Dal 5 al 26 ottobre si svolge il
processo d’appello ai compagni e alle compagne condannate/i a quattro
anni di galera per aver partecipato al corteo antifascista dell’11
marzo 2006 a Milano
Lettera aperta al movimento, ai partiti, alle associazioni, ai
collettivi, ai comitati, ai singoli in vista di una sentenza grave e
pesante per la democrazia in questo Paese.
Sui fatti dell’11 marzo 2006 si è parlato tanto, ma le
discussioni non hanno portato alla definizione di un bilancio
collettivo, principalmente politico. Per questo è bene ricordare
cosa accadde e perché.
Le autorità cittadine consentono alla Fiamma Tricolore di
sfilare nel centro di Milano nell’ambito delle iniziative delle
“attività elettorali” che si stavano svolgendo in quel periodo;
le “forze della sinistra” non vanno oltre la protesta di facciata,
condita con qualche lamento di sdegno e organizzano un timido presidio
di protesta in una zona distante dal corteo: il dato di fatto è
che l’11 marzo la città di Milano dovrà assistere
impotente alla parata fascista.
L’11 marzo di Milano rappresenta anche il definitivo sdoganamento del
fascismo e dei fascisti a livello nazionale: dopo che il centro-destra
ha aperto loro le porte per le intese elettorali, si sono moltiplicate
le iniziative delle formazioni neofasciste, iniziative permesse dalle
autorità istituzionali che sono state la radice dalla quale si
è sviluppata l’avanzata degli ultimi mesi dei fascisti, dalle
parate alle azioni squadristiche su ampia scala [villa Ada e
Casalbertone, a Roma; i pogrom contro i rom a Pavia, ecc].
Col senno di poi risulta, con maggiore chiarezza ancora, quanto fosse
importante, giusto e legittimo opporsi a quella manifestazione
oltraggiosa e pericolosa..
Alcune realtà e compagni e compagne del movimento milanese
lanciano un appuntamento di mobilitazione per impedire la parata
fascista, per occupare la piazza concessa ai fascisti, per respingere
una provocazione insostenibile e inaccettabile nella città in
cui i fascisti hanno ucciso un compagno, promosso agguati e
aggressioni, condotto spedizioni squadristiche, devastato e incendiato
centri sociali e sedi di movimenti di sinistra e sindacali.
Il corteo antifascista, non autorizzato, viene caricato duramente in C.
Buenos Aires dalla polizia che rastrella e arresta 47 antifascisti.
Fra questi, 27 vengono rinviati a giudizio dopo 4 mesi di carcere
preventivo. Nel luglio 2006 la sentenza del Tribunale di Milano: 18
antifascisti condannati a 4 anni per “concorso morale in devastazione e
saccheggio”e 9 assolti.
Dopo la criminalizzazione, la persecuzione e le campagne mediatiche
contro i compagni arrestati, nei mesi di aprile, maggio, giugno e
luglio del 2006 si è sviluppata una vasta e capillare
mobilitazione di solidarietà nei loro confronti che ha
attraversato l’Italia e che ha trovato la massima espressione nel
corteo nazionale del 17 giugno.
Il processo di primo grado è stato celebrato con la presenza
costante di decine e decine di compagni che hanno portato la loro
solidarietà agli imputati fuori e dentro il tribunale di Milano.
Ormai è evidente: il muro di isolamento e criminalizzazione
innalzato dalle autorità cittadine e da tutti i partiti di
Centrodestra e Centrosinistra è stato infranto.
Con la sentenza di primo grado il Tribunale di Milano ha mostrato la
pretestuosità delle accuse mosse ai compagni e il carattere
squisitamente politico del processo; le 9 assoluzioni sono il risultato
concreto prodotto dalla mobilitazione dei mesi precedenti e
rappresentano abbastanza chiaramente il “compromesso” che il tribunale
è stato costretto a proporre: “a fronte della mobilitazione 9
antifascisti li scarceriamo, ma gli altri pagano per tutti”
Per condannare i 18 compagni, il tribunale ha cancellato un preciso
articolo della costituzione [art. 27] che sancisce il carattere
individuale della responsabilità penale e ha introdotto il
“concorso morale”: chiunque era presente al corteo, abbia partecipato o
meno agli scontri, è punibile per il reato ascritto agli
indagati [in questo caso devastazione e saccheggio].
Contro la sentenza di primo grado, gli antifascisti condannati sono
ricorsi in appello affinché le prove che sono valse la
scarcerazione degli altri 9 siano valide anche per loro, visto che sono
le stesse, e impugnano la Costituzione per contrastare il tentativo di
farne carta straccia ad uso e consumo dell’accusa e delle
autorità cittadine.
Questa è storia recente, le valutazioni che traiamo sono
conseguenti, i dubbi che solleviamo sono più che legittimi.
Cosa c’è in gioco e perché.
E’ possibile che la sentenza del processo d’appello sia già
scritta da tempo e faccia riferimento a quel “compromesso” avanzato dal
tribunale per cui “alcuni si assolvono, altri pagano per tutti”.
L’unico modo per cambiare una sentenza già scritta è
mettere in campo una campagna che rivendichi – soprattutto con la
mobilitazione di piazza – la libertà per tutti gli imputati,
quelli già assolti e quelli in giudizio in appello.
E’ possibile che una condanna esemplare [4 anni di carcere, imputazione
devastazione e saccheggio, per 4 macchine incendiate nelle barricate!]
possa essere il precedente che la magistratura italiana attende da
tempo per abbattersi sul movimento di resistenza e sulle mobilitazioni
con le armi che ha affinato dal G8 di Genova [il macello di piazza]
all’11 marzo [concorso morale e “macello” in tribunale].
Non escludiamo che nella gestione della sentenza il tribunale possa
prendere in considerazione l’ipotesi di confermare le condanne per gli
imputati e applicare a discrezione l’indulto nel tentativo di svuotare
apparentemente la sentenza dal significato politico e presentarla
esclusivamente sul piano “giuridico e burocratico” mentre in effetti
colpisce attraverso una repressione selezionata dei compagni e delle
compagne già scelti come capri espiatori [per i precedenti, per
la condotta processuale o per collocazione politica. Consideriamo anche
che l’indulto non elimina la pena ma la sospende sino alla prossima
manifestazione di piazza].
Crediamo che se anche a uno solo degli imputati venisse confermata la
pena senza che in occasione del processo non si sia espressa una
mobilitazione di piazza adeguata, fra i molti interrogativi e le molte
questioni che animano il dibattito e minano l’unità possibile,
ce ne sarà una particolarmente pesante e scomoda:
per quale motivo è accettabile che in un processo sommario, per
celebrare il quale è stata abolita d’ufficio la Costituzione, ci
siano imputati che devono pagare per tutti?
Questa è la legge del taglione che le autorità
giudiziarie stanno preparando per il 26 ottobre e per ogni processo a
venire.
Non vorremmo che le differenti valutazioni, posizioni, “strategie”,
ogni differenza vera o presunta avessero il sopravvento rispetto
all’urgenza e alla gravità che questa sentenza rappresenta: al
di la di ogni discussione possibile, qua ci sono 18 compagni e compagne
che rischiano seriamente che la condanna in primo grado si concretizzi
in 4 anni di carcere.
Crediamo che non opporsi e non mobilitarsi contro questa sentenza, in
una certa misura equivalga a lasciar passare sotto silenzio la
riabilitazione e lo sdoganamento del fascismo con tutte le conseguenza
che questo comporta [squadrismo, razzismo, omofobia, violenze…].
Cosa crediamo sia giusto fare e perchè.
Crediamo sia un dovere di ogni antifascista, ogni democratico, ogni
progressista mobilitarsi e mobilitare affinché il processo
d’appello effettivamente sia occasione per respingere la sentenza che
ha trasformato il tribunale di Milano in una sorta di tribunale
speciale e per liberare i condannati per i fatti dell’11 marzo dalla
responsabilità di aver partecipato a un corteo.
Crediamo che sia dovere di ogni antifascista, ogni democratico, ogni
progressista mobilitarsi e mobilitare per difendere i diritti e le
libertà conquistate con la Resistenza: finché
l’antifascismo sarà un valore fondante di questa Repubblica, per
quanto la classe dirigente nella pratica lo svuoti di significato e lo
rinneghi, per le masse popolari e per i lavoratori è un
legittimo riferimento, un filo rosso che lega la storia della lotta di
classe, dell’emancipazione e del progresso sociale alle lotte attuali e
future per difendere i diritti conquistati con le lotte dei decenni
passati e per conquistarne di nuovi.
