DALLA FANDONIA DEL GENOCIDIO NEL DARFUR  ALL'IPERFARSA DELL' "EMIRO DI AL QAIDA
NELLA TERRA TRA I DUE FIUMI"


Coazione a ripetere delle subalterne e "folkloristiche" sinistre italiane



MONDOCANE FUORILINEA

11/06/06

di Fulvio Grimaldi



Somalia e Darfur

"Sinistre folkloristiche", così ha taffazzianamente definito i suoi alleati su
Die Zeit un Prodi in versione Oktoberfest, probabilmente riferendosi più che
altro al subcomandante et presidente della Camera Bertinotti e ai
microrivoluzionari et sicofanti di Walter Veltroni. Pur dimentico del proprio,
di lui, folklore un po' passée, il nostro fluttuante premier si può dire che
stavolta abbia ronaldinescamente centrato la palla, visto che il termine non
può che riferirsi al riciclaggio in farsa di cose un tempo genuine, .Una delle
più raccapriccianti manifestazioni di subalternità e dabbenaggine
provincialotta (nei casi peggiori anche di consapevole complicità, vedi certi
scrivani di "Liberazione" delle sinistre italiane e dei loro media è la
coazione a ripetere gli stereotipi bugiardi e fuorvianti di quella che si
chiama propaganda, ma che gli statunitensi, in un soprassalto di onestà,
chiamano guerra psicologica. Ed è dovuto solo alla disattenzione delle
cancellerie e dei media, distratte da altre operazioni di obnubilazione (Iraq,
Iran, Sudan, Siria), che dalla Somalia ci è potuta giungere notizia di
un'autentica "primavera" (non la notte nera allestita dalla Cia e mascherata da
stagione dei fiori in Ucraina, Georgia, Jugoslavia e Libano). La vittoria delle
forze autenticamente popolari e autenticamente stufe (cui si è voluto porre
rimedio istantaneamente con l'effetto propagandistico del "trionfo" su Al
Qaida, pure detta presente in Somalia, grazie all'uccisione dell'ectoplasma Al
Zarkawi) non ha potuto, nonostante gli sforzi del Dipartimento di Stato, essere
degradata a manovra terroristica di Al Qaida. Quelle forze, oggi rappresentate
dalle cosiddette "corti islamiche", sono eredi, islamizzati qui come altrove,
della rivolta di massa che nel 1991 rovesciò, sotto la guida del generale
Aidid, il fantoccio occidentale Siad Barre e di cui, primo inviato della Rai,
potei conoscere dallo stesso leader il progetto di sovranità progressista ed
antimperialista. Progetto che naturalmente provocò la rabbiosa e poi
impantanata e sconfitta reazione del nascente fronte colonialista
euro-statunitense. Aidid e la rinascita del paese furono bloccati e la Somalia
venne lasciata in preda a un caos funzionale al traffico di droga e di quel
combinato armi - rifiuti che, due anni dopo la mia spedizione, avrebbe scoperto
la collega Ilaria Alpi. Gli Usa, con sul posto il braccio armato del vassallo
subimperialista Etiopia, puntarono su gangster locali per eternizzare lo
status quo e appaiono ora costretti o a rassegnarsi, o a un intervento militare
diretto o per interposti etiopici. Comunque una gran bella battuta d'arresto
per i manigoldi di Washington. La quasi verità sul groviglio somalo,
faticosamente uscita sui giornali di sinistra - ma che presto, vedrete, verrà
riaddomesticata sotto dettato dei velinari di "Libero" , "Corriere"e
"Repubblica" - nell'ottundimento da flebo imperialiste caricate a "terrorismo"
e "diritti umani", è un caso più unico che raro.



