IL TRIANGOLO NERO
Violenza, propaganda e deportazione. Un manifesto di scrittori, artisti
e intellettuali contro la violenza su rom, rumeni e donne
La storia recente di questo paese è un susseguirsi di campagne
d\'allarme, sempre più ravvicinate e avvolte di frastuono. Le
campane suonano a martello, le parole dei demagoghi appiccano incendi,
una nazione coi nervi a fior di pelle risponde a ogni stimolo creando
\"emergenze\" e additando capri
espiatori.
Una donna è stata violentata e uccisa a Roma. L\'omicida
è sicuramente un uomo, forse un rumeno. Rumena è la donna
che, sdraiandosi in strada per fermare un autobus che non rallentava,
ha cercato di salvare quella vita. L\'odioso crimine scuote l\'Italia,
il gesto di altruismo viene rimosso.
Il giorno precedente, sempre a Roma, una donna rumena è stata
violentata e ridotta in fin di vita da un uomo. Due vittime con pari
dignità? No: della seconda non si sa nulla, nulla viene
pubblicato sui giornali; della prima si deve sapere che è
italiana, e che l\'assassino non è un uomo, ma un rumeno o un
rom.
Tre giorni dopo, sempre a Roma, squadristi incappucciati attaccano con
spranghe e coltelli alcuni rumeni all\'uscita di un supermercato,
ferendone quattro. Nessun cronista accanto al letto di quei feriti, che
rimangono senza nome, senza storia, senza umanità. Delle loro
condizioni, nulla è più dato sapere.
Su queste vicende si scatena un\'allucinata criminalizzazione di massa.
Colpevole uno, colpevoli tutti. Le forze dell\'ordine sgomberano la
baraccopoli in cui
viveva il presunto assassino. Duecento persone, tra cui donne e
bambini, sono gettate in mezzo a una strada.
E poi? Odio e sospetto alimentano generalizzazioni: tutti i rumeni sono
rom, tutti i rom sono ladri e assassini, tutti i ladri e gli assassini
devono essere espulsi dall\'Italia.
Politici vecchi e nuovi, di destra e di sinistra gareggiano a chi urla
più forte, denunciando l\'emergenza. Emergenza che, scorrendo i
dati contenuti nel Rapporto sulla
Criminalità (1993-2006), non esiste: omicidi e reati sono, oggi,
ai livelli più bassi dell\'ultimo ventennio, mentre sono in
forte crescita i reati commessi tra le pareti
domestiche o per ragioni passionali. Il rapporto Eures-Ansa 2005,
L\'omicidio volontario in Italia e l\'indagine Istat 2007 dicono che un
omicidio su quattro avviene in casa; sette volte su dieci la vittima
è una donna; più di un terzo delle donne fra i 16 e i 70
anni ha subito violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita,
e il responsabile di aggressione fisica o stupro è sette volte
su dieci il marito o il compagno: la famiglia uccide più della
mafia, le strade sono spesso molto meno a rischio-stupro delle camere
da letto. Nell\'estate 2006 quando Hina, ventenne pakistana,
venne sgozzata dal padre e dai parenti, politici e media si
impegnarono in un parallelo fra culture. Affermavano che quella
occidentale, e italiana in particolare, era felicemente evoluta per
quanto riguarda i diritti delle
donne. Falso: la violenza contro le donne non è un retaggio
bestiale di culture altre, ma cresce e fiorisce nella nostra , ogni
giorno, nella costruzione e nella moltiplicazione di un modello
femminile che privilegia l\'aspetto fisico e la disponibilità
sessuale spacciandoli come conquista. Di
contro, come testimonia il recentissimo rapporto del World Economic
Forum sul Gender Gap, per quanto riguarda la parità
femminile nel lavoro, nella salute, nelle aspettative di vita,
nell\'influenza politica, l\'Italia è 84esima. Ultima
dell\'Unione Europea. La Romania è al 47esimo posto. Se questi
sono i fatti, cosa sta succedendo?
Succede che è più facile agitare uno spauracchio
collettivo (oggi i rumeni, ieri i musulmani, prima ancora gli albanesi)
piuttosto che impegnarsi nelle vere cause del panico e
dell\'insicurezza sociali causati dai processi di globalizzazione.
Succede che è più facile, e paga prima e meglio sul
piano del consenso viscerale, gridare al lupo e chiedere
espulsioni, piuttosto che attuare le direttive europee (come la
43/2000) sul diritto all\'assistenza sanitaria, al lavoro e
all\'alloggio dei migranti; che è più facile mandare le
ruspe a privare esseri umani delle proprie misere case, piuttosto che
andare nei luoghi di lavoro a combattere il lavoro nero.
Succede che sotto il tappeto dell\'equazione rumeni-delinquenza si
nasconde la polvere dello sfruttamento feroce del popolo rumeno.
Sfruttamento nei cantieri, dove ogni giorno un operaio rumeno è
vittima di un omicidio bianco. Sfruttamento sulle strade, dove
trentamila donne rumene costrette a prostituirsi, metà delle
quali minorenni, sono cedute dalla malavita organizzata a italianissimi
clienti (ogni anno nove milioni di uomini italiani comprano un coito da
schiave straniere, forma di violenza sessuale che è sotto gli
occhi di tutti ma pochi vogliono vedere). Sfruttamento in
Romania, dove imprenditori italiani - dopo aver \"delocalizzato\" e
creato disoccupazione in Italia - pagano salari da fame ai lavoratori.
Succede che troppi ministri, sindaci e giullari divenuti capipopolo
giocano agli apprendisti stregoni per avere quarti d\'ora di
popolarità. Non si chiedono cosa
avverrà domani, quando gli odii rimasti sul terreno
continueranno a fermentare, avvelenando le radici della nostra
convivenza e solleticando quel microfascismo che è dentro di noi
e ci fa desiderare il potere e ammirare i potenti. Un microfascismo che
si esprime con parole e gesti rancorosi, mentre già
echeggiano, nemmeno tanto distanti, il calpestio di scarponi militari e
la voce delle armi da fuoco.
Succede che si sta sperimentando la costruzione del nemico assoluto,
come con ebrei e rom sotto il nazi-fascismo, come con gli armeni in
Turchia nel 1915, come con serbi, croati e bosniaci, reciprocamente,
nell\'ex-Jugoslavia negli anni Novanta, in nome di una politica
che promette sicurezza in cambio della rinuncia ai principi di
libertà, dignità e civiltà; che rende
indistinguibili responsabilità individuali e collettive, effetti
e cause, mali e rimedi; che invoca al governo uomini forti e chiede ai
cittadini di farsi sudditi obbedienti. Manca solo che qualcuno
rispolveri dalle soffitte dell\'intolleranza il triangolo nero degli
asociali, il marchio d\'infamia che i nazisti applicavano agli abiti
dei rom.
E non sembra che l\'ultima tappa, per ora, di una prolungata guerra
contro i poveri.
Di fronte a tutto questo non possiamo rimanere indifferenti. Non ci
appartengono il silenzio, la rinuncia al diritto di critica, la
dismissione dell\'intelligenza e della ragione. Delitti individuali non
giustificano castighi collettivi. Essere rumeni o rom non è una
forma di \"concorso morale\".
Non esistono razze, men che meno razze colpevoli o innocenti.