inchiesta
12.02.07
aggiornamenti
marzo-aprile-maggio-giugno 2009
Cari compagni, care compagne,
parenti e amici.
Abbiamo saputo che il compagno
Massimiliano Toschi è stato trasferito dal carcere di
Alessandria al carcere di Opera.
Sta bene e saluta tutti.
Per scrivergli l'indirizzo è:
Massimiliano Toschi
via Camporgnago, 40
20141 - Milano - Opera
Rilanciamo la solidarietà di
classe internazionalista!
Uniti si vince!
Aprile 2009
Straordinaria mobilitazione di
solidarietà
al fianco dei compagni arrestati il
12 febbraio 2007!
Grande mobilitazione di
solidarietà davanti al Tribunale di Milano per il presidio di
lunedì 4 maggio 2009 in occasione dell’udienza con la quale si
sono concluse le arringhe della difesa per il processo di primo grado
contro i compagni e la compagna arrestati durante il blitz repressivo
scattato il 12 febbraio 2007, denominato operazione “Tramonto”.
In 300 tra compagni, compagne,
parenti, amici, colleghi di lavoro, studenti medi e universitari,
operai e giovani solidali provenienti da tutto il paese, le isole e da
molte parti d’Europa, hanno scaldato l’aula con saluti e pugni chiusi,
e partecipato attivamente davanti al tribunale con bandiere rosse,
antifasciste e anarchiche, bandiere della Palestina e per un Soccorso
Rosso Internazionale, striscioni, slogans, volantini e interventi di
solidarietà nelle diverse lingue dei presenti.
La PM “toga rossa” Boccassini ha
dichiarato di non voler replicare e il giudice ha così fissato
per giovedì 11 giugno un’ultima udienza, per consentire ad
alcuni imputati di rilasciare delle dichiarazioni spontanee, al termine
della quale la Corte e la Giuria popolare si ritireranno in camera di
consiglio per deliberare la sentenza.
Fuori dall’aula:
Il presidio internazionale che si
è tenuto davanti al Tribunale di Milano è stato indetto
dall’“Associazione di Solidarietà Parenti e Amici degli
arrestati il 12-2-2007”.
Un presidio comunicativo che ha
dimostrato ancora una volta l’enorme e vasta solidarietà che in
questi 2 anni e mezzo si é sviluppata attorno ai compagni sotto
processo, che ha sfondato le frontiere, esteso la coscienza della
necessità della lotta di classe rivoluzionaria riunendo sotto la
parola d’ordine della Solidarietà di Classe le diverse anime del
movimento di lotta anticapitalista.
La numerosa presenza di delegazioni
internazionali di compagni attivi e impegnati nel processo di
costruzione di un Soccorso Rosso Internazionale dalla Svizzera, dalla
Francia, dalla Germania, dalla Spagna, dal Belgio e l’adesione di
alcuni compagni turchi è stata particolarmente significativa,
evidenziando così il carattere internazionalista della
solidarietà.
Sono stati fatti diversi interventi
ed è stato letto un saluto inviato dalla Commissione per il
Soccorso Rosso Internazionale, sia in italiano che in francese.
La corposità del presidio, la
sua determinazione e combattività dimostrano che la repressione,
nonostante le richieste folli di condanna fatte dall’accusa, non ha
determinato scoramento e rassegnazione, anzi indignazione rafforzando
la solidarietà.
Verso metà mattina, tenendo
alto lo striscione “libertà per i compagni” è stato fatto
un breve blocco stradale in Corso di Porta Vittoria, urlando slogans e
diffondendo volantini ai passanti per informare sulla natura politica
del processo in corso.
La compattezza dimostrata nel
coinvolgimento ha trasformato il presidio, al termine dell’udienza, in
un corteo spontaneo che partendo dal Tribunale è arrivato fino a
Piazza San Babila, dove si è concluso con svariati interventi a
sostegno dei compagni, raccogliendo l’interesse dei passanti.
Dentro l’aula:
All’interno dell’aula erano presenti
i compagni imputati, sia quelli in carcere, attualmente ad Opera in
regime di Elevato Indice di Vigilanza, sia quelli agli arresti
domiciliari. È stato molto seguito il lungo intervento finale
presentato dall’avvocato Pelazza che ha concluso quest’anno e mezzo di
processo politico formulando ed esponendo un’arringa difensiva politica
di attacco, attraverso la denuncia della stessa natura del processo. Ha
puntato il dito sulla visione statica della realtà della PM
utile a demonizzare i compagni e a criminalizzarli. Questa è la
visione della classe dominante che vuole perpetuare lo status quo,
quello della violenza dello sfruttamento e della guerra. La
realtà invece è movimento e conflitto nel quale tutti si
è coinvolti, compresi i giudici. Ha affermato che è
necessario vedere e riflettere sul tutto per comprendere e conoscere,
soprattutto se si deve giudicare. Ha denunciato il tentativo incessante
della PM di suggestionare la Corte con la questione della violenza
descrivendo i compagni come pericolosi sanguinari e facendo
continuamente entrare nel processo fatti del passato che nulla avevano
a che fare con questa inchiesta. Ma allora, se si parla di violenza di
quale violenza si parla, ha chiesto l’avvocato. Solo di quella
esercitata storicamente da chi voleva cambiare il mondo? Perché
ci si ferma li?
Perché non si parla del Piano
Solo e di De Lorenzo (colpo di stato del ’64), di Gladio, di Piazza
Fontana, del Golpe Borghese, di Peteano, della Rosa dei Venti?… La Pm
si è dichiarata fedele allo Stato e alla Costituzione, parla di
questo Stato, quello delle stragi impunite? E di quale Costituzione? La
violenza è diventata rottura costituzionale con la guerra del
Golfo del 1991, con quella in Yugoslavia nel 1999 sotto il governo
D’Alema…fino agli interventi di oggi in Afghanistan, Iraq…
La violenza è anche
distruzione dello stato sociale e strage di morti sui posti di lavoro
per non parlare del “mare nostrum” pieno di cadaveri di immigrati, ha
fatto notare l’avvocato ed ha chiesto: “Il diritto qui come reagisce?”
Di seguito ha poi attaccato l’uso
del reato associativo che era stato abrogato da una sentenza di
Cassazione del ’50, perché ritenuto fascista, ma poi
successivamente riapparso come strumento utile a perseguire gli
oppositori politici fino a subire le estensioni di oggi (dal 270 bis
fino al sexies).
Ha anche dimostrato che per l’accusa
di “banda armata” art 306 c.p. non ci sono i requisiti giuridici per
affibiarla ai compagni, in primis l’idoneità a colpire il “bene
protetto” cioè lo Stato.
Ha inoltre fatto notare come in
questo processo si parli principalmente di atti preparatori, un’azione
quindi repressiva preventiva attuata con gli arresti. Ma non c’è
già (sic!) la legge Reale che è nata per punire in
maniera estesa preventivamente?
Continuando ha denunciato molte
“storture” preliminari: le trascrizioni delle intercettazioni fatte su
copie e non sugli originali, tra queste alcune, come dimostrato da
altre difese, fasulle; le varie interferenze della PM soprattutto sul
trattamento carcerario; la scarsa professionalità dei diversi
attori che hanno costruito questa inchiesta.
Si è soffermato
successivamente sulle posizioni specifiche dei singoli imputati, ha
ricordato numerose sentenze di assoluzioni o di condanne lievi in
processi politici storici e per compagni incarcerati negli anni 80 e 90
per episodi più “importanti” di quelli di cui si discute in
questo dibattimento evidenziando l’assurdità dei 200 anni di
carcere richiesti dall’accusa. Concludendo ha chiesto l’assoluzione per
tutti i suoi assistiti riaffermando la natura politica del processo
frutto di un’operazione più ampia che coinvolge e usa anche gli
stessi giudici.