Uno degli esempi di ottusa e codina subalternità alle invenzioni della guerra
piscologica, una guerra che fa più vittime di tutte le altre messe insieme, è
la linea adottata, su nettissima ispirazione imperialista, sul dramma del
Darfur, regione occidentale del Sudan che dovrebbe essere attraversata da un
oleodotto direzionato verso le prese angloamericane nel Golfo di Guinea (in
direzione contraria a quello progettato da Khartum sul proprio territorio e
verso il Mar Rosso). Il Sudan, contro la cui indipendenza dai britannici venne
subito sobillata, nel 1959, la popolazione del Sud, è il paese arabo africano
più vasto e meno ligio agli interessi occidentali, da qualche anno nel mirino
dei nuovi colonialisti (Usa, Francia, Germania, Israele e Vaticano) per la
sfiga di essersi scoperto traboccante di ricchezze minerarie (petrolio più che
nella penisola arabica, gas, uranio, rame), oltrechè idriche (il Nilo) e per
l'impertinenza di volerle amministrare secondo le proprie scelte (Cina e
Scandinavia, piuttosto che Usa e Nato). Poco tempo fa, un invito a parlare di
Iraq alla mano del mio documentario, "Un deserto chiamato pace", fattomi da
Laboratorio Zeta di Palermo, un dinamico e coraggioso centro giovanile
dell'altra Sicilia, un'autentica isola di controintelligenza, mi ha costretto
una volta di più a confrontarmi con il grado di intossicazione, vicino al 100%,
che il totalitarismo mediatico, soprattutto di guerra, infligge anche a chi
più si sbatte per sfuggire al fog dell'universale impostura comunicativa.

Ricordate la Cap Annamur?

Nella primavera del 2005 mi ritrovai completamente solo, almeno in Italia, a
cercare di arginare l'uragano di solidarietà con "le popolazioni del Darfur
sottoposte a genocidio" che, innescato da una serie di denunce ufficiali di
Washington, Parigi, Berlino e Vaticano, affiancate dal solito coro delle
organizzazioni umanitarie note per fornire alibi a qualsiasi aggressione
imperialista, aveva preso a pretesto la clamorosa vicenda della nave "Cap
Annamur". Vicenda che va ricordata per come ha esaltato la disponibilità delle
sinistre, sedicenti antiguerra, a farsi intossicare da una megaimpostura,
dietro al malcerto riparo dei "diritti umani", dell' ovviamente cristiana pietà
per gli ultimi e della solidarietà con i poveri del Terzo Mondo. Quella nave
giracchiò per qualche giorno al largo della Sicilia, sparando appelli
disperati per il suo carico di agonizzanti profughi. Diceva di avere a bordo
una trentina di fuggiaschi dal Darfur massacrato dal governo sudanese. Vi si
precipitarono tutti e tutti lessero negli occhi dei profughi l'orrore dei
villaggi bruciati, delle stragi, degli stupri, delle inenarrabili nefandezze
inflitte dalle milizie governative. Poi, ohibò, si scoprì che di quei trenta
giovanotti, per niente agonizzanti, nessuno oltre i trent'anni, non uno veniva
né dal Darfur, né dall'intero Sudan, semmai dal Ghana o dalla Costa d'Avorio.
Sicuramente figli della tragedia africana, ma non del Darfur e, con ogni
probabilità, reclutati per la bisogna. Trattavasi di bufala, di raggiro, di
provocazione. Si scoprì che la Cap Annamur dipendeva dalla Gesellschaft fuer
bedrohte Voelker (Società per i popoli minacciati), organismo tedesco legato al
ministero degli esteri e specializzato fin dai Balcani e dal Vietnam in
operazioni ordite per agevolare o giustificare i noti interventi "umanitari".
A Palermo, i compagni del Laboratorio Zeta ospitavano generosamente alcuni
profughi sudanesi e, comprensibilmente, si risentirono molto alla mia denuncia
che l'intero pandemonio umanitario sul Darfur non era che l'avvio, pari pari a
quello della Jugoslavia, dell'Iraq e di tutti gli assalti Usa, di una campagna
di diffamazione finalizzata allo squartamento del Sudan, nazione araba riottosa
alla sottomissione, solidale con l'Iraq fin dal 1991, amica della Cina, di
Cuba, del Venezuela. Questo sapevo anche per esperienza diretta in Darfur, dove
già anni fa avevo assistito a una tragedia determinata dalla desertificazione
(indotta dai giochini capitalistici col clima) e dalla contesa tra agricoltori
stanziali e nomadi allevatori per il sempre più scarso spazio di pascolo e
coltivazione. Tutti neri, tutti musulmani, tutti di lingua araba. Falsa la
conclamata rivalità etnica e religiosa, falsa la dipendenza delle formazioni
Janjaweed, di autoprotezione degli allevatori, dal governo di Khartum, che
invece processava gli autori di abusi e si adoperava con ogni sforzo per
provvedere ai profughi della siccità e del conflitto. Falsi al limite del
grottesco i 400.000 uccisi e due milioni di profughi in un anno: quasi metà
della popolazione del Darfur! Fate il conto di quanta gente dovevano essere
riusciti ad ammazzare o scacciare i Janjaweed al giorno. Manco avessero i mezzi
di Rumsfeld. Vera, invece, l'istigazione franco-tedesco-americana - ben
lubrificata dagli alti lai dei padri comboniani, da sempre avanguardia
colonialista in Africa - alla creazione e sollevazione violenta di un paio di
organizzazioni secessioniste (Movimento di Liberazione del Sudan e Movimento
per la Giustizia e l'Uguaglianza), armate dagli alleati del Ciad e rafforzate
con uomini e mezzi dai filoamericani e filoisraeliani dell'SPLA
(l'organizzazione separatista del Sud). Vera la mobilitazione in appoggio ai
secessionisti di tutte le forze della guerra permanente e globale: Israele,
Berlino, Parigi, Washington, Londra e, negli Usa, il fior fiore dell'humus da
cui scaturisce l'appoggio ai nazisionisti di Bush: 164 organizzazioni
integraliste evangeliche e cattoliche, tutto lo schieramento tonitruante della
lobby ebraica. A una loro manifestazione "Save Darfour" di 5000 persone a
Washington, personalmente omaggiata da Bush (!), i media riservarono paginoni e
telecronache. Sulla manifestazione dei 300.000 a News York contro Bush e la
guerra, il giorno prima, silenzio o trafiletti. In Italia, pateticamente, al
carro di guerra ancora una volta umanitario, si agganciò con rinnovato fervore
dirittoumanista, implicitamente antimusulmano, razzista e colonialista,
l'intero corpo d'armata delle Ong (affari in vista!), del pacifismo non
violento, del folklore bertinottista e della stampa di sinistra (fatte salve
pochissime nicchie). Per un'esauriente e documentata analisi dei trombettieri
del "genocidio in Darfur", nonchè degli interessi Usa in ballo, vedasi
l'inconfutabile pezzo di Sara Flounders, dell'International Action Center di
Ramsey Clark (www.workers.org/2006/world/darfur-0608/) .



