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inchiesta 12.02.07
aggiornamenti marzo-aprile-maggio-giugno 2009

 
Cari compagni, care compagne, parenti e amici.
Abbiamo saputo che il compagno Massimiliano Toschi è stato trasferito dal carcere di
Alessandria al carcere di Opera.
Sta bene e saluta tutti.
Per scrivergli l'indirizzo è:

Massimiliano Toschi
via Camporgnago, 40
20141 - Milano - Opera

Rilanciamo la solidarietà di classe internazionalista!
Uniti si vince!

Aprile 2009

Straordinaria mobilitazione di solidarietà
al fianco dei compagni arrestati il 12 febbraio 2007!

Grande mobilitazione di solidarietà davanti al Tribunale di Milano per il presidio di lunedì 4 maggio 2009 in occasione dell’udienza con la quale si sono concluse le arringhe della difesa per il processo di primo grado contro i compagni e la compagna arrestati durante il blitz repressivo scattato il 12 febbraio 2007, denominato operazione “Tramonto”.
In 300 tra compagni, compagne, parenti, amici, colleghi di lavoro, studenti medi e universitari, operai e giovani solidali provenienti da tutto il paese, le isole e da molte parti d’Europa, hanno scaldato l’aula con saluti e pugni chiusi, e partecipato attivamente davanti al tribunale con bandiere rosse, antifasciste e anarchiche, bandiere della Palestina e per un Soccorso Rosso Internazionale, striscioni, slogans, volantini e interventi di solidarietà nelle diverse lingue dei presenti.
La PM “toga rossa” Boccassini ha dichiarato di non voler replicare e il giudice ha così fissato per giovedì 11 giugno un’ultima udienza, per consentire ad alcuni imputati di rilasciare delle dichiarazioni spontanee, al termine della quale la Corte e la Giuria popolare si ritireranno in camera di consiglio per deliberare la sentenza.

Fuori dall’aula:

Il presidio internazionale che si è tenuto davanti al Tribunale di Milano è stato indetto dall’“Associazione di Solidarietà Parenti e Amici degli arrestati il 12-2-2007”.
Un presidio comunicativo che ha dimostrato ancora una volta l’enorme e vasta solidarietà che in questi 2 anni e mezzo si é sviluppata attorno ai compagni sotto processo, che ha sfondato le frontiere, esteso la coscienza della necessità della lotta di classe rivoluzionaria riunendo sotto la parola d’ordine della Solidarietà di Classe le diverse anime del movimento di lotta anticapitalista.
La numerosa presenza di delegazioni internazionali di compagni attivi e impegnati nel processo di costruzione di un Soccorso Rosso Internazionale dalla Svizzera, dalla Francia, dalla Germania, dalla Spagna, dal Belgio e l’adesione di alcuni compagni turchi è stata particolarmente significativa, evidenziando così il carattere internazionalista della solidarietà. 
Sono stati fatti diversi interventi ed è stato letto un saluto inviato dalla Commissione per il Soccorso Rosso Internazionale, sia in italiano che in francese.
La corposità del presidio, la sua determinazione e combattività dimostrano che la repressione, nonostante le richieste folli di condanna fatte dall’accusa, non ha determinato scoramento e rassegnazione, anzi indignazione rafforzando la solidarietà.
Verso metà mattina, tenendo alto lo striscione “libertà per i compagni” è stato fatto un breve blocco stradale in Corso di Porta Vittoria, urlando slogans e diffondendo volantini ai passanti per informare sulla natura politica del processo in corso. 
La compattezza dimostrata nel coinvolgimento ha trasformato il presidio, al termine dell’udienza, in un corteo spontaneo che partendo dal Tribunale è arrivato fino a Piazza San Babila, dove si è concluso con svariati interventi a sostegno dei compagni, raccogliendo l’interesse dei passanti.

Dentro l’aula:

All’interno dell’aula erano presenti i compagni imputati, sia quelli in carcere, attualmente ad Opera in regime di Elevato Indice di Vigilanza, sia quelli agli arresti domiciliari. È stato molto seguito il lungo intervento finale presentato dall’avvocato Pelazza che ha concluso quest’anno e mezzo di processo politico formulando ed esponendo un’arringa difensiva politica di attacco, attraverso la denuncia della stessa natura del processo. Ha puntato il dito sulla visione statica della realtà della PM utile a demonizzare i compagni e a criminalizzarli. Questa è la visione della classe dominante che vuole perpetuare lo status quo, quello della violenza dello sfruttamento e della guerra. La realtà invece è movimento e conflitto nel quale tutti si è coinvolti, compresi i giudici. Ha affermato che è necessario vedere e riflettere sul tutto per comprendere e conoscere, soprattutto se si deve giudicare. Ha denunciato il tentativo incessante della PM di suggestionare la Corte con la questione della violenza descrivendo i compagni come pericolosi sanguinari e facendo continuamente entrare nel processo fatti del passato che nulla avevano a che fare con questa inchiesta. Ma allora, se si parla di violenza di quale violenza si parla, ha chiesto l’avvocato. Solo di quella esercitata storicamente da chi voleva cambiare il mondo? Perché ci si ferma li?
Perché non si parla del Piano Solo e di De Lorenzo (colpo di stato del ’64), di Gladio, di Piazza Fontana, del Golpe Borghese, di Peteano, della Rosa dei Venti?… La Pm si è dichiarata fedele allo Stato e alla Costituzione, parla di questo Stato, quello delle stragi impunite? E di quale Costituzione? La violenza è diventata rottura costituzionale con la guerra del Golfo del 1991, con quella in Yugoslavia nel 1999 sotto il governo D’Alema…fino agli interventi di oggi in Afghanistan, Iraq…
La violenza è anche distruzione dello stato sociale e strage di morti sui posti di lavoro per non parlare del “mare nostrum” pieno di cadaveri di immigrati, ha fatto notare l’avvocato ed ha chiesto: “Il diritto qui come reagisce?”
Di seguito ha poi attaccato l’uso del reato associativo che era stato abrogato da una sentenza di Cassazione del ’50, perché ritenuto fascista, ma poi successivamente riapparso come strumento utile a perseguire gli oppositori politici fino a subire le estensioni di oggi (dal 270 bis fino al sexies).
Ha anche dimostrato che per l’accusa di “banda armata” art 306 c.p. non ci sono i requisiti giuridici per affibiarla ai compagni, in primis l’idoneità a colpire il “bene protetto” cioè lo Stato.
Ha inoltre fatto notare come in questo processo si parli principalmente di atti preparatori, un’azione quindi repressiva preventiva attuata con gli arresti. Ma non c’è già (sic!) la legge Reale che è nata per punire in maniera estesa preventivamente?
Continuando ha denunciato molte “storture” preliminari: le trascrizioni delle intercettazioni fatte su copie e non sugli originali, tra queste alcune, come dimostrato da altre difese, fasulle; le varie interferenze della PM soprattutto sul trattamento carcerario; la scarsa professionalità dei diversi attori che hanno costruito questa inchiesta.
Si è soffermato successivamente sulle posizioni specifiche dei singoli imputati, ha ricordato numerose sentenze di assoluzioni o di condanne lievi in processi politici storici e per compagni incarcerati negli anni 80 e 90 per episodi più “importanti” di quelli di cui si discute in questo dibattimento evidenziando l’assurdità dei 200 anni di carcere richiesti dall’accusa. Concludendo ha chiesto l’assoluzione per tutti i suoi assistiti riaffermando la natura politica del processo frutto di un’operazione più ampia che coinvolge e usa anche gli stessi giudici.
L’intervento conclusivo dell’avvocato ha rappresentato quell’unità difensiva che è stata il riflesso dell’insolubile unità fra gli imputati.
È stato infine chiesto alla Corte di non concedere il nulla osta ai trasferimenti in carceri lontani dalla sede processuale, ad esempio a Siano Catanzaro, come è avvenuto durante le pause processuali anche di poche settimane, nonostante il parere negativo del giudice.
A sostenere i compagni in aula vi sono stati costantemente e a rotazione i partecipanti al presidio che si sono rivelati elemento fondamentale di supporto alla richiesta dei compagni nelle gabbie di far ascoltare in aula un documento firmato collettivamente da alcuni di loro, poi allegato agli atti: per la prima volta la Corte ne ha permesso la lettura che ha ricevuto un lunghissimo e caloroso applauso dal pubblico per diversi minuti.
Alla fine sono stati salutati i compagni con slogans e pugni alzati e con l’apertura in aula di uno striscione che riportava la scritta “libertà per i compagni”.

