Una voce completamente fuori dal coro, e che per questo sembra stonata
e fa molto rumore (nonostante sia passata quasi inosservata sui media
internazionali) è quella di John Negroponte, capo dei servizi di
intelligence statunitensi per l'America Latina e futuro numero 2
dell'amministrazione Bush.
Nella sua dichiarazione del 12 gennaio al Congresso ha messo in
evidenza come “la democrazia è in pericolo in Venezuela e
Bolivia. In entrambi i paesi, i due presidenti eletti, Chavez e
Morales, usano la loro popolarità per minare l'opposizione ed
eliminare le restrizioni alle loro autorità”.
Cochabamba, 12 gennaio 2007
Una mattanza. Non c'è altro modo di definire la sanguinosa
giornata dell'11 gennaio scorso a Cochabamba, Bolivia.
Due i morti fino ad ora accertati, due i dispersi, centinaia i feriti.
Fra questi, molti bambini.
E la città completamente paralizzata da quella che a tutti gli
effetti è stata una giornata di guerra civile.
Di Francesca Caprini
Erano arrivati a migliaia, il 4 gennaio scorso, e da ogni parte del
dipartimento, i campesinos, per unirsi ai movimenti sociali e al MAS e
protestare a favore dell'unità della Bolivia.
Il Prefetto della città Manfred Reyes Villa sta portando avanti
una serrata campagna politica e mediatica per dichiarare l'autonomia di
Cochabamba, citta' nel cuore dell'Altipiano Centrale, e unirsi
così alla spinta secessionista dei dipartimenti dell'Oriente
Boliviano - Santa Cruz, Tarija, Beni e Pando - che da dicembre hanno
proclamato un sedicente autogoverno.
A migliaia per chiedere le dimissioni di Reyes Villa, iniziando per
questo una veglia pacifica nella Piazza 14 Septiembre, dove ha sede la
prefettura.
Giovedì una moltitudine di gente armata, animata da puro odio
razziale e ben manovrata dalle forze destroidi della città e dal
Prefetto stesso, si è abbattuta sui manifestanti con il chiaro
intento di uccidere. E c'è riuscita.
Erano da poco passate le 16.00 di giovedì. Nella centralissima
piazza de Las Banderas stazionavano da due giorni i cocaleros, i
coltivatori di coca del Chapare e dello Yungas. Reyes Villa aveva
indetto il giorno prima una contromanifestazione per “ristabilire la
democrazia” chiamando i suoi alla raccolta. Ma i cocaleros lo avevano
bruciato sul tempo occupando la piazza ore prima facendo sfilare uno
dopo l'altro tutti i cortei delle diverse zone del Paese.
La tensione a Cochabamba era da giorni a livelli allarmanti: l'8
gennaio i manifestanti in veglia erano stati duramente repressi dalla
polizia con i lacrimogeni. La folla aveva reagito dando alle fiamme
l'ufficio della Prefettura.
Fomentato dai mezzi di comunicazione - monopoli nelle mani delle destre
del Paese - e dai quotidiani discorsi del Prefetto Reyes Villa, si
stava delineando fra la popolazione l'idea di uno scontro classista:
cittadini e campesini, favorevoli e contrari alla democrazia e
all'ordine. Che Reyes Villa stesse incostituzionalmente decretando
l'autonomia del proprio dipartimento, veniva messo in secondo piano.
Las Banderas, giovedi', era dunque presidiata dai cocaleros , con i tre
lati bloccati da striscioni e cordoni umani e il quarto che era il
ponte di Cala - Cala, che passa sopra il Rio Rocha. I prati centrali
della piazza erano un tappeto di donne con i loro cappelli bianchi e i
bambini legati alle spalle, le cholitas, come vengono si chiamano qui
in Bolivia. Questo popolo di contadini indigeni, per lo più
quechua e guaranì, vessati da un'intera era di colonialismo,
sono abituati alla lotta, che per loro vuol dire resistenza. Si sapeva
che per la seconda volta “il Manfred” aveva chiamato i suoi a raccolta.
Ma tutti si sentivano sicuri: il giorno prima non si erano fatti
vedere. E poi, lì erano a tantissimi, ottomila o forse
più.
Non si erano calcolate un paio di cose: la polizia e che Reyes Villa -
ex colonnello dell'esercito, braccio destro del Presidente -assassino
Gonzalo Sanchez de Lozada, sulla sua testa pende una moltitudine di
delitti mai risolti - avrebbe richiamato delinquenti e paramilitari da
mezza Bolivia, dalla “bianca” Santa Cruz, ma anche da La Paz e Tarija.
E l'imbarazzante silenzio del Governo Morales.
Poco dopo le sedici, dunque, il piano strategico del Prefetto scatta
come una tenaglia.
Il ponte di fronte a quello di Cala-Cala improvvisamente appare
tumultuante di persone. Si vedono in lontananza alzare i loro bastoni e
sparare petardi.
Ma il ponte d'accesso alla piazza de Las Banderas è difeso dalla
polizia.
Scarna, ma c'è.
In un attimo, questa folla urlante di magliette bianche - la divisa che
si erano scelti - riesce ad avanzare fino al centro del Cala-Cala.
Ancora a pensare che "no, non potevano entrare nella piazza, che la
polizia avrebbe usato contro di loro candelotti di gas lacrimogeno per
disperderli". Inspiegabilmente i militari non prendevano alcuna
iniziativa.
Ancora a stare sdraiati sul prato mentre le prime file dei due fronti
si tiravano sassate e insulti. Poi, l'inferno. La polizia apre il
cordone e fa passare la fiumana - per lo più appartenenti al
movimento "derechista" cochabambino “Gioventù Democratica” - che
favorita dalla pendenza del ponte si riversa correndo nella piazza,
urlando e roteando mazze da baseball e spranghe di ferro e picchiando
chiunque gli capitasse a tiro. Parliamo di donne e vecchi, ragazzini,
alcuni contadini basiti. I cocaleros, armati di rudimentali bastoni, si
difendono. Ma non sono organizzati. E non hanno armi da fuoco. Una
scena impressionante.
Noi eravamo lì. Abbiamo visto sotto i nostro occhi pestare
selvaggiamente una donna anziana. Un ragazzo vicino a noi è
caduto a terra con la testa spaccata. Nessuno poteva aiutare nessuno,
la confusione e il panico accecava e immobilizzava, si veniva
schiacciati e sbattuti come da un mare in tempesta. Ovunque volavano
candelotti di gas lacrimogeno, a volte tirato direttamente addosso alle
persone .
Nessuno ha avuto scampo.
La polizia, presente con un numero ridicolo di militari, non solo non
ha fatto nulla per proteggere i manifestanti campesini ma, come
apparirà palese nelle ore successive e dalle riprese televisive,
ha facilitato l'azione offensiva.
La città in un attimo si è trasformata in una scacchiera
insanguinata: altre colonne di “manfredisti” venivano dalle strade
circostanti con l'intento di accerchiare la piazza: fine strategia
militare, che poco si adatta ad un manipolo di ragazzetti violenti.
Per ore si sono sentiti spari, urla e bombe provenire da tutto il
centro cittadino. Con le loro magliette bianche, i loro scudi di legno
quadrati e fatti in serie, a gruppi si sono sparsi per le vie spargendo
insieme il loro odio razziale.
Fonte:www.selvas.org
http:/www.edoneo.org/giga.html
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