L’intervento conclusivo
dell’avvocato ha rappresentato quell’unità difensiva che
è stata il riflesso dell’insolubile unità fra gli
imputati.
È stato infine chiesto alla
Corte di non concedere il nulla osta ai trasferimenti in carceri
lontani dalla sede processuale, ad esempio a Siano Catanzaro, come
è avvenuto durante le pause processuali anche di poche
settimane, nonostante il parere negativo del giudice.
A sostenere i compagni in aula vi
sono stati costantemente e a rotazione i partecipanti al presidio che
si sono rivelati elemento fondamentale di supporto alla richiesta dei
compagni nelle gabbie di far ascoltare in aula un documento firmato
collettivamente da alcuni di loro, poi allegato agli atti: per la prima
volta la Corte ne ha permesso la lettura che ha ricevuto un lunghissimo
e caloroso applauso dal pubblico per diversi minuti.
Alla fine sono stati salutati i
compagni con slogans e pugni alzati e con l’apertura in aula di uno
striscione che riportava la scritta “libertà per i compagni”.
Questa straordinaria mobilitazione
è l’espressione più nitida di quel filo rosso della
solidarietà di classe internazionalista che da ulteriore forza,
sostegno e calore alla resistenza dei compagni prigionieri;
contemporaneamente la loro resistenza restituisce a noi, qui fuori, la
forza di continuare a lottare al loro fianco e contro le barbarie del
capitalismo.
Vogliamo ringraziare tutti coloro
che si sono mobilitati per organizzare il presidio e che vi hanno
partecipato, arrivando anche da molto lontano, rispondendo con forza ed
unità a chi vorrebbe distruggere e seppellire gli ideali e il
percorso da intraprendere per cambiare questa società corrotta.
Giovedì 11 giugno la Corte
dell'ingiustizia di Milano si chiuderà in camera di consiglio ed
entro pochi giorni darà la sentenza di primo grado.
COL CUORE E CON LA RABBIA,
CON I COMPAGNI CHE RESISTONO NELLE
CARCERI!!!
UNITI SI VINCE!!!
Associazione di Solidarietà
Parenti e Amici degli arrestati il 12/02/07
parentieamici@libero.it
- www.parentieamici.org
MAGGIO 2009
PROCESSO POLITICO, SENTENZA POLITICA.
SIAMO TUTTI COINVOLTI, PARTECIPIAMO
TUTTI!
Il processo di primo grado in corso
a Milano ai 17 compagni arrestati nell’ambito dell’Operazione Tramonto
sta volgendo al termine. Durante l’udienza del 3 marzo la PM ha chiesto
una condanna complessiva di circa 2 secoli di galera e quasi 300 mila
euro di pena pecuniaria (alle quali si vanno ad aggiungere le richieste
avanzate successivamente dalle parti civili, 1 milione di euro allo
Stato!).
Il 4 maggio 2009 si terrà
l’ultima udienza del processo.
Gli accusatori
Il 12 febbraio 2007 scatta il blitz
repressivo da Nord a Sud d’Italia che coinvolge anche una compagna
svizzera e che porta in carcere 14 compagni, al quale seguiranno altri
3 arresti tra il 6 luglio e il 27 novembre 2007. Da subito c’è
stata la percezione diffusa a livello di massa che si trattava di
un’operazione politica portata avanti con un governo di “sinistra” in
difficoltà, a causa dell’acuirsi della crisi economica a livello
mondiale, per il rifinanziamento della missione in Afghanistan e alla
vigilia di pesanti attacchi ai lavoratori, come lo scippo del TFR
(trattamento di fine rapporto). Inoltre, si avvicinava la data della
manifestazione a Vicenza contro l’ampliamento della base americana al
aereoporto Dal Molin.
Gli accusatori sono magistrati
“toghe rosse”, la pm Bocassini e il giudice Salvini con la direzione di
Spataro, affiancati dalle parti civili dello Stato della crisi e delle
stragi sui posti di lavoro, dai fascisti assassini di Forza Nuova e dal
“sinistro” senatore antioperaio Pietro Ichino.
Un’operazione di controrivoluzione
preventiva tesa a indicare un nemico interno da criminalizzare e
annientare e utile a creare un sinistro clima di terrore contro il
movimento di classe e antimperialista in Italia.
Gli imputati
I compagni accusati sono lavoratori,
studenti, operai delegati sindacali riconosciuti e amati dai propri
compagni di lavoro.
Si tratta di compagni di movimento,
compagni di centri sociali, antimperialisti, militanti comunisti
rivoluzionari tra i quali alcuni si sono dichiarati militanti per la
costituzione del Partito Comunista - politico militare, e infine
addirittura loro semplici conoscenti.
Tra gli arrestati molti sono
militanti del Centro Popolare Occupato Gramigna, una realtà di
lotta e aggregazione giovanile e operaia esistente a Padova da venti
anni, nonostante decine di sgomberi. Una spina nel fianco di tutte le
giunte, sia di destra che di “sinistra” che negli anni hanno governato
la città. Dopo quest’operazione, il Gramigna viene sgomberato e,
nonostante i compagni tentino più volte la rioccupazione,
vengono repressi duramente e viene negato loro ogni spazio pubblico in
città.
Dei 17 compagni sotto processo, a
oltre due anni dall’arresto, 9 sono in carcere, 7 ai domiciliari e 1 a
piede libero.
Le accuse e i reati associativi
Tutti i compagni sono accusati di
banda armata, art. 306 c.p., e di associazione sovversiva con
finalità di terrorismo, art 270bis c.p., ovvero sono accusati di
voler mettere in discussione l’attuale sistema economico e politico su
cui si basa questa società e di aver provato ad organizzarsi per
farlo. Viene messo in discussione il potere borghese, il quale ha
imparato ad attrezzarsi per difendere la sua esistenza, soprattutto
attraverso l’apparato giuridico, in cui si cristallizzano i rapporti di
classe.
I compagni vengono incarcerati con
l’uso dei reati associativi provenienti dal codice fascista Rocco che
inaugurò l’art. 270 c.p. (associazione sovversiva). Alla fine
del 1979, in un periodo di ripresa del movimento rivoluzionario, per
semplificare gli strumenti repressivi ed accentuarne la portata venne
introdotto con il cosiddetto decreto Cossiga: l’art. 270bis. Dopo l’11
settembre 2001, per contrastare sul nascere ogni forma di
organizzazione in opposizione alla guerra imperialista e alla forte
crisi economica, viene aggiunto il 270 ter, quater, quinquies, sexies
c.p. per punire non solo “chiunque promuove, costituisce,
organizza, dirige o finanzia associazioni…” ma anche “chi dà
rifugio o fornisce vitto, ospitalità, mezzi di trasporto,
strumenti di comunicazione a talune delle persone che partecipano alle
associazioni indicate negli artt. 270 e 270 bis…”. Quindi la
solidarietà di classe.
Sono reati nati per perseguire i
comunisti e gli anarchici e hanno permesso, nelle numerose inchieste
degli ultimi anni, di tenere sotto controllo centinaia di compagni
“monitorando” tutte le aree politiche che si sottraevano alle
compatibilità istituzionali. Sono reati politici che permettono,
senza necessariamente basarsi su reati specifici, di reprimere un
numero illimitato di persone e punirle con condanne elevate, creando
diverse figure e ruoli nell’associazione, dall’organizzatore al
partecipe, fino al concorrente esterno.
Sinistra borghese e repressione
La sinistra borghese è la
principale artefice di questa operazione di repressione politica. Il
momento politico in cui è stata attuata e il ruolo dei giudici
“toghe rosse” lo rendono esplicito. Ma ciò che lo rende ancor
più chiaro è l’enfasi con cui in particolar modo i
vertici sindacali della Cgil, subito dopo gli arresti, hanno
criminalizzato i compagni e creato un clima di terrore all’interno
delle fabbriche nei confronti di chi esprimeva loro solidarietà.