Questa straordinaria mobilitazione è l’espressione più nitida di quel filo rosso della solidarietà di classe internazionalista che da ulteriore forza, sostegno e calore alla resistenza dei compagni prigionieri; contemporaneamente la loro resistenza restituisce a noi, qui fuori, la forza di continuare a lottare al loro fianco e contro le barbarie del capitalismo.

Vogliamo ringraziare tutti coloro che si sono mobilitati per organizzare il presidio e che vi hanno partecipato, arrivando anche da molto lontano, rispondendo con forza ed unità a chi vorrebbe distruggere e seppellire gli ideali e il percorso da intraprendere per cambiare questa società corrotta.

Giovedì 11 giugno la Corte dell'ingiustizia di Milano si chiuderà in camera di consiglio ed entro pochi giorni darà la sentenza di primo grado.

COL CUORE E CON LA RABBIA,
CON I COMPAGNI CHE RESISTONO NELLE CARCERI!!!
UNITI SI VINCE!!!



Associazione di Solidarietà Parenti e Amici degli arrestati il 12/02/07
parentieamici@libero.it  -  www.parentieamici.org
MAGGIO 2009

PROCESSO POLITICO, SENTENZA POLITICA.
SIAMO TUTTI COINVOLTI, PARTECIPIAMO TUTTI!


Il processo di primo grado in corso a Milano ai 17 compagni arrestati nell’ambito dell’Operazione Tramonto sta volgendo al termine. Durante l’udienza del 3 marzo la PM ha chiesto una condanna complessiva di circa 2 secoli di galera e quasi 300 mila euro di pena pecuniaria (alle quali si vanno ad aggiungere le richieste avanzate successivamente dalle parti civili, 1 milione di euro allo Stato!).
Il 4 maggio 2009 si terrà l’ultima udienza del processo.

Gli accusatori
Il 12 febbraio 2007 scatta il blitz repressivo da Nord a Sud d’Italia che coinvolge anche una compagna svizzera e che porta in carcere 14 compagni, al quale seguiranno altri 3 arresti tra il 6 luglio e il 27 novembre 2007. Da subito c’è stata la percezione diffusa a livello di massa che si trattava di un’operazione politica portata avanti con un governo di “sinistra” in difficoltà, a causa dell’acuirsi della crisi economica a livello mondiale, per il rifinanziamento della missione in Afghanistan e alla vigilia di pesanti attacchi ai lavoratori, come lo scippo del TFR (trattamento di fine rapporto). Inoltre, si avvicinava la data della manifestazione a Vicenza contro l’ampliamento della base americana al aereoporto Dal Molin.
Gli accusatori sono magistrati “toghe rosse”, la pm Bocassini e il giudice Salvini con la direzione di Spataro, affiancati dalle parti civili dello Stato della crisi e delle stragi sui posti di lavoro, dai fascisti assassini di Forza Nuova e dal “sinistro” senatore antioperaio Pietro Ichino.
Un’operazione di controrivoluzione preventiva tesa a indicare un nemico interno da criminalizzare e annientare e utile a creare un sinistro clima di terrore contro il movimento di classe e antimperialista in Italia.

Gli imputati
I compagni accusati sono lavoratori, studenti, operai delegati sindacali riconosciuti e amati dai propri compagni di lavoro.
Si tratta di compagni di movimento, compagni di centri sociali, antimperialisti, militanti comunisti rivoluzionari tra i quali alcuni si sono dichiarati militanti per la costituzione del Partito Comunista - politico militare, e infine addirittura loro semplici conoscenti.
Tra gli arrestati molti sono militanti del Centro Popolare Occupato Gramigna, una realtà di lotta e aggregazione giovanile e operaia esistente a Padova da venti anni, nonostante decine di sgomberi. Una spina nel fianco di tutte le giunte, sia di destra che di “sinistra” che negli anni hanno governato la città. Dopo quest’operazione, il Gramigna viene sgomberato e, nonostante i compagni tentino più volte la rioccupazione, vengono repressi duramente e viene negato loro ogni spazio pubblico in città.
Dei 17 compagni sotto processo, a oltre due anni dall’arresto, 9 sono in carcere, 7 ai domiciliari e 1 a piede libero.

Le accuse e i reati associativi
Tutti i compagni sono accusati di banda armata, art. 306 c.p., e di associazione sovversiva con finalità di terrorismo, art 270bis c.p., ovvero sono accusati di voler mettere in discussione l’attuale sistema economico e politico su cui si basa questa società e di aver provato ad organizzarsi per farlo. Viene messo in discussione il potere borghese, il quale ha imparato ad attrezzarsi per difendere la sua esistenza, soprattutto attraverso l’apparato giuridico, in cui si cristallizzano i rapporti di classe.
I compagni vengono incarcerati con l’uso dei reati associativi provenienti dal codice fascista Rocco che inaugurò l’art. 270 c.p. (associazione sovversiva). Alla fine del 1979, in un periodo di ripresa del movimento rivoluzionario, per semplificare gli strumenti repressivi ed accentuarne la portata venne introdotto con il cosiddetto decreto Cossiga: l’art. 270bis. Dopo l’11 settembre 2001, per contrastare sul nascere ogni forma di organizzazione in opposizione alla guerra imperialista e alla forte crisi economica, viene aggiunto il 270 ter, quater, quinquies, sexies c.p.  per punire non solo “chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni…” ma anche “chi dà rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto, strumenti di comunicazione a talune delle persone che partecipano alle associazioni indicate negli artt. 270 e 270 bis…”. Quindi la solidarietà di classe.
Sono reati nati per perseguire i comunisti e gli anarchici e hanno permesso, nelle numerose inchieste degli ultimi anni, di tenere sotto controllo centinaia di compagni “monitorando” tutte le aree politiche che si sottraevano alle compatibilità istituzionali. Sono reati politici che permettono, senza necessariamente basarsi su reati specifici, di reprimere un numero illimitato di persone e punirle con condanne elevate, creando diverse figure e ruoli nell’associazione, dall’organizzatore al partecipe, fino al concorrente esterno.

