ELEZIONI 2008.
LA SINISTRA SUICIDATA, IL NUOVO FASCISMO E LE FUTURE LOTTE CONTRO
IL”VELTRUSCONISMO” ovvero Come
predicare male, razzolare peggio ed essere bocciati dagli elettori
Il terremoto politico-elettorale avvenuto nei giorni scorsi, ha
provocato effetti a dir poco devastanti, delineando un
quadro parlamentare davvero singolare e senza precedenti (se si
eccettua l’unico precedente che risale al Ventennio
fascista).
Uno scenario imprevisto ed imprevedibile, almeno nella vastità e
nelle proporzioni drammatiche in cui si è
determinato. Un disastro politico simile alla situazione di
illegalità e di messa al bando procurata dall’avvento al
potere del partito fascista di Benito Mussolini, con l’instaurazione
della dittatura e l’espulsione violenta
delle forze di opposizione presenti nel Parlamento dell’epoca, in modo
particolare del partito comunista e di
quello socialista. Con la differenza, non secondaria, che nel caso
odierno non c’è stato bisogno di ricorrere a
provvedimenti apertamente reazionari e antidemocratici. In un colpo
solo si è consumata la dissoluzione delle
“sinistre”, espulse in toto dal Parlamento italiano. Questo è,
nei fatti, il risultato più evidente ed eclatante del
nuovo “fascismo” mascherato da “antifascismo”, del nuovo “golpismo
istituzionale” camuffato da Partito Democratico + Popolo delle
Libertà, che in sintesi si chiama “Veltrusconismo”. Il “golpe
veltrusconiano” ha cancellato con una soluzione “morbida” e “pacifica”
tutti i partiti di sinistra. I quali non hanno fatto nulla per impedire
il proprio “suicidio” politico. Anzi, direi che le forze di “sinistra”
hanno permesso tutte le forme di autolesionismo possibile ed
immaginabile, tutto ciò che si poteva concedere all’avversario
veltrusconiano per farsi male in modo serio e (forse) irreparabile. Con
gli esiti a dir poco catastrofici che sono evidenti a tutti.
Ma vediamo in quale modo si è tradotto l’autolesionismo della
sedicente “sinistra” (ex)parlamentare italiana. Una
“sinistra” ormai estinta, umiliata e declassata al rango di un
movimento politico extraparlamentare, senza possedere
più alcun rapporto organico con i soggetti della realtà
sociale, senza avere più l’abitudine e tanto meno la vocazione
alla prassi e all’attività extraparlamentare.
La liquidazione della sinistra parlamentare borghese è stata una
morte annunciata da tempo, ma il principale responsabile del disastro
si chiama (in)Fausto Bertinotti. Il quale ha raccolto esattamente
quanto ha seminato negli ultimi anni. Ma nemmeno la più
pessimistica delle previsioni poteva prefigurare e vaticinare lo
tsunami che ha annientato totalmente la presenza della sinistra
parlamentare in Italia.
Senza dubbio l’astensionismo di sinistra ha inciso in modo consistente
sull’esito del voto che ha penalizzato duramente i dirigenti e i
rappresentanti della cosiddetta “sinistra radicale”. In questi ultimi
due anni la sinistra
filo-governativa ha predicato male e razzolato peggio. Per questo gli
elettