CONFEDERAZIONE COMUNISTI/E AUTORGANIZZATI
COORDINAMENTO NAZIONALE
Quando quattro mesi
fa dopo
il nostro ultimo Coordinamento Nazionale decidemmo, pur con molte
perplessità e
con la coscienza delle enormi difficoltà che avremmo incontrato,
di procedere e
di rilanciare l'esperienza da noi iniziata all'inizio del 1998 , il
quadro
politico nazionale ed internazionale era radicalmente differente
rispetto ad
oggi.
L'Italia del
capitale era appena entrata in Europa, (per usare un termine che
non mi appartiene), dopo aver dimostrato agli organismi sovranazionali
di aver
raggiunto e rispettato tutti o quasi i parametri economici sanciti dal
trattato
di Maastricht.
Il governo Prodi e
tutti i partiti che lo sostenevano - compreso il PRC -
stavano esultando e cercando di capitalizzare i risultati raggiunti
attraverso
politiche di feroce massacro delle condizioni materiali e salariali
della
classe lavoratrice e perseguendo scelte che hanno prodotto la
distruzione quasi
totale dello stato sociale.
Il governo e la
maggioranza parlamentare avevano approvato un DPEF "morbido"
che avrebbe dovuto costituire la fonte su cui costruire la legge
finanziaria
per il 1999 : una legge finanziaria di ordinaria amministrazione. Il
PRC
scalpitava, come al solito in modo parolaio, ma finiva con l'avallare
queste
scelte, così come aveva avallato irresponsabilmente tutte le
politiche
economiche degli ultimi anni, ivi comprese le ultime due Finanziarie di
circa
130 mila miliardi, che avevano contribuito di fatto a modificare i
rapporti di
classe nel nostro paese.
Insomma, a giugno
il quadro politico sembrava relativamente stabile, a parte i
soliti chiacchiericci lamentevoli e d'immagine di Rifondazione
Comunista che
minacciava di rinviare la resa dei conti alla presentazione ufficiale
della
legge finanziaria in autunno.
Oggi a distanza di
quattro mesi, il governo Prodi è stato abbattuto con una
operazione parlamentare ordita da Bertinotti e da una parte di
Rifondazione
Comunista, ispirata di fatto da D'Alema e da quella parte dei
democratici di
sinistra che vedono Prodi e Veltroni troppo distinti e autonomi dalle
esigenze
dei singoli partiti che componevano il soggetto Ulivo. Ma la crisi di
Governo e
la sua soluzione sono state rese possibili dalla disponibilità e
dalla
pressione esterna di Cossiga e dell'UDR che avevano e hanno la
necessità di
inviare segnali politici forti a tutta quell'area di ceto politico di
centro-destra che, dentro il Polo o fuori dal Polo, sente matura la
fase per
ricostruire o rifondare una nuova Democrazia Cristiana del 2.000, per
reintrodurre nel nostro paese un partito di centro moderato,
tiepidamente
liberale, fortemente liberista in economia, legato alle gerarchie della
Chiesa,
con forti addentellati nella tradizione e nella cultura cattolica. Il
populismo
straccione e televisivo di Berlusconi si è rivelato inadatto,
insufficiente,
inesperto ed eticamente non all'altezza nel rappresentare quell'area
sociale
interclassista che per decenni ha costituito il bacino elettorale della
Democrazia Cristiana. La indubbia esperienza e la
professionalità politica di
Cossiga hanno costituito il volano della gestione di questa operazione.
RIFONDAZIONE
COMUNISTA E IL PARTITO DI COSSUTTA
La decisione della
maggioranza di Rifondazione Comunista di provocare la crisi di governo
ha avuto
come conseguenza la nascita del governo D'Alema e la scissione dello
stesso
partito, con l'immediata conseguente fondazione della "nuova"
formazione politica dei comunisti di Cossutta.
I contrasti fra Cossutta e Bertinotti sono stati di natura tattica. Si
è
trattato di uno scontro di potere. Nessuno dei due protagonisti aveva
come
obiettivo la ridiscussione delle posizioni strategiche di Rifondazione
Comunista. C'è da rilevare - come ha osservato il compagno
Manisco - che esiste
un possibile nesso oscuro tra le scelte politiche di Bertinotti e del
ceto
politico arroccato attorno a lui e i risultati concreti che essi
producono, che
sarebbe interessante scoprire e disvelare.
Il partito di Bertinotti aveva fatto e continua a fare dell'immagine e
del
ricatto politicista l'elemento centrale della sua politica. Questa
pratica non
rientra nella tradizione comunista e rivoluzionaria, anzi ha una forte
analogia
con la politica di Craxi e con il craxismo.
Dopo la scontata scelta governista dell'ala cossuttiana, Rifondazione
Comunista
è avviata ormai lungo un percorso irreversibile che la sta
trasformando in un
partito di opinione radical-parolaio. Le previsioni di
irrecuperabilità di
questo partito, che la C.C.A. fece nel suo documento fondativo, si sono
dimostrate realistiche. Solo un'analisi superficiale può far
apparire il
massimalismo di Rifondazione Cominista ancora credibile.
La presenza nella realtà politica di due formazioni che si
richiamano
nominalmente al comunismo rende la situazione più confusa,
più difficile e più
complessa, ma paradossalmente rende ancor più attuale la
necessità di
accelerare il processo di costruzione di una organizzazione comunista e
rivoluzionaria non settaria, non minoritaria e non appiattita nelle
istituzioni, ma in grado di costruire strumenti di organizzazione
del
contropotere di classe e le condizioni per condurre un'offensiva contro
la
stabilità di questo potere politico.
Se noi della C.C.A. fossimo stati in grado di forzare il processo di
aggregazione e di costruzione di un nuovo soggetto comunista, forse
quanto è
accaduto nel PRC avrebbe potuto assumere svolgimenti e connotati
diversi.
Infatti la nostra organizzazione ha riscontrato non solo ostacoli
oggettivi, ma
anche soggettivi nell'applicazione di passaggi conseguenti ad
un'analisi
corretta della realtà, decisi nell'ultimo coordinamento
nazionale.
IL GOVERNO
D'ALEMA
La formazione del
Governo
presieduta da D'Alema non costituisce un passo in avanti a sinistra,
non si
tratta di un governo di sinistra d'ispirazione socialdemocratica, ma
è la
prosecuzione in senso involutivo del governo dell'Ulivo. Il programma
del
governo D'Alema è il programma della stabilità
capitalistica. Questo governo
rappresenta, in modo ancora più organico del governo Prodi, le
esigenze del
grande capitale nazionale europeo ed internazionale. E' un governo che
garantirà le politiche dettate dal FMI e dalla Banca Centrale
Europea. E' il
governo che completerà e porterà a termine il progetto di
unificazione
economica con il resto dell'Europa. E' il governo che completerà
e allargherà
il processo di privatizzazione dei principali Enti economici pubblici e
delle
banche pubbliche. E' il governo della modernizzazione capitalistica. E'
il
governo che, facendo funzionare a pieno ritmo la cinghia di
trasmissione dei
sindacati confederali, cercherà di garantire per lungo tempo la
pace sociale e
l'assenza di conflitto, facendo peggiorare ancor di più le
condizioni materiali
dei lavoratori dipendenti. E' il governo che rilancia la concertazione
ed anzi
l'allarga ad altri soggetti istituzionali. E' il Governo che si sta
accingendo
ad introdurre ulteriori limitazioni del diritto di sciopero con
l'intento di
colpire soprattutto le organizzazioni sindacali autorganizzate. Il
suggeritore
di questa iniziativa liberticida è il segretario della Cgil
Cofferati, il quale
cerca di contenere le continue fuoriuscite dalla sua organizzazione,
utilizzando metodi burocratici e repressivi.