Sinistra borghese e repressione
La sinistra borghese è la principale artefice di questa operazione di repressione politica. Il momento politico in cui è stata attuata e il ruolo dei giudici “toghe rosse” lo rendono esplicito. Ma ciò che lo rende ancor più chiaro è l’enfasi con cui in particolar modo i vertici sindacali della Cgil, subito dopo gli arresti, hanno criminalizzato i compagni e creato un clima di terrore all’interno delle fabbriche nei confronti di chi esprimeva loro solidarietà. La partecipazione al processo come parte civile del giuslavorista antioperaio nonché senatore del Pd Pietro Ichino, completa il quadro. Questi loschi figuri, a tutti gli effetti interni al campo imperialista, si sono candidati da tempo a svolgere il ruolo di annientamento di ogni istanza rivoluzionaria assieme a quello di controllo e pompieraggio sulla lotta di classe. Il loro interesse principale è quello di dimostrare ai padroni di essere il miglior referente capace di portare a compimento lo smantellamento delle conquiste della classe. Questo compito è l’altra faccia di quello della repressione diretta dallo Stato della crisi e della guerra che, con un salto autoritario, ha acuito tutti gli strumenti di coercizione sugli operai e sulle masse popolari che resistono di fronte all’aumento dello sfruttamento, arrivando ad attaccare frontalmente il diritto di sciopero.
Le istanze della sinistra borghese, come in altri momenti storici, reprimono e schedano chi sta alla loro sinistra spianando la strada alla destra fascista e xenofoba e alla instaurazione di un vero e proprio regime. Non è uno scenario catastrofista, ma una realtà che sta prendendo visibilmente piede con il governo Gelli-Berlusconi.

Stampa e massmedia
Come ai vecchi tempi, quando Goebbels, ministro della propaganda nel Terzo Reich, diceva: ”Qualsiasi bugia, se ripetuta frequentemente, si trasformerà gradualmente in verità”, i mass media adempiono al loro ruolo di servi della borghesia. Questi, dopo aver sbattuto il mostro in prima pagina al momento degli arresti, hanno proseguito una campagna di falsità, denigratoria e criminalizzatrice contro gli arrestati. I compagni sono stati descritti come mostri assettati di sangue, dalle doppie vite, criminali incalliti legati alla delinquenza, sbandati ed estranei al mondo del lavoro (anzi “infiltrati”!), tutto ciò con l’obiettivo di isolarli dal loro stesso ambiente. Tutto palesemente falso, come dimostra la loro internità alla lotta in fabbrica e nel movimento e alla grande solidarietà che continuano a ricevere anche dai propri colleghi di lavoro.

La solidarietà
La solidarietà, unita alla resistenza e all’unità dei compagni arrestati, è stato il punto di forza più importante di questi due anni, perché ha impedito il tentativo del loro isolamento, sia politico che fisico.
La solidarietà è stata ampia e si è sviluppata in tutta Europa, dal momento che l’inchiesta si è estesa anche oltre confine, con perquisizioni in Svizzera e 5 arresti in Belgio. Sono stati colpiti in particolar modo compagni e compagne appartenenti al Soccorso Rosso Internazionale.
Manifestazioni, presidi, azioni dirette, assemblee, dibattiti, proiezioni di video, diffusione di volantini e giornali, cene e concerti di sottoscrizione si sono svolti incessantemente dal 12 febbraio 2007 fino ad oggi. Moltissime persone scrivono ai compagni in carcere, chiedono colloqui, partecipano al processo.
Fin da subito si è costituita “l’Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli Arrestati il 12/02/07”, non solo per il sostegno umano ed economico ai compagni, ma principalmente per difendere la loro identità politica.
Proprio per questo, anche la solidarietà è stata oggetto della repressione con arresti e denunce, e inoltre è stata inserita come “indagata” nell’inchiesta. Un intero faldone, con tanto di grafici su tutte le iniziative di solidarietà, è stato allegato agli atti dalla pm Boccassini.


Il processo politico
Nonostante l’accusa, con urla isteriche, affermasse di dover giudicare semplici delinquenti, il processo si è rivelato da subito come processo politico. L’unità dei vari “attori” (imputati, movimento di solidarietà e avvocati) ha saputo rendere chiaro questo aspetto.
La presenza solidale e di protesta del pubblico in aula è stata importante ogni qualvolta veniva negato ai prigionieri di leggere i loro comunicati e ne veniva chiesto il veto della diffusione a mezzo stampa e internet.
Nonostante le diverse posizioni processuali di prigionieri politici, militanti comunisti e singoli conoscenti, l’unità degli imputati e quella dei parenti ha impedito il tentativo di dividere gli accusati tra buoni e cattivi e metterli gli uni contro gli altri.
Per portare a termine il suo compito, infatti, la pm ha investito tutte le sue forze per far crollare i compagni e trasformarli così in poveri “pentiti” a garanzia dell’impossibilità di cambiare in modo rivoluzionario questo sistema di barbarie.
L’unità, al contrario, ha permesso di mettere al centro del dibattimento la difesa dell’identità politica, i metodi dell’inchiesta e del processo, tipici dei reati associativi, in primo luogo l’inversione dell’onere della prova con il quale non è più l’accusa a dimostrare la colpevolezza, ma sono gli imputati a dover dimostrare la loro estraneità ai fatti contestati.

Il dibattimento
Nel lungo dibattimento, che dura da oltre un anno, la difesa ha saputo far emergere gli sporchi metodi d’inchiesta,  le falsità e le provocazioni intentate dall’accusa. Palesi le operazioni di monitoraggio di intere aree politiche anche attraverso la schedatura di massa, come quella dichiarata dai dirigenti della digos alla Fiat fin dagli anni ‘80. Inoltre, intercettazioni di ogni tipo, dai telefoni alle microspie nelle case e nelle macchine, alle telecamere davanti alle abitazioni fino all’uso dei satellitari. Ma, a conferma dell’esperienza storica dei comunisti, non è stata la tecnologia la principale causa degli arresti, bensì la svolta dell’inchiesta data dai servizi di intelligence basati sulle “rivelazioni” di un informatore. Questo va unito alla costruzione del pentito di turno, in questo caso Valentino Rossin, trafficante di ogni genere di cose, dal miele alla droga che, salito in carriera, è diventato trafficante della vita dei compagni.
Chiaramente il Rossin è libero.

Le falsità
Alcuni compagni imputati hanno a loro carico anche alcune accuse specifiche, le quali sono principalmente fatte per deduzione. Questo è ciò che è emerso dagli interrogatori della difesa. A posteriori dai fatti, ritenendo colpevoli gli imputati, sono stati esaminati i loro comportamenti, attraverso la lettura delle varie relazioni di servizio degli sbirri, e se ne è dedotta la loro colpevolezza. A titolo di esempio, a Padova è stata incendiata la sede di Forza Nuova e poiché si riteneva colpevole l’area politica del C.P.O. Gramigna, tempo dopo il fatto, due compagni sono stati accusati dell’attentato incendiario per via di alcune “osservazioni” che riportavano la loro presenza in quella zona. All’accusa,però, non interessa assolutamente che si trovassero da quelle parti diverse ore prima dell’incendio!
Dove non sussistono queste “osservazioni” o qualche indizio si costruisce la prova falsa. È il caso della trascrizione fasulla dell’intercettazione in cui gli imputati secondo l’accusa avrebbero detto: “È tutto pronto per ammazzare Ichino”. La difesa ha provato scientificamente che quella frase non è mai stata pronunciata e, gli stessi imputati, i quali sono abituati a rivendicare ciò che fanno, lo hanno smentito. 
Altre falsità e infamità macroscopiche, intentate per denigrare i compagni, sono state il tentativo di imputare loro legami con la malavita organizzata.

Il carcere e il trattamento differenziato
Lo sporco lavoro per far crollare i compagni è stato magistralmente orchestrato dalla pm con lunghissimi periodi di isolamento, trasferimenti continui, con enorme dispendio di denaro pubblico, in carceri lontanissime come l’Ucciardone a Palermo, o in sezioni “particolari” come reparti psichiatrici o dove erano rinchiusi infami e pedofili. Anche in questo caso la solidarietà che i compagni hanno ricevuto, sia dentro le prigioni che fuori, è stata fondamentale, così come le numerose mobilitazioni contro l’isolamento e i presidi davanti alle carceri.
I compagni attualmente in carcere sono in regime di Elevato Indice di Vigilanza, alcuni sottoposti a censura. Sono destinati al carcere di Siano Catanzaro, un carcere-confino dove esiste una sezione-confino per prigionieri politici.
Il sistema carcerario è diviso in gironi basati su premi e punizioni a seconda del comportamento del detenuto. Da questi gironi si esce solo collaborando con lo Stato. Il castigo massimo è il 41bis o.p. con trattamento disumano, isolamento totale, vetro ai colloqui, processo in videoconferenza. Ultimamente è stato prolungato e peggiorato con la solita campagna emergenziale sulla criminalità organizzata. In questo regime ci finiscono anche i compagni rivoluzionari, visto che riguarda chi è accusato di reati associativi. Anche con l’ultimo decreto sulla sicurezza, sull’onda dell’ennesima emergenza, quella sugli stupri, sono peggiorate le norme repressive per i compagni: per i reati associativi non si potranno più ottenere gli arresti domiciliari.

Perché?
Vengono arrestate avanguardie di lotta e militanti comunisti rivoluzionari. Non succede da oggi.
Dal Corriere della sera del 5 giugno 1928: “Dura solo una settimana il processone contro i dirigenti del Pcd’I, trecentotrè anni di reclusione inflitti dal tribunale speciale”. E’ un esempio che sembra lontano nel tempo, ma ci pare pertinente ed attuale. E anche negli anni ‘70 e ‘80 circa 12.000 compagni e compagne sono finiti nelle maglie repressive.
Con la repressione e la galera vogliono impedire, oggi come ieri, che la lotta di classe si trasformi in lotta rivoluzionaria per il cambiamento della società, per una società senza padroni né guerra, incarcerando chi interpreta questa necessità. E per nascondere la possibilità della prospettiva rivoluzionaria riscrivono la storia anche con le sentenze, facendo passare i compagni per criminali e minacciando il carcere a chi voglia intraprendere la stessa strada.
I compagni di questo processo fanno parte delle migliaia di prigionieri politici di tutto il mondo, di quelli in Italia e in Europa che oggi, nella situazione di crisi sempre più acuta dell’imperialismo e di sviluppo della tendenza alla guerra, crescono giorno dopo giorno di numero.


La rivoluzione non si arresta!
Solidarietà a tutti i compagni in carcere!
Abbattere il capitalismo, costruire la solidarietà!





_ Alleghiamo questa lettera del compagno Bruno Ghirardi.


9 marzo 2009

Tra le perle infilate una dietro l’altra dall’esimia PM nella sua lunga requisitoria, sicuramente va segnalata quella riferita alla libertà d’associazione garantita dalla Costituzione.
La carta costituzionale scaturì dalla guerra di liberazione partigiana combattuta in armi contro i nazi-fascisti, non fu un regalo e non a caso dal giorno dopo la sua approvazione iniziò l’opera d’erosione e d’eversione da parte delle forze borghesi e reazionarie, con l’ausilio degli apparati polizieschi in continuità con il fascismo e la benedizione americana.
La maggior parte dei principi sono così rimasti sulla carta, a partire da quello sancito nel primo articolo e così gli indubbi elementi di progresso sono rimasti inespressi.
La magistratura ha coperto tutte le trame operate nell’ombra contro questi principi, operando alla mano con il codice Rocco vigente tutt’ora.
Se si parla di continuo di revisione della Costituzione è da sempre in secondo o terzo piano l’abolizione del codice fascista.
Questo è frutto della reazione della borghesia alla lotta di liberazione e alle avanguardie armate espresse con essa.
Giova ricordarlo nell’epoca del governo Gelli-Berlusconi, con l’esercito nelle strade e nei “territori d’oltremare”, leggi razziali, il divieto di sciopero e le ronde (senza camicia nera per ora) nelle strade, dei soldi a preti e padroni e la miseria ad operai ed impiegati.
Chi difende la Costituzione sta dentro una gabbia o nelle prigioni di regime; regime che il terrorismo non ha mai disdegnato di praticare: chi difende quest’ultimo dentro una toga se ne assuma la responsabilità, nè pensi di lavarsi la coscienza con il giuramento sulla Costituzione.

Saluti comunisti
Bruno Ghirardi



MILANO - PRESIDIO DAVANTI AL TRIBUNALE
LUNEDÌ 4 MAGGIO 2009 ALLE ORE 9.30

CORSO DI PORTA VITTORIA



Compagne e Compagni per la Costruzione del Soccorso Rosso in Italia
Cccpsri1@gmail.com
Numero di C/C: 12420451: intestazione: Ass. Culturale Nicola Pasian


