argine etico, il cancro di Israele? Se l'obiettivo è
sradicare Hamas - tutto questo rafforza Hamas. Arrivate a bordo dei
caccia a esportare la retorica della democrazia, a bordo dei caccia
tornate poi a strangolare l'esercizio della democrazia - ma quale altra
opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa. Non
è il fondamentalismo, a essere bombardato in questo momento, ma
tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a
questa ferocia indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e
contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di
ragionare il coraggio di disertare - non è un attacco contro il
terrorismo, questo, ma contro l'altra Palestina, terza e diversa,
mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la
miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto
assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così, un giorno i
sopravvissuti. E leggerò sui vostri giornali, domani, che
è impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani,
purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente - e ma
come potrebbero mai averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di
Muro? E soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road
Map è solo l'ennesima arma di distrazione di massa per
l'opinione pubblica internazionale? Quattro pagine in cui a noi per
esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio,
si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che possa
minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli attacchi contro i
civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto,
è un crimine di guerra non una questione di cortesia. E se
Annapolis è un processo di pace, mentre l'unica mappa che
procede sono qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le
case demolite, gli insediamenti allargati - perché allora non
è processo di pace la proposta saudita? La fine
dell'occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di tutti gli
stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione?
Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall'altro lato del Muro? Ma sto
qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo
domani, sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo,
ancora, l'indifferenza. Ed è solo questo che sento, mentre gli
F16 sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali
che io conosco nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di
infinito abbandono e smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi
- perché dove è finita la sovranità egiziana, al
varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo
semplicemente soli. Sfilate qui, delegazione dopo delegazione - e
parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell'aria, come
sugheri sull'acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti,
vogliamo dignità libertà, frontiere aperte, non chiediamo
favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e
partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola?, una clinica
forse? delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi -
no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la
severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele. Ma rispondete - e
neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani
dei vincitori - no, sarebbe antisemita. Ma chi è più
antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant'anni, fino
a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o
chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i lati?
Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi
palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a
illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull'ultima razza
soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli
inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l'esatto opposto,
sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah
chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il
terrorismo, questo, ma contro l'altro Israele, terzo e diverso, mentre
schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della
sinistra e la miopia della destra. So quello che leggerò,
domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di
sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid - e genocidio.
Perché non importa che le politiche israeliane, tecnicamente,
calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate
dal diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua
pretesa oggettività non sono che l'ennesimo collateralismo, qui,
che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori. La benzina di questi
aerei è la vostra neutralità, è il vostro
silenzio, il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sentì
berlinese, davanti a un altro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi
cittadini di Gaza?
Mustafa Barghouthi con Francesca Borri