Se si legge attentamente il programma di D'Alema, presentato al
parlamento, si
avverte come sia completamente assente qualsiasi proposta o progetto
che vada
nel senso di una maggiore giustizia sociale, non è presente
nessun messaggio,
neppure minimo, che possa far individuare un cambiamento in senso
progressista.
Al contrario contiene proposte che arretrano addirittura rispetto al
programma
dell'Ulivo e alle ultime proposte del governo Prodi, sia per quanto
riguarda il
progetto delle 35 ore, sia per quanto riguarda il finanziamento alla
scuola
privata, sia per quanto riguarda l'asserita disponibilità a
rimettere mano alla
riforme dello stato sociale in senso peggiorativo. Chi esultava per la
caduta
di Prodi e per l'andata all'opposizione di Bertinotti, è servito
col Governo
D'Alema.
Con il Governo D'Alema-Cossiga-Cossutta e con la falsa e momentanea
opposizione
di Bertinotti, che si appresta a rientrare nel gioco istituzionale ed
elettorale, il processo di normalizzazione rischia di affermarsi
stabilmente,
in assenza di (opposizione sociale) che ne ostacoli la realizzazione.
Il
capitale finanziario e industriale ha imposto ovunque la sua scelta sul
piano
politico e istituzionale : Quella che si definisce "sinistra europea
moderata" è il tramite cosciente e organizzato delle
volontà e delle
esigenze del capitale internazionale.
In Italia e in Europa la concertazione neo-corporativa rischia di
funzionare regolarmente
e di stabilizzarsi in assenza di soggetti politici e sindacali che
rifiutano e
combattono l'accettazione dei parametri economici, politici ed
istituzionali
imposti dagli accordi di Maastricht. Ecco perché rimane
fondamentale per il
nostro progetto l'attuazione di quanto indicato nel documento fondativo
: vale
a dire la costruzione e il rafforzamento in tutti i luoghi di lavoro
dello Slai
Cobas, strumento fondamentale per procedere verso la costruzione del
sindacato
di classe. Ma se l'autorganizzazione non si collocherà
politicamente, se non
avrà una sponda politica rischierà di rimanere subalterna
alle iniziative
altrui
Essendo questi gli elementi centrali che determinano l'attuale
situazione, ora
vediamo di fare il punto sulla nostra esperienza trascorsa e sulle
prospettive
che si delineano.
Il dibattito in corso nella C.C.A. si è polarizzato attorno ad
una questione :
la Confederazione è la forma storica attuale dell'organizzazione
rivoluzionaria
o è invece una prima tappa del processo di ricostruzione del
partito comunista
? La Confederazione è essa stessa il partito oppure il partito
dovrà superare
la forma confederativa per assumere caratteristiche di maggiore sintesi
politica, teorica ed organizzativa ? Io credo che la seconda sia
l'ipotesi
di cui si dovrà verificare la praticabilità.
Certo, la soluzione a questi interrogativi non è semplice
perché in
un'esperienza rivoluzionaria che ha attraversato decenni e coinvolto
parecchie
centinaia di milioni di uomini e donne ciascuno può trovare
argomenti da
portare a sostegno della propria tesi.
D'altra parte, però, qui non si tratta di fare speculazioni
filosofiche a
partire dalle idee più o meno brillanti di questo o quest'altro,
né di
richiamarsi in modo dogmatico - e quindi antidialettico - ai classici
del
marxismo, bensì di confrontarsi appunto con l'esperienza
storica, con ciò che è
effettivamente avvenuto, per quanto contraddittorio possa essere, e da
questo
confronto trarre gli insegnamenti utili per l'oggi. Non solo, nel
nostro
caso specifico, dobbiamo fare i conti anche con le soggettività
e con le forze
reali su cui possiamo puntare, prima di decidere se dare seguito o meno
alla
nostra esperienza. La costruzione di un partito non può basarsi
sul puro
volontarismo, anche se è necessaria una forte dose di
soggettività.
Nel processo di costruzione di una nuova organizzazione
rivoluzionaria, già
nella fase iniziale, occorrerà attivare tutti i meccanismi che
impediscano la
nascita dei germi del burocratismo.