La finta guerra all'Iran e vita e morte finte di Al Zarkawi

E' davvero sconsolante la dabbenaggine con cui i giornali sinistri si
accaniscono a cadere in ogni trappola allestita dai tecnici della guerra
psicologica (pur esistendo in proposito un Manuale Cia del 1956 sulla "Guerra a
bassa intensità" che già illustrava le procedure). Tutti a fare da sponda allo
sbattere di sciabole iraniano-statunitense, a lanciarsi in allarmi e
invocazioni contro l'imminente assalto della triade Cheney-Rumsfeld-Rice al
paese degli ayatollah. Nessuno che abbia il dubbio che, nell'immediato,
l'ipotesi sia resa del tutto implausibile (nonostante l'ebbrezza bellica degli
psicopatici Stranamore annidati nel bush-sionismo) dalla
convergenza-concorrenza degli interessi di entrambi i regimi nello spolparsi
l'Iraq, nonché dall'incontenibile capacità di rappresaglia che l'Iran potrebbe
esercitare sul mercato mondiale e sulle vene giugulari del petrolio nel Golfo.
Tutti ad accreditare che la faccia da morto esibita come quella di un Al
Zarkawi è proprio quella giusta. Di un Zarkawi arrivato in Iraq con una gamba
sola (l'altra l'aveva ufficialmente persa sotto le bombe in Afganistan nel
2001), polverizzato da altre bombe in Curdistan nell'aprile del 2003 e
doverosamente seppellito dalla sua famiglia di Zarka, ma poi resuscitato in
passamontagna e con entrambi gli arti inferiori per decapitare un giovane Nick
Berg già cadavere. Infine prodigiosamente assurto a capo supremo di tutta la
Resistenza irachena. Resistenza che negli stessi rapporti del comando Usa si
riconosceva preparata da decenni, diretta e composta per la massima parte da
militanti del Baath e militari di Saddam (con appena un 5% accreditato a
combattenti stranieri) e che nessun iracheno, per quanto affidato alle cure
delle torturatrici Usa, né aveva mai visto Abu Musab Al Zarkawi, né aveva
incrociato Al Qaida. Innumerevoli comunicati ufficiali della Resistenza hanno
respinto ogni rapporto con Al Qaida e ne hanno negato qualsiasi ruolo in Iraq,
sostenendo anzi che la sigla doveva coprire le carneficine di civili (6000 da
gennaio a maggio 2006) istigate dagli occupanti e portate a spaventoso fine
dagli squadroni della morte sciti e curdi di obbedienza iraniana. Ma, si sa, le
parole dei "terroristi" valgono zero rispetto a quelle inconfutabili di uomini
di provata onestà come Bush, Blair, Berlusconi.

