E' una rifondazione socialista tutta interna al
perimetro del governo
"SE
E' SOLO PER LIMITARE I DANNI NON VI SEGUIAMO "
Salvatore
Cannavò *
Il
segretario Prc ha proposto un "patto di azione" alla sinistra a partire
dai temi del lavoro. La proposta ripercorre una suggestione, quella del
"patto", già concretizzata con il Patto di mutuo soccorso
stipulato da molti movimenti lo scorso luglio (e che si
ritroverà in un'assemblea nazionale il 20 maggio ad Aprilia) e
ripresa in recentissime assemblee in cui la parola "patto" è
stata identificata come quella in grado di collegare la sinistra
politica e sociale in alternativa alla guerra e al neoliberismo e che
vedrà nella mobilitazione anti-Bush una prima esplicitazione.
Vorrei provare a spiegare perché queste proposte, che pure
sembrano collocarsi nello stesso spazio e che certamente dovranno
trovare forme e luoghi di dialogo e collegamento, divergono tra loro e
disegnano progetti politici alternativi.
Che in Italia sia in atto un grande processo di riorganizzazione della
sinistra e del centrosinistra è ormai sotto gli occhi di tutti.
La fusione Ds-Margherita per dare vita al Pd è una scelta
storica, che ha appassionato più per la querelle sulla "fusione
fredda" che per il deciso cambio di passo della sinistra maggioritaria
che in poco più di un decennio ha abbandonato l'impianto
socialdemocratico per quello democratico-liberale. Il Pd descrive
sinteticamente un progetto di governo del capitalismo italiano in
chiave europeista e si presenta quindi come nuovo partito della
borghesia, certamente più moderno e attraente della vecchia Dc,
ma non meno connotato e collocato socialmente. Che di fronte a questa
scelta la sinistra si rimetta in moto è un fatto certamente
positivo e necessario. Che lo faccia facendo finta di non vedere che il
suo principale concorrente guida il governo e a questo imprime ritmo e
velocità è il vero deficit di tutta questa operazione.
Lasciamo stare la facile polemica sulla "vecchiezza" di questa
Sinistra, con volti e impostazioni che provengono, chi più chi
meno, tutte dalla vecchia "famiglia Pci", molti dei quali approdati
convintamente all'Internazionale socialista mentre altri restano
nostalgici di Togliatti. Lasciamo stare anche la facile polemica sulla
Rifondazione socialista che sembrerebbe essere la cifra sostanziale del
processo in atto. In realtà è la sottovalutazione della
questione-governo che impedisce alla "Sinistra" di sottrarsi
all'effetto-risucchio del Pd. Per molti, lo si legge spesso su queste
pagine, questa insistenza ha il sapore di un'ossessione politicista.
Difficile però sostenere che il governo della settima potenza
capitalistica, un paese rilevante come l'Italia, rappresenti questione
secondaria e da mettere sullo sfondo. Pensare di aggirare questa
realtà resta, nel migliore dei casi, una pia illusione. Il
governo è, o quanto meno viene percepito come, lo strumento con
cui si cambia la vita delle persone. Se questa non cambia - come non
è cambiata negli ultimi dieci-quindici anni, se non in peggio,
anche con la sinistra al governo - è inutile pensare di opporsi
efficacemente alla crisi della politica, inutile pensare di salvarsi
dalla disillusione o dal disincanto e quindi di essere al riparo da
quella che oggi viene definita antipolitica ma che in larga parte
è distanza e disgusto per una politica istituzionale vischiosa e
avversa. E' inutile proporsi di contrastare il ritorno delle destre.
L'attuale ristrutturazione della sinistra avviene così in una
zona ovattata, al riparo e tutta dentro il perimetro di governo. E'
dunque difficile contrastare l'affermazione fatta da D'Alema al
congresso dei Ds: «Come fate a dire che stiamo costruendo un
progetto moderato se gestiamo insieme lo stesso governo a cui non
muovete critiche?» ha chiesto in sostanza il vicepremier.
