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Cari,

 

vorrei condividere con voi tutti, la mia recente esperienza del secondo respingimento, subito alla frontiera israelo- giordana.

Il 24 Aprile scorso alle 12,00 circa io ed Omar Suleiman, ci siamo recati al Ponte Allenby ( frontiera israeliana con la Giordania).

Abbiamo passato tutti i controlli del bagaglio e dell’ispezione personale. Al controllo passaporti hanno ritirato i nostri documenti. Ci siamo presentati allo sportello insieme, dichiarando il nostro rapporto personale.

Un’ora dopo mi hanno chiamata in disparte e mi hanno comunicato che non sarei entrata. Non sono stati disponibili a chiarimenti e a rispondere ad alcuna mia domanda.

Hanno comunicato ad Omar, che poteva proseguire il viaggio da solo.

(Omar ha deciso di ritornare con me quel pomeriggio ad Amman, per poi attraversare la frontiera il giorno dopo, la mattina del 25 Aprile).

Hanno consegnato il mio passaporto al personale addetto e mi hanno riaccompagnata alla navetta che trasporta le persone, dalla frontiera israeliana a quella giordana, consegnando il mio passaporto all’autista del bus.

Ho avuto l’amara conferma che non sarei mai entrata, durante questo viaggio almeno, in Palestina, quando ho verificato che sul mio passaporto era stato apposto il timbro, “entery denied”.

A Ramallah ci attendeva l’Assessore all’Istruzione della Regione Campania, Corrado Gabriele, con a seguito pochi membri del suo staff. Omar ha poi raggiunto la piccola delegazione, e attualmente si trovano insieme nei Territori Occupati, per visitare diverse città e villaggi, ed avviare significativi progetti di sostegno e collaborazione con alcune strutture palestinesi.

Ho trascorso giorni di sconforto e di solitudine ad Amman. Ho incontrato il console italiano dell’Ambasciata in Giordania, contattato il Console italiano a Gerusalemme, e quello israeliano a Roma.

Nessuno può aiutarmi.

Il mio nome è schedato dai servizi di sicurezza israeliani,  e non è dato sapere altro.

Forse qualcuno di voi conosce il mio lavoro teatrale dedicato agli scrittori palestinesi, che porto avanti da cinque anni. Chi ha avuto modo di seguirlo dall’inizio, dal debutto nel 2003 di Ritorno a Haifa di Ghassan Kanafani, all’ultimo La svergognata di Sahar Khalifah, debutto a gennaio 2008, avrà  notato che il lavoro è diventato più maturo, (aldilà dell’opinabilità, i gusti artistici e i giudizi sulla qualità professionale), spostando il fuoco del mio studio e della mia ricerca teatrale, dall’occupazione alla qualità degli scrittori, che ho deciso di affrontare.

L’ultimo lavoro, La svergognata, è concentrato sulla condizione della donna, trasversale a paesi e culture, una denuncia forte proveniente da una donna carismatica e meravigliosa, Sahar Khalifah, che ho avuto il piacere di incontrare ad Amman. Unico momento bello vissuto in Giordania, che è diventata per me, un prolungamento del Ponte Allenby, una terra dove sono stata confinata, fosse stato il posto più bello del mondo, non avrebbe cambiato la mia percezione, irrimediabilmente negativa.

Non riesco a trovare altra motivazione al mio secondo respingimento dalla security israeliana, se non nel mio lavoro e nella mia attività teatrale. Probabilmente, contribuire, anche in minima parte, a presentare i palestinesi come uomini e donne di cultura, contrasta con i cliché fortemente voluti, da Israele e dall’Occidente, della donna araba sottomessa e dell’uomo arabo ignorante, gesticolante, fanatico e violento.

Avevo ingenuamente ritenuto che il triste e scioccante respingimento, subito nel luglio 2006, quando mi sono diretta a Ben Gurion, con un invito del Teatro Al Qasaba di Ramallah, per curare la regia di Nozze di sangue di Garcia Lorca, fosse dovuto a misure di massima sicurezza, dovute alla guerra che infuriava da soli quattro giorni tra il Libano ed Israele, e ai timbri libanesi e siriani sul mio passaporto.

Ora ho la triste conferma, che il mio nome è nella lista nera degli israeliani, che probabilmente quello della cultura è il vero fronte di opposizione, forse quello più incisivo alle violenze dell’occupazione e dell’oppressione. Non c’è altro, che il secondo, se non il primo esercito più forte al mondo può temere, se non la potenza delle parole, la costanza di un’attività che contribuisca a conoscere e far conoscere, informare, diffondere libri, far vivere le parole attraverso l’arte dell’attore e del drammaturgo, produrre film, documentari, (vedi il grande attore e regista Mohammed Bakri).

Dell’amarezza e del dolore personale, per non essere in questo momento in Palestina, di non vedere i luoghi a cui mi sono legata a doppio filo, con il mio lavoro e la mia storia d’amore con Omar, il fatto di non essere stata accanto a lui, sulla tomba di Arifeh, che mi chiamava "la sposa" appena due anni fa al villaggio, sono cose di cui non voglio e non posso parlare al momento

Posso solo dire che subisco sulla mia pelle la sorte di tanti palestinesi, ad Omar stesso è stato impedito per decenni di rientrare nella sua terra, ed io mi chiedevo ogni volta che ne parlavamo, come si può sopportare un dolore così senza morirne?

Senza poter vedere tua madre che è dall’altra parte, i tuoi fratelli, la tua terra. Adesso saprei rispondere, ora che la terra che amo, i miei amici, una parte della mia famiglia, il sepolcro della donna più dolce al mondo è dall’altra parte, e mi viene impedito di passare.

Appena mi rimetterò in piedi da tutto questo, riverserò nel mio lavoro, forse l’unico modo in cui so esprimermi tutto questo dolore.

Evviva l’unico Stato democratico in Medio Oriente.

Un saluto.

Anita Mosca