Proponiamo l’intervista rilasciata da Sergio Martella a un giornale.
L’intervista è stata pubblicata solo in piccola parte dal giornale: non ci è
dato sapere se è stata “tagliata” o “sminuzzata” o “censurata” per motivi
redazionali o di altra natura. Sta di fatto che qui di seguito c’è quella
integrale.
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Preoccupati di difendere gli spazi di garanzia e di laicità dello stato
dalla perniciosa invadenza dei simboli della chiesa cattolica in Italia, i
soggetti impegnati nella battaglia sui valori della laicità, le associazioni
e gli intellettuali italiani hanno tralasciato, fino ad oggi, di muovere una
critica al cattolicesimo dal punto di vista dei suoi contenuti e dei valori
che veicola nel suo insegnamento morale ed etico. Axteismo lancia questa
sfida agli intellettuali che in ottiche disciplinari diverse vogliono
aderire al progetto di una analisi approfondita su questo tema.
Nell’intervista che segue il professor Sergio Martella, psicoterapeuta,
delinea quali sono, secondo l’indagine psicologica, le principali colpe
dell’insegnamento cattolico e le conseguenze che ne derivano sulla
personalità nascente del bambino.
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Mi piacerebbe sapere: qual è il dato più inquietante che emerge dalla vostra
ricerca?
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L’idea di un rapporto sui danni della dottrina cattolica è recente nella
forma di divulgazione popolare che si intende adottare. C’è da chiedersi il
perché di questo ritardo che contrasta con l’enorme varietà di confutazioni
filosofiche, letterarie e storiche rivolte contro il cristianesimo. La
risposta è disarmante quanto ovvia: solo l’indagine psicologica sul valore
simbolico del racconto cristiano è in grado di svelare il senso diseducativo
di un messaggio improntato al controllo degli affetti familiari. La carica
suggestiva della religione è infatti la componente principale della sua
efficacia e risiede unicamente nel gioco fisiologico ed affettivo che si
instaura nel rapporto tra generazioni, cioè tra sessualità e potere, a
cominciare dall’evento del parto-creazione. La spiritualità è una materia
squisitamente psicologica che non può essere intaccata altrimenti sul piano
della ragione e della razionalità. Sebbene i principali autori della ricerca
in psicologia e in psicoanalisi siano dichiaratamente estranei ad ogni
adesione fideistica alle religioni, la divulgazione mediatica delle loro
opere ha avuto cura di sminuire e di occultare l’importanza della premessa
di laicità di ogni indagine sulla natura psichica dell’uomo.
:
Nel constatare quanto in Italia sia evidente tale carenza, stiamo cercando
di coinvolgere in un progetto unitario coloro che a buon diritto intendono
mettere la loro professionalità al servizio di un obiettivo di indagine.
Nella mia attività professionale e clinica ho avuto modo di verificare e
raccogliere una serie di connessioni tra modalità formative che tendono a
deprimere l’identità psico-affettiva nella costituzione evolutiva della
persona e le inevitabili conseguenze nella determinazione del destino
individuale e sociale dell’uomo. Il mondo reale è, infatti, una
rappresentazione di ciò che è stato impresso nella fase costituente dell’Io.
La psicologa svizzera Alice Miller, per esempio, ne “La persecuzione del
bambino” <http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=19547625#_ftn1> [1]
cerca con ansia di mettere in guardia gli educatori dagli effetti della
pedagogia nera della religione. Ma ogni appello alla razionalità è utile
solo se possiamo educare a riconoscere gli stili formativi che producono un
accumulo di cattiveria, di distruttività e di infelicità nell’uomo.
L’insegnamento cristiano è falsamente improntato all’amore universale: basta
guardare il simbolo genetico del cristianesimo, il crocifisso e ciò che esso
rappresenta, per capire la componente di ambivalenza sadica e masochista che
questo “amore” veicola nell’inconscio dei bambini. Il sacrificio come
premessa, l’esordio della vita nella colpa, l’inquietante percezione di un
uso distorto dell’autorità del genitore, equiparato a dio, nell’espropriare
il corpo del figlio e nel farne l’oggetto da distruggere per le proprie
incarnazioni mistiche. Infatti, secondo il racconto cristiano: la trinità
familiare si incarna nel ruolo del figlio, il quale viene destinato al
martirio ed al sacrificio per la salvezza dei suoi stessi assassini e
dell’umanità.