LA
CONFEDERAZIONE COME FORMA PARTITO
I sostenitori della
Confederazione come forma partito adeguata alla fase storica attuale
partono
dalla negazione della necessità della ricostruzione del partito
assumendo la
tesi della "crisi generale della forma partito storicamente
determinatasi
nell'ultimo dopoguerra in Europa".
Sarebbe comunque necessario, per fissare meglio i termini della
questione,
precisare se la crisi della forma partito si riferisce ai partiti
borghesi, ai
partiti riformisti o a quelli rivoluzionari.
Questo non significa negare anche l'inadeguatezza delle organizzazioni
rivoluzionarie rispetto ai compiti storici che avrebbero dovuto
assolvere, ma
semplicemente portare elementi di chiarificazione nel dibattito,
poiché
altrimenti alcune formulazioni "tranchant", che in certi casi vengono
usate nel dibattito in corso, rischiano di confondere e di essere
interpretate
come liquidatorie in assoluto, rispetto alla necessità di
costruzione di
qualsiasi partito, anche quello comunista e rivoluzionario.
Nel nostro confronto politico e teorico rischiamo spesso di
sottovalutare le
esperienze delle organizzazioni rivoluzionarie degli anni 70.
Ma mettere tra parentesi quegli anni porta inevitabilmente a credere
che nel
solco del comunismo rivoluzionario novecentesco ci stia solo il PCI, il
PRC e
non anche quelle organizzazioni che, con tutti i loro limiti e gli
errori
talvolta tragici, hanno espresso in modo reale la volontà
dell'abbattimento del
capitalismo.
Così come la vittoria dell'Ottobre si fondava dialetticamente
sulla sconfitta
della rivoluzione del 1905, così come la Resistenza Antifascista
si fondava
dialetticamente sulla clandestinità del ventennio, allo stesso
modo la
rinascita del movimento comunista rivoluzionario in questo paese deve
fare i
conti anche con la sconfitta degli anni '70 e non solo con il
riformismo
berlingueriano o bertinottiano.
Occorre ricordare che il movimento operaio nel dopoguerra in Italia e
in Europa
è stato egemonizzato sostanzialmente da partiti riformisti, i
quali, avendo
assunto di fattto il capitalismo come orizzonte storico, non avevano la
benchè
minima intenzione di costruire organizzazione rivoluzionaria e hanno
invece
costruito modelli di rappresentanza politica nel blocco sociale
destinati alla
mediazione e alla ricomposizione del conflitto di classe sul terreno
istituzionale.
In Italia a questo modello, teorizzato da Togliatti "come partito
nuovo", si sono conformate tutte le organizzazioni riformiste del
dopoguerra, dal PCI al PRC. Questo modello è stato - e continua
ad essere - uno
degli ostacoli principali alla costruzione di un movimento comunista
rivoluzionario.
Questo modello di partito riformista è entrato in crisi e
ciò contribuisce a
far superare l'illusione, secondo cui le riforme si ottengono con la
mediazione
istituzionale e non con il conflitto sociale. Come si diceva : le
riforme sono
una cosa troppo seria per lasciarle ai riformisti.
Tuttavia nel nostro contesto il problema con il quale ci dobbiamo
confrontare
non è soltanto quello se i partiti riformisti siano o meno
entrati in crisi, ma
quello se il partito comunista così come esso si è
appunto "storicamente
determinato", quello che ha guidato le rivoluzioni vere, non virtuali e
soprattutto vincenti, sia o meno "storicamente" superato oppure se
esso, come io credo, è ancora necessario per assolvere il
compito di abbattere
lo stato borghese e per la costruzione della società comunista.
Le politiche riformiste proposte da partiti come Rifondazione Comunista
non
possono avere alcuna rispondenza in questa fase, anche perché le
riforme sono
state storicamente uno dei risultati del conflitto sociale e di classe,
all'interno di un quadro nazionale ed internazionale che oggi non
esiste più.
