Perché questo convegno di riflessione e testimonianza sui
crimini fascisti e la Resistenza?
Perché abbiamo la necessità e sentiamo il dovere
morale e culturale di affermare la verità storica e la
conoscenza della storia senza manipolazioni, ribaltamenti,
sconvolgimenti e strumentalizzazioni . Tutto ciò in un
periodo
storico in cui è in atto una subdola, strisciante,
superficiale
e strumentale operazione di revisione delle principali vicende del
‘900.
Si cerca di annullare “un passato che la memoria non può, non
deve cancellare” (Giustolisi)… e per dirla con Asor Rosa “Avanza in
Italia una nuova forma di pensiero fascista che tende a ricollegarsi
all’esperienza storica passata e a giustificarla, a raddrizzarla, a
rimetterla sul piedistallo da cui era caduta; la manovra a tenaglia
fra
operazione politica ed operazione intellettuale è di giorno
in
giorno sempre più evidente. E siamo appena all’inizio…”
In particolare i teorici del revisionismo storico italiani ed
europei
tendono ad offuscare e denigrare il valore della lotta antifascista
e
della Resistenza in generale.
Vogliono infangare e mistificare il valore ed il ruolo dei
partigiani
comunisti e non solo nella lotta antifascista ed antinazista,
cercando
di ridurre questa vicenda complessa ad episodi di vendetta personali
e
marginali. Decontestualizzandoli dal contesto storico in cui sono
avvenuti.
Il revisionismo storico è basato sulla manipolazione e
sulla falsificazione.
Ha la pretesa di mettere sullo stesso piano coloro che hanno
asservito
il paese ad una potenza straniera (i repubblichini fascisti) e
coloro
che invece hanno svolto un ruolo decisivo ed insostituibile per
liberarlo (partigiani e classe operaia), coloro che hanno
perseguitato,
torturato ed ucciso con coloro che sono stati perseguitati,
torturati
ed uccisi.
Spesso si enfatizzano episodi del tutto marginali per sottolineare
la
reazione dei resistenti, senza inquadrare gli stessi episodi nel
clima
di oppressione del periodo fascista e di tragedia della seconda
guerra
mondiale.
Spesso il revisionismo finisce per sconfinare nel “negazionismo”.
Il più delle volte queste operazioni di “revisionare la
storia”
senza conoscerla o stravolgendola sono compiute non da storici o
ricercatori rigorosi, ma da revisionisti da strapazzo, voltagabbana
e
apprendisti stregoni che trattano le vicende storiche in modo
cronachistico e con un occhio rivolto alla strumentalizzazione
politica.
Questi personaggi trovano spesso il plauso dei neo-fascisti e della
destra radicale, nei moderati e, a volte, la comprensione di alcuni
sedicenti democratici, magari di sinistra, o di pseudo-comunisti che
pur di sbarazzarsi “del loro passato” e di perseguire operazioni
politiche di alleanze di piccolo cabotaggio non esitano a rovesciare
l’oggettività storica, avallando ed interloquendo con un
pressapochismo storico che contraddistingue queste campagne
mediatiche.
Con queste si tenta si distribuire truffaldinamente le
responsabilità storiche da una parte e dall’altra, o di
ribaltarle.
Si ricorda con insistenza e senza pudore il “sangue dei vinti”, ma
si
dimentica con scaltrezza quello delle vittime dei vinti.
Ad esempio si ricordano le foibe, o le ritorsioni effettuate contro
i
fascisti e sui loro collaborazionisti subito dopo la liberazione, ma
si
dimentica scientemente l’aggressione fascista della Jugoslavia ed il
processo di snazionalizzazione violenta delle popolazioni slave sul
confine orientale.
Si ignorano i 15-20mila civili uccisi a sangue freddo tra il 1943 e
il
1945 dai fascisti della Repubblica di Salò e dai nazisti
(ricordiamo solo le stragi più note: Marzabotto, Sant’Anna di
Stazzema, Fossoli, Fivizzano, Boves, Fosse Ardeatine e così
via).
Non si sente mai parlare dei campi di concentramento approntati dai
fascisti come quello di Gonars in Friuli dove furono internati 4000
persone tra sloveni e croati e che solo alcuni storici in questi
ultimi
anni hanno faticosamente cercato di portare alla luce.
Non ci si ricorda quasi mai dei 700mila militari italiani internati
nei
campi di concentramento tedeschi, perché dopo il 25 luglio e
l’8
settembre si rifiutarono di combattere accanto ai nazifascisti.
Ormai si cerca senza più ritegno di rappresentare Mussolini
come
un bonaccione mal consigliato e buon padre di famiglia vittima della
violenza partigiana perché giustiziato e appeso a testa in
giù a piazzale Loreto a Milano.