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Quanta perversione traspare nella semplice formulazione di un tale precetto!
Quale amore ha bisogno di sacrifici umani? Può la salvezza dell’umanità
derivare dalla disgrazia procurata ad un incolpevole?
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Si tratta di perversione, di cannibalismo affettivo e domestico! Come può
accadere che una tale deviazione della coscienza si affermi in modo così
radicale nella cultura dell’occidente? Perché l’intellettualità europea,
salvo poche eccezioni, per lo più originate dall’ambiente di cultura
ebraica, non sanno rilevare l’evidenza di una tale incongruità con i
precetti fondamentali del rispetto umano?
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Perché ci si ostina a ritenere degne di fede false acquisizioni razionali e
a falsificare la storia stessa senza suscitare una opposizione netta tra
coloro che si dicono laici?
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Ho cercato di dare le risposte a questi quesiti in due saggi
<http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=19547625#_ftn2> [2]: uno
dedicato alla straordinaria metafora anticristiana del Pinocchio di Collodi,
e l’altro alla intuizione di Nietzsche che contrappone l’eroe nella
tradizione del mito greco alla sconfitta del prototipo del figlio cristiano
che finisce in croce o sconfitto nel suo progetto di vita, come Amleto.
:
Ora, con l’estendersi dell’interesse su questi temi, al di fuori della
tradizionale banalità dell’ateismo che cercava di dimostrare la non
esistenza materiale di dio, il gruppo Axteismo si è prefisso di registrare i
danni della esistenza di dio come categoria della mente e dell’educazione di
massa. Dove era dio, si chiedono in tanti, mentre in Europa imperversavano i
roghi crematori della shoa? Il dio cristiano e antigiudaico della tradizione
era proprio lì! Dinanzi alla logica conseguenza dell’odio che aveva seminato
per secoli e, anche in quegli anni, sulle pagine dell’organo vaticano, la
“Civiltà Cristiana”
<http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=19547625#_ftn3> [3]. Rimase
assente solo sui banchi degli imputati a Norimberga, dove si è negata la
verità inconfutabile che gli Ebrei sono stati perseguitati in quanto tali –
Ebrei – da una identità culturale altra ed egemone: i Cristiani d’Europa,
luterani e laterani alleati per l’occasione! Mai il cristianesimo ha pagato
per le conseguenze storiche dei suoi insegnamenti ambigui, di un amore
sadico, improntato alla sofferenza come valore e all’infelicità
dell’esistenza reale. Oltre la storia, la cronaca di ogni giorno – da Ave
Maria di Cogne, ai giovani assassini di satana – registra le forme del
disagio radicato nelle istanze della religione che continua impassibile a
rivendicare per sé il diritto all’egemonia sull’etica e sulla morale. E’
invece evidente che la presenza dei valori cristiani (esaltazione della
sofferenza, prescrizione del peccato, liturgia del sangue e istituzione del
demonio) è stata l’unica organizzazione sempre garantita nei luoghi del
degrado umano ed economico, non solo non riuscendo ad apportare modifiche
strutturali alle cause della sofferenza, ma legandosi in modo complementare
ed ambivalente con le dinamiche stesse dell’ingiustizia e dell’ignoranza.
:
L’affermarsi del degrado in ambiente umano non è quindi conseguenza della
mancanza di quei valori dello spirito, come si dice da più parti, ma è
conseguenza dell’affermarsi di quei valori egemoni in mancanza di una loro
attenuazione ad opera dell’emancipazione civile e laica.
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Che soluzioni proponete per porvi rimedio?
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Al di là di un auspicabile risveglio della ragione di fronte alle palesi
deformità introdotte dalla religione cristiana, cattolica in particolare,
nelle basilari nozioni di igiene degli affetti e del rispetto umano; al di
là delle incredibilmente gravi (e in parte inesplorate) responsabilità
storiche che un amore così immaturo ha inculcato nella soggettività
dell’Occidente, resta ancora non risolto il nodo centrale della comprensione
profonda di questo fenomeno. Non è sufficiente contrapporre il darwinismo al
conato del creazionismo nelle tendenze regressive del presente. E’
necessario aprire gli armadi di una conoscenza così gravosa da recepire in
termini estesi, da essere rifiutata largamente anche nelle fasce della
popolazione “di sinistra” in Italia.