La partecipazione al processo come parte civile del giuslavorista
antioperaio nonché senatore del Pd Pietro Ichino, completa il
quadro. Questi loschi figuri, a tutti gli effetti interni al campo
imperialista, si sono candidati da tempo a svolgere il ruolo di
annientamento di ogni istanza rivoluzionaria assieme a quello di
controllo e pompieraggio sulla lotta di classe. Il loro interesse
principale è quello di dimostrare ai padroni di essere il
miglior referente capace di portare a compimento lo smantellamento
delle conquiste della classe. Questo compito è l’altra faccia di
quello della repressione diretta dallo Stato della crisi e della guerra
che, con un salto autoritario, ha acuito tutti gli strumenti di
coercizione sugli operai e sulle masse popolari che resistono di fronte
all’aumento dello sfruttamento, arrivando ad attaccare frontalmente il
diritto di sciopero.
Le istanze della sinistra borghese,
come in altri momenti storici, reprimono e schedano chi sta alla loro
sinistra spianando la strada alla destra fascista e xenofoba e alla
instaurazione di un vero e proprio regime. Non è uno scenario
catastrofista, ma una realtà che sta prendendo visibilmente
piede con il governo Gelli-Berlusconi.
Stampa e massmedia
Come ai vecchi tempi, quando
Goebbels, ministro della propaganda nel Terzo Reich, diceva: ”Qualsiasi
bugia, se ripetuta frequentemente, si trasformerà gradualmente
in verità”, i mass media adempiono al loro ruolo di servi della
borghesia. Questi, dopo aver sbattuto il mostro in prima pagina al
momento degli arresti, hanno proseguito una campagna di falsità,
denigratoria e criminalizzatrice contro gli arrestati. I compagni sono
stati descritti come mostri assettati di sangue, dalle doppie vite,
criminali incalliti legati alla delinquenza, sbandati ed estranei al
mondo del lavoro (anzi “infiltrati”!), tutto ciò con l’obiettivo
di isolarli dal loro stesso ambiente. Tutto palesemente falso, come
dimostra la loro internità alla lotta in fabbrica e nel
movimento e alla grande solidarietà che continuano a ricevere
anche dai propri colleghi di lavoro.
La solidarietà
La solidarietà, unita alla
resistenza e all’unità dei compagni arrestati, è stato il
punto di forza più importante di questi due anni, perché
ha impedito il tentativo del loro isolamento, sia politico che fisico.
La solidarietà è stata
ampia e si è sviluppata in tutta Europa, dal momento che
l’inchiesta si è estesa anche oltre confine, con perquisizioni
in Svizzera e 5 arresti in Belgio. Sono stati colpiti in particolar
modo compagni e compagne appartenenti al Soccorso Rosso Internazionale.
Manifestazioni, presidi, azioni
dirette, assemblee, dibattiti, proiezioni di video, diffusione di
volantini e giornali, cene e concerti di sottoscrizione si sono svolti
incessantemente dal 12 febbraio 2007 fino ad oggi. Moltissime persone
scrivono ai compagni in carcere, chiedono colloqui, partecipano al
processo.
Fin da subito si è costituita
“l’Associazione Solidarietà Parenti e Amici degli Arrestati il
12/02/07”, non solo per il sostegno umano ed economico ai compagni, ma
principalmente per difendere la loro identità politica.
Proprio per questo, anche la
solidarietà è stata oggetto della repressione con arresti
e denunce, e inoltre è stata inserita come “indagata”
nell’inchiesta. Un intero faldone, con tanto di grafici su tutte le
iniziative di solidarietà, è stato allegato agli atti
dalla pm Boccassini.
Il processo politico
Nonostante l’accusa, con urla
isteriche, affermasse di dover giudicare semplici delinquenti, il
processo si è rivelato da subito come processo politico.
L’unità dei vari “attori” (imputati, movimento di
solidarietà e avvocati) ha saputo rendere chiaro questo aspetto.
La presenza solidale e di protesta
del pubblico in aula è stata importante ogni qualvolta veniva
negato ai prigionieri di leggere i loro comunicati e ne veniva chiesto
il veto della diffusione a mezzo stampa e internet.
Nonostante le diverse posizioni
processuali di prigionieri politici, militanti comunisti e singoli
conoscenti, l’unità degli imputati e quella dei parenti ha
impedito il tentativo di dividere gli accusati tra buoni e cattivi e
metterli gli uni contro gli altri.
Per portare a termine il suo
compito, infatti, la pm ha investito tutte le sue forze per far
crollare i compagni e trasformarli così in poveri “pentiti” a
garanzia dell’impossibilità di cambiare in modo rivoluzionario
questo sistema di barbarie.
L’unità, al contrario, ha
permesso di mettere al centro del dibattimento la difesa
dell’identità politica, i metodi dell’inchiesta e del processo,
tipici dei reati associativi, in primo luogo l’inversione dell’onere
della prova con il quale non è più l’accusa a dimostrare
la colpevolezza, ma sono gli imputati a dover dimostrare la loro
estraneità ai fatti contestati.
Il dibattimento
Nel lungo dibattimento, che dura da
oltre un anno, la difesa ha saputo far emergere gli sporchi metodi
d’inchiesta, le falsità e le provocazioni intentate
dall’accusa. Palesi le operazioni di monitoraggio di intere aree
politiche anche attraverso la schedatura di massa, come quella
dichiarata dai dirigenti della digos alla Fiat fin dagli anni ‘80.
Inoltre, intercettazioni di ogni tipo, dai telefoni alle microspie
nelle case e nelle macchine, alle telecamere davanti alle abitazioni
fino all’uso dei satellitari. Ma, a conferma dell’esperienza storica
dei comunisti, non è stata la tecnologia la principale causa
degli arresti, bensì la svolta dell’inchiesta data dai servizi
di intelligence basati sulle “rivelazioni” di un informatore. Questo va
unito alla costruzione del pentito di turno, in questo caso Valentino
Rossin, trafficante di ogni genere di cose, dal miele alla droga che,
salito in carriera, è diventato trafficante della vita dei
compagni.
Chiaramente il Rossin è
libero.
Le falsità
Alcuni compagni imputati hanno a
loro carico anche alcune accuse specifiche, le quali sono
principalmente fatte per deduzione. Questo è ciò che
è emerso dagli interrogatori della difesa. A posteriori dai
fatti, ritenendo colpevoli gli imputati, sono stati esaminati i loro
comportamenti, attraverso la lettura delle varie relazioni di servizio
degli sbirri, e se ne è dedotta la loro colpevolezza. A titolo
di esempio, a Padova è stata incendiata la sede di Forza Nuova e
poiché si riteneva colpevole l’area politica del C.P.O.
Gramigna, tempo dopo il fatto, due compagni sono stati accusati
dell’attentato incendiario per via di alcune “osservazioni” che
riportavano la loro presenza in quella zona. All’accusa,però,
non interessa assolutamente che si trovassero da quelle parti diverse
ore prima dell’incendio!
Dove non sussistono queste
“osservazioni” o qualche indizio si costruisce la prova falsa. È
il caso della trascrizione fasulla dell’intercettazione in cui gli
imputati secondo l’accusa avrebbero detto: “È tutto pronto per
ammazzare Ichino”. La difesa ha provato scientificamente che quella
frase non è mai stata pronunciata e, gli stessi imputati, i
quali sono abituati a rivendicare ciò che fanno, lo hanno
smentito.
Altre falsità e
infamità macroscopiche, intentate per denigrare i compagni, sono
state il tentativo di imputare loro legami con la malavita organizzata.