Crediamo che chiunque abbia a cuore che 18 compagni e compagne non
vadano in carcere sia tenuto a farsi carico di una mobilitazione la
più ampia possibile affinché il processo d’appello
respinga la condanna di luglio
Crediamo che alla luce di queste considerazioni il dibattito, il
confronto, anche aspro, le divisioni e i dissapori fra i vari ambiti e
le varie fazioni del movimento rappresentino un livello tanto povero da
poter essere accantonato a beneficio di una mobilitazione unitaria che
pone in essere un aspetto di gran lunga principale rispetto agli
“interessi di cortile”.
A margine di questa lettera aperta alleghiamo una bozza di appello per
una mobilitazione unitaria nata dalla discussione e dal confronto con
alcune realtà che si sono dimostrate disponibili e sensibili
alla difesa della libertà per i 18 antifascisti condannati.
Chiariamo subito che questo documento non è concepito come - e
non deve diventare - un ambito d’iniziativa che ne esclude degli altri.
Lo spirito con cui è stato concepito e formulato è quello
della massima unità possibile, una logica che tende a includere
e non a escludere tutti coloro che fino a questo momento non hanno
preso parte al percorso collettivo che lo ha prodotto; una logica e uno
spirito che tende ad ampliare la mobilitazione e non a restringerla, ad
ampliare gli ambiti di confronto, non a chiudere spazi di dibattito. In
definitiva a mettere in campo una mobilitazione che consideri tutti gli
strumenti a disposizione come strumenti utili e necessari:
informazione, denuncia, agitazione, propaganda e mobilitazione di
piazza.
I tempi sono stretti e la sentenza del 26 ottobre si avvicina, la posta
in gioco è alta, l’obbiettivo è uno:
No alle condanne, no al carcere per gli antifascisti
Partito dei CARC – Comitati di Appoggio alla Resistenza – per il
Comunismo 13 ottobre 2007: corteo nazionale
antifascista a Milano
Le libertà democratiche conquistate con la Resistenza partigiana
sono sempre più in pericolo! Scendiamo in piazza tutti insieme
per difenderle e riaffermarle con forza!
Difendiamo gli antifascisti sotto processo!
Difendiamo la libertà di manifestare!
Ad ottobre, a Milano, si celebra il processo di appello che vede gli
antifascisti impegnati a respingere le accuse al mittente, a
riaffermare che l’antifascismo non è reato, che manifestare non
è reato.
La sentenza di primo grado invece afferma il contrario ed è un
precedente di una gravità inaudita. Nel luglio del 2006 diciotto
antifascisti sono stati condannati in primo grado dal Tribunale di
Milano a QUATTRO ANNI di carcere per concorso morale in devastazione e
saccheggio. Soprattutto l’utilizzo del concorso morale presenta alcuni
aspetti gravi e allarmanti. Vediamoli in breve.
Innanzitutto l’accusa non ha portato in aula alcuna prova. Dunque, per
riuscire a condannare gli antifascisti, il Giudice si è
inventato il concorso morale, che in pratica significa questo: non
conta che l’imputato abbia commesso il fatto, è sufficiente che
egli ne sia moralmente corresponsabile. In questo modo il Tribunale di
Milano è riuscito a infliggere una pesantissima pena collettiva
cancellando di fatto l’art. 27 della Costituzione che recita
chiaramente: “la responsabilità penale è personale”.
Qualora in appello venisse confermata questa sentenza, le conseguenze
per tutti saranno gravissime. La prossima volta che la polizia
riceverà l’ordine di attaccare un corteo, chiunque verrà
fotografato nelle vicinanze, pur senza essere immortalato a commettere
alcun reato, potrà beccarsi quattro anni di galera. Visti i
freschi precedenti (dal massacro di Genova alle manganellate contro il
popolo NO TAV) questa è una preoccupazione più che
fondata. La sentenza di primo grado del Tribunale di Milano è un
chiaro monito a chiunque abbia intenzione di tornare in piazza a
protestare, ad alzare la voce contro i padroni e le loro losche manovre
antipopolari. È un monito a tutti: ai vicentini del Comitato No
Dal Molin, alle popolazioni di Ariano Irpino, di Acerra, della Val di
Susa, agli operai di Melfi, Mirafiori, Arese, dell’Ilva di Taranto, a
tutti quanti oggi lottano per difendere il proprio territorio, il posto
di lavoro, il futuro dei propri figli. Ovviamente è anche un
monito a tutti i giovani antifascisti che oggi, a più di 60 anni
dal 25 aprile 1945, non accettano passivamente che quella sentenza
storica, scritta col sangue dei figli migliori del nostro Paese, venga
messa in discussione.
