Lettera aperta a FORMIGONI & C.

 

Esposto – Denuncia del 10 gennaio 2005.

 

OGGETTO: i Piani Cave demenziali della Regione Lombardia.

 

IMPROVVISAZIONI POLITICHE. La superficialità e l’incoerenza – con cui la Regione Lombardia sta affrontando il problema della pulizia degli alvei fluvialisono di per sé un presagio di sventura per le popolazioni lombarde. Mi riferisco al recente clamoroso “fare e disfare” del Presidente della Commissione Regionale Ambiente, Domenico Zambetti; il quale: in data  26.11.04 lanciava il grido d’allarme: “Ritengo indispensabile che venga pulito il letto del fiume …”, precisando, “Non sono qui per iniziativa personale ma per scopi istituzionali, perciò mi impegno di portare all’attenzione della commissione ambiente i problemi constatati oggi…”; ma dopo due settimane, faceva approvare un Piano cave della Provincia di Lodi, annullando, nell’ambito dello stesso piano, ogni possibilità di asportazione e utilizzo del materiale fluviale. La frenesia elettorale gli avrà suggerito di poter prendere due piccioni con una fava: il sostegno dei Cavatori, appagando le loro richieste, ed il voto degli Alluvionati, offrendo il suo plateale interessamento, …con gita in barca e presa per i fondelli.

D'altronde, lo stesso piano originale della Provincia, riguardo al materiale in alveo, puzza di improvvisazione: sia per l’esiguo quantitativo previsto (un milione di mc è ben poca cosa rispetto ai 10 milioni di mc giacenti in Adda), sia per la previsione temporale di 10 anni (un’esagerazione per un intervento che potrebbe eseguirsi in pochi mesi).

Comunque, tra Provincia e Regione, si è capito che non c’è solo ignoranza ma anche dell’altro: c’è totale menefreghismo verso l’interesse generale; c’è che il bene comune e la pubblica incolumità sono perdenti di fronte all’interesse della lobby dei Cavatori. La quale – pensando all’immissione, sul mercato, di centinaia di milioni di mc. di materiale che ne potrebbe derivare – vede la pulizia degli alvei come un evento nefasto e rovinoso: con crollo di prezzi, rottura di “cartelli”, rischio di chiusura di aziende…; e di conseguenza si adopera per allontanare questo spauracchio.

E’ da immaginarsi cosa farebbe per lo scopo: finanziare ad esempio campagne elettorali ed orchestrare ignobili mistificazioni. E quindi ben vengano le stupidaggini del falso ambientalismo contro l’escavazione in alveo, come le invettive di Andrea Poggio, presidente di Legambiente-Lombardia; il quale sul “Cittadino” di Lodi del 30.11.2004 sentenziava: ”L’ignobile dichiarazione di Domenico Zambetti sulla necessità di cavare in Adda è un esempio ignobile” (parole insensate ed arroganti, che hanno probabilmente prodotto il tempestivo dietrofront di Z.). E ben vengano quei giornali che pubblicano simili bestialità. Tutto fa brodo, se lo scopo è quello di manipolare la verità, di pilotare le decisioni politiche, di confondere e infinocchiare l’opinione pubblica.

L’altro “potere forte” – che farebbe carte false (e le fa) per ostacolare la bonifica e la manutenzione preventiva degli alvei fluviali – è la lobby Tangenti & Appalti. La quale spera di poter eseguire il disalveo dei fiumi, non con la gestione ordinaria e la vendita del materiale, ma con il sistema degli “interventi straordinari”, la procedura della ”somma urgenza” e della “trattativa privata”. Solo allora, magari dopo un disastro alluvionale, il denaro scorre a fiumi e senza controlli, …e può anche produrre tangenti. Così come è accaduto per i “Lavori del dopo alluvione di Piemonte-2000”, con diversi tangentisti finiti in galera (da “la Stampa” del 12.06.2003).

 C’è poi chi fa carte false per nascondere la verità sui quantitativi di materiale realmente esistente negli alvei fluviali, e che impone il sistema delle autorizzazioni virtuali: “ti autorizzo uno ma ne puoi prendere 10”. Sistema diffuso in Basilicata ed altrove; …molto utile per trattare sotto banco il grosso del materiale estraibile (90%); …per organizzare giri fraudolenti di affari e tangenti; …come quello scoperto nel Veneto con il “maxi-blitz della Forestale, …delle escavazioni abusive di inerti dai fiumi Po, Adige e Brenta” (dal “Gazzettino online” del 1 aprile 2003); …con 22 persone finite in galera, tra cui molti funzionari pubblici, addetti alle autorizzazioni.

