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DIBATTITO sul ruolo dei comunisti e sulla crisi del PRC | no war no basi |
Care compagne e cari compagni,
come avete letto nel comunicato del Coordinamento di martedì
scorso, all'attivo di martedì prossimo mi presenterò
dimissionario, così come dimissionario è l'intero
esecutivo dei Gc di Roma.
Questa scelta deriva dalla presa d'atto mia personale e degli altri compagni/e, delle dimissioni dall'esecutivo di Davide Di Lorenzo e Veronica Albertini, che dalla Conferenza del giugno scorso fino ad oggi avevano proficuamente contribuito alla costruzione e alla linea politica dei Giovani Comunisti a Roma. Inoltre la richiesta delle mie dimissioni da parte di alcuni compagni/e del Coordinamento ha reso – penso – doverosa la mia disponibilità a dimettermi.
Non credo sia un bel momento per il
nostro partito, a cui sono iscritto da quasi dieci anni e che da quasi
dieci anni contribuisco a costruire, in particolare nell'organizzazione
giovanile di Roma. Mai prima d'oggi alcuno era stato espulso da
Rifondazione Comunista, nemmeno chi si è ritrovato
indagato per rapporti con la 'ndrangheta – figuriamoci i tanti che a
tutti i livelli istituzionali hanno seguito comportamenti diversi da
quelli maggioritariamente decisi dal partito.
L'espulsione del compagno Turigliatto si configura sempre più come un tentativo di espellere una posizione politica. Una posizione politica che condivide una parte di questo partito, e che sicuramente condivide il sottoscritto. Per questo è per me naturale battermi per chiederne il ritiro, anche con un comunicato firmato a mio nome in quanto Coordinatore dei Giovani Comunisti di Roma. La mia speranza era e rimane che – a prescindere dalla condivisione o meno della scelta politica di Turigliatto e della posizione politica che rappresenta – la battaglia contro l'espulsione potesse essere unitaria. Non espellere una posizione politica significa poter continuare a discutere e a confrontarsi insieme, sentendoci tutti "cittadini" di questo partito e non con esso "incompatibili", come sottolineato più volte dal Segretario nazionale.
Tante volte non ho condiviso scelte del mio partito, ma in questo caso siamo di fronte al voto di una missione di guerra. Storicamente quando un partito comunista – per mille ragioni diverse – ha accettato di votare una missione di guerra si è poi gradualmente trasformato in qualcos'altro.
Mi inquieta il fatto che l'espulsione
di Turigliatto sia stata contemporanea al voto bipartisan alla Camera -
da Rifondazione a Forza Italia e AN – sul rifinaziamento della
partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan, e alle proposte di
Bertinotti di costruire una nuova sinistra "senza
aggettivi", che fondamentalmente si unisca con Mussi e gli scissionisti
Ds per costruire un nuovo soggetto (rifondazione socialista?).
Non credo sia questa l'esigenza attualissima della rifondazione comunista.
È evidente che la questione ci riguarda direttamente anche come Gc di Roma.
Non è in questione il pacifismo
di tutti/e i/le compagni/e, ma è in gioco il nostro tentativo di
fermare la guerra. Tutti/e ci siamo spesi negli ultimi anni nel
movimento contro la guerra, e anche in questi mesi in cui sono stato
Coordinatore la nostra campagna nelle scuole e nelle università,
così
come nei quartieri, si è concentrata prioritariamente, oltre che
sulla campagna antifascista, proprio sulla costruzione del movimento
contro la guerra. Siamo riusciti a portare centinaia di giovani con noi
alla manifestazione di Vicenza, rafforzando per questa via anche il
nostro stesso radicamento sociale – in particolare nelle scuole.
Penso che questo Governo – dopo la straordinaria manifestazione di Vicenza – stia provando a terrorizzare i movimenti con la minaccia del ritorno di Berlusconi. Non possiamo cedere a questo ricatto, perché ogni voto dei parlamentari pacifisti alle missioni militari demotiva i movimenti, gli fa perdere speranza – e quindi allontana la possibilità concreta di poter fermare la guerra. Solo un grande movimento di massa può raggiungere questo risultato. Deprimere i movimenti accettando scelte obbligate "dall'incondizionata fiducia al Governo Prodi" non penso vada nella giusta direzione, e può modificare geneticamente il nostro partito che proprio sull'irriducibilità di alcuni contenuti si è costruito dal '98 in poi, presentandosi come alternativo al bipolarismo.
Pur con i nostri indubbi limiti, e pur con le difficoltà che storicamente la nostra organizzazione ha avuto a Roma, penso che in questi mesi si sia riusciti a fare un buon lavoro, grazie in particolare al contributo di tutto l'esecutivo. La nascita del gruppo di lavoro "studenti medi" e l'ampia crescita dei nostri contatti nelle scuole grazie ai banchetti e alle campagne fatte, la continuità con cui abbiamo seguito il lavoro universitario nei tre atenei romani, la capacità di saper fare contemporaneamente campagne comuni come Gc sulla guerra, sull'antifascismo, sulla precarietà e sui diritti civili, la partecipazione e costruzione in prima fila di tutte le scadenze di movimento che hanno attraversato la nostra città.
Piccole cose, sempre orientate alla costruzione dei movimenti e alla radicalità dei contenuti, che hanno contribuito a rivitalizzare il lavoro come Gc di Roma – fermo da qualche anno.
La maggioranza dei Gc di Roma era nata proprio sull'onda della forte condivisione di alcuni compagni/e, che pure avevano sostenuto diversi documenti alla Conferenza, della battaglia dei cosiddetti "dissidenti" sulla guerra in Afghanistan. Se oggi le dimissioni di Davide e Veronica arrivano proprio per la non condivisione della posizione mia e del resto dell'esecutivo sulla prosecuzione di quella battaglia, è evidente che qualcosa è cambiato.
Questa maggioranza dei Gc di Roma era un'anomalia rispetto alla maggioranza che dirige il partito sia a livello nazionale che di federazione. Una maggioranza che sosteneva i "dissidenti".
Finendo questa anomalia a quale "normalità" potrebbero dirigersi i Giovani Comunisti? Ad un'organizzazione giovanile che sostiene l'appoggio incondizionato al Governo Prodi? Che dice che sulla guerra bisogna sostenere la "riduzione del danno"? Che dialoga più con la sinistra Ds che con i Centri sociali? Che invece di costruire i movimenti fa associazioni culturali per ottenere finanziamenti regionali e comunali?
Se per questo mi si chiede di dimettermi, per coerenza non posso non farlo.
È una scelta per me molto amara, ma questa "normalità" io non potrei sostenerla.
un abbraccio
Giulio Calella