I fascisti della Fiamma Tricolore e di Forza Nuova continuano a
scorrazzare liberi per le nostre strade accoltellando compagni,
picchiando immigrati, incendiando luoghi di aggregazione della sinistra
giovanile. Questi vili criminali neofascisti adesso sono arrivati alle
vere e proprie cariche squadriste sulla folla inerme (Roma, 26 giugno
2007: 50 fascisti armati di coltelli e bastoni si lanciano sulla folla
al grido di “viva il duce” lasciando per terra diversi feriti, di cui
uno grave colpito con arma da taglio). Gli antifascisti che oggi
lottano contro la riabilitazione del fascismo vengono arrestati e messi
pubblicamente alla sbarra, mentre i fascisti rimangono impuniti al
cospetto dei crimini che commettono.
A Milano, l’11 marzo 2006, circa trecento giovani antifascisti sono
scesi in piazza per impedire che il corteo fascista convocato dalla
Fiamma Tricolore si svolgesse. La polizia, schierata in forze in
assetto antisommossa, ha difeso la parata fascista e attaccato
brutalmente gli antifascisti arrestandone 43. Di questi oltre la
metà sono stati sbattuti in galera per quattro mesi e 18 di essi
condannati a QUATTRO ANNI, senza lo straccio di una prova a loro
carico. Bisogna dire a gran voce che l’11 marzo 2006 il reato è
stato commesso dalle autorità cittadine milanesi: hanno
autorizzato il corteo indetto dal partito neofascista Fiamma Tricolore
in palese violazione della Costituzione che vieta la ricostituzione del
partito fascista. Il corteo della Fiamma Tricolore ha attraversato le
strade di Milano esibendo saluti romani, inni al duce, svastiche! Quel
giorno, i giovani antifascisti che hanno cercato di impedire un’immonda
parata fascista ci hanno messo del loro per difendere la libertà
di tutti noi. Dobbiamo essergli riconoscenti, dobbiamo fargli sentire
il calore della nostra solidarietà democratica e antifascista,
dobbiamo sostenerli in vista della sentenza di Appello che il Tribunale
di Milano emetterà il 26 ottobre prossimo.
Tutti in corteo sabato 13 ottobre!
Cittadini democratici e antifascisti: tutti uniti in corteo per dire a
gran voce che l’antifascismo non è reato, che manifestare non
è reato. Solo una grande mobilitazione popolare, democratica e
antifascista può impedire al Tribunale di Milano di confermare
in appello quella grave sentenza. Più numerosi saremo in piazza
e più il Tribunale sarà in difficoltà a confermare
la sentenza di primo grado.
L’unità e la mobilitazione delle forze democratiche e
antifasciste è l’unica strada che abbiamo da percorrere per
fermare la riabilitazione in atto del fascismo e dei fascisti, per
difendere le libertà democratiche che sono sempre più
traballanti ovunque: nei posti di lavoro, nelle scuole, nelle strade
del nostro Paese.
Che ogni organizzazione politica e sindacale, che ogni centro sociale,
che ogni collettivo studentesco, che ogni comitato di lotta porti in
piazza la sua bandiera, il suo volantino, i suoi contenuti. Tutti uniti
dietro la comune parola d’ordine L’ANTIFASCISMO NON E’ REATO,
MANIFESTARE NON E’ REATO. DIFENDIAMO GLI SPAZI DI AGIBILITA’ POLITICA.
Promuovono la piattaforma: Comitato antifascista 18 giugno –
Torino; PCL Versilia; PCL Massa Carrara Circolo gramsci – Garbagnate Milanese
(MI) Collettivo Autonomo Modenese Partito dei CARC Comitato Pace Robassomero - Torino Comitato Studentesco Autonomo - Massa