LA RIVOLUZIONE NON SI PROCESSA


Innanzitutto vogliamo ribadire che non riconosciamo la giustizia borghese che viene esercitata in quest’aula, perché essa è espressione del più generale sistema capitalista, fondato sull’oppressione e sullo sfruttamento delle masse proletarie. Abbiamo deciso di partecipare a questo processo nel preciso intento di dare voce agli interessi generali e storici della nostra classe, la classe operaia ed il proletariato, che oggi sta subendo per prima i pesanti effetti della crisi economica del sistema di cui voi siete i tutori giuridici.
La crisi del capitalismo è scoppiata in tutta la sua virulenza.
Ottenebrati dalla loro stessa propaganda ideologica, i partiti borghesi per anni hanno negato questa realtà, finendo per credere alle proprie barzellette sulla “fine della storia”, sulla “morte del comunismo”, sulla “eternità del capitalismo”… Eccoli lì oggi, sconvolti e increduli di fronte alle oscene devastazioni economico-sociali prodotte dal loro “incantevole” sistema!
Qualcuno arriva a chiedersi se il marxismo non ci avesse visto giusto…
In effetti, la violenta caduta attuale è una manifestazione particolarmente acuta ma pur sempre manifestazione di quella spirale di crisi strutturale che travaglia il capitalismo da ormai tre decenni. E che non trova, non può trovare, soluzione per ordinarie vie economiche.
Il marxismo, oltre ad aver indicato le cause della crisi nelle stesse leggi proprie del modo di produzione capitalistico, ha anche dimostrato che essa non può che incancrenire la realtà economico-sociale fino a portare sull’unica soluzione compatibile al sistema capitalistico: la guerra inter-imperialista per la ripartizione del mondo, la sconfitta dei concorrenti strategici, le immani distruzioni e l’approfondimento dello sfruttamento necessarie al rilancio dell’accumulazione di capitali.
La profondità della crisi si manifesta anche nel grande impulso ai movimenti di massa. Già da anni questi si stanno intensificando: dalle numerose lotte operaie in Europa, alla rivolta delle banlieu e degli studenti contro la precarietà in Francia, alla formidabile esplosione in Grecia in risposta alla violenza poliziesca. O allo stesso movimento studentesco qui in Italia e, di nuovo, in Francia (dove il governo è corso ai ripari, temendo una ripetizione del 2006). Per non parlare della molteplicità di lotte territoriali che vanno intensificandosi, come risposta immediata e spontanea della classe agli effetti della crisi.
Molte di queste lotte si caratterizzano per crescente radicalità, perché nei fatti toccano una fondamentale contraddizione di interessi. Nel contesto della crisi restano ben pochi margini per mediare, tutti i conflitti e le contraddizioni del sistema si acutizzano: fra capitale e lavoro, fra merci e bisogni sociali, tra profitto privato e bene comune, tra guerra imperialista e guerra di liberazione dei popoli, ecc.
D’altronde, lo si vede bene in Palestina cosa valgono la “democrazia borghese” ed i “trattati di carta”, per i criminali sionisti, alleati dei nostri padroni: ai popoli viene concessa la libertà di scegliere i propri cani da guardia al guinzaglio dei potenti. Altrimenti sono bombardamenti, strangolamento economico, ricatti e terrore imperialista.
Allo stesso modo, sul fronte interno del nostro paese si vede bene quale sia la ricetta per affrontare la crisi: cassa integrazione e licenziamenti per centinaia di migliaia di salariati, e bastonate agli operai che si ribellano come alla INSEE di Milano o alla FIAT di Pomigliano.
Oltre alla repressione, governo e ausiliari aizzano le masse popolari verso la mobilitazione reazionaria, alimentando campagne mediatiche che puntano a dividere e contrapporre settori di massa. Terreno strategico per la borghesia, tanto che a Roma viene preposto all’organizzazione delle “ronde civiche” niente meno che il gen. Mori, ex capo del SISDE.
Ma ancor più strategico per gli apparati repressivi dello Stato è il monitoraggio, la prevenzione e la repressione di percorsi politici di costituzione in politico-militare del proletariato; di costruzione dell’unico strumento in grado di creare una prospettiva positiva di uscita dalla crisi capitalistica, e cioè di sostenere il processo rivoluzionario che porta all’uscita e al superamento del capitalismo stesso. Passando per la decisiva tappa di scontro per il potere, condizione basilare per avviare il processo di edificazione del socialismo. La costruzione cioè di un Partito Comunista basato sull’unità del Politico-Militare.
Questo è il contesto politico in cui si colloca questo processo.
Perché il nostro percorso politico-organizzativo, i nostri arresti e la seguente vicenda giudiziaria e carceraria fanno pienamente parte dello scontro di classe e della sua tendenza più coerente e necessaria: lo sbocco nello scontro per il potere, tramite lo sviluppo di un processo rivoluzionario.
Tutte le parti in causa lo sanno.
E se la parte che lo accusa non lo ammette esplicitamente, se anzi cerca di mistificarlo, è il suo agire che lo rivela. Così, dal giorno degli arresti si è dato un dispiegamento mediatico da “grande avvenimento”. Ora, la cosa è pure in stridente contrasto con la realtà dei fatti: purtroppo la ripresa del processo rivoluzionario è ancora lenta, agli stadi iniziali. Ma c’è!
Ed è questo pericolo che lo Stato vuole scongiurare, stroncando sul nascere ogni embrione di organizzazione rivoluzionaria che si doti degli strumenti politico-militari necessari a sviluppare conseguentemente lo scontro di classe. Il tutto nel solco dei grandi cicli di lotte del Movimento Comunista Internazionale storico; passando necessariamente nel nostro paese anche per l’ultimo “assalto al cielo”, degli anni ’70/‘80.
Perciò la campagna mass-mediatica è stata una vera offensiva politica tesa a delegittimare i compagni arrestati: “terroristi, infiltrati nella classe operaia, gente dalla doppia vita, isolati…”
Campagna, però, che ha dovuto fare i conti non solo con i prigionieri e gli imputati, anche quelli estranei al nostro progetto politico, determinati comunque a difendere la propria identità e a sostenere la prospettiva rivoluzionaria per cui si lotta, ma anche con un’ondata di solidarietà che da subito si è sollevata su tutto il territorio nazionale e in alcuni ambiti europei (tanto da sconcertare l’allora Ministro dell’Interno, preoccupato per le 200 e più azioni di solidarietà riscontrate nei soli due primi mesi). Fin da subito dopo gli arresti, alla manifestazione nazionale di Vicenza contro la nuova base USA (febbraio 2007), molti compagni e proletari hanno rivendicato l’identità dei prigionieri e l’internità al movimento di classe, facendo conoscere la loro militanza d’avanguardia nel territorio e sul lavoro. Così è stato in seguito, ai cortei del 25 Aprile e del 1° Maggio; così in numerose e forti iniziative in Europa.
Assemblee, cene di solidarietà, raccolta di fondi nei luoghi di lavoro e tra amici e parenti, fino a culminare nella prima forte manifestazione di sostegno all’apertura della stagione processuale (il 12 dicembre ’07) con l’udienza preliminare e con le nostre prime dichiarazioni collettive in tribunale. E anche con l’inizio del primo sciopero della fame contro l’isolamento, nostro e in generale come campagna internazionale (incentrata sulla ricorrenza del 19 dicembre, giorno del massacro dei prigionieri in Turchia, in lotta contro le carceri speciali).

Nella strategia dell’accusa, il trattamento carcerario è ovviamente parte integrante dello scontro. Lo si è usato per attaccare il diritto alla difesa, con la dispersione in diversi carceri durante tutto l’arco del processo e con l’allontanamento a Catanzaro (a 1200 km di distanza) durante le pause. Così si è reso pressoché impossibile il contatto con gli avvocati. Tramite giochetti burocratici si è cercato di impedire pure i contatti telefonici con loro, e ci si è impedito sistematicamente di portare in aula i nostri testi, da concordare assieme e da leggere pubblicamente.
Ma il perno del trattamento carcerario è consistito nell’arbitraria imposizione di lunghi periodi di isolamento, fino al massimo di un anno. L’isolamento (considerato forma di tortura pure secondo alcuni organismi borghesi internazionali) è praticato in tutto il mondo come arma repressiva contro i movimenti rivoluzionari e di liberazione.
Arma impiegata assieme alle classiche intimidazioni e pestaggi, come quello avvenuto presso il carcere di Rebibbia, ed all’interno del più generale circuito di trattamento differenziato (culminante nel regime del 41 bis, vera e propria tortura legalizzata), al preciso scopo di piegare, spezzare la resistenza dei militanti ed estorcere capitolazione e dissociazione.
Ma proprio su questo terreno si è data una prima positiva verifica: quasi tutti i compagni hanno fatto fronte dignitosamente alla repressione, pur nella diversità di posizioni e di investimento militante. Il disegno repressivo volto a disarticolare e disunire è stato ribaltato in occasione di unità e riaffermazione delle ragioni rivoluzionarie, fra gli imputati e fra questi e la mobilitazione solidale esterna. Un’unità che ha permesso di contrastare efficacemente l’isolamento con gli scioperi della fame promossi dai prigionieri, sostenuti dalle iniziative esterne davanti alle carceri.
Conquistando la fine dell’isolamento stesso.

