OMBRE NERE ED AVVOLTOI SULLA LOTTA DELLE POPOLAZIONI VICENTINE CONTRO
L'AMPLIAMENTO DELLA BASE MILITARE U.S.A.
Non vogliamo ritornare sul significato politico generale o sulle scelte
di strategia militare che sottendono all'ampliamento della base
americana di Vicenza. Rinviamo i compagni interessati a prendere
visione della corposa documentazione prodotta in loco dai Comitati di
Lotta o all'ampia raccolta di analisi e contributi vari presente sui
siti internet *.
Ci preme, invece, anche capitalizzando talune vicende di lotte e
mobilitazioni No War del recente passato, fare tesoro di
ingenuità ed errori che - tutti assieme - abbiamo compiuto nel
corso di queste esperienze le quali si riverberano ancora oggi a
ridosso della questione vicentina.
Le mobilitazioni di questi giorni a Vicenza sono, senza ombra di
dubbio, un segnale positivo ed incoraggiante che testimonia una
presente e diffusa volontà popolare contro questo ulteriore
passaggio di militarizzazione del territorio con l'obiettivo di
determinare una rinnovata e più decisa funzione di aggressione
bellica di questa base nell'intera area d'intervento Euro-Mediterranea.
Una vitalità, che premia il lavoro di agitazione, di
organizzazione e di radicamento delle locali associazioni e comitati di
lotta, che già si era manifestato nella grande Manifestazione
dello scorso dicembre con cui, a stragrande maggioranza, era emersa
l'opposizione senza se e senza ma all'ampliamento della base americana.
Preoccupazioni ed avvertenze che socializziamo ai compagni.
L'immediata reazione di lotta all'annuncio prodiano con cui si
è dato il placet all'ampliamento della base ha costituito una
accelerazione nelle dinamiche di movimento e nel rapporto tra queste
con i partiti politici ed il governo.
L'intero ciclo del movimento contro la guerra - almeno qui in Italia -
si è costantemente misurato ed intrecciato con l'azione della
cosiddetta sinistra radicale e con quelle opzioni miranti a ricondurre
la portata ideale e politica di questa insorgenza dentro i meccanismi
di governance e di gestione delle crisi. Costantemente, nella
dialettica del movimento, sono emersi punti di vista ed argomentazioni
che, camuffandosi a vario modo, hanno ostacolato ogni anelito di
autonomia ed indipendenza dal quadro politico e dalle
compatibilità con i soggetti istituzionali. Non è questa
la sede per un compiuto bilancio politico della passata stagione del
movimento contro la guerra. Altri luoghi ed altri appuntamenti sono
già convocati per questo indispensabile confronto collettivo che
diventa sempre più necessario.
Vogliamo, però, sommessamente, mentre riparte la mobilitazione
di Vicenza, segnalare alcune preoccupazioni che intravediamo ed
avanzare alcune utili avvertenze per non sacrificare, anche questa
volta, speranze ed obiettivi di lotta, sull'altare del politicantismo e
della subalternità.
E' bastato leggere, nelle edizioni di sabato 20 gennaio, i titoli de
"l'Unità" e di "Europa" (il giornale della Margherita), per
cogliere la esplicita soddisfazione, degli estensori di questi
giornali, per gli scarsi numeri presenti al Presidio, per protestare
contro l'autorizzazione del governo Prodi all'ampliamento della base
militare americana a Vicenza, svoltosi a Roma nella serata di
venerdì 19/1.
Quanto a Rifondazione Comunista, per chi ha partecipato a questo primo
ed importante appuntamento, indetto dai compagni di Roma, è
stato facile prendere atto del doppio volto del partito di Bertinotti:
opposizione a parole alla base militare, sostanziale diserzione al
presidio. Il silenzio di "Liberazione" al riguardo è più
eloquente di ogni nostro più malevolo commento. Quando ha preso
parola lo ha fatto attraverso la Menaguerra per sputare veleno sul
presidio accusando i presenti di parassitismo senza pudore per la sua
vicenda personale che utilizzando voti dei pacifisti si
parassitariamente seduta in parlamento votando tranquillament3e le
missioni di guerra del governo.