La dinamica del Pd spinge per un governo di continuità con le
politiche di sostegno al capitalismo italiano e con la logica della
guerra multilaterale. Il nuovo, possibile, "Partito della Sinistra" non
può che ritagliarsi un ruolo di corollario, quasi una corrente
esterna che si limita a limitare i danni. E del resto, come
interpretare le parole di Mussi quando dice che non è escluso un
ricongiungimento di tutti o le stesse provocazioni di Bertinotti quando
propone di ripartire tutti, ma proprio tutti Margherita compresa, da
zero e riconsiderare in altro modo l'unità a sinistra? La
divaricazione dei due progetti non è intelligibile se non
influisce significativamente sulla linea del governo provocandone una
svolta - che allo stato attuale appare impossibile - o provocandone una
rottura (e noi proponiamo infatti l'appoggio esterno condizionato ai
singoli provvedimenti).
Ecco dunque che si verifica l'effetto-risucchio: il Pd si sposta al
centro, la Sinistra prova a prendere il posto di quello che sono stati
i Ds contando sul rapporto con il sindacato, l'intero quadro si sposta
a destra. E la sinistra anticapitalista?
E' evidente che il processo abbia un primo effetto scontato: la
rifondazione "socialista" chiude la rifondazione comunista intesa non
come feticcio astratto, contenitore immutabile e partito ideale ma come
progetto di rifondazione della sinistra di classe e anticapitalista.
Termine ovviamente imperfetto e un po' ideologico ma che pure indica
una direzione e che, non casualmente, non viene più utilizzato.
Nel prefigurare un "nuovo soggetto politico" si chiude di fatto
un'esperienza storica (il mantenimento della "ditta" - simbolo,
contenitore, forma partito - può essere ininfluente su contenuti
e significato simbolico). L'anomalia Rifondazione, quella che ha
caratterizzato gli anni 90 scavallando il secolo simbolicamente a
Genova, era costituita dal fatto di preservare una forza politica
alternativa alle destre ma anche al centrosinistra materiale. Oggi il
Prc non è più alternativa, anzi costruisce un "nuovo
soggetto politico" alleato, sia pure in un'alleanza competitiva, con i
Democratici per il governo del paese. A sinistra si riapre un vuoto che
certamente non sarà ricoperto semplicemente per via
autoproclamatoria ma è un vuoto consistente.
Con i compagni di Sinistra Critica abbiamo sostenuto di voler mantenere
in vita quello spazio politico, lo spazio di una sinistra di classe,
anticapitalista, "antisistema" e di farlo ripartendo dalla dinamica di
movimento, con un nuovo "apprendistato sociale" per ricostruire
energie, risorse, una forza complessiva. E' quanto ha fatto il Prc nel
corso della sua storia ed è quanto pensiamo bisogna continuare a
fare. E' lo spazio che il successo di Besancenot in Francia, in una
più generale divisione della sinistra antiliberista, ha
dimostrato essere l'unico in grado di resistere alla dinamica
stringente e reale del "voto utile" che può incombere anche qui
(e la fretta con cui Bové ha accettato l'incarico offertogli da
Royal spiega la natura di tante divisioni…). Va da sé, poi, che
un cambiamento di tale portata esigerebbe un congresso democratico a
breve termine: discutere la prossima primavera di quanto si sta
decidendo in queste ore sarebbe oltre che un danno, una beffa. Al
partito che ho contribuito a costruire per sedici anni, in larga parte
dalla postazione di questo giornale, mi sento dunque di dire che se la
prospettiva è quella della nuova soggettività politica di
stampo riformista, noi non vi seguiamo. Qui siamo e qui restiamo,
proseguendo sulla strada di una sinistra "senza se e senza ma" che ieri
era l'orizzonte del futuro e oggi, per gli stessi dirigenti di allora,
sembra confinata in un luogo disperato tra le "schegge impazzite" e le
"anime belle". Una sinistra anticapitalista che non potrà non
avere un profilo europeo, di classe, contro la guerra "senza se e senza
ma", contro il liberismo sia nella sua versione conservatrice che in
quella "sociale" della sinistra di governo. Una sinistra che non
potrà che ri-costruirsi sulla base della storia e delle energie
accumulate dalla rifondazione, comprese quelle disperse per strada.
* Deputato Prc, Sinistra
critica