L’avvio del dibattimento, il 27 marzo ‘08, esplicitava tutti i termini dello scontro: la militarizzazione del tribunale, l’accanimento del P.M. ad impedire, a tutti i costi, l’espressione politica dell’istanza rivoluzionaria, hanno dato il tono sin dall’inizio.
Trovando però la nostra determinazione a fare di questo processo politico quello che è: un momento di scontro all’interno della lotta di classe, per l’affermazione e lo sviluppo della tendenza rivoluzionaria.
Invece, la giustizia borghese tenta sempre la carta della criminalizzazione; arma fondamentale che la classe degli oppressori usa per isolare e screditare chiunque si ribelli e si sottragga all’ordine imposto. Si indica alla “pubblica indignazione” il proletariato che, per sottrarsi alla miseria cui viene condannato, va a rubare; nascondendo così la realtà di un sistema basato su quel crimine legalizzato che è l’appropriazione del prodotto del lavoro sociale. Furto, rapina e persino omicidio continuati e reiterati ai danni della classe operaia e del lavoro sociale nel suo insieme. Un sistema di cui la presente esplosione di crisi fa emergere il profondo ed immanente carattere criminale, basato sullo sfruttamento, il taglieggiamento, la spoliazione di masse enormi di popolazione.
Ma la giustizia borghese si è spinta a peggiori bassezze: non solo ha letteralmente falsificato alcune prove, artefacendo trascrizioni ed intercettazioni, essa ha pure convocato contro di noi il peggior squallore del loro sistema. Da Forza Nuova, tra le principali organizzazioni di stampo fascista, protagonista in questi giorni di aggressioni razziste e antiproletarie, alle squallide figure di infami come Maniero. Fino alla provocatoria presenza dell’on. Ichino, tra i principali studiosi ed architetti dell’incessante smantellamento del sistema di tutele e di diritti conquistati con le lotte storiche del movimento operaio.
A queste meschine congetture e provocazioni abbiamo risposto e ribadiamo che il movimento rivoluzionario del proletariato ha sempre rivendicato le proprie pratiche – fra cui l’esproprio proletario, come legittimo atto di riappropriazione nei confronti del grande rapinatore sociale, cioè il Capitale – così come rigetta tutte quelle pratiche che, ispirate da pura avidità e disprezzo per le masse popolari, diffondono miseria e autodistruzione.
Rivolgiamo invece al potere borghese le sue stesse accuse: che spieghi a chi sono funzionali quelle forze reazionarie che aizzano guerre fra poveri, proprio nel momento in cui è necessario nascondere i veri responsabili della crisi. Spieghino a chi sono funzionali gli “infiltrati” (questi sì, visto che non hanno mai conosciuto un’ora di lavoro in fabbrica) che stanno dentro al sindacato, lavorando a scardinare il sistema di diritti acquisiti e di organizzazione operaia, a subordinare rigidamente la classe operaia al Capitale. Spieghino dove conducono i fili del grosso traffico internazionale di droga, di chi sono amici, o meglio servi, i narco-regimi di Colombia, Afghanistan, Thailandia, Turchia, Kosovo, ecc.
La pratica del movimento comunista rivoluzionario è una pratica nota a tutti. Altrettanto non si può dire dello Stato borghese e delle sue svariate bande armate, che hanno costellato la storia del nostro paese di stragi, massacri, repressione, per sottomettere le masse popolari e garantire ai capitalisti l’egemonia sociale.

Per quanti limiti ed errori ereditiamo dal passato delle rivoluzioni realizzate e poi degenerate, crediamo sia necessario, impellente, e soprattutto possibile, riprendere il cammino. E proprio risolvendo quei limiti ed errori che, ne siamo coscienti, furono sfruttati ed alimentati dall’imperialismo proprio per far degenerare le rivoluzioni e riassorbirle.
Non si tratta solo di limiti, però! Le rivoluzioni realizzate ci hanno lasciato un enorme patrimonio ed avanzamenti, che infatti vengono impiegati nei processi rivoluzionari e nelle guerre popolari ora in corso nel Tricontinente. È quell’insieme di acquisizioni che si riassumono nel Marxismo-Leninismo-Maoismo e nella teoria della Guerra Popolare Prolungata. In effetti, se si vuole uscire dai recinti istituzionali in cui il conflitto sociale viene addomesticato, bisogna dotarsi dei mezzi necessari per diventare una forza autonoma, capace di proporre un’alternativa sociale.
Mezzi che sono anche il risultato di un’“analisi concreta della situazione concreta”, in base all’obiettivo di trasformare le forze espresse dalla resistenza dei movimenti di massa in vera forza d’attacco, in forza capace di progettare e sostenere lo sviluppo di un processo rivoluzionario. Obiettivo che si può realizzare solo nell’unità del politico-militare, come concretizzazione di queste esigenze e possibilità.
Mezzi che permettono la costruzione di una politica che riesca a coniugare l’espressione dell’autonomia di classe con movimenti di attacco capaci di incidere sui rapporti di forza generali, concretizzando nell’unico modo serio e conseguente il rapporto con Stato e padroni: l’attacco.
In sintesi: la politica rivoluzionaria come realizzazione, portato, del Partito Comunista Politico-Militare.

Dall’intento di impedire tutto ciò scaturisce l’attenzione repressiva da parte dello Stato, che concentra il peso del suo apparato soprattutto contro le istanze comuniste impegnate nel suddetto percorso di costruzione.
È una questione strategica sia per la borghesia imperialista e la sua sopravvivenza, sia per il proletariato e la sua emancipazione dalle catene dello sfruttamento: la partita decisiva, nello scontro di classe, per aprire (o, viceversa, impedire) il processo rivoluzionario, si da attorno alla costruzione del Partito, in quanto organizzazione adeguata alla guerra popolare di lunga durata.
Questa è la partita, questo è il nodo attorno a cui verte lo scontro.
Modestamente, e con tutti i limiti del caso, i comunisti presenti in questo tribunale borghese, firmatari di questo testo, lo sono per queste ragioni, per queste esigenze della via rivoluzionaria, qui ed oggi.
Il nostro contributo politico-ideologico-organizzativo è così motivato, si fonda in queste inderogabili esigenze per la lotta rivoluzionaria.
Per questo ci troviamo qui a confrontarci con la giustizia borghese, quale momento del più generale scontro e nell’interesse generale della nostra classe.
Questo processo, come tutti i processi politici, oltrepassa la stretta questione giudiziaria. Anche perché la parte in causa esiste in quanto ipotesi di attacco all’ordine costituito, e affermazione di un “nuovo ordine possibile”: il socialismo.
Non è perciò nel quadro giuridico, pilastro di questo stesso sistema, che vi può essere la soluzione. Il quadro giuridico fa parte del problema non certo della soluzione. In altre parole, storicamente affermate: “Non riconosciamo l’ingiustizia borghese, la combattiamo!”. Questo grido è risuonato nelle aule di tribunale dove si intendeva giudicare i militanti della Resistenza al nazifascismo, i militanti africani, asiatici, sudamericani, della liberazione anti-coloniale, ed i combattenti dei partiti comunisti e organizzazioni dei giorni nostri.
Al diritto borghese, espressione dell’ordine di oppressione e sfruttamento di classe, si oppongono l’idea e la prassi rivoluzionaria per dare voce e corpo alle aspirazioni di libertà delle classi oppresse.
Ribadiamo il nostro essere qui presenti per affermare le ragioni, le possibilità della rivoluzione proletaria, e la necessità del Partito come suo strumento essenziale.

- LA RIVOLUZIONE NON SI PROCESSA
- È GIUSTO RIBELLARSI
- DEMOCRAZIA È IL FUCILE IN SPALLA AGLI OPERAI
- CONTRO L’IMPERIALISMO, PRIGIONE DEI POPOLI,
TRASFORMARE LA GUERRA IMPERIALISTA
IN GUERRA RIVOLUZIONARIA DI CLASSE
- COSTRUIRE, NELLA PRASSI RIVOLUZIONARIA,
IL PARTITO COMUNISTA POLITICO-MILITARE

I militanti per la costituzione del Partito Comunista Politico-Militare PCp-m
Claudio Latino
Alfredo Davanzo
Bortolato Davide
Vincenzo Sisi
Allegato agli atti del 4/5/’09


L’Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli Arrestati il 12/02/07 invita a partecipare all’udienza conclusiva del processo in cui verrà emessa la sentenza.