Il carcere e il trattamento
differenziato
Lo sporco lavoro per far crollare i
compagni è stato magistralmente orchestrato dalla pm con
lunghissimi periodi di isolamento, trasferimenti continui, con enorme
dispendio di denaro pubblico, in carceri lontanissime come l’Ucciardone
a Palermo, o in sezioni “particolari” come reparti psichiatrici o dove
erano rinchiusi infami e pedofili. Anche in questo caso la
solidarietà che i compagni hanno ricevuto, sia dentro le
prigioni che fuori, è stata fondamentale, così come le
numerose mobilitazioni contro l’isolamento e i presidi davanti alle
carceri.
I compagni attualmente in carcere
sono in regime di Elevato Indice di Vigilanza, alcuni sottoposti a
censura. Sono destinati al carcere di Siano Catanzaro, un
carcere-confino dove esiste una sezione-confino per prigionieri
politici.
Il sistema carcerario è
diviso in gironi basati su premi e punizioni a seconda del
comportamento del detenuto. Da questi gironi si esce solo collaborando
con lo Stato. Il castigo massimo è il 41bis o.p. con trattamento
disumano, isolamento totale, vetro ai colloqui, processo in
videoconferenza. Ultimamente è stato prolungato e peggiorato con
la solita campagna emergenziale sulla criminalità organizzata.
In questo regime ci finiscono anche i compagni rivoluzionari, visto che
riguarda chi è accusato di reati associativi. Anche con l’ultimo
decreto sulla sicurezza, sull’onda dell’ennesima emergenza, quella
sugli stupri, sono peggiorate le norme repressive per i compagni: per i
reati associativi non si potranno più ottenere gli arresti
domiciliari.
Perché?
Vengono arrestate avanguardie di
lotta e militanti comunisti rivoluzionari. Non succede da oggi.
Dal Corriere della sera del 5 giugno
1928: “Dura solo una settimana il processone contro i dirigenti del
Pcd’I, trecentotrè anni di reclusione inflitti dal tribunale
speciale”. E’ un esempio che sembra lontano nel tempo, ma ci pare
pertinente ed attuale. E anche negli anni ‘70 e ‘80 circa 12.000
compagni e compagne sono finiti nelle maglie repressive.
Con la repressione e la galera
vogliono impedire, oggi come ieri, che la lotta di classe si trasformi
in lotta rivoluzionaria per il cambiamento della società, per
una società senza padroni né guerra, incarcerando chi
interpreta questa necessità. E per nascondere la
possibilità della prospettiva rivoluzionaria riscrivono la
storia anche con le sentenze, facendo passare i compagni per criminali
e minacciando il carcere a chi voglia intraprendere la stessa strada.
I compagni di questo processo fanno
parte delle migliaia di prigionieri politici di tutto il mondo, di
quelli in Italia e in Europa che oggi, nella situazione di crisi sempre
più acuta dell’imperialismo e di sviluppo della tendenza alla
guerra, crescono giorno dopo giorno di numero.
La rivoluzione non si arresta!
Solidarietà a tutti i
compagni in carcere!
Abbattere il capitalismo, costruire
la solidarietà!
_ Alleghiamo questa lettera del
compagno Bruno Ghirardi.
9 marzo 2009
Tra le perle infilate una dietro
l’altra dall’esimia PM nella sua lunga requisitoria, sicuramente va
segnalata quella riferita alla libertà d’associazione garantita
dalla Costituzione.
La carta costituzionale
scaturì dalla guerra di liberazione partigiana combattuta in
armi contro i nazi-fascisti, non fu un regalo e non a caso dal giorno
dopo la sua approvazione iniziò l’opera d’erosione e d’eversione
da parte delle forze borghesi e reazionarie, con l’ausilio degli
apparati polizieschi in continuità con il fascismo e la
benedizione americana.
La maggior parte dei principi sono
così rimasti sulla carta, a partire da quello sancito nel primo
articolo e così gli indubbi elementi di progresso sono rimasti
inespressi.
La magistratura ha coperto tutte le
trame operate nell’ombra contro questi principi, operando alla mano con
il codice Rocco vigente tutt’ora.
Se si parla di continuo di revisione
della Costituzione è da sempre in secondo o terzo piano
l’abolizione del codice fascista.
Questo è frutto della
reazione della borghesia alla lotta di liberazione e alle avanguardie
armate espresse con essa.
Giova ricordarlo nell’epoca del
governo Gelli-Berlusconi, con l’esercito nelle strade e nei “territori
d’oltremare”, leggi razziali, il divieto di sciopero e le ronde (senza
camicia nera per ora) nelle strade, dei soldi a preti e padroni e la
miseria ad operai ed impiegati.
Chi difende la Costituzione sta
dentro una gabbia o nelle prigioni di regime; regime che il terrorismo
non ha mai disdegnato di praticare: chi difende quest’ultimo dentro una
toga se ne assuma la responsabilità, nè pensi di lavarsi
la coscienza con il giuramento sulla Costituzione.
Saluti comunisti
Bruno Ghirardi
MILANO - PRESIDIO DAVANTI AL
TRIBUNALE
LUNEDÌ 4 MAGGIO 2009 ALLE ORE
9.30
CORSO DI PORTA VITTORIA
Compagne e Compagni per la
Costruzione del Soccorso Rosso in Italia
Cccpsri1@gmail.com
Numero di C/C: 12420451:
intestazione: Ass. Culturale Nicola Pasian
LA RIVOLUZIONE NON SI PROCESSA
Innanzitutto vogliamo ribadire che
non riconosciamo la giustizia borghese che viene esercitata in
quest’aula, perché essa è espressione del più
generale sistema capitalista, fondato sull’oppressione e sullo
sfruttamento delle masse proletarie. Abbiamo deciso di partecipare a
questo processo nel preciso intento di dare voce agli interessi
generali e storici della nostra classe, la classe operaia ed il
proletariato, che oggi sta subendo per prima i pesanti effetti della
crisi economica del sistema di cui voi siete i tutori giuridici.
La crisi del capitalismo è
scoppiata in tutta la sua virulenza.
Ottenebrati dalla loro stessa
propaganda ideologica, i partiti borghesi per anni hanno negato questa
realtà, finendo per credere alle proprie barzellette sulla “fine
della storia”, sulla “morte del comunismo”, sulla “eternità del
capitalismo”… Eccoli lì oggi, sconvolti e increduli di fronte
alle oscene devastazioni economico-sociali prodotte dal loro
“incantevole” sistema!
Qualcuno arriva a chiedersi se il
marxismo non ci avesse visto giusto…
In effetti, la violenta caduta
attuale è una manifestazione particolarmente acuta ma pur sempre
manifestazione di quella spirale di crisi strutturale che travaglia il
capitalismo da ormai tre decenni. E che non trova, non può
trovare, soluzione per ordinarie vie economiche.
Il marxismo, oltre ad aver indicato
le cause della crisi nelle stesse leggi proprie del modo di produzione
capitalistico, ha anche dimostrato che essa non può che
incancrenire la realtà economico-sociale fino a portare
sull’unica soluzione compatibile al sistema capitalistico: la guerra
inter-imperialista per la ripartizione del mondo, la sconfitta dei
concorrenti strategici, le immani distruzioni e l’approfondimento dello
sfruttamento necessarie al rilancio dell’accumulazione di capitali.
La profondità della crisi si
manifesta anche nel grande impulso ai movimenti di massa. Già da
anni questi si stanno intensificando: dalle numerose lotte operaie in
Europa, alla rivolta delle banlieu e degli studenti contro la
precarietà in Francia, alla formidabile esplosione in Grecia in
risposta alla violenza poliziesca. O allo stesso movimento studentesco
qui in Italia e, di nuovo, in Francia (dove il governo è corso
ai ripari, temendo una ripetizione del 2006). Per non parlare della
molteplicità di lotte territoriali che vanno intensificandosi,
come risposta immediata e spontanea della classe agli effetti della
crisi.