Entrambi i suddetti sistemi “funzionano bene” quando si dispone di una cava fuori alveo, specie se ubicata vicino al fiume. Il cavatore che vi aderisce – e che è costretto ad operare in “penombra legale” – utilizza la propria cava come “cava nominale di prestito”, cioè come luogo di provenienza “sulla carta”, del materiale che in realtà proviene dal fiume: o come “materiale di risulta” dai Lavori appaltati; o come “surplus” dalle suddescritte autorizzazioni “virtuali”. In altre parole, su entrambi i suddetti sistemi si fonda il fiorente MERCATO  NERO  NAZIONALE degli inerti fluviali.

Con questo, non voglio dire che le tante cave esistenti vicino all’Adda, funzionino nel modo suddetto. Ma un fatto è certo: il materiale lapideo estratto da quelle cave è identico – per natura e provenienza geologica – a quello presente in alveo.

 

INADEMPIENZE TECNICHE. La pulizia degli alvei fluviali – è bene ribadirlo – è un’operazione di manutenzione e bonifica idraulica, finalizzata al ripristino della sezione di deflusso ed al suo adeguamento alle portate idriche; è indispensabile ai fini della salvaguardia del territorio; è contemplata sia dalle antiche leggi sulla Disciplina delle Acque (R.D. 523/1904) sia dalle recenti leggi.

L’articolo 17 della legge 18 maggio 1989 n. 183 prevede, tra le finalità dei piani di bacino: la normativa  e gli interventi rivolti a regolare l’estrazione dei materiali litoidi dal demanio fluviale… in funzione del buon regime delle acque e della tutela dell’equilibrio geostatico e geomorfologico del territorio…    

L’articolo 2 del D.P.R. del 14 aprile 1993 prevede, tra gli interventi manutentori da effettuarsi nei corsi d’acqua: “la rimozione di rifiuti solidi e taglio di alberature in alveo… che sono causa di ostacolo al regolare deflusso delle piene ricorrenti; …il ripristino della sezione di deflusso, inteso come eliminazione dei materiali litoidi… pregiudizievoli al regolare deflusso delle acque”. L’articolo 5 dello stesso D.P.R. mette al primo posto, tra gli elementi di valutazione per la redazione dei programmi d’intervento, “la situazione a rischio… a causa dell’officiosità delle sezioni di deflusso”

 Ancora più puntuale ed attuale è l’articolo 2 della legge 11 dicembre 2000, n. 365 (Attività straordinaria di polizia idraulica e di controllo sul territorio) – legge emanata dopo le alluvioni di “Soverato” e “Piemonte 2000” – che tra l’altro stabilisce: “Entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, …le regioni, d’intesa con le province… provvedono ad effettuare… un’attività straordinaria di sorveglianza e ricognizione lungo i corsi d’acqua… finalizzata a rilevare le situazioni che possono determinare maggiore pericolo, incombente e potenziale, per le persone e le cose, ed a identificare gli interventi… più urgenti… ponendo particolare attenzione su… i restringimenti delle sezioni di deflusso… le situazioni d’impedimento al regolare deflusso delle acque, con particolare riferimento all’accumulo di inerti… l’efficienza e la funzionalità delle opere idrauliche esistenti” (tra cui le briglie). Lo stesso articolo, nei commi 5 e 6, stabilisce: “…le Autorità di bacino… predispongono e trasmettono al sindaco interessato un documento di sintesi che descriva la situazione del rischio idrogeologico che caratterizza il territorio comunale”.

Il tutto, come si può notare, concepito nell’ottica della prevenzione dal rischio idraulico e della rimessa in sicurezza del territorio: entrambe da perseguire attraverso interventi manutentori, da decidere previa la individuazione di locali situazioni di pericolo, ponendo  particolare attenzione alle sezioni di deflusso.

 Ma, per quanto mi risulta, tutto questo è stato completamente disatteso dagli organi tecnici preposti: dall’AIPO e/o dall’Autorità di Bacino del Po. A distanza non di 120 ma di 1500 giorni, quanti Sindaci hanno ricevuto il suddetto documento di sintesi ?.

Si tratta a mio avviso di una serie di omissioni, perpetrate dai suddetti uffici, con gravissime conseguenze per le comunità padane. Gran parte delle alluvioni cui assistiamo di frequente – che passano per calamità naturali – non sono altro che la conseguenza della inosservanza delle norme sopra elencate, e comunque sono aggravate dalla inettitudine dei tecnici preposti.

Se ad esempio si fossero effettuate le suddette verifiche lungo l’Adda; se si fosse provveduto al ripristino della sezione di deflusso – che nello stato attuale non potrebbe contenere una piena superiore ad 800 mc/s – adeguandola alle note e prevedibili piene da 1.600 mc/s; se quei tecnici avessero verificato (con un banale calcolo idraulico) l’effetto nefasto della briglia di Lodi sul regime idraulico; se a tutto questo si fosse provveduto per tempo, non si sarebbe verificato il disastro alluvionale di Lodi 2002.