L’udienza si terrà SABATO 13 GIUGNO all’aula bunker di S. Vittore (Piazza Filangeri, si raggiunge con la linea verde, fermata S.Agostino)
L’appuntamento è per le 9.30

Oggi si è tenuta un’udienza in cui i compagni imputati hanno rilasciato dichiarazioni spontanee accolte da caldi applausi di solidarietà dal pubblico.
Da subito si è notata la presenza di tanti giornalisti, strana per un’udienza in cui dovevano parlare solo gli imputati: erano a caccia di sccop per preparare meglio il clima forcaiolo attorno alla sentenza.
Abbiamo capito, infatti, dai telegiornali qual’era l’intento: unire nel solito calderone del “terrorismo” tutti i compagni che in questi giorni subiscono la repressione sempre attraverso l’uso dei famigerati reati associativi.
Ci sembra, infatti, che il blitz avvenuto ieri e orchestrato dalla procura romana, nel quale sono stati coinvolti anche dei compagni milanesi, rilasciati in nottata, sia la solita e odiosa storia di sbattere il mostro in prima pagina, storia che come parenti abbiamo conosciuto bene sulla nostra pelle.
Agli inquisiti e ai loro parenti tutta la nostra solidarietà!
Apprendiamo anche della detenzione a San Vittore di Madda e Beppe, anche a loro porteremo il nostro saluto.

UN PROCESSO DA GUERRA DI CLASSE
Conclusione di un processo da guerra di classe: nei giorni stessi l'arresto di altri militanti del movimento rivoluzionario - ai quali va tutta la nostra solidarietà-; aggiustamento dell'ultima ora sulla giuria popolare, con "misteriosa" sostituzione di ben tre giurati; messa sotto scorta del presidente, benché egli stesso ammetta di non aver subito minacce.
Sempre in clima militarizzante, lettura di sentenza nell'aula-bunker di S. Vittore, con gran dispiegamento di truppe in divisa e di quelle della macchina mediatica.
Infine le condanne: esemplari!
Così la borghesia ed il suo Stato pensano di regolare il conto ai militanti rivoluzionari, e di praticare il terrore preventivo contro la nostra classe.
C'è una terribile crisi economica in corso, manifestazione della più generale crisi del capitalismo.
La borghesia non può "risolverla" che in un modo: aumentando lo sfruttamento.
Ciò comporta le attuali devastazioni sociali.
Le masse possono rivoltarsi e riscoprire che il loro destino, la loro libertà ha un solo nome: distruzione del capitalismo!
Il sistema gioca allora d'anticipo, aizzando divisioni e contrapposizioni fra settori popolari, facendo leva sui peggiori istinti: razzismo, concorrenza, unità corporativa tra operai e padroni, spirito neo-colonialista, ecc…
Mentre noi, militanti comunisti della classe operaia, veniamo condannati, vengono legalizzate le ronde (verdi e nere), cioè il vecchio squadrismo di stampo fascista e razzista.
Questo già da anni imperversa per le strade: pestaggi e omicidi contro proletari immigrati, giovani e militanti di classe.
Ma ora vengono pure legalizzate, la strada verso le milizie paramilitari è aperta. La loro apparizione in televisione in tenute di ispirazione nazista, subito dopo le immagini del nostro processo la dice lunga: la violenza proletaria rivoluzionaria è da schiacciare, quella reazionaria è da sostenere e diffondere.
Obiettivo principale è quello di impedire alla classe proletaria di ergersi a soggetto politico indipendente, capace di lottare conseguentemente e dunque di armarsi, per l'unica alternativa possibile alla barbarie capitalistica: il socialismo.
Il nostro processo si situa tutto in questa contraddizione.
Questo il nodo politico, attorno al quale si dà lo scontro. Ma Stato e borghesia, per la loro debolezza strategica, sono costretti ad usare ipocrisia e mistificazione, usano e abusano della mistificazione "democratica".
Così, un loro noto rappresentante, agente della demolizione sociale antioperaia, arriva a fare prediche sul rispetto delle idee e della persona umana, fino a proporci il miserabile scambio: "trenta denari" per la capitolazione.
A tale campione diciamo:
vada a vedere come muore di cancro un operaio dell'Eternit, e come sia stata rispettata la sua "persona umana" e le "sue idee", dai padroni, dal loro Stato e dagli agenti "riformisti" come lui. Vada a lavorare in fabbrica, a scoprire le meraviglie dello sfruttamento e delle sedicenti leggi "riformiste" che lo aumentano.
Le stesse leggi "riformiste" che tanto hanno contribuito alla pesante precarizzazione del mondo del lavoro, cioè ad indebolirlo il più possibile di fronte alla dittatura del Capitale. Vada a scoprire che per il Capitale non esiste la classe operaia, bensì la merce forza-lavoro, l'oggetto dello sfruttamento, la fonte unica del profitto!
Quanto alla democrazia borghese, essa è una cinica farsa: non può esistere "democratica competizione" tra sfruttati e sfruttatori. Esiste un rapporto di violenza e di inganno.
Scopo della nostra battaglia politica è proprio quello di svelare queste verità e di portare il proletariato sulla propria strada di emancipazione, facendo ricorso anche alla violenza rivoluzionaria, "levatrice della storia".
Noi abbiamo sempre rivendicato la nostra violenza, perché abbiamo un coraggio che ci è dato dal valore della nostra causa, perché coraggio ci vuole ad attaccare la classe dominante ed il suo Stato. Non certo a bombardare popolazioni civili che non vogliono farsi rubare il petrolio e la vita; oppure a mettere bombe in piazza e sui treni, come fanno gli "sgherri segreti" di Stato. Questo è il senso del nostro appello alla guerra di classe per il comunismo, perché questa è l'unica strada per uscire dal marasma di miserie e violenze cui il capitalismo sta condannando la società.
Qualche giornale borghese ha scritto, l'indomani della sentenza, che noi e il pubblico abbiamo intonato "l'internazionale", come se la repressione subita fosse solo un incidente nel percorso rivoluzionario. Ogni tanto c'azzeccano. È proprio così! Certo per loro è difficile comprendere la forza di certe idee di collettività, così come della solidarietà di classe, che in questo processo si è manifestata così potente da pesare sicuramente nel rapporto di forze.
Non c'è altra possibilità: o si va verso la Rivoluzione, o il capitalismo trasformerà il pianeta in un inferno, come già gran parte della sua popolazione vive.
Perciò riaffermiamo:
"…su compagni lottiam, nostro fine sarà l'internazionale di Lenin, futura umanità…"
Contro la crisi e l'imperialismo, guerra di classe per il comunismo!
Contro il fascismo e la repressione, organizziamoci per la Rivoluzione!
Milano, Giugno 2009
Militanti per la costituzione del Partito Comunista Politico Militare:
Claudio Latino,
Davide Bortolato,
Alfredo Davanzo,
Vincenzo Sisi.
Militanti comunisti prigionieri:
Massimiliano Gaeta,
Massimiliano Toschi.


