IL LAVORATORE PUO’ LEGITTIMAMENTE ASTENERSI DALLA PRESTAZIONE
LAVORATIVA QUANDO ESSA COMPORTI PERICOLI PER LA SUA SALUTE – In base
all’art. 32 Cost. e all’art. 2087 cod. civ. (Cassazione Sezione Lavoro
n. 9576 del 9 maggio 2005, Pres. Mileo, Rel. Toffoli).
Giuseppe P., dipendente della società Pulisan come addetto
all’attività di pulizia e sanificazione nell’ambito di una
struttura ospedaliera, è stato sottoposto a procedimento
disciplinare con l’addebito di avere lasciato incompiuto il lavoro per
quattro giorni consecutivi omettendo di collocare nell’apposito
container i cartoni contenenti i rifiuti dell’ospedale. Egli si
è difeso affermando di non aver potuto completare le operazioni
affidategli a causa delle pessime condizioni del container, sporco per
il contatto con il materiale fisiologico infetto e maleodorante
proveniente dalle sale operatorie. La datrice di lavoro non ha ritenuto
fondate le giustificazioni ed ha licenziato il dipendente. Egli ha
impugnato il licenziamento davanti al Tribunale di Foggia chiedendone
l’annullamento per mancanza di giusta causa. L’azienda si è
difesa sostenendo che il lavoratore si era reso responsabile di
insubordinazione e che un’ispezione effettuata dalla ASL competente due
mesi dopo il licenziamento non aveva rilevato gli inconvenienti
denunciati dal lavoratore. Il Tribunale, dopo aver sentito alcuni
testimoni, ha annullato il licenziamento ordinando la reintegrazione di
Giuseppe P. nel posto di lavoro e condannando l’azienda al risarcimento
del danno. Questa decisione è stata integralmente riformata
dalla Corte di Appello di Bari, che ha ritenuto legittimo il
licenziamento osservando che dalla ispezione disposta dalla ASL era
risultata l’infondatezza dei rilievi del lavoratore. Peraltro – ha
aggiunto la Corte – pur dando per ammesso che la cattiva igiene dei
containers impedisse lo stivaggio dei cartoni e dei rifiuti, ciò
non poteva dare diritto al lavoratore di non portare a termine la sua
prestazione, in quanto egli avrebbe potuto rivolgersi alle
organizzazioni sindacali e alle autorità sanitarie; inoltre egli
avrebbe potuto chiedere il risarcimento del danno e al limite
rassegnare le dimissioni invece di continuare a ricevere la
retribuzione senza portare a termine la sua prestazione lavorativa.
Giuseppe P. ha proposto ricorso per cassazione censurando la decisione
della Corte di Appello per vizi di motivazione e violazione di legge.
La Suprema Corte (Sezione Lavoro n. 9576 del 9 maggio 2005, Pres.
Mileo, Rel. Toffoli) ha accolto il ricorso, rilevando che i giudici di
appello non avrebbero dovuto fondare la loro decisione sulle risultanze
di un’ispezione svoltasi due mesi dopo il licenziamento ed avrebbero
invece dovuto considerare le deposizioni testimoniali raccolte dal
giudice di primo grado dalle quali emergevano gli inconvenienti
denunciati dal lavoratore. La sentenza impugnata – ha aggiunto la Corte
– è inoltre incorsa in una evidente violazione di principi di
diritto nel momento in cui ha escluso in radice la facoltà del
lavoratore di astenersi dallo svolgere determinate operazioni
lavorative anche nell’ipotesi della sussistenza di concreti pericoli
alla salute connessi al non corretto adempimento da parte del datore di
lavoro degli obblighi a carico del medesimo di tutela delle condizioni
di lavoro. In effetti – ha precisato la Cassazione – non vi può
essere dubbio che il lavoratore, ove effettivamente sussistano
situazioni pregiudizievoli per la sua salute o per la sua
incolumità, possa legittimamente astenersi dalle prestazioni che
lo espongano ai relativi pericoli, in quanto è coinvolto un
diritto fondamentale, espressamente previsto dall’art. 32 della
Costituzione, che può e deve essere tutelato in via preventiva,
come peraltro attesta anche la norma specifica di cui all’art. 2087
cod. civ.