E' proprio troppo temerario farsi venire il dubbio che la psicosi di una guerra
con l'Iran servisse a coprire i preparativi di guerra - anche qui affidata al
casco Nato, così entusiasticamente calzato da Belgrado a Kabul dal figaro di
Gallipoli - contro i debolissimi Sudan e Siria, nonché l'intima connivenza
irano-statunitense nell'uccisione dell'Iraq per la creazione di tre statuccoli
narco-etnico-confessionali alla Kosovo? E che il "trionfo" dell'uccisione
dell'ologramma Al Zarkawi debba togliere dall' imbarazzo i serialkiller
anglostatunitensi nel momento delle impreviste rivelazioni su almeno alcuni dei
prodotti di serie delle manifatture horror Usa: Baghdad, Haditha, Ramadi,
Falluja, Hishaqi e mentre la matrice persiano-statunitense degli squadroni
della morte stava chiarendosi anche ai dubbiosi? E anche da quell'altro
imbarazzo dell'invio in Iraq di un'ulteriore brigata di 3.500 uomini a smentita
delle reiterate e universalmente invocate promesse di riduzione? Con quel
bombardamento "chirurgico" su "Villa Al Zarkawi" (vabbè, sono crepati anche una
donna e un bambino, effettino collateralino), così splendidamente liberatorio,
non si giustificano anche le case polverizzate dappertutto. con dentro decine
di donne e bambini? Poteva sempre esserci un Al Zarkawi nascosto sotto il
letto, no? Non si sacralizza così a posteriori la morte degli eroi italiani di
Nassiryia? Quelli che, nella papale e napolitanesca "spedizione di pace",
oltre a mandare a morire in un paese che la Resistenza ha trasformato in campo
minato 38 dei loro, hanno saputo anche - "annichiliscilo!" - far volare da
Allah qualcosa come 150 civili iracheni, tra ambulanziati e accasati, nelle
misteriose (quanto Ustica) "battaglie dei ponti"? E, infine, questo gran colpo
di our boys non accredita la telenovela del "lavoro da finire" e, così, non
tira un pochino su, in vista delle elezioni Usa di medio termine, il profilo a
picco del gradimento di Bush?

Riflettiamo: gli Usa, dopo mesi di latrati diplomatici, aprono all'Iran e
addirittura al suo nucleare civile. Nello stesso momento il premier-fantoccio
Al Maliki, altro gangster della serie Chalabi, Allawi, Jaafari, Talabani,
teneramente abbracciato dal connivente di sangue D'Alema, riesce, a cinque mesi
dalle "elezioni" e dopo un tiramolla segnato dal macello senza precedenti di
sunniti, attribuiti all'antiscita virtuale Zarkawi, ma attuato dalle bande
scite di obbedienza iraniana, a nominare i titolari dei ministeri chiave:
difesa, interni e sicurezza. E Al Zarkawi viene disintegrato. Non viene il
sospetto che tra i due avvoltoi appollaiati sul corpo dell'Iraq, impegnati a
spartirselo e, intanto, a bloccare uniti i defibrillatori della Resistenza
nazionale, si è addivenuti a un accomodamento? Quanto meno temporaneo. Il gioco
stava diventando troppo scoperto (difatti in Italia l'unico ad averlo capito è
Stefano Chiarini, isolatissimo in un "manifesto" che tracima di "tagliatori di
teste". Quindi, l'eliminazione del fantasma giordano - stavolta definitiva -
non solo come depistaggio dai guai e dalle vergogne Usa, ma come sigillo sul
patto tra boia. Che bluff riuscito al poker tra naziosionisti e ayatollah, da
un lato, e i nostrani prestigiosi opinionisti e analisti in mutande,
dall'altro!