Lettera del compagno Bruno dal carcere di Opera:

Verso la fine d’aprile io e gli altri compagni coimputati siamo stati trasferiti dai carceri dove ci trovavamo per il processo (Pavia, Vigevano, Piacenza) a Opera, sezione EIV. Avvenimento curioso visto il prossimo termine del processo, e date le circostanze, non avvenuto per favorirci in qualche modo. Le cose si sono disvelate rapidamente; gli altri prigionieri sono stati spostati in un’altra sezione e si è così appreso che eravamo inseriti in una nuova categoria: AS2, per cui come “politici” dovevamo stare isolati dagli altri per “…evitare fenomeni di proselitismo…”. Questa differenziazione era già in atto nel carcere di provenienza, Siano (Cz), prima dell’emissione di questa circolare. Le altre categorie: AS1 riguarda chi proviene dal “41bis”, mentre l’AS3 chi genericamente ha reati e comportamenti “pericolosi” per l’amministrazione carceraria. Il tutto in un quadro di generale movimenti sotto il segno dell’isolamento e della differenziazione anche per genere.  Così, gli anarchici risultano assegnati ad Alessandria, i “neri” a Terni, gli islamici a Macomer. Un accenno su quest’ultima situazione: dal poco che si è saputo se ne parla come di una Guantanamo nostrana. Isolati in mezzo alla Sardegna, niente televisore, porte blindate chiuse 24 ore al giorno.
Tutto questo in quadro generale di peggioramento della prigionia, per cui, come già anticipato a mezzo stampa, si progettano nuovi padiglioni negli spazi disponibili ad attività comuni, o navi-prigioni al fine di ficcarci più persone possibile. Per colmo, usando denaro del Fondo preposto al “reinserimento” (sic!) dei detenuti.
 Ancora una volta il carcere riflette le dinamiche sociali, rispetto a una crisi economica cui la borghesia è incapace di dare soluzione, stante il suo carattere strutturale, se non peggiorando ulteriormente le condizioni di vita dei lavoratori e quindi aumentando la repressione e l’autoritarismo. Così aumentano le possibilità di finire in carcere, è stato pure ripenalizzato l’“oltraggio a pubblico ufficiale”, come pure vengono criminalizzati comportamenti attinenti al vivere (svaghi, ritrovi, musica…) e alla sopravvivenza (lavoretti di varia natura, instabili e poco redditizi).
Per il reato del 41bis, oltre alla teleconferenza, è stato tolto il gratuito patrocinio, diventando così questo paese l’unico al modo che nemmeno pro-forma garantisce il diritto alla difesa. Al contrario è garantita l’impunità agli squali dell’alta borghesia con leggi e stratagemmi.
Come prigionieri, ogni aumento dell’isolamento e della differenziazione peggiora le condizioni di vita; solo con questa coscienza si possono sviluppare comportamenti unitari e forme di lotta proficue. Questo mentre il ministro-galoppino Alfano sbrodola gongolante che le ultime misure in tema di 41bis sono al limite della costituzione: Norme, per altro, appoggiate dalla pseudo-opposizione.
E’ da notare che queste norme, che interdicono, per esempio, i “domiciliari” per alcuni reati, sono state inserite nel provvedimento sulla “violenza sessuale”. Quelle sull’allungamento del 41bis, nel provvedimento sull’immigrazione clandestina, cioié in maniera subdola. Questo la dice lunga sull’”etica” del regime. Mentre la dimensione del carcere ingloba tutti potenzialmente, come una proiezione orwelliana.

Saluti comunisti Bruno Ghirardi     
                                                                                    Carcere di Opera 1°giugno 2009







No ai trasferimenti, no alla differenziazione, no al 41bis

Oggi, 13 giugno 2009, ci sarà la sentenza contro i compagni arrestati il 12/2/2007 con l’uso dei reati associativi di triste memoria fascista. Il clima forcaiolo, creato ad arte per questa occasione è sotto gli occhi di tutti: la sentenza viene letta nell’aula bunker invece che al tribunale dove si è sempre svolto il processo; al giudice Cerqua che presiede la Corte è stata messa per l’occasione la scorta (alcuni giornali bugiardoni e infami titolano: Cerqua minacciato di morte); all’ultimo momento vengono sostituiti tre dei giudici popolari in carica con i giudici supplenti, ma non basta. Viene conclusa, ad arte, dalla procura romana una inchiesta in atto da tempo, sempre per reati associativi, che ha portato in questi giorni in carcere 5 compagni e il fatto viene utilizzato terroristicamente dai mass media che puntano a collegarli al processo in corso e a creare un fosco e preoccupante clima attorno al prossimo G8. Non importa se gli indizi sono labili e le intercettazioni fanno sorridere gli stessi inquirenti. Non ci stupiamo, abbiamo già visto la stessa cosa con l’arresto dei nostri cari prima della manifestazione di Vicenza contro il raddoppio della base americana nel febbraio 2007.
Siamo qui per denunciare tutto questo, un attacco continuo e preventivo contro ogni progettualità politica rivoluzionaria per tentare di isolarla e renderla criminale ed esterna al movimento di classe. Ma questo processo ha mostrato chiaramente che così non è. I compagni in carcere hanno avuto una grande solidarietà che, nonostante il tentativo di reprimerla, si è rafforzata nel tempo.
 
Come Associazione di Solidarietà Parenti e Amici siamo oggi presenti non solo per portare il nostro sostegno agli imputati ma anche e soprattutto per protestare contro il loro possibile trasferimento al carcere confino di Siano Catanzaro a più di mille chilometri di distanza oltre che dalla sede processuale anche dagli affetti e dai compagni di lotta.
Questo non accade solo ai nostri parenti ma a molti altri prigionieri. Infatti, nella nuova circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (che tutto autoritariamente e centralmente decide), viene incentivata la differenziazione tra i prigionieri con la riorganizzazione carceraria in circuiti rigidamente separati in modo da evitare possibili “contagi”. Certo è che i prigionieri politici rivoluzionari sono visti come la peste! Parallelamente viene peggiorato il già barbaro trattamento di tortura e isolamento del 41 bis e vengono preparate nuove sezioni speciali (carceri nelle carceri) in istituti già esistenti e ne vengono costruiti di nuovi. Così la differenziazione e la deportazione, logiche portanti in atto da anni nel sistema carcerario, vengono oggi incentivate e normate peggiorando le condizioni di vita dei detenuti e di chi li sostiene. Tutto questo comporta enorme dispendio di denaro pubblico (cioè nostro) e non è per migliorare le condizioni di vita dei prigionieri ma per peggiorarle.
La gestione che viene data dallo stato è in nome della sicurezza del paese, in realtà è per la loro sicurezza di continuare a sfruttare, fare guerre e stragi sui posti di lavoro, proseguire nella corruzione e nel ladrocinio.

No ai carceri confino e alle deportazioni!
Solidarietà ai compagni arrestati negli ultimi giorni e ai loro parenti!
Saluti solidali a Madda e Beppe rinchiusi qui a San Vittore!


Associazione di Solidarietà Parenti e Amici degli arrestati il 12/02/07
Milano 13 giugno 2009
email: parentieamici@libero.it
29 giugno 2009
Questa mattina è iniziato il trasferimento dei compagni nel carcere-confino di Siano,
Catanzaro!
Sembra che il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria voglia trasferire i
compagni due alla volta; non sappiamo a che distanza temporale gli uni dagli altri,
ma proprio questa mattina hanno imbarcato in aereo per il carcere di Siano, Andrea
Scantamburlo e Alfredo Davanzo.

Più di mille chilometri di distanza dagli affetti, dai compagni di lotta e dalla sede
processuale!!!

Costruiamo e rilanciamo ogni tipo di iniziativa di solidarietà di classe, denunciamo
e lottiamo uniti dando voce alla resistenza dei compagni in carcere.

Non appena avremo notizie di altri trasferimenti, aggiorneremo tutti e tutte!

No alle carceri-confino e alle deportazioni!
Teniamo alta la bandiera della solidarietà di classe!

Per scrivere ai compagni:
_ Andrea Scantamburlo
_ Alfredo Davanzo

Casa Circondariale, Via Tre Fontane 28 – 88100 Siano (CZ)