Non è detto che non sia possibile guadagnare parziali risultati
sul terreno del
salario, dell'orario, dell'occupazione, dei diritti, dello stato
sociale
all'interno di strutture capitalistiche e borghesi, ma il tutto
è strettamente
subordinato ad una politica di rottura rivoluzionaria con il potere
della
borghesia. Per questo, a mio avviso, sono più accreditati a
parlare di riforme
i rivoluzionari che non i riformisti.
Sarebbe un errore credere che la crisi e il progressivo peggioramento
delle
condizioni di vita, di per sé possano condurre ad una
mobilitazione
rivoluzionaria delle masse. Ma sarebbe un errore altrettanto e
più grave se i
comunisti non cogliessero l'aspetto principale della fase che non
è solo la
"crisi ideologica del riformismo", ma la "crisi economica del
capitalismo" e l'accentuarsi delle contraddizioni dei poli imperialisti.
Certamente è vero che la riduzione di spazi per le riforme che
la crisi produce
tende a ridurre gli spazi di mediazione sociale ed istituzionale, ma
non è
automatico che ogni rivendicazione economica o sociale diventi un fatto
politico.
Già Lenin all'inizio del secolo aveva chiarito che la semplice
"lotta
economica contro i padroni e il governo" ha una chiara matrice
economicista e che l'economicismo conduce invariabilmente ad una
ideologia
borghese. E' l'obiettivo strategico dell'abbattimento del capitalismo e
la creazione
degli strumenti idonei a perseguire questi obiettivi che definiscono un
partito
in senso comunista e rivoluzionario.
In futuro dovremo saper distinguere il livello dell'organizzazione
politica dal
livello delle alleanze, mettendo al bando pregiudizi di carattere
ideologico e
dispute settarie che producono come unico certo risultato la
perpetuazione
degli errori, l'estraneità dagli interessi dei settori sociali
che si vogliono
rappresentare e l'inefficacia dell'azione politica.
Non si
può più pensare ad
un luogo politico dove convivono concezioni diametralmente opposte o
dove si
facciano prevalere le origini di provenienza. L'idea dell'aggregazione,
come
fase transitoria verso la costruzione del partito, è corretta,
ma deve fondarsi
sulla condivisione delle questioni di principio e sul dissolvimento
progressivo
delle strutture preesistenti.
E' inutile stare insieme oggi per dividersi domani. Meglio restare
divisi e
stabilire forti legami nelle lotte, nella mobilitazione e nella
reciproca
solidarietà.
Certo, come noi
sosteniamo
nel documento fondativo della C.C.A., il cui impianto non solo è
tuttora valido
ma deve costituire la base da cui ripartire, non esiste un pensiero
unico
comunista, forse non è mai esistito. Questo è un fattore
positivo. Ma ciò non
toglie che ogni organizzazione rivoluzionaria in ogni parte della
terra, in
ogni fase storica, si sia organizzata prima o poi in Partito e non in
Confederazione. Questo è chiaro.
In ogni epoca storica i comunisti hanno sperimentato forme di
organizzazione
adatte ai compiti che avevano di fronte e anche noi dobbiamo fare
altrettanto,
senza innamorarci delle esperienze del passato dalle quali dobbiamo
trarre gli
insegnamenti utili ai compiti che oggi abbiamo di fronte.
La forma partito delle organizzazioni rivoluzionarie del '900, e in
special
modo di quelle che hanno avuto la fortuna di guidare vittoriosamente il
proletariato, è stata abbastanza simile sia nella struttura
organizzativa, sia
nel metodo. In realtà la diversificazione si è avuta
principalmente nelle
modalità di sviluppo del processo che ha condotto alla
formazione dei vari
partiti comunisti.
In Russia il partito marxista, il POSDR, è nato su base
concettuale molto
simile ad una confederazione di gruppi, riviste, militanti. Il PCd'I
è nato in
modo scissionistico dal PSI. Il partito comunista cinese è nato
da un
piccolissimo gruppo di militanti e si è allargato nel corso
degli anni
attraverso un'opera di intervento nelle realtà di massa.