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DIETRO LA RELIGIONE E I SUOI DETTAMI DI CRUDELTA’ OGGETTIVA NEI RAPPORTI
PEDAGOGICI TRA GENERAZIONI SI LEGITTIMA IL MOTORE STESSO DELL’ALIENAZIONE
SESSUALE DELLA DONNA (quindi dell’intera umanità), LA SUA ESCLUSIONE DA UNA
COMPLETA INDIVIDUAZIONE E RESPONSABILITA’ SOCIALE.
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La mistificazione di questo importantissimo tema è tale da riferire l’ambito
delle discussioni unicamente al conflitto tra sessi. Niente di più
sbagliato. Lo studio dell’esegesi analitica del mito, come accade con lo
studio dei sogni e del simbolismo in generale applicato alla letteratura e
all’arte, rivela nel racconto cristiano (eucaristia, spirito santo e
pos-sesso sulla figlia Maria, negazione del ruolo del padre, incarnazione
nel corpo dei figli con le stimmate sessuali femminili del sangue e del
dolore) l’estensione in termini socializzati della psicologia della Grande
Madre intesa nel senso junghiano, in particolare, nell’accezione di Erich
Neumann <http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=19547625#_ftn4> [4].
L’alienazione della donna madre, unitamente all’enorme potere
neuro-affettivo che il mistero del parto-creazione le conferisce (nella
fisiologia dei mammiferi), connota l’identità dell’Eterna Fattrice di una
attribuzione divina da sempre riconosciuta nelle culture di ogni epoca, a
partire dalle più remote.
:
La religione in genere e, in Occidente, il monoteismo e la religione
cristiana costituiscono esattamente l’espressione più coerente della
psicologia della Grande Madre. Da qui deriva l’invisibilità e la radicale
impunibilità delle istanze, anche sadiche (ma ammantate di profonda
affettività), del cristianesimo. Da qui l’assoluta incongruenza tra buon
senso, ragione e fede. La madre può sbagliare, essere immatura negli
affetti, esigere tributi di sangue a infinito risarcimento di quello da lei
versato nella gestazione e nel parto, e tuttavia conservare intatta la forza
del suo potere che le deriva dall’aver “pettinato” i neuroni e l’identità
affettiva dei nati da lei, uomini e donne. Dalla natività di un essere
destinato al rito di sangue e martirio, al controllo delle istanze sessuali
e di generazione, alle perversioni mistiche del corpo martoriato esposte
dalla gino-iconologia dolente e sanguinosa dell’arte sacra, la religione non
è solo un’istanza del potere politico o culturale: essa è innanzitutto la
realtà di una alienante e radicata violenza domestica, è un’affezione così
profonda da essere riverita con tenacia anche da chi non si dice praticante
e tuttavia, difende il cristianesimo nella sua essenza.
:
Per lo stesso motivo il cristianesimo, subendo scismi e insanabili
contraddizioni, ha resistito ad ogni critica razionale, ad ogni rendiconto
di colpa pur riconosciuta valida e dimostrata. Ma non è più lecito tollerare
un uso anti-umano del potere degli affetti, diretto specialmente contro i
bambini e la loro aspettativa di benessere!
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Alla base di tutto ciò, è una originaria mancanza di generosità, una
inveterata attitudine al possesso, all’esproprio della proprietà sessuale
del figlio e della figlia in quanto causa di emancipazione e di distacco, in
piena autonomia di generazione. L’attitudine al possesso (pos-sesso) è la
modalità di dominio esercitata dalla generazione che detiene il potere
attuale. Il potere ha, infatti, una origine sessuale: c’è un paradosso
intrinseco alla natura sessuale dell’umanità che evidenzia come solo la
figlia, in quanto femmina, può divenire più grande e potente del suo
creatore, che è la madre. Unicamente lei, non il maschio vezzeggiato, può
procreare e mettere in mora il ruolo di potere generazionale della madre!
Solo alla luce di questa premessa si possono comprendere i legami di senso
che uniscono riti crudeli contro la giovane donna, che non è ancora madre,
come l’infibulazione (rito di ingresso della giovane nel clan delle donne
adulte), la cacciata con maledizione e colpa della figlia Eva dalla gratuità
domestica per partorire con dolo e dolore, e, peggiore di tutte, lo
spossessamento del corpo e della sessualità della figlia Maria da parte
della madre spirito-santo, trinità matriarcale che già incorpora, nel
sistema monadico, il padre e il figlio.