Ma non si dice mai una parola per i 15 civili prelevati a Milano dal
carcere di San Vittore e fucilati per rappresaglia da un plotone di
repubblichini comandati da un ufficiale delle SS. Il fatto avvenne
nell’agosto 1944 sempre in piazzale Loreto. Fu proprio per questo
che
fu scelto questo luogo per esporre il cadavere del dittatore.
Che cosa si fa oggi per tenere viva la memoria su questi episodi?
Che
cosa apprendono i giovani nelle scuole sulla politica di aggressione
coloniale e sulle violenze perpetrate in Africa orientale
dall’esercito
italiano comandato dal generale Graziani? Quasi nulla o pochissimo.
Il
tutto è lasciato alla buona volontà di qualche
coraggioso
insegnante.
La vulgata storica e la cultura generale, che spesso nasconde
l’analfabetismo degli alfabeti come diceva lo storico liberale Luigi
Salvatorelli, al massimo ci ha tramandato canzoncine come
‘faccetta nera’, quasi a far risaltare il carattere placido e
civilizzatore dell’esercito fascista. Mentre lì ci sono stati
migliaia di morti a causa dell’uso indiscriminato di gas e violenze
sulla popolazione indigena, come hanno confermato recenti ricerche
storiche.
Anche questo è un altro esempio di ribaltamento della storia
e
di responsabilità delle tragedie.
Ecco perché è fondamentale mantenere viva la memoria
storica ed opporsi all’oblio, anche se oggi, certamente, il pericolo
fascista non è dietro la porta nonostante avvengano sempre
più diffusi e preoccupanti episodi e rigurgiti fascisti ad
opera
di gruppuscoli della destra radicale.
Ma il vero pericolo non proviene da loro, ma dall’uso politico che
alcuni partiti della borghesia fanno di questi gruppi e di certi
personaggi a loro legati, favoriti dall’incultura della nuova destra
e
dal vuoto culturale di certa sinistra.
Si parla continuamente, molte volte a sproposito, di perdono e di
riconciliazione nazionale tra fascisti ed antifascisti. Ma quale
perdono e riconciliazione si pretende di realizzare?
Come sostengono alcuni ricercatori, questa soluzione sarebbe stata
possibile, forse, solo in presenza di una profonda e radicale
“operazione verità”, con la quale i responsabili di omicidi,
violenze, torture, persecuzioni, nonché dell’aver trascinato
in
guerra il proprio paese, avessero riconosciuto le loro
responsabilità storiche, politiche e personali.
Ciò è avvenuto, per esempio nel Sudafrica di Mandela
contro i responsabili dell’Apartheid, ma immediatamente dopo la fine
del regime basato sulla segregazione razziale.
Nel nostro paese tutto ciò non è accaduto e giustizia
non
fu fatta, perché vi fu prima, nel 1947, una sorta di “veto di
stato” che impedì il perseguimento della verità sulle
responsabilità dei crimini fascisti e poi, nel 1948,
un’amnistia
che liberò, senza che avessero pagato penalmente, alcuni
mandanti od esecutori degli eccidi di cui parlavamo prima.
I documenti che avrebbero inchiodato, ed inchiodano, migliaia di
nazisti e fascisti responsabili delle stragi più efferate
sono
stati deliberatamente “dimenticati” e “nascosti” per 50 anni in un
armadio della procura generale militare di Roma (il famoso armadio
della vergogna).
Solo nel 1994 sono stati scoperti casualmente, ma ormai era un po’
troppo tardi.
Pochissimi hanno dato risalto alla scoperta dell’armadio della
vergogna, dopo che per oltre 50 anni la verità era stata
occultata negando la possibilità di individuare le
responsabilità primarie. Le vittime sono state uccise due
volte.
Noi oggi siamo qui perché, parafrasando Herbert Marcuse,
“vogliamo ricordare il passato poiché ciò può
dare
origine ad intuizioni pericolose e la società “stabilita”
sembra
temere i contenuti sovversivi della memoria”.
Noi oggi siamo qui, come altre volte, non a commemorare o a
testimoniare qualcosa che non ha più legami con la nostra
realtà, ma siamo qui per far capire l’attualità ed il
valore strategico della resistenza antifascista. Essa è stata
non solo rivolta contro l’oppressione dittatoriale, ma anche
battaglia
per costruire una società libera, giusta, democratica e senza
più sfruttati e sfruttatori. Una battaglia che non si
è
ancora conclusa e che rende più che mai valida nel nostro
paese,
ma anche in Palestina, Irak, America Latina ed in altre parti del
mondo
la parola d’ordine ORA E SEMPRE RESISTENZA.