Molte di queste lotte si
caratterizzano per crescente radicalità, perché nei fatti
toccano una fondamentale contraddizione di interessi. Nel contesto
della crisi restano ben pochi margini per mediare, tutti i conflitti e
le contraddizioni del sistema si acutizzano: fra capitale e lavoro, fra
merci e bisogni sociali, tra profitto privato e bene comune, tra guerra
imperialista e guerra di liberazione dei popoli, ecc.
D’altronde, lo si vede bene in
Palestina cosa valgono la “democrazia borghese” ed i “trattati di
carta”, per i criminali sionisti, alleati dei nostri padroni: ai popoli
viene concessa la libertà di scegliere i propri cani da guardia
al guinzaglio dei potenti. Altrimenti sono bombardamenti,
strangolamento economico, ricatti e terrore imperialista.
Allo stesso modo, sul fronte interno
del nostro paese si vede bene quale sia la ricetta per affrontare la
crisi: cassa integrazione e licenziamenti per centinaia di migliaia di
salariati, e bastonate agli operai che si ribellano come alla INSEE di
Milano o alla FIAT di Pomigliano.
Oltre alla repressione, governo e
ausiliari aizzano le masse popolari verso la mobilitazione reazionaria,
alimentando campagne mediatiche che puntano a dividere e contrapporre
settori di massa. Terreno strategico per la borghesia, tanto che a Roma
viene preposto all’organizzazione delle “ronde civiche” niente meno che
il gen. Mori, ex capo del SISDE.
Ma ancor più strategico per
gli apparati repressivi dello Stato è il monitoraggio, la
prevenzione e la repressione di percorsi politici di costituzione in
politico-militare del proletariato; di costruzione dell’unico strumento
in grado di creare una prospettiva positiva di uscita dalla crisi
capitalistica, e cioè di sostenere il processo rivoluzionario
che porta all’uscita e al superamento del capitalismo stesso. Passando
per la decisiva tappa di scontro per il potere, condizione basilare per
avviare il processo di edificazione del socialismo. La costruzione
cioè di un Partito Comunista basato sull’unità del
Politico-Militare.
Questo è il contesto politico
in cui si colloca questo processo.
Perché il nostro percorso
politico-organizzativo, i nostri arresti e la seguente vicenda
giudiziaria e carceraria fanno pienamente parte dello scontro di classe
e della sua tendenza più coerente e necessaria: lo sbocco nello
scontro per il potere, tramite lo sviluppo di un processo
rivoluzionario.
Tutte le parti in causa lo sanno.
E se la parte che lo accusa non lo
ammette esplicitamente, se anzi cerca di mistificarlo, è il suo
agire che lo rivela. Così, dal giorno degli arresti si è
dato un dispiegamento mediatico da “grande avvenimento”. Ora, la cosa
è pure in stridente contrasto con la realtà dei fatti:
purtroppo la ripresa del processo rivoluzionario è ancora lenta,
agli stadi iniziali. Ma c’è!
Ed è questo pericolo che lo
Stato vuole scongiurare, stroncando sul nascere ogni embrione di
organizzazione rivoluzionaria che si doti degli strumenti
politico-militari necessari a sviluppare conseguentemente lo scontro di
classe. Il tutto nel solco dei grandi cicli di lotte del Movimento
Comunista Internazionale storico; passando necessariamente nel nostro
paese anche per l’ultimo “assalto al cielo”, degli anni ’70/‘80.
Perciò la campagna
mass-mediatica è stata una vera offensiva politica tesa a
delegittimare i compagni arrestati: “terroristi, infiltrati nella
classe operaia, gente dalla doppia vita, isolati…”
Campagna, però, che ha dovuto
fare i conti non solo con i prigionieri e gli imputati, anche quelli
estranei al nostro progetto politico, determinati comunque a difendere
la propria identità e a sostenere la prospettiva rivoluzionaria
per cui si lotta, ma anche con un’ondata di solidarietà che da
subito si è sollevata su tutto il territorio nazionale e in
alcuni ambiti europei (tanto da sconcertare l’allora Ministro
dell’Interno, preoccupato per le 200 e più azioni di
solidarietà riscontrate nei soli due primi mesi). Fin da subito
dopo gli arresti, alla manifestazione nazionale di Vicenza contro la
nuova base USA (febbraio 2007), molti compagni e proletari hanno
rivendicato l’identità dei prigionieri e l’internità al
movimento di classe, facendo conoscere la loro militanza d’avanguardia
nel territorio e sul lavoro. Così è stato in seguito, ai
cortei del 25 Aprile e del 1° Maggio; così in numerose e
forti iniziative in Europa.
Assemblee, cene di
solidarietà, raccolta di fondi nei luoghi di lavoro e tra amici
e parenti, fino a culminare nella prima forte manifestazione di
sostegno all’apertura della stagione processuale (il 12 dicembre ’07)
con l’udienza preliminare e con le nostre prime dichiarazioni
collettive in tribunale. E anche con l’inizio del primo sciopero della
fame contro l’isolamento, nostro e in generale come campagna
internazionale (incentrata sulla ricorrenza del 19 dicembre, giorno del
massacro dei prigionieri in Turchia, in lotta contro le carceri
speciali).
Nella strategia dell’accusa, il
trattamento carcerario è ovviamente parte integrante dello
scontro. Lo si è usato per attaccare il diritto alla difesa, con
la dispersione in diversi carceri durante tutto l’arco del processo e
con l’allontanamento a Catanzaro (a 1200 km di distanza) durante le
pause. Così si è reso pressoché impossibile il
contatto con gli avvocati. Tramite giochetti burocratici si è
cercato di impedire pure i contatti telefonici con loro, e ci si
è impedito sistematicamente di portare in aula i nostri testi,
da concordare assieme e da leggere pubblicamente.
Ma il perno del trattamento
carcerario è consistito nell’arbitraria imposizione di lunghi
periodi di isolamento, fino al massimo di un anno. L’isolamento
(considerato forma di tortura pure secondo alcuni organismi borghesi
internazionali) è praticato in tutto il mondo come arma
repressiva contro i movimenti rivoluzionari e di liberazione.
Arma impiegata assieme alle
classiche intimidazioni e pestaggi, come quello avvenuto presso il
carcere di Rebibbia, ed all’interno del più generale circuito di
trattamento differenziato (culminante nel regime del 41 bis, vera e
propria tortura legalizzata), al preciso scopo di piegare, spezzare la
resistenza dei militanti ed estorcere capitolazione e dissociazione.
Ma proprio su questo terreno si
è data una prima positiva verifica: quasi tutti i compagni hanno
fatto fronte dignitosamente alla repressione, pur nella
diversità di posizioni e di investimento militante. Il disegno
repressivo volto a disarticolare e disunire è stato ribaltato in
occasione di unità e riaffermazione delle ragioni
rivoluzionarie, fra gli imputati e fra questi e la mobilitazione
solidale esterna. Un’unità che ha permesso di contrastare
efficacemente l’isolamento con gli scioperi della fame promossi dai
prigionieri, sostenuti dalle iniziative esterne davanti alle carceri.
Conquistando la fine dell’isolamento
stesso.
L’avvio del dibattimento, il 27
marzo ‘08, esplicitava tutti i termini dello scontro: la
militarizzazione del tribunale, l’accanimento del P.M. ad impedire, a
tutti i costi, l’espressione politica dell’istanza rivoluzionaria,
hanno dato il tono sin dall’inizio.
Trovando però la nostra
determinazione a fare di questo processo politico quello che è:
un momento di scontro all’interno della lotta di classe, per
l’affermazione e lo sviluppo della tendenza rivoluzionaria.