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Alcuni lessici del linguaggio comune rivelano la natura matriarcale e
androgina della chiesa: “Don” è contrazione di “donna”, è anche il suono del
batacchio sotto la gonna-campana, iconologia della madre che in sé trattiene
il figlio-fallo, nella fattispecie il prete; “duomo” è, infatti, la fusione
fonetica di donna-uomo; i frati recano il cordone ombellicale ancora non
reciso alla vita, le suore il velo placentale segno di possesso della madre.
Il divieto all’uso della sessualità sottolinea la centralità e l’obbedienza
all’unico sesso della madre. Nel caso del racconto dei vangeli, la giovane
donna semplicemente viene privata del diritto di succedere alla madre nel
potere di una autonoma procreazione. Non bastano i cento anni di coma
letargico della giovane, dal momento del menarca (la prima goccia di sangue)
fino al risveglio, per placare l’ira della madre-strega. Il veleno della
mela, la maledizione biblica e la cacciata dal mondo domestico non placano
la sete di invidia e di rancore nella matrigna; né la sterilità della terra
ripaga Demetra dell’insana gelosa nei confronti della figlia Core che
assurge al ruolo di sposa in un altro regno. Né Psiche ha ancora finito di
pagare alle altre donne (sorelle, madre e suocera) il tributo a causa della
sua bellezza e del suo amore per Eros. La figlia é la vittima prediletta
dalla brama del rispecchiamento di ogni madre. L’infelicità che ne consegue
si riverbera nel rapporto con l’uomo, nel masochismo congenito che la lega
al persecutore, nella depressione post partum che sfocia nel figlicidio o
nella sterilità.
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Se il tema del conflitto tra matrigna e figlia viene trattato e risolto nel
mito e nelle fiabe (Cenerentola, la Bella Addormantata, Biancaneve,...),
l’entità unica matriarcale proposta dal modello cristiano imperversa,
invece, nell’illusione di vivere due esistenze in una: la sua e quella della
figlia che le appartiene per diritto di invidia (individia). Maria non ha
sesso e non ha un amante, che invece la tradizione ebraica conferisce ad
Eva. Il figlio Cristo, esito nella giovane e succube Maria di questa
mancanza di riconoscimento della proprietà sessuale, prodotto di un tale
spossessamento, nato per caso inopinato (per virtù dello spirito santo e non
di una libera scelta), non può che essere predestinato al rango di un...
povero cristo! Tale è il suo destino. Sul suo corpo, reso femminile con la
ferita nel costato (da cui era nata Eva) e dagli attributi di innocenza,
passività ed esclusione, convergono le istanze femminili irrisolte
dell’infelicità e dell’immaturità affettiva. Lo scarico sul corpo mistico
dell’uomo femminilizzato e mestruato da ferite emorragiche (Cristo, Che
Guevara o Padre Pio,...) costituisce il punto di saldatura e di scarico
emotivo delle scorie di violenza frutto della innaturale fusione tra madre e
donna (ma-donna). Si completa così un ciclo di asservimento, sempre a
scapito della giovane e del rinnovo di generazione. Cristo assume una
apparente funzione lenitiva, attraverso la rappresentazione della sua morte
nel rituale del ma-sacro (sacralità materna). Perciò il cerchio mistico
dell’incesto cristiano si alimenta di dolore, perversione, proiezione e
controllo.
:
Guai a toccare questa figura sanguinante, emblema di scarico
dell’ingiustizia e dell’infelicità, avvolta nel sudario della placenta
sindone! Il corpo, oggetto di necrofilia, è pianto nella scena della
deposizione dalla madre che lo ha sacrificato a compenso della propria
alienazione; in ugual modo, nei riti dell’antico matriarcato tramandati da
Euripide, la baccante Agave piange il figlio Penteo da lei stessa smembrato.
Si tollera l’intollerabile pur di non riconoscere il conflitto tra
generazioni al femminile!
