homepage antifascismo-memoria
rifiuti della storia foibe
contro il revisionismo storico

links FOIBE
links ANTIFA

CONVEGNO-SEMINARIO CRIMINI DEL FASCISMO  E RESISTENZA ANTIFASCISTA
Crema, 21 novembre 2006

torna all'indice del Convegno


INTRODUZIONE
Giorgio Riboldi

Perché questo convegno di riflessione e testimonianza sui crimini fascisti e la Resistenza?
Perché abbiamo la necessità e  sentiamo il dovere morale e culturale di affermare la verità storica e la conoscenza della storia senza manipolazioni, ribaltamenti, sconvolgimenti e strumentalizzazioni . Tutto ciò in un periodo storico in cui è in atto una subdola, strisciante, superficiale e strumentale operazione di revisione delle principali vicende del ‘900.
Si cerca di annullare “un passato che la memoria non può, non deve cancellare” (Giustolisi)… e per dirla con Asor Rosa “Avanza in Italia una nuova forma di pensiero fascista che tende a ricollegarsi all’esperienza storica passata e a giustificarla, a raddrizzarla, a rimetterla sul piedistallo da cui era caduta; la manovra a tenaglia fra operazione politica ed operazione intellettuale è di giorno in giorno sempre più evidente. E siamo appena all’inizio…”
In particolare i teorici del revisionismo storico italiani ed europei tendono ad offuscare e denigrare il valore della lotta antifascista e della Resistenza in generale.
Vogliono infangare e mistificare il valore ed il ruolo dei partigiani comunisti e non solo nella lotta antifascista ed antinazista, cercando di ridurre questa vicenda complessa ad episodi di vendetta personali e marginali. Decontestualizzandoli dal contesto storico in cui sono avvenuti.
Il revisionismo storico è basato sulla manipolazione e sulla  falsificazione.
Ha la pretesa di mettere sullo stesso piano coloro che hanno asservito il paese ad una potenza straniera (i repubblichini fascisti) e coloro che invece hanno svolto un ruolo decisivo ed insostituibile per liberarlo (partigiani e classe operaia), coloro che hanno perseguitato, torturato ed ucciso con coloro che sono stati perseguitati, torturati ed uccisi.
Spesso si enfatizzano episodi del tutto marginali per sottolineare la reazione dei resistenti, senza inquadrare gli stessi episodi nel clima di oppressione del periodo fascista e di tragedia della seconda guerra mondiale.
Spesso il revisionismo finisce per sconfinare nel “negazionismo”.
Il più delle volte queste operazioni di “revisionare la storia” senza conoscerla o stravolgendola sono compiute non da storici o ricercatori rigorosi, ma da revisionisti da strapazzo, voltagabbana e apprendisti stregoni che trattano le vicende storiche in modo cronachistico e con un occhio rivolto  alla strumentalizzazione politica.
Questi personaggi trovano spesso il plauso dei neo-fascisti e della destra radicale, nei moderati e, a volte, la comprensione di alcuni sedicenti democratici, magari di sinistra, o di pseudo-comunisti che pur di sbarazzarsi “del loro passato” e di perseguire operazioni politiche di alleanze di piccolo cabotaggio non esitano a rovesciare l’oggettività storica, avallando ed interloquendo con un pressapochismo storico che contraddistingue queste campagne mediatiche.
Con queste si tenta si distribuire truffaldinamente le responsabilità storiche da una parte e dall’altra, o di ribaltarle.
Si ricorda con insistenza e senza pudore il “sangue dei vinti”, ma si dimentica con scaltrezza quello delle vittime dei vinti.
Ad esempio si ricordano le foibe, o le ritorsioni effettuate contro i fascisti e sui loro collaborazionisti subito dopo la liberazione, ma si dimentica scientemente l’aggressione fascista della Jugoslavia ed il processo di snazionalizzazione violenta delle popolazioni slave sul confine orientale.
Si ignorano i 15-20mila civili uccisi a sangue freddo tra il 1943 e il 1945 dai fascisti della Repubblica di Salò e dai nazisti (ricordiamo solo le stragi più note: Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Fossoli, Fivizzano, Boves, Fosse Ardeatine e così via).
Non si sente mai parlare dei campi di concentramento approntati dai fascisti come quello di Gonars in Friuli dove furono internati 4000 persone tra sloveni e croati e che solo alcuni storici in questi ultimi anni hanno faticosamente cercato di portare alla luce.
Non ci si ricorda quasi mai dei 700mila militari italiani internati nei campi di concentramento tedeschi, perché dopo il 25 luglio e l’8 settembre si rifiutarono di combattere accanto ai nazifascisti.