L'Al Zarkawi disvelato

Avviamoci alla conclusione lasciando nei tombini certi fallacismi, tipo Stefano
Censurati ("Radio anch'io" che riunisce personaggi all'olio di ricino come
Magdi Allam e l'ambasciatore del narcofascista Uribe di Colombia, nientemeno,
per fargli dire che il Che Guevara era anche peggio di Al Zarqawi; o tipo il
sempre puntualissimo Guido Caldiron che, nel suo spazio criptosionista su
"Liberazione", intervista - e ci vuole del fegato all'uranio - Loretta
Napoleoni. Questa ineguagliabile fantasista, oltre ad aver scritto un copione
grottesco su Al Zarkawi, con sommo disdegno di fonti minimamente attendibili,
che non ha mai incontrato, ma che tratteggia attenendosi disciplinatamente ai
contorni disegnati da Mossad e Cia, è addirittura consulente della Homeland
Security, vale a dire un arnese manovrato da quella struttura, creata dai
nazisionisti di Washington a seguito del Patriot Act, che cela sotto il logo
dell'antiterrorismo la pratiche planetarie di terrorismo di Stato e di
repressione sociale interna. Piuttosto suggeriamo ai tanti tappetini stesi
davanti alla balla cosmica dell'11 settembre e, di conseguenza, a tutta la
panoplia di truffe nazisioniste fino al botto Zarkawi (Stefano Chiarini,
almeno, si difende con qualche condizionale; non così il collega Michele
Giorgio, già firma impudica sotto un reportage totalmente fasullo su Zarka e Al
Zarkawi) di esercitare un tantino lo strumento principe dell'intelligenza
umana, la memoria. Al Zarkawi, pregiudicato comune e sottoproletario giordano
esce di galera verso la fine degli anni'90 e va in Afganistan. Le autorità
pachistane lo danno mutilato di una gamba dalle bombe Usa nel 2001, ma Colin
Powell, notoria bocca della verità, il 5 febbraio 2003 all'ONU, mentre
s'inventa le armi di distruzione di massa, risuscita anche Abu Musab, e lo
nomina fiduciario di Saddam Hussein nel rapporto fraterno con Osama bin Laden.
Quell'Osama che Saddam aveva saggiamente bollato di fantoccio integralista Usa
e che il Sudan aveva cercato nel 1996 di espellere verso gli Usa, mentre
Clinton lo aveva fatto spedire in Afghanistan! Deus ex machina dello spettacolo
allestito per criminalizzare la vincente resistenza popolare irachena, A.Z. lo
diventa nell'aprile 2004, a dispetto della sua morte ufficializzata dai media
l'anno prima in Kurdistan, sotto bombe Usa contro Ansar-al Islam. Un giovane
pacifista Usa, Nick Berg, imprigionato per due settimane dagli statunitensi,
viene rilasciato per ritrovarsi qualche giorno dopo in un video con alle spalle
un incappucciato (!) - inevitabilmente subito Al Zarkawi - che strilla delle
cose e poi gli taglia la testa. Tecnici svizzeri che esaminano la panzana
rilevano: il linguaggio e la cadenza non è quella di un arabo giordano, il
decapitato era già morto perché non una stilla di sangue esce dal taglio,
l'urlo del moribondo è di una donna, le tute gialle dei giustizieri sono quelle
di Guantanamo, sedia, pareti e altri arredi sono identici agli interni di Abu
Ghraib. Qualcuno particolarmente perspicace nota che l'oscena efferatezza ha
luogo in concomitanza con il raccapriccio mondiale per gli abomini Usa di Abu
Ghraib.

Contro i crociati o contro i palestinesi?

