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Do you remember
Mumia Abu-Jamal?
Eravamo
così giovani, erano gli anni ‘80, e Mumia Abu-Jamal era famoso
quasi come Nelson Mandela. Era un giornalista di Philadelphia, nero di
pelle e radicale di pensiero. Rompeva le scatole alla polizia corrotta
della sua città denunciandone i crimini. Militava nelle Pantere
Nere, i Black Panthers, il partito della liberazione nera, nel quale
era entrato a 14 anni, colpito fin quasi allo sterminio dalla democrazia
statunitense.
Quella democrazia statunitense che tra pochi mesi potrebbe avere
come presidente un giurista afrodiscendente, Barak Obama. Alla vigilia
di un nuovo processo, sul quale continua ad aleggiare il vulnus del
razzismo, IPS ha pubblicato una straordinaria intervista a Mumia che
può essere letta per intero qui.
Mumia Abu-Jamal fu condannato a morte per l’omicidio di un
poliziotto nel 1982.
Nonostante le circostanze del conflitto a fuoco, nel quale rimase
ucciso l’agente, non siano mai state chiarite, comunque l’innocenza o
le limitatissime responsabilità di Mumia erano evidenti. Ma la
polizia non aspettava altro e il suo caso fu montato da subito per
dimostrarne la colpevolezza e liberarsi di quella voce scomoda.
L’instancabile censore della corruzione del sistema giudiziario in
Pennsylvania fu rapidamente condannato a morte da quello stesso sistema
in un clima di odio sordido della polizia e della magistratura bianca
contro il giornalista nero.
Mumia Abu-Jamal è in un braccio della morte da un quarto di
secolo.
Vi ha passato ormai la metà della sua vita. Più di una
volta è stato ad un passo dall’esecuzione e solo le campagne di
solidarietà di militanti di tutto il mondo lo hanno salvato. Ma
ora chi marciava sotto i suoi ritratti è spesso rifluito e quasi sempre ha
smesso di occuparsene.
Lui non solo è sempre lì, nel braccio della morte, ma
continua a lottare, per la sua innocenza e per la liberazione della sua
gente. Il suo punto di vista continua ad essere, come lo definisce lui
stesso: “radicale, populista e di liberazione nera”. Adesso siamo alla
vigilia di un nuovo e forse ultimo riesame del processo che potrebbe
finalmente ridargli la libertà o al contrario accompagnarlo
verso il boia.
L’attesa del boia è una sorte condivisa con altre 3.500
persone negli Stati Uniti, in maggioranza nere e povere che, secondo
Mumia: “mai sarebbero entrate in un braccio della morte se avessero
avuto la possibilità di pagarsi un avvocato decente”.
Mumia oggi si difende anche dai suoi stessi sogni di libertà,
“non faccio previsioni sul processo”. E fa bene, purtroppo, visto che
una delle condizioni per far parte della giuria è non avere
alcuna riserva verso la pena di morte. Continua però a scrivere
e lottare incessantemente. Dopo l’11 settembre 2001 fu una delle voci
isolate contro l’unanimismo dei media a favore della politica bellica
statunitense.
Ma Mumia Abu-Jamal è anche un uomo provato; da 25 anni non si
fa una doccia senza manette, da 25 anni non può abbracciare un
familiare e da 25 anni chiede giustizia. In ogni caso ha pagato
abbastanza per una colpa non sua ma la sua voce, dignitosa e ribelle,
continua ad essere troppo scomoda per lasciarla libera.