Alcune di queste opzioni sono ancora di fronte a noi.
Se pensassimo ad esempio di costruire una organizzazione rivoluzionaria
a
partire dalla scissione da un partito riformista, come Marco Ferrando,
dovremmo
restare o tornare in Rifondazione Comunista.
Se invece pensiamo che lo stato di profonda disgregazione politica (dei
comunisti)
e sociale (del proletariato) necessiti innanzitutto di una fase di
aggregazione
all'interno di una struttura dove sviluppare un forte dibattito di
carattere
politico e teorico, avendo immediatamente la possibilità di
essere un soggetto
politico dotato di iniziativa di massa, presente nelle grandi fabbriche
del
paese e dotato di relazioni ed alleanze politiche con settori esterni,
basato
sulla comune condivisione di un impianto generale di carattere politico
e
teorico, allora possiamo continuare sulla strada intrapresa,
purché la
precisazione dei caratteri politici, organizzativi, programmatici e
teorici non
resti un desiderio, ma diventi la pratica quotidiana
dell'organizzazione, senza
forzature eccessive, ma anche con la chiara consapevolezza degli
obiettivi
strategici e di fase.
Detto questo, noi oggi non siamo in una condizione né
rivoluzionaria, né
pre-rivoluzionaria. Esistono molte contraddizioni, esistono segnali
anche
importanti, ma il livello di soggettività espresso dal movimento
comunista è
ancora largamente insufficiente.
I comunisti sono divisi, frammentati, spesso auto-referenziali,
settari.
Insomma la situazione non è rosea.
Ed è proprio per questo che un anno fa abbiamo pensato di
organizzarci su base
confederativa, rigettando la formula dei cosiddetti "intergruppi".
Abbiamo ritenuto che in quella fase vi fossero le condizioni
affinché alcune
esperienze politiche potessero, pur nelle loro differenze, confrontarsi
all'interno di un'ipotesi politco-organizzativa basata su alcuni
elementi di
fondo e di principio.Il risultato possiamo dirlo è quello di un
fallimento.
Ma non è sufficiente constatare il fallimento se non se ne
indagano le
motivazioni.
Dobbiamo fare un bilancio serio ed approfondito di questa esperienza
per trarne
i giusti insegnamenti. Noi non dobbiamo mettere la testa sotto la
sabbia come
fanno tutti quei gruppi e gruppetti che vedono un po' tutto, eccetto la
loro
assoluta autoreferenzialità e marginalità.
Se la C.C.A. non è riuscita a fare il salto di qualità
auspicato è perché
paradossalmente è stata vissuta ed ha funzionato come un insieme
di piccoli
partiti che non come una vera confederazione. Ma questo può
essere anche
compreso: non si getta alle spalle da un giorno all'altro una cultura
politica
ed un metodo di lavoro. Non basta neanche la buona volontà, ci
vuole tempo per
vedere una effettiva trasformazione, che evidentemente è tanto
più difficile
quanto più lungo e sedimentato è il percorso politico.
Quello che si è visto chiaramente in questi mesi – ed è
un'autocritica, ma non
solo – è che, senza un gruppo operativo efficiente e tempestivo,
senza propri
organi di propaganda, abbiamo avuto in alcune circostanze una
capacità di
mobilitazione e di iniziativa politica inadeguate. Non sono state solo
le
difficoltà oggettive a paralizzarci, ma anche una sorta di
nostro senso di
inferiorità che alcuni di noi hanno interiorizzato.
Così, come è stato fino ad oggi, non funziona un partito,
ma neanche la più
sconclusionata delle organizzazioni.
Le continue defezioni dei promotori, le dichiarazioni di pubblica
dissociazione
da parte di responsabili nazionali, l'insufficienza di direzione
politica,
hanno portato la C.C.A. alla paralisi attuale.