:
Cosa si può fare per porre rimedio a questa barbarie nella civiltà degli
affetti? Si provi a spiegare alle masse di credini (credenti passivi) e
fedenti (credenti in cattiva fede) quali istanze innaturali e contrarie alla
naturale emancipazione della sessualità si riproducono nella formazione
pedagogica cristiana. Da tempo combattiamo una battaglia impari contro le
istituzioni alienate dello sfruttamento che conseguentemente e coerentemente
con la disumanità del credo si sono stabilizzate in accordo e reciproco
sostegno con la religione. Non è forse vero che, in economia, ogni Azienda
Madre Controlla e Possiede le Azioni delle sue Filiali? Non è forse vero che
il Nazismo (un primato composito di nascita e madre-patria) e il Razzismo
fondino le loro ragioni sul diritto di sangue e di appartenenza forzata, che
sono attributi del codice materno?
<http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=19547625#_ftn5> [5] E i
misfatti sanguinosi delle “nostre cose”, nella tragica epopea di “cosa
nostra”, non sono forse ascrivibili ad una affiliazione intorno al corpo
centrale del “mammasantissima”, nelle famiglie di mafia? Non è semplice
capire fino a che punto si estendono le implicazioni di una sub cultura
matriarcale degli affetti, che è al tempo stesso potente, disumana e
incontrollata. Essa confonde uomini e donne in una esistenza crudele ed
alienata.
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Chi riporta danni psicologici in seguito ad una certa dottrina, può essere
recuperato?
:
Molto si può fare in questo senso. La mia pratica professionale di terapeuta
dimostra che le connessioni analitiche e culturali, difficili da spiegare in
termini scientifici, diventano di colpo comprensibili nella valutazione
clinica della storia personale di ciascuno. Di fronte al personale libro
della vita e degli affetti familiari, ossia dinanzi al codice di relazioni
che hanno determinato la nostra vita, risulta logico e facile distinguere la
causa dall’effetto che governa la percezione di felicità o l’impotenza
dolorosa del fallimento nel progetto di vita. I risultati si possono
apprezzare in termini clinici. Ma ovviamente ciò non basta. Occorre mettere
in atto strategie di recupero e di consapevolezza in larghi strati della
popolazione. Sempre Alice Miller dimostra la ineluttabile relazione tra
formazione affettiva e qualità della vita. Tuttavia, in Italia, non una sola
ora di educazione alle ragioni della laicità è stata organizzata nei
programmi scolastici nazionali!
:
Eppure lo Stato italiano è nato su criteri di latinità pre-cristiana, la
scienza (Giordano Bruno, Galilei,...) si è costituita intorno ad un nucleo
anticristiano, il Rinascimento è stato possibile solo grazie alla riscoperta
dei classici greci, l’antifascismo e la liberazione non ha visto il vaticano
attivo contro i regimi, bensì schierato dall’altra parte, intento a redigere
la propria legittimazione nei concordati con Hitler e Mussolini, ai quali
garantiva consenso e sostegno nell’ascesa. Il meglio prodotto in Italia
(compresa l’arte sacra, che non era certo realizzata da stinchi di santo) è
stato ispirato da una visione laica e democratica della vita e del corpo.
Proporre la necessaria questione della emarginazione del cristianesimo nel
novero delle opzioni del privato incontra oggi una resistenza fortissima. In
tutti i settori. Nella migliore delle ipotesi si tende a sminuire il
problema e a lasciare intatte le contraddizioni.
:
Non si pensi tuttavia che questa è una battaglia di retroguardia: è la prima
volta che si pone in modo cosciente e radicale la proposta concreta di
rendere visibile al largo pubblico le responsabilità, non solo storiche, ma
formative e causali del cristianesimo. In questo senso dobbiamo agire.
:
Il problema è la fede in sé o l’apparato che ogni religione monoteista
costruisce intorno al proprio credo?
:
Il credo monoteista sta ad indicare la centralità del ruolo sessuale della
madre (anche se incarna corpi maschili) nel costruire la dinamica degli
avvenimenti della realtà. Perfino la storia recente dimostra che la
religione è più efficace della politica nel determinare gli eventi, per
questo è importante che si voglia sapere dei reali contenuti trasmessi. Di
per sé la religiosità sarebbe un fattore umano compatibile con la civiltà, a
patto che si sia consapevoli delle istanze che si veicolano nel racconto di
fede che poi diviene prescrizione e istanza morale.