Per decostruire definitivamente il burattino Cia-Mossad Al Zarkawi è decisiva
l'analisi, da nessuno fatta in Italia, ma da tantissimi negli Usa e mai
smentita, degli attentati del 9/11/05 ad Amman. Tre alberghi saltano per aria,
56 morti, oltre 100 feriti, 4 kamikaze, si dice. Al Zarkawi scrive su un
sito:"Abbiamo colpito i crociati, i giudei e gli apostati (sciti)". Fine, tutti
d'accordo, sinistre comprese. E invece occorreva informarsi meglio: nessun
crociato, giudeo o apostata è stato colpito; le vittime erano, a contorno, la
folla palestino-giordana (sunnita) che celebrava un matrimonio e, piatto forte,
cinque dirigenti palestinesi dell'intelligence e della finanza e tre delegati
cinesi del Ministero della Difesa che si trovavano a colloquio segreto in una
sala; i giudei, cioè i turisti israeliani alloggiati negli alberghi furono
prelevati qualche ora prima e rispediti a casa dai servizi giordani su
imbeccata di quelli israeliani (lo ha scritto il giornale israeliano Haaretz,
lo ha confermato con orgoglio l'ex-capo dello Shin Beith); a coronamento,
nessun kamikaze, ma esplosivi collocati nei soffitti (come dimostrato dalle
immagini) e innescati con la chiusura del circuito elettrico (nei tre alberghi
venne a mancare contemporaneamente la luce). Sui dettagli di questa classica
operazione Mossad vi ho già intrattenuto in altro "Mondocane".

Sarebbe dovuto bastare questo per depurare le pagine e le orazioni della
sinistra dalle sviolinate alle messinscena del dipartimento Cia "Al Qaida". Ma
vogliamo largheggiare: il video della decapitazione apparve su un sito il cui
indirizzo è Al-ansar Net, 184 High Holborn, Londra, Regno Unito, fax 2078312310
(altri messaggi di Al Qaida erano riconducibili a un sito pornografico del
Texas); Thomas Hicks rivela sul Washington Post (10 aprile 2006) un documento
interno del quartier generale Usa in Iraq, nel quale il portavoce Generale Mark
Kimmit afferma: "Il programma Zarkawi di guerra psicologica (PSYOP) è stato ad
oggi la campagna di comunicazione di maggioe successo. Se lo dicono loro. E,
per finire, ecco le testimonianze di una delle più puntuali ed esaustive
agenzie di informazioni sulla guerra in Iraq, Mafkarat al-Islam (vedi
www.islammemo.cc). Ricordate la medievale esibizione della faccia, del tutto
integra, del cadavere Zarkawi? Ecco quanto hanno riferito sull'operazione i
residenti di Habhab (Baqubah), testimoni oculari: "I due attacchi missilistici
Usa erano tanto potenti da far tremare l' intera città. Oltre alla casa dove si
sarebbe trovato il gruppo Al Zarkawi, sono state distrutti più di 50 edifici,
fino a una distanza di 500 metri. Il fumo ha pervaso la zona per oltre 4 ore.
Abbiamo visto gli americani recuperare i corpi. Le fotografie pubblicate sui
giornali ci sembrano incredibili. I missili che avevano colpito l'obiettivo
avevano fuso perfino l'acciaio delle traverse del tetto e dei telai di porte e
finestre. Tutti i corpi estratti dalle macerie erano completamente carbonizzati
e irriconoscibili. Come è possibile che nelle foto Al Zarkawi sembri uno che è
morto nel suo letto?" E come è possibile, aggiungiamo, che nella conferenza
stampa un generale Bill Caldwell si avventuri fino a raccontarci che Abu Musab
era ancora vivo dopo l'apocalisse che ha sminuzzato 50 case e che perì solo
dopo che, ergendosi dalla barella Usa, aveva "tentato di ribellarsi"???
Facciamo mente locale: nessuno dei presunti autori dei grandi attentati (New
York, Madrid, Londra.) è stato mai preso vivo. Qualche "complice" ha confessato
in tv, dopo aver trascorso qualche tempo in posti come Abu Ghraib.

Piano, piano, potrebbe dire qualche volpe, c'è però quel video, trovato poche
settimane fa in una qualche casa, in cui un tripposo Al Zarkawi balzellon
balzelloni sembra uno di quei tontoloni che fanno i giochi di guerra nella
brughiera brianzola. Eccolo, il guerrigliero, "l'Emiro di Al Qaida nella Terra
tra i due fiumi", e non sa neanche maneggiare il mitra. Già, e anch'io ho dei
filmini di quando ero giovane e bello. Però di quelli che si potrebbero datare,
nessuno col passamontagna.