In un anno non abbiamo fatto un passo avanti, anzi ne abbiamo fatto
qualcuno
indietro, sul terreno della maggiore omogeneità politica,
ideologica,
organizzativa ed anche delle relazioni personali.
Se dovessimo giudicare il modello confederativo sulla base della sua
concreta
realizzazione, come si dovrebbe in larga parte fare, dovremmo
concludere che
l'idea stessa della confederazione è un vero e proprio abbaglio,
dal quale
congedarsi nel minor tempo possibile.
Eppure quali
sono le
alternative? Anzi vi sono alternative?
L'accelerazione
immediata
verso il partito sarebbe un grave errore. Non ci sono le condizioni
necessarie
e le auto-proclamazioni, come detto il 7 febbraio, sono sempre
sbagliate e si
ritorcono contro chi le enuncia. Io ritengo che l'attuale livello di
aggregazioni debba essere una tappa verso la ricostruzione del partito
comunista.
Se al termine di questi lavori, si valuterà che esistono forze,
volontà e
condizioni per procedere, occorrerà darsi una impostazione, la
più largamente
condivisa, dal punto di vista ideologico e politico; un programma
adeguato alla
fase e alle forze che siamo in grado di esprimere, basato su un'analisi
approfondita della crisi capitalistica e delle forze soggettive che
esprime
attualmente il movimento operaio e quello comunista.
Occorreranno una maggiore e migliore definizione dei termini politici
ed organizzativi;
e si dovrà costituire un gruppo dirigente, efficiente e
autorevole. Si renderà
necessaria una precisazione nelle relazioni politiche con altri
percorsi; un
maggior radicamento nelle fabbriche, nei luoghi di lavoro in genere, e
nei
luoghi di studio.
La volontà è utile, il volontarismo no, se queste
condizioni, alcune delle
quali sono parzialmente presenti, non si sviluppano e non si
riunificano in un
percorso politico, il partito resterà una speranza o sarà
una semplice
auto-proclamazione.
La pura testimonianza politica in un piccolo gruppo può servire
per altri scopi
e per salvarsi la coscienza, ma non certo per costruire un'ipotesi di
trasformazione rivoluzionaria della società.
A questo punto non restano che due strade, entrambe legittime e
rispettabili :
La prima è la chiusura dell'esperienza politica della C.C.A. e
la dispersione
delle forze e delle strutture che ha sin qui, seppure
contraddittoriamente,
aggregato.
La seconda, ed è la strada che io propongo, è quella
della "costruzione si
un soggetto politico comunista che dall'opposizione, in forma organica
avanzi
un progetto per il superamento del sistema capitalistico", così
era
scritto nel documento sottoscritto da molti compagni/e un anno fa.
Sono convinto che nel nostro paese ci siano gli spazi sociali e
politici per
lavorare in tal senso. Se così è, emerge un nodo finora
eluso, vale a dire
quello del partito, delle tappe, delle fasi, certo non lineari della
sua
costruzione, a mio avviso è necessari aprire una discussione in
tal senso, evitando
l'errore di considerare inattuale in questa fase lo strumento -
soggetto
partito. Sono consapevole che un partito comunista non si fonda
autoproclamandolo scambiando i propri desideri con la realtà, ma
è altrettanto
vero che è ormai necessario riflettere e lavorare per indicare
il percorso
verso cui si vuole tendere ; definendo un programma di fase.
Ritengo, quindi, sia necessario che fin da ora il coordinamento
nazionale,
avvii la fase di tesseramento individuale alla Confederazione.
Abbiamo la
necessità di conoscere, capire le forze di cui disponiamo, quale
è il quadro
militante dell'organizzazione. Penso al tesseramento non come fatto
burocratico, ma come occasione di costruzione nei luoghi di lavoro e
sul
territorio dei comitati di base formati da militanti e da
quadri.
Occorre infine
che si
lavori da oggi per costruire una scadenza congressuale entro il 1999,
sulla
base di un nuovo documento politico (tesi) sottoposto alla discussione
dei
comitati di base.