Ormai si cerca senza più ritegno di rappresentare Mussolini come un bonaccione mal consigliato e buon padre di famiglia vittima della violenza partigiana perché giustiziato e appeso a testa in giù a piazzale Loreto a Milano.
Ma non si dice mai una parola per i 15 civili prelevati a Milano dal carcere di San Vittore e fucilati per rappresaglia da un plotone di repubblichini comandati da un ufficiale delle SS. Il fatto avvenne nell’agosto 1944 sempre in piazzale Loreto. Fu proprio per questo che fu scelto questo luogo per esporre il cadavere del dittatore.
Che cosa si fa oggi per tenere viva la memoria su questi episodi? Che cosa apprendono i giovani nelle scuole sulla politica di aggressione coloniale e sulle violenze perpetrate in Africa orientale dall’esercito italiano comandato dal generale Graziani? Quasi nulla o pochissimo. Il tutto è lasciato alla buona volontà di qualche coraggioso insegnante.
La vulgata storica e la cultura generale, che spesso nasconde l’analfabetismo degli alfabeti come diceva lo storico liberale Luigi Salvatorelli, al massimo ci ha tramandato canzoncine come  ‘faccetta nera’, quasi a far risaltare il carattere placido e civilizzatore dell’esercito fascista. Mentre lì ci sono stati migliaia di morti a causa dell’uso indiscriminato di gas e violenze sulla popolazione indigena, come hanno confermato recenti ricerche storiche.
Anche questo è un altro esempio di ribaltamento della storia e di responsabilità delle tragedie.
Ecco perché è fondamentale mantenere viva la memoria storica ed opporsi all’oblio, anche se oggi, certamente, il pericolo fascista non è dietro la porta nonostante avvengano sempre più diffusi e preoccupanti episodi e rigurgiti fascisti ad opera di gruppuscoli della destra radicale.
Ma il vero pericolo non proviene da loro, ma dall’uso politico che alcuni partiti della borghesia fanno di questi gruppi e di certi personaggi a loro legati, favoriti dall’incultura della nuova destra e dal vuoto culturale di certa sinistra.
Si parla continuamente, molte volte a sproposito, di perdono e di riconciliazione nazionale tra fascisti ed antifascisti. Ma quale perdono e riconciliazione si pretende di realizzare?
Come sostengono alcuni ricercatori, questa soluzione sarebbe stata possibile, forse, solo in presenza di una profonda e radicale “operazione verità”, con la quale i responsabili di omicidi, violenze, torture, persecuzioni, nonché dell’aver trascinato in guerra il proprio paese, avessero riconosciuto le loro responsabilità storiche, politiche e personali.
Ciò è avvenuto, per esempio nel Sudafrica di Mandela contro i responsabili dell’Apartheid, ma immediatamente dopo la fine del regime basato sulla segregazione razziale.
Nel nostro paese tutto ciò non è accaduto e giustizia non fu fatta, perché vi fu prima, nel 1947, una sorta di “veto di stato” che impedì il perseguimento della verità sulle responsabilità dei crimini fascisti e poi, nel 1948, un’amnistia che liberò, senza che avessero pagato penalmente, alcuni mandanti od esecutori degli eccidi di cui parlavamo prima.
I documenti che avrebbero inchiodato, ed inchiodano, migliaia di nazisti e fascisti responsabili delle stragi più efferate sono stati deliberatamente “dimenticati” e “nascosti” per 50 anni in un armadio della procura generale militare di Roma (il famoso armadio della vergogna).
Solo nel 1994 sono stati scoperti casualmente, ma ormai era un po’ troppo tardi.
Pochissimi hanno dato risalto alla scoperta dell’armadio della vergogna, dopo che per oltre 50 anni la verità era stata occultata negando la possibilità di individuare le responsabilità primarie. Le vittime sono state uccise due volte.
Noi oggi siamo qui perché, parafrasando Herbert Marcuse, “vogliamo ricordare il passato poiché ciò può dare origine ad intuizioni pericolose e la società “stabilita” sembra temere i contenuti sovversivi della memoria”.
Noi oggi siamo qui, come altre volte, non a commemorare o a testimoniare qualcosa che non ha più legami con la nostra realtà, ma siamo qui per far capire l’attualità ed il valore strategico della resistenza antifascista. Essa è stata non solo rivolta contro l’oppressione dittatoriale, ma anche battaglia per costruire una società libera, giusta, democratica e senza più sfruttati e sfruttatori. Una battaglia che non si è ancora conclusa e che rende più che mai valida nel nostro paese, ma anche in Palestina, Irak, America Latina ed in altre parti del mondo la parola d’ordine ORA E SEMPRE RESISTENZA.

GIORGIO RIBOLDI