Crediamo, oramai, che sia a tutti chiaro che nelle rituali (.e, quasi,
infastidite) dichiarazioni di un Giordano, di un Ferrero o di un Russo
Spena non c'è traccia di alcuna volontà di rompere con
l'attuale maggioranza di governo o di offrire una qualche forma di
"rappresentanza politica" conseguente alla battaglia ingaggiata dalla
popolazione di Vicenza. Come dire: "fate pure le mobilitazioni contro
la "base" e non dimenticate, al momento delle prossime elezioni che
anche noi ci siamo espressi "contro", ma noi non possiamo contribuire a
farle crescere fino al punto da mettere in pericolo il governo".
Emerge, così, di nuovo il cinico tentativo di utilizzare la
protesta di Vicenza sul tavolo della contrattazione (..al ribasso!) nel
governo evitando accuratamente qualsivoglia atto di rottura
formale con l'esecutivo e con le sue politiche.
Una scellerata azione tendente a mettere, anche su questo versante
dell'azione di governo, la sordina politica ad ogni critica verso la
vigenza dell'esecutivo di Prodi. E' un lavorio tendente a circoscrivere
e depotenziare ogni possibile saldatura tra le sacrosante proteste
della popolazione vicentina e la indispensabile ricostruzione di un
efficace movimento contro la guerra.
Anche l'appellarsi (..con toni sempre più dimessi) ad una
più chiara e marcata exit strategy italiana dai teatri di
guerra, che dovrebbe palesarsi al momento della votazione parlamentare
al decreto di rifinanziamento della missione militare in Afghanistan,
ci sembra prefigurare uno sconcertante scenario che abbiamo già
subito, nel luglio scorso, all'epoca della passata votazione.
Anzi le premesse politiche alla base del ritiro italiano dall'Irak (che
era già previsto e calendarizzato dal governo del Cavaliere) ed
il voto di sostegno della cosiddetta sinistra radicale allo scorso
finanziamento della missione a Kabul non hanno impedito la
partecipazione militare italiana al nuovo capitolo dell' aggressione
neocoloniale in Libano e nell'intero Medio Oriente. Ed è stato
sulla scorta di quel ritrovato clima di unità parlamentare che
D'Alema ha potuto intrecciare la trama politica necessaria per la nuova
collocazione multipolare dell'interventismo del capitalismo tricolore a
partire dallo scenario Libanese.
Una politica salutata, come un primo atto significativo di una
volontà di rottura dall'imperante unilateralismo di Bush, dal
coro estasiato e subalterno della sinistra radicale.
Del resto che il PRC, ma anche gli altri sinistri governativi, non
vogliano seriamente disturbare il manovratore non è
riscontrabile esclusivamente dal loro posizionarsi nei confronti della
questione vicentina ma dalla collocazione/atteggiamento verso l'insieme
dei provvedimenti e delle scelte di politica economica e sociale del
governo Prodi.
Non a caso le manifestazioni contro l'invio delle truppe italiane in
Libano dello scorso 30 settembre ed il corteo tenuto a Roma al fianco
della Palestina del 18 novembre sono state pesantemente attaccate e
criminalizzate con toni scandalistici, commenti al vetriolo e
strascichi giudiziari abbondantemente esagerati rispetto alla reale
dimensione di massa di queste mobilitazioni.
Così come ogni fischio o vivace dissenso verso Padoa Schioppa o
Damiano sta diventando l'obbligato bersaglio della squallida
esecrazione ed obbligata scelta di distinzione di questi sinistri
radicali mentre si annuncia una nuova manomissione al sistema
pensionistico, si prepara lo scippo del Tfr e si impone la logica di
impresa e di privatizzazione nel Pubblico Impiego. Senza dimenticarci
delle promesse elettorali di abrogazione della Legge 30, chiusura dei
CPT e del varo di nuove "politiche di cittadinanza"!
Soggetti e protagonisti dei movimenti.
Anche in occasione di questo nuovo tassello dei processi di
militarizzazione dei territori e di allestimento di nuovi preparativi
bellici abbiamo ascoltato la voce di componenti religiose e del
pacifismo le quali si sono schierate, anche in maniera veemente, contro
la decisione del governo Prodi.
A Vicenza numerosi esponenti religiosi sono impegnati nella
costruzione del movimento e nelle attività di mobilitazione. Lo
stesso Alex Zanotelli, in una intervista concessa al Manifesto il
20/1/07, ha usato parole di fuoco contro il governo invitando ad azioni
di disobbedienza civile e politica.