Questo documento
dovrà
precisare e sviluppare alcuni punti già contenuti nel documento
fondativo della
CCA : la centralità proletaria con i suoi processi di
scomposizione e
ricomposizione ; la ricostruzione di un blocco sociale anticapitalista
;
l'emergere delle contraddizioni intercapitalistiche a livello mondiale
come
conseguenza della unificazione monetaria europea ed infine la
definizione delle
modalità di costruzione di un soggetto politico comunista che
superando
l'ipotesi confederativa si ponga l'obiettivo di dar vita ad una
organizzazione
comunista. Insieme a tale documento andrà presentato alla
discussione dei
compagni in previsione di tale scadenza congressuale anche un regolamento
organizzativo, che rappresenti un insieme di regole circa
l'adesione, la
formazione di gruppi dirigenti e la loro verifica politica, in sostanza
una
bozza di statuto che regoli la vita democratica interna
dell'organizzazione
nella sua fase di transizione.
Compagni gli obiettivi che con molta difficoltà e senso di
responsabilità sto
proponendo, sono ovviamente subordinati alla verifica concreta
di
disponibilità da parte di compagni che fin ora sono stati dentro
il nostro
percorso, ma anche di compagni che sono stati fino ad oggi un po'
defilati ,
per motivi di varia natura. La fase che a precise condizioni e con
molta
cautela si dovrà avviare dovrà prevedere anche i seguenti
passaggi e
scadenze :
A) Il lancio
immediato di una campagna
nazionale e di una mobilitazione
contro i tentativi autoritari del Governo D'Alema - Treu di restringere
ulteriormente
gli spazi di libertà di sciopero e sindacale, modificando in
senso restrittivo
la legge 146/90. L'iniziativa del Governo e della Confindustria tende
di fatto
a colpire la libertà d'iniziativa e d'organizzazione del
sindacalismo
autorganizzato ed anche di quello extra confederale.
B) L'organizzazione
di
un'assemblea nazionale da tenersi entro la fine di febbraio del
1999 a
Milano, con la quale si rilanci il progetto oggi precisato e si
ridefinisca la
nostra posizione politica. Tale scadenza dovrà essere preparata
attraverso
l'organizzazione di riunioni - assemblee regionali e con la stesura di
un
manifesto e di un volantone che sintetizzino le ragioni del rilancio
politico e
dell'assemblea nazionale. In questo periodo andrà avviato anche
un percorso politico
con altre forze interessate a porsi su questo terreno. (es. Rete dei
Comunisti
e Forum).
C) L'impostazione
di una campagna politica di propaganda e mobilitazione contro il
trattato di
Maastricht e per la sua abrogazione. A conclusione di questa campagna
si dovrà
prevedere l'organizzazione di un Convegno-Seminario sulle conseguenze
politiche
ed economiche risultanti dall'applicazione del trattato di Maastricht e
dall'introduzione della moneta unica europea.
D) L'adesione
alla
campagna per la liberazione dei prigionieri politici di sinistra degli
anni 70
e 80.
E) L'individuazione,
con modalità che dovremo decidere di un gruppo dirigente
operativo
a livello nazionale, che al suo interno indichi uno o due coordinatori
e che
proceda all'attribuzione di precisi incarichi di lavoro con conseguenti
piene
responsabilità.
Questo organismo si
assumerà
anche il compito di preparare un foglio d'informazione e propaganda con
cadenza
almeno bimestrale.
Insisto sul carattere nazionale della nostra iniziativa,
perché
soluzioni pasticciate con caratteristiche localistiche risulterebbero
inadeguate rispetto alle condizioni oggettive e soprattutto ininfluenti
ed
inefficaci rispetto ai compiti che vogliamo assolvere.
E' con grande pudore e coscienza dei limiti e delle
difficoltà
che mi sono azzardato a fare queste proposte, ma forse, per non perdere
un'occasione storica, varrebbe la pena di cominciare e di tentare.