Invece, la giustizia borghese tenta
sempre la carta della criminalizzazione; arma fondamentale che la
classe degli oppressori usa per isolare e screditare chiunque si
ribelli e si sottragga all’ordine imposto. Si indica alla “pubblica
indignazione” il proletariato che, per sottrarsi alla miseria cui viene
condannato, va a rubare; nascondendo così la realtà di un
sistema basato su quel crimine legalizzato che è
l’appropriazione del prodotto del lavoro sociale. Furto, rapina e
persino omicidio continuati e reiterati ai danni della classe operaia e
del lavoro sociale nel suo insieme. Un sistema di cui la presente
esplosione di crisi fa emergere il profondo ed immanente carattere
criminale, basato sullo sfruttamento, il taglieggiamento, la
spoliazione di masse enormi di popolazione.
Ma la giustizia borghese si è
spinta a peggiori bassezze: non solo ha letteralmente falsificato
alcune prove, artefacendo trascrizioni ed intercettazioni, essa ha pure
convocato contro di noi il peggior squallore del loro sistema. Da Forza
Nuova, tra le principali organizzazioni di stampo fascista,
protagonista in questi giorni di aggressioni razziste e antiproletarie,
alle squallide figure di infami come Maniero. Fino alla provocatoria
presenza dell’on. Ichino, tra i principali studiosi ed architetti
dell’incessante smantellamento del sistema di tutele e di diritti
conquistati con le lotte storiche del movimento operaio.
A queste meschine congetture e
provocazioni abbiamo risposto e ribadiamo che il movimento
rivoluzionario del proletariato ha sempre rivendicato le proprie
pratiche – fra cui l’esproprio proletario, come legittimo atto di
riappropriazione nei confronti del grande rapinatore sociale,
cioè il Capitale – così come rigetta tutte quelle
pratiche che, ispirate da pura avidità e disprezzo per le masse
popolari, diffondono miseria e autodistruzione.
Rivolgiamo invece al potere borghese
le sue stesse accuse: che spieghi a chi sono funzionali quelle forze
reazionarie che aizzano guerre fra poveri, proprio nel momento in cui
è necessario nascondere i veri responsabili della crisi.
Spieghino a chi sono funzionali gli “infiltrati” (questi sì,
visto che non hanno mai conosciuto un’ora di lavoro in fabbrica) che
stanno dentro al sindacato, lavorando a scardinare il sistema di
diritti acquisiti e di organizzazione operaia, a subordinare
rigidamente la classe operaia al Capitale. Spieghino dove conducono i
fili del grosso traffico internazionale di droga, di chi sono amici, o
meglio servi, i narco-regimi di Colombia, Afghanistan, Thailandia,
Turchia, Kosovo, ecc.
La pratica del movimento comunista
rivoluzionario è una pratica nota a tutti. Altrettanto non si
può dire dello Stato borghese e delle sue svariate bande armate,
che hanno costellato la storia del nostro paese di stragi, massacri,
repressione, per sottomettere le masse popolari e garantire ai
capitalisti l’egemonia sociale.
Per quanti limiti ed errori
ereditiamo dal passato delle rivoluzioni realizzate e poi degenerate,
crediamo sia necessario, impellente, e soprattutto possibile,
riprendere il cammino. E proprio risolvendo quei limiti ed errori che,
ne siamo coscienti, furono sfruttati ed alimentati dall’imperialismo
proprio per far degenerare le rivoluzioni e riassorbirle.
Non si tratta solo di limiti,
però! Le rivoluzioni realizzate ci hanno lasciato un enorme
patrimonio ed avanzamenti, che infatti vengono impiegati nei processi
rivoluzionari e nelle guerre popolari ora in corso nel Tricontinente.
È quell’insieme di acquisizioni che si riassumono nel
Marxismo-Leninismo-Maoismo e nella teoria della Guerra Popolare
Prolungata. In effetti, se si vuole uscire dai recinti istituzionali in
cui il conflitto sociale viene addomesticato, bisogna dotarsi dei mezzi
necessari per diventare una forza autonoma, capace di proporre
un’alternativa sociale.
Mezzi che sono anche il risultato di
un’“analisi concreta della situazione concreta”, in base all’obiettivo
di trasformare le forze espresse dalla resistenza dei movimenti di
massa in vera forza d’attacco, in forza capace di progettare e
sostenere lo sviluppo di un processo rivoluzionario. Obiettivo che si
può realizzare solo nell’unità del politico-militare,
come concretizzazione di queste esigenze e possibilità.
Mezzi che permettono la costruzione
di una politica che riesca a coniugare l’espressione dell’autonomia di
classe con movimenti di attacco capaci di incidere sui rapporti di
forza generali, concretizzando nell’unico modo serio e conseguente il
rapporto con Stato e padroni: l’attacco.
In sintesi: la politica
rivoluzionaria come realizzazione, portato, del Partito Comunista
Politico-Militare.
Dall’intento di impedire tutto
ciò scaturisce l’attenzione repressiva da parte dello Stato, che
concentra il peso del suo apparato soprattutto contro le istanze
comuniste impegnate nel suddetto percorso di costruzione.
È una questione strategica
sia per la borghesia imperialista e la sua sopravvivenza, sia per il
proletariato e la sua emancipazione dalle catene dello sfruttamento: la
partita decisiva, nello scontro di classe, per aprire (o, viceversa,
impedire) il processo rivoluzionario, si da attorno alla costruzione
del Partito, in quanto organizzazione adeguata alla guerra popolare di
lunga durata.
Questa è la partita, questo
è il nodo attorno a cui verte lo scontro.
Modestamente, e con tutti i limiti
del caso, i comunisti presenti in questo tribunale borghese, firmatari
di questo testo, lo sono per queste ragioni, per queste esigenze della
via rivoluzionaria, qui ed oggi.
Il nostro contributo
politico-ideologico-organizzativo è così motivato, si
fonda in queste inderogabili esigenze per la lotta rivoluzionaria.
Per questo ci troviamo qui a
confrontarci con la giustizia borghese, quale momento del più
generale scontro e nell’interesse generale della nostra classe.
Questo processo, come tutti i
processi politici, oltrepassa la stretta questione giudiziaria. Anche
perché la parte in causa esiste in quanto ipotesi di attacco
all’ordine costituito, e affermazione di un “nuovo ordine possibile”:
il socialismo.
Non è perciò nel
quadro giuridico, pilastro di questo stesso sistema, che vi può
essere la soluzione. Il quadro giuridico fa parte del problema non
certo della soluzione. In altre parole, storicamente affermate: “Non
riconosciamo l’ingiustizia borghese, la combattiamo!”. Questo grido
è risuonato nelle aule di tribunale dove si intendeva giudicare
i militanti della Resistenza al nazifascismo, i militanti africani,
asiatici, sudamericani, della liberazione anti-coloniale, ed i
combattenti dei partiti comunisti e organizzazioni dei giorni nostri.
Al diritto borghese, espressione
dell’ordine di oppressione e sfruttamento di classe, si oppongono
l’idea e la prassi rivoluzionaria per dare voce e corpo alle
aspirazioni di libertà delle classi oppresse.
Ribadiamo il nostro essere qui
presenti per affermare le ragioni, le possibilità della
rivoluzione proletaria, e la necessità del Partito come suo
strumento essenziale.
- LA RIVOLUZIONE NON SI PROCESSA
- È GIUSTO RIBELLARSI
- DEMOCRAZIA È IL FUCILE IN
SPALLA AGLI OPERAI
- CONTRO L’IMPERIALISMO, PRIGIONE
DEI POPOLI,
TRASFORMARE LA GUERRA IMPERIALISTA
IN GUERRA RIVOLUZIONARIA DI CLASSE
- COSTRUIRE, NELLA PRASSI
RIVOLUZIONARIA,
IL PARTITO COMUNISTA
POLITICO-MILITARE
I militanti per la costituzione del
Partito Comunista Politico-Militare PCp-m
Claudio Latino
Alfredo Davanzo
Bortolato Davide
Vincenzo Sisi
Allegato agli atti del 4/5/’09
L’Associazione Solidarietà
Parenti e Amici degli Arrestati il 12/02/07 invita a partecipare
all’udienza conclusiva del processo in cui verrà emessa la
sentenza.
