COMUNICATO IN MERITO AI FATTI DELL’11 MARZO
Sabato 11
marzo si è svolto a Milano un corteo a carattere nazionale, di
neofascisti, autorizzato dalla questura e pertanto assolutamente
legale.
Evidentemente qualcuno ritiene tollerabili iniziative
fasciste come la marcetta per le vie del centro del capoluogo lombardo
(medaglia d’oro al valore militare alla Resistenza), dimostrando
così
una miopia politica tale da risultare dannosa e pericolosa per tutte le
componenti sociali, sottovalutando le reali prospettive che si andranno
a delineare con l’ingresso, legittimato, nella vita pubblica delle
organizzazioni dell’estrema destra. I 400 compagni che si sono
presentati, ore prima, all’appuntamento con l’intento, se non di
impedire fisicamente, quantomeno di disturbare la manifestazione, hanno
cercato semplicemente di ribaltare questa logica disarmante e suicida.
Siamo convinti (questa non è retorica) che nessuna concessione
può
essere fatta, nessuno spazio, nessun luogo, nessun tempo può
essere
ceduto ai fascisti!
Pur trattandosi di una forza
filo-governativa, democratica (?), espressione delle trame più
torbide
e insanguinate, da sempre collusa con forze armate e servizi segreti,
padroni, governi, CIA, logge massoniche, il Movimento Sociale Fiamma
Tricolore, il cui segretario Romagnoli sostiene di “non avere elementi”
per affermare l’esistenza dei campi di concentramento, a quattro giorni
di distanza dalla ricorrenza (7 marzo ‘44) delle deportazioni di
migliaia di operai in sciopero nelle fabbriche del nord Italia, non ha
ricorso alla ricostruzione dell’imene come gli ex camerati apostati di
Alleanza Nazionale, fonda le proprie ragioni su valori come: razzismo,
intolleranza, discriminazione, autoritarismo misogino e tutto quel
bagaglio di vuota retorica come patria, famiglia, onore e deliri del
genere. Non ci stupisce affatto lo spiegamento di forze dell’ordine
atto a proteggere e rendere possibile la provocazione fascista,
né
tanto meno ci stupisce la repressione scaturitasi e il conseguente
dileggio mediatico approntato in merito a quella che altro non è
stata
se non resistenza a delle cariche sbirresche.
Del resto in tempi
precedenti la questura aveva informato circa le proprie intenzioni e
cioè di impedire ai compagni di raggiungere Porta Venezia ad
ogni
costo.
La criminalizzazione degli antifascisti è assolutamente
funzionale da un lato a giustificare l’implementazione dell’apparato
repressivo verso il quale non vengono certo lesinate risorse economiche
che vengono puntualmente negate a sfrattati, pensionati, richiedenti
asilo e sfruttati in genere, dall’altro ad ammantare di sicurezza (come
se fosse ulteriormente necessario!) la campagna elettorale. In modo
trasversale sono piovute le riprovazioni da tutto il mondo politico che
ha manifestato la propria solidarietà borghese ai commercianti
di Corso
Buenos Aires che (poverini!) hanno mancato incassi per una manciata di
ore. A questo proposito riteniamo opportuno evidenziare la composizione
sociale della zona interessata dagli scontri, magari confrontando il
reddito pro capite con quello dei quartieri periferici.
Le
strategie repressive nazionali sono la trasposizione di quanto viene
praticato oltre i confini: Iraq, Afghanistan, Kosovo, Somalia e sui
suoli occupati dove le forze armate hanno compiti di peace-keeping
ovvero di gestione dell’ordine pubblico. Non a caso i militari italiani
di stanza a Nassirya preposti all’addestramento delle costituente forze
della repressione irachene ai fini di istruirle mostrano loro le
immagini della mattanza genovese del G8.
Ciò che ci indigna
oltremodo è la denigrazione dei compagni e delle compagne
arrestati,
privati di dignità politica e sociale, frutto di percorsi
coscienti di
lotta e di anni di militanza e sacrificio, umiliati dal sequestro
operato dallo stato, essi rappresentano una componente sociale omogenea
composta da lavoratori precari (o precarizzati), disoccupati, studenti
dichiaratamente nemici dello stato, del capitale e dei loro afferenti,
alieni alla pacificazione e banditi fino all’ultimo, poiché nei
luoghi
di lavoro, nelle scuole, nei quartieri, negli spazi pubblici sono
rivelatori di un’identità, quella rivoluzionaria, che non si
concilia
con il qualunquismo imperante né con il compromesso.
I COMPAGNI DEL COLLETTIVO LIBERTARIO LECCHESE