Non si fa niente per la prevenzione; si rigetta il concetto di manutenzione; e si pianifica a vuoto e in continuazione. Ad ogni alluvione le Autorità di Bacino aggiornano i cosiddetti PAI - piani d’assetto idrogeologico, che altro non sono che piani di evacuazione del territorio:

- piani ottusi: invece di rimuovere la causa delle esondazioni fluviali, mirano ad evitarne gli effetti allargando le fasce di rispetto intorno ai fiumi, con divieto di residenza e di attività; nel frattempo, il progressivo aggravarsi della causa (ostruzione delle sezioni di deflusso) provocherà effetti sempre più disastrosi, fino alla totale evacuazione del territorio di pianura.

- piani antistorici: sin dalle sue origini, l’uomo ha considerato il fiume fonte di vita e di benessere; nelle sue vicinanze ha sviluppato le sue più grandi civiltà e costruito le più belle città; seguendo la logica dei PAI, invece, o dei Piani di delocalizzazione (l’ultima  invenzione delle Autorità di bacino), bisogna allontanarsi dai fiumi …e pian piano ritornare in montagna…

 

PREZIOSA RISORSA PUBBLICA. Il sopra descritto marasma – dei piani cave improvvisati e delle mistificazioni ambientaliste – scaturisce per intero dalla mancanza di dati certi ed ufficiali sui quantitativi di materiale esistente negli alvei fluviali. E’ proprio la mancanza di questi dati – anch’essa conseguenza delle menzionate inadempienze di AIPO e/o di Autorità di bacino – che, come abbiamo visto, induce i politici a sottovalutare il problema, o permette loro di ignorarlo, oppure …di scherzarci sopra.

In attesa dei dati ufficiali, vediamo di capire quali sono i quantitativi reali. Seguendo un ragionamento logico, sull’adeguamento della sezione di deflusso alle ricorrenti piene, cerchiamo ad esempio di quantificare quanto materiale c’è nell’Adda: nel tratto sovralluvionato tra Cassano e Maccastorta (70 chilometri).

Dai rapporti ufficiali della piena 2002 si evince che in quella occasione la portata idrica fu di 1.600 mc/s. Con un semplice calcolo idraulico è possibile determinare la sezione che l’alveo dovrebbe avere per contenere una portata simile. Tenendo conto del variare della pendenza longitudinale, e quindi del ridurre, da monte verso valle, della velocità della corrente, il valore approssimativo variabile di tale sezione (al netto del franco di sicurezza) va da 400 mq (a Cassano) a 800 mq (a Maccastorta).

Da un recente sopralluogo si è potuto constatare invece che la presenza di accumuli di materiale in alveo ne riduce la sezione, in media di 150 mq. rispetto ai valori suddetti. Di conseguenza, per ripristinare la sezione minima occorrente, bisogna asportare dall’Adda, lungo il tratto in esame, non meno di 10,5 milioni di mc. di materiale (70.000 m. per 150 mq).

Applicando lo stesso ragionamento ai tronchi sovralluvionati degli altri fiumi lombardi – rapportando il tutto alle rispettive portate di piena – si ricavano i seguenti quantitativi di materiale da asportare: Ticino, da Somma Lombardo a Pavia, (90.000 m. per 200 mq.) = 18 milioni di mc; Oglio, da Ostiano a Mazzuolo (25.000 m. per 80 mq.) = 2 milioni di mc; tratto lombardo-emiliano del Po, da Pieve del Cairo ad Ostiglia (250.000 m. per 500 mq.) = 125 milioni di mc.

Volendo completare il quadro di insieme lombardo-emiliano – considerato peraltro che il tratto di Po preso in esame scorre sul confine fra le due regioni – ci sarebbe da aggiungere almeno altri 25 milioni di mc complessivi, da asportare dai tronchi sovralluvionati dei fiumi: Trebbia, Nure, Taro, Parma ed Enza. Per un ammontare, fra le due regioni, di 180 milioni di mc. di materiale.

Si tratta, ripeto, di dati approssimativi (sicuramente per difetto), ricavati con calcoli di massima, tenendo conto dello sviluppo dei corsi d’acqua, delle loro portate idriche e del grado di ostruzione della sezione di deflusso. Non sono numeri astratti, ricavati da studi teorici ed astrusi sul trasporto solido, ma dati reali e di facile riscontro in loco. Chiunque può farsi già un’idea del grado di sovralluvionamento dei fiumi in questione, esaminando la cartografia della zona interessata (ortofoto a colori) sul sito: www.atlanteitaliano.it. (Ministero dell’Ambiente). Oppure, sempre sulla rete, scorrendo la documentazione fotografica dei fiumi in secca (fiumare padane). Un’osservazione della suddetta cartografia consente di notare anche la miriade di cave fuori alveo presenti nel Lodigiano, il cui territorio è ridotto in una gruviera.

Quando l’AIPO e/o l’Autorità di bacino per il Po decideranno, come per legge, a rilevarli in via ufficiale, se ne avrà la conferma. Di fronte a dati ufficiali, di tale entità, non sarebbe certo facile ignorare la disponibilità di quel materiale,  in sede di redazione e approvazione dei Piani Cave. Né sarebbe possibile far passare per cose serie, le tante stupidaggini del falso ambientalismo nazionale, sull’escavazione in alveo.

 

ENTRATE VANIFICATE. Il suddetto quantitativo di 180 milioni di mc. – gran parte del quale è utilizzabile per la produzione di inerti, essendo, per natura e provenienza, del tutto simile al materiale lapideo estratto dalle cave di pianura – rappresenta, com’è evidente, un’immensa risorsa mineraria di proprietà pubblica. Risorsa che, al prezzo simbolico di un euro per mc, avrebbe un valore di 180 milioni di euro. Valore che potrebbe facilmente lievitare a 400 milioni di euro: tutto dipende dalle condizioni del mercato, cioè dal fabbisogno di inerti. Fabbisogno che attualmente è altissimo in entrambe le regioni. Lo dimostra la pressione ad aprire nuove cave in Lombardia. lo dimostra l’importazione di inerti dalla Puglia, da parte di molte imprese dell’Emilia Romagna. E trova riscontro nei grandi lavori della TAV, alcuni dei quali non riescono a partire proprio per mancanza di inerti.

La pulizia degli alvei fluviali, pertanto, è dettata attualmente non solo da motivi di estrema urgenza per la sicurezza ma anche da importanti motivi di convenienza economica. Sarebbe questo il momento propizio per immettere sul mercato quei 180 milioni di mc. di materiale – più che sufficienti per soddisfare il fabbisogno di entrambe le regioni: Lombardia ed Emilia Romagna – e ricavarne il maggior provento. Le regioni interessate otterrebbero due immediati vantaggi: la pulizia degli alvei, completamente gratuita, ed in più una notevole entrata, più che sufficiente per realizzare le difese spondali ed ogni altra opera idraulica necessaria, lungo gli stessi corsi d’acqua.

Purtroppo, però, questa fortuita circostanza sta per essere vanificata. La Regione Lombardia sta approvando tutta una serie di Piani Cave provinciali. Probabilmente la stessa cosa sta per fare l’Emilia Romagna. 

Va subito detto che l’approvazione di detti piani cave (limitatamente alle cave di inerti) è un atto demenziale; è un’aberrante castroneria di inaudita gravità. Approvare quei piani cave significa buttare nel nulla una pubblica risorsa del valore di centinaia di milioni di euro. Significa rinunciare alla possibilità di provvedere – in tempi brevi ed a costo zero – alla pulizia degli alvei fluviali. Significa provocare danni erariali per diverse centinaia di milioni di euro. E soprattutto significa – con l’attuale carenza di fondi pubblici – rinviare “a babbo morto” il ripristino della sezione di deflusso dei corsi d’acqua, urgente e indispensabile operazione: …per la tutela dell’equilibrio geostatico e geomorfologico del territorio, …per la PUBBLICA INCOLUMITA’.

Nella speranza di un ravvedimento, saluto ed auguro un felice anno 2005.

 

                                                                                                      Nicola Bonelli

 

nicolabonelli@libero.it,

Via F.lli Cervi, 5 – 75019 – Tricarico (mt)

  

Nota bene - La presente denuncia: è fondata su conoscenza diretta di alcuni luoghi, sull’esame di cartografie e soprattutto su cognizione di causa, nei vari aspetti, dell’intera questione: cognizione formatasi in quaranta anni di attività di “Cavatore”; si richiama ad atti e fatti specifici della regione Lombardia, ma riguarda, per analogia, tutta la pianura padana; viene perciò inviata, per posta, per fax o per e-mail, alle massime autorità di governo regionali e provinciali di Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Veneto, a prefetture, sindaci, autorità giudiziarie, corte dei conti, organi d’informazione. E’ pubblicata sul sito http://xoomer.virgilio.it/fontamara, col titolo “lettera aperta a FORMIGONI & C.”, insieme ad altri argomenti, tra cui: “Rischio idraulico in Pianura Padana”, … “la logica dell’emergenza” … “le beffe della Protezione Civile” … “le colpe del Palazzo di Giustizia”…