L’udienza si terrà SABATO 13
GIUGNO all’aula bunker di S. Vittore (Piazza Filangeri, si raggiunge
con la linea verde, fermata S.Agostino)
L’appuntamento è per le 9.30
Oggi si è tenuta un’udienza
in cui i compagni imputati hanno rilasciato dichiarazioni spontanee
accolte da caldi applausi di solidarietà dal pubblico.
Da subito si è notata la
presenza di tanti giornalisti, strana per un’udienza in cui dovevano
parlare solo gli imputati: erano a caccia di sccop per preparare meglio
il clima forcaiolo attorno alla sentenza.
Abbiamo capito, infatti, dai
telegiornali qual’era l’intento: unire nel solito calderone del
“terrorismo” tutti i compagni che in questi giorni subiscono la
repressione sempre attraverso l’uso dei famigerati reati associativi.
Ci sembra, infatti, che il blitz
avvenuto ieri e orchestrato dalla procura romana, nel quale sono stati
coinvolti anche dei compagni milanesi, rilasciati in nottata, sia la
solita e odiosa storia di sbattere il mostro in prima pagina, storia
che come parenti abbiamo conosciuto bene sulla nostra pelle.
Agli inquisiti e ai loro parenti
tutta la nostra solidarietà!
Apprendiamo anche della detenzione a
San Vittore di Madda e Beppe, anche a loro porteremo il nostro saluto.
UN PROCESSO DA GUERRA DI CLASSE
Conclusione di un processo da guerra
di classe: nei giorni stessi l'arresto di altri militanti del movimento
rivoluzionario - ai quali va tutta la nostra solidarietà-;
aggiustamento dell'ultima ora sulla giuria popolare, con "misteriosa"
sostituzione di ben tre giurati; messa sotto scorta del presidente,
benché egli stesso ammetta di non aver subito minacce.
Sempre in clima militarizzante,
lettura di sentenza nell'aula-bunker di S. Vittore, con gran
dispiegamento di truppe in divisa e di quelle della macchina mediatica.
Infine le condanne: esemplari!
Così la borghesia ed il suo
Stato pensano di regolare il conto ai militanti rivoluzionari, e di
praticare il terrore preventivo contro la nostra classe.
C'è una terribile crisi
economica in corso, manifestazione della più generale crisi del
capitalismo.
La borghesia non può
"risolverla" che in un modo: aumentando lo sfruttamento.
Ciò comporta le attuali
devastazioni sociali.
Le masse possono rivoltarsi e
riscoprire che il loro destino, la loro libertà ha un solo nome:
distruzione del capitalismo!
Il sistema gioca allora d'anticipo,
aizzando divisioni e contrapposizioni fra settori popolari, facendo
leva sui peggiori istinti: razzismo, concorrenza, unità
corporativa tra operai e padroni, spirito neo-colonialista, ecc…
Mentre noi, militanti comunisti
della classe operaia, veniamo condannati, vengono legalizzate le ronde
(verdi e nere), cioè il vecchio squadrismo di stampo fascista e
razzista.
Questo già da anni imperversa
per le strade: pestaggi e omicidi contro proletari immigrati, giovani e
militanti di classe.
Ma ora vengono pure legalizzate, la
strada verso le milizie paramilitari è aperta. La loro
apparizione in televisione in tenute di ispirazione nazista, subito
dopo le immagini del nostro processo la dice lunga: la violenza
proletaria rivoluzionaria è da schiacciare, quella reazionaria
è da sostenere e diffondere.
Obiettivo principale è quello
di impedire alla classe proletaria di ergersi a soggetto politico
indipendente, capace di lottare conseguentemente e dunque di armarsi,
per l'unica alternativa possibile alla barbarie capitalistica: il
socialismo.
Il nostro processo si situa tutto in
questa contraddizione.
Questo il nodo politico, attorno al
quale si dà lo scontro. Ma Stato e borghesia, per la loro
debolezza strategica, sono costretti ad usare ipocrisia e
mistificazione, usano e abusano della mistificazione "democratica".
Così, un loro noto
rappresentante, agente della demolizione sociale antioperaia, arriva a
fare prediche sul rispetto delle idee e della persona umana, fino a
proporci il miserabile scambio: "trenta denari" per la capitolazione.
A tale campione diciamo:
vada a vedere come muore di cancro
un operaio dell'Eternit, e come sia stata rispettata la sua "persona
umana" e le "sue idee", dai padroni, dal loro Stato e dagli agenti
"riformisti" come lui. Vada a lavorare in fabbrica, a scoprire le
meraviglie dello sfruttamento e delle sedicenti leggi "riformiste" che
lo aumentano.
Le stesse leggi "riformiste" che
tanto hanno contribuito alla pesante precarizzazione del mondo del
lavoro, cioè ad indebolirlo il più possibile di fronte
alla dittatura del Capitale. Vada a scoprire che per il Capitale non
esiste la classe operaia, bensì la merce forza-lavoro, l'oggetto
dello sfruttamento, la fonte unica del profitto!
Quanto alla democrazia borghese,
essa è una cinica farsa: non può esistere "democratica
competizione" tra sfruttati e sfruttatori. Esiste un rapporto di
violenza e di inganno.
Scopo della nostra battaglia
politica è proprio quello di svelare queste verità e di
portare il proletariato sulla propria strada di emancipazione, facendo
ricorso anche alla violenza rivoluzionaria, "levatrice della storia".
Noi abbiamo sempre rivendicato la
nostra violenza, perché abbiamo un coraggio che ci è dato
dal valore della nostra causa, perché coraggio ci vuole ad
attaccare la classe dominante ed il suo Stato. Non certo a bombardare
popolazioni civili che non vogliono farsi rubare il petrolio e la vita;
oppure a mettere bombe in piazza e sui treni, come fanno gli "sgherri
segreti" di Stato. Questo è il senso del nostro appello alla
guerra di classe per il comunismo, perché questa è
l'unica strada per uscire dal marasma di miserie e violenze cui il
capitalismo sta condannando la società.
Qualche giornale borghese ha
scritto, l'indomani della sentenza, che noi e il pubblico abbiamo
intonato "l'internazionale", come se la repressione subita fosse solo
un incidente nel percorso rivoluzionario. Ogni tanto c'azzeccano.
È proprio così! Certo per loro è difficile
comprendere la forza di certe idee di collettività, così
come della solidarietà di classe, che in questo processo si
è manifestata così potente da pesare sicuramente nel
rapporto di forze.
Non c'è altra
possibilità: o si va verso la Rivoluzione, o il capitalismo
trasformerà il pianeta in un inferno, come già gran parte
della sua popolazione vive.
Perciò riaffermiamo:
"…su compagni lottiam, nostro fine
sarà l'internazionale di Lenin, futura umanità…"
Contro la crisi e l'imperialismo,
guerra di classe per il comunismo!
Contro il fascismo e la repressione,
organizziamoci per la Rivoluzione!
Milano, Giugno 2009
Militanti per la costituzione del
Partito Comunista Politico Militare:
Claudio Latino,
Davide Bortolato,
Alfredo Davanzo,
Vincenzo Sisi.
Militanti comunisti prigionieri:
Massimiliano Gaeta,
Massimiliano Toschi.
Lettera del compagno Bruno dal
carcere di Opera:
Verso la fine d’aprile io e gli
altri compagni coimputati siamo stati trasferiti dai carceri dove ci
trovavamo per il processo (Pavia, Vigevano, Piacenza) a Opera, sezione
EIV. Avvenimento curioso visto il prossimo termine del processo, e date
le circostanze, non avvenuto per favorirci in qualche modo. Le cose si
sono disvelate rapidamente; gli altri prigionieri sono stati spostati
in un’altra sezione e si è così appreso che eravamo
inseriti in una nuova categoria: AS2, per cui come “politici” dovevamo
stare isolati dagli altri per “…evitare fenomeni di proselitismo…”.