:
Sarebbe altresì necessario che le rappresentazioni religiose e rituali
rimanessero tali, ossia distinte dall’imposizione di un credo che confonde
il simbolico con il reale. Per esempio, il fatto di celebrare la festa della
nascita a dicembre con il rito dei doni da parte di Babbo Natale non deve
imporre la necessità dell’inganno sulla reale esistenza di un personaggio
della fantasia come se fosse reale! Una cosa è la naturale progressione che
i bambini attuano nel distinguere la fantasia dalla realtà, altra cosa è la
pelosa e deleteria attitudine degli adulti di vedere realizzate le proprie
istanze di insoddisfazione infantile facendo credere per forza l’esistenza
del falso. Forse che non si può giocare o godere di un rito gioioso sapendo
che è un rito in quanto tale?
:
Le religioni monoteiste non sono uguali negli effetti delle istanze da esse
inoculate fin dalla più tenera età. Non sempre è facile riconoscere, nel
confronto, il grado di pericolosità; infatti, concorrono altri fattori nelle
società a influenzare gli effetti del credo. In Occidente la cultura laica e
razionalista ha attenuato enormemente gli effetti già deleteri del
cristianesimo (oltre alla secolare reclusione e sterminio degli Ebrei, si
pensi all’analogo scempio attuato nelle Americhe: la crudeltà è un vizio
congenito al cristianesimo!). Nel paesi arabi l’islamismo non si giova di
una analoga progressione sociale. L’ebraismo ha invece individuato le
corrette radici del problema proponendosi in termini di patto (akedà) tra
generazioni. Sempre la madre si pone nel ruolo di dio (l’appartenenza
ebraica è matrilineare), ma conferisce il potere della legge terrena (Dio
verso Mosè) al ruolo paterno. L’esatto opposto della regressione cristiana,
che rimanda il padre nella vacuità dei cieli o nel pleonasmo di un vecchio e
sterile sposo. Nell’ebraismo la madre ideale è colei che è disposta a
separarsi dal figlio purché egli viva (il giudizio di Salomone). Nel
cristianesimo la madre è entità globale, indistinta, inglobante e
distruttiva, come la grande madre del clan o gregge pre-sociale. È la menade
crudele e folle che smembra il figlio Penteo e poi lo piange, come fa Maria
sul corpo di Cristo ancora avvolto nella placenta sindonica
<http://www.blogger.com/post-create.g?blogID=19547625#_ftn6> [6].
:
Ogni religione rimane comunque una opzione implicita della coscienza su temi
che invece sono alla portata della comprensione umana. Meglio sarebbe una
civiltà fondata sulla capacità di rappresentare, senza obbligo di fede,
tutte le istanze dell’animo umano. La tradizione dei Greci in questo è
maestra.
:
Lei ritiene che in Italia, oggi, sia possibile affrontare questi temi e
dibatterne pubblicamente?
:
E’ necessario in tutti i casi. Personalmente non esito a rischiare attacchi
personali o scomuniche di varia natura, poiché ritengo una battaglia di
assoluta civiltà rendere visibili gli effetti dell’ignoranza e della
malafede. Bisogna battersi in tutti i campi della società per affermare una
civiltà ed una igiene degli affetti. So per certo che è possibile. Se
qualcuno vuole reagire con la consueta violenza già riscontrata nella storia
di fronte agli avanzamenti della coscienza e della società, è avvisato, noi
siamo pronti. Esiste una minoranza numerica di individui che è già
maggioranza qualitativa nel distinguere e rendere visibili i fantasmi
dell’inconscio retaggio di una aggressività non risolta. Si tratta di
individuare i percorsi di una emancipazione ulteriore per adeguare la
consapevolezza umana allo sviluppo della tecnologia e all’inedito potere che
essa conferisce all’uomo. Le nuove potenzialità richiedono una dilatazione
della coscienza per far sì che ciò che abbiamo costruito non sia rivolto
contro di noi, ma a vantaggio di una integrazione con la natura, di cui
siamo e restiamo una cosciente emanazione.
:
Infine mi servirebbero pochi suoi dati biografici.
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Sergio Martella
Psicologo Psicoterapeuta
Docente a contratto (dal 1993) presso la Facoltà di Medicina e ch.
dell’Università di Padova