Ci aspettavamo quindi la presenza di queste componenti già nel
presidio sotto Montecitorio, rispetto al quale non potevano neppure
opporre, come in occasione del corteo 30 settembre 2006, la
pregiudiziale del settarismo politicista. Il presidio di Montecitorio,
colto anche dal Manifesto in sintonia con la mobilitazione larga di
Vicenza (tant'è che allo stesso vi ha preso parte una folta
delegazione della stessa sopportando molte ore di viaggio in pullman)
non ha registrato presenze nemmeno simboliche di queste tendenze.
Ciò potrebbe essere dipeso dal caso o da qualche
difficoltà contingente. Certo, pesa anche la difficoltà
di un rilancio di un movimento generale che sappia dare maggiore forza
ad opposizioni vertenziali o locali. Non vorremmo però che
ancora una volta queste componenti percorrano la frequente traiettoria
che le fa esordire con le buone intenzioni verso il paradiso per farle
approdare a logoranti e inutili trattative con le controparti. Non
vorremmo che ancora una volta qualcuno voglia riproporre la demenziale
pretesa di opporsi alla privatizzazione dell'acqua cercando di portare
al corteo anche Bassolino.
Per essere più chiari, non alziamo barriere pregiudiziali nel
movimento e ci farebbe piacere, quindi, trovarci con gli attivisti
cattolici e pacifisti in questa lotta. Sarebbe però poco utile
tacere che, se dovesse palesarsi (come già si sta palesando) la
possibilità di un confronto netto ed alternativo con il governo
Prodi la nostra critica a questi compagni di viaggio, che affettano di
essere portatori di grandi novità nell'agire per il cambiamento,
che alla fin fine si riducono alla solita real politik con i suoi
inviti a volere "illuminare" gli organi istituzionali (tra cui l'ONU o
l'Unione Europea) i quali, a loro dire, potrebbero e dovrebbero
tutelare gli interessi calpestati delle popolazioni.
Più o meno la stessa considerazione la facciamo verso
quell'arcipelago "antagonista", variamente collocato in quel che
residua della stagione dei Centri Sociali Autogestiti. Tra questi
compagni è sempre stata viva la comprensione del rapporto
esistente tra le politiche di guerra permanente e la militarizzazione
dei territori. Abbiamo, però, la sensazione (..ed il Presidio
sotto Montecitorio sembra confermarlo ampiamente) che questi compagni
operano una sottovalutazione verso i nuovi ed urgenti compiti di
mobilitazione immediata su questo terreno di scontro. La stessa utile e
giusta attenzione verso gli aspetti locali delle lotte e l'impegno
militante contro la precarietà del lavoro e della vita se
disgiunti da una costante mobilitazione contro le politiche di guerra
ed i loro effetti nel fronte interno può diluirsi in una
dimensione politica assorbibile o, al più, endemicizzabile da
parte delle istituzioni.
Ritrovare, quindi, il senso di una battaglia politica a tutto campo
riattualizzando e riverificando, in una dinamica di movimento, il
grande tema dell'indipendenza e dell'autorganizzazione dei conflitti
può contribuire alla ricostruzione di un efficace movimento
contro la guerra. In questo contesto la partecipazione alla lotta di
Vicenza è un passaggio ineludibile per ritrovare e rilanciare-
al di fuori delle chiacchiere strumentali e della inconcludente
ritualità - quelle novità teoriche abbozzate dal generale
ciclo di lotte degli ultimi anni.
I tempi tecnici e politici della questione/Vicenza non sono
lunghissimi. L'amministrazione americana intende iniziare i lavori di
ampliamento della base dopo 60 giorni dall'autorizzazione del governo
italiano. Nel prossimo mese di marzo, inoltre, è previsto il
voto in Parlamento per la missione militare in Afghanistan.
Si addensano, dunque, appuntamenti di lotta e di mobilitazione a cui
saremo chiamati a portare il nostro contributo collettivo ed
individuale: il 10 febbraio, a Bologna, si terrà il Convegno
Nazionale contro le basi organizzato dal Comitato per il Ritiro delle
Truppe; il 17 febbraio la Manifestazione Nazionale a Vicenza, alla
metà di marzo il Corteo a Roma per il ritiro delle truppe
dall'Afghanistan.
Non mancheranno, quindi, occasioni in cui emergeranno gli snodi e gli
ambiti politici e sociali su cui si fonda la politica estera del
governo Prodi, le crescenti aspirazioni imperialistiche e le sue scelte
concrete. Ed è in tali passaggi che si verificheranno le
dichiarazioni di intenti, le promesse di questi giorni e la
collocazione di chi è amico dei movimenti e non dei governi!!