Questa differenziazione era già in atto nel carcere di
provenienza, Siano (Cz), prima dell’emissione di questa circolare. Le
altre categorie: AS1 riguarda chi proviene dal “41bis”, mentre l’AS3
chi genericamente ha reati e comportamenti “pericolosi” per
l’amministrazione carceraria. Il tutto in un quadro di generale
movimenti sotto il segno dell’isolamento e della differenziazione anche
per genere. Così, gli anarchici risultano assegnati ad
Alessandria, i “neri” a Terni, gli islamici a Macomer. Un accenno su
quest’ultima situazione: dal poco che si è saputo se ne parla
come di una Guantanamo nostrana. Isolati in mezzo alla Sardegna, niente
televisore, porte blindate chiuse 24 ore al giorno.
Tutto questo in quadro generale di
peggioramento della prigionia, per cui, come già anticipato a
mezzo stampa, si progettano nuovi padiglioni negli spazi disponibili ad
attività comuni, o navi-prigioni al fine di ficcarci più
persone possibile. Per colmo, usando denaro del Fondo preposto al
“reinserimento” (sic!) dei detenuti.
Ancora una volta il carcere
riflette le dinamiche sociali, rispetto a una crisi economica cui la
borghesia è incapace di dare soluzione, stante il suo carattere
strutturale, se non peggiorando ulteriormente le condizioni di vita dei
lavoratori e quindi aumentando la repressione e l’autoritarismo.
Così aumentano le possibilità di finire in carcere,
è stato pure ripenalizzato l’“oltraggio a pubblico ufficiale”,
come pure vengono criminalizzati comportamenti attinenti al vivere
(svaghi, ritrovi, musica…) e alla sopravvivenza (lavoretti di varia
natura, instabili e poco redditizi).
Per il reato del 41bis, oltre alla
teleconferenza, è stato tolto il gratuito patrocinio, diventando
così questo paese l’unico al modo che nemmeno pro-forma
garantisce il diritto alla difesa. Al contrario è garantita
l’impunità agli squali dell’alta borghesia con leggi e
stratagemmi.
Come prigionieri, ogni aumento
dell’isolamento e della differenziazione peggiora le condizioni di
vita; solo con questa coscienza si possono sviluppare comportamenti
unitari e forme di lotta proficue. Questo mentre il ministro-galoppino
Alfano sbrodola gongolante che le ultime misure in tema di 41bis sono
al limite della costituzione: Norme, per altro, appoggiate dalla
pseudo-opposizione.
E’ da notare che queste norme, che
interdicono, per esempio, i “domiciliari” per alcuni reati, sono state
inserite nel provvedimento sulla “violenza sessuale”. Quelle
sull’allungamento del 41bis, nel provvedimento sull’immigrazione
clandestina, cioié in maniera subdola. Questo la dice lunga
sull’”etica” del regime. Mentre la dimensione del carcere ingloba tutti
potenzialmente, come una proiezione orwelliana.
Saluti comunisti Bruno
Ghirardi
Carcere di Opera 1°giugno 2009
No ai trasferimenti, no alla
differenziazione, no al 41bis
Oggi, 13 giugno 2009, ci sarà
la sentenza contro i compagni arrestati il 12/2/2007 con l’uso dei
reati associativi di triste memoria fascista. Il clima forcaiolo,
creato ad arte per questa occasione è sotto gli occhi di tutti:
la sentenza viene letta nell’aula bunker invece che al tribunale dove
si è sempre svolto il processo; al giudice Cerqua che presiede
la Corte è stata messa per l’occasione la scorta (alcuni
giornali bugiardoni e infami titolano: Cerqua minacciato di morte);
all’ultimo momento vengono sostituiti tre dei giudici popolari in
carica con i giudici supplenti, ma non basta. Viene conclusa, ad arte,
dalla procura romana una inchiesta in atto da tempo, sempre per reati
associativi, che ha portato in questi giorni in carcere 5 compagni e il
fatto viene utilizzato terroristicamente dai mass media che puntano a
collegarli al processo in corso e a creare un fosco e preoccupante
clima attorno al prossimo G8. Non importa se gli indizi sono labili e
le intercettazioni fanno sorridere gli stessi inquirenti. Non ci
stupiamo, abbiamo già visto la stessa cosa con l’arresto dei
nostri cari prima della manifestazione di Vicenza contro il raddoppio
della base americana nel febbraio 2007.
Siamo qui per denunciare tutto
questo, un attacco continuo e preventivo contro ogni
progettualità politica rivoluzionaria per tentare di isolarla e
renderla criminale ed esterna al movimento di classe. Ma questo
processo ha mostrato chiaramente che così non è. I
compagni in carcere hanno avuto una grande solidarietà che,
nonostante il tentativo di reprimerla, si è rafforzata nel tempo.
Come Associazione di
Solidarietà Parenti e Amici siamo oggi presenti non solo per
portare il nostro sostegno agli imputati ma anche e soprattutto per
protestare contro il loro possibile trasferimento al carcere confino di
Siano Catanzaro a più di mille chilometri di distanza oltre che
dalla sede processuale anche dagli affetti e dai compagni di lotta.
Questo non accade solo ai nostri
parenti ma a molti altri prigionieri. Infatti, nella nuova circolare
del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (che tutto
autoritariamente e centralmente decide), viene incentivata la
differenziazione tra i prigionieri con la riorganizzazione carceraria
in circuiti rigidamente separati in modo da evitare possibili
“contagi”. Certo è che i prigionieri politici rivoluzionari sono
visti come la peste! Parallelamente viene peggiorato il già
barbaro trattamento di tortura e isolamento del 41 bis e vengono
preparate nuove sezioni speciali (carceri nelle carceri) in istituti
già esistenti e ne vengono costruiti di nuovi. Così la
differenziazione e la deportazione, logiche portanti in atto da anni
nel sistema carcerario, vengono oggi incentivate e normate peggiorando
le condizioni di vita dei detenuti e di chi li sostiene. Tutto questo
comporta enorme dispendio di denaro pubblico (cioè nostro) e non
è per migliorare le condizioni di vita dei prigionieri ma per
peggiorarle.
La gestione che viene data dallo
stato è in nome della sicurezza del paese, in realtà
è per la loro sicurezza di continuare a sfruttare, fare guerre e
stragi sui posti di lavoro, proseguire nella corruzione e nel
ladrocinio.
No ai carceri confino e alle
deportazioni!
Solidarietà ai compagni
arrestati negli ultimi giorni e ai loro parenti!
Saluti solidali a Madda e Beppe
rinchiusi qui a San Vittore!
Associazione di Solidarietà
Parenti e Amici degli arrestati il 12/02/07
Milano 13 giugno 2009
email: parentieamici@libero.it
29 giugno 2009
Questa mattina è iniziato il
trasferimento dei compagni nel carcere-confino di Siano,
Catanzaro!
Sembra che il dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria voglia trasferire i
compagni due alla volta; non
sappiamo a che distanza temporale gli uni dagli altri,
ma proprio questa mattina hanno
imbarcato in aereo per il carcere di Siano, Andrea
Scantamburlo e Alfredo Davanzo.
Più di mille chilometri di
distanza dagli affetti, dai compagni di lotta e dalla sede
processuale!!!
Costruiamo e rilanciamo ogni tipo di
iniziativa di solidarietà di classe, denunciamo
e lottiamo uniti dando voce alla
resistenza dei compagni in carcere.
Non appena avremo notizie di altri
trasferimenti, aggiorneremo tutti e tutte!
No alle carceri-confino e alle
deportazioni!
Teniamo alta la bandiera della
solidarietà di classe!
Per scrivere ai compagni:
_ Andrea Scantamburlo
_ Alfredo Davanzo
Casa Circondariale, Via Tre Fontane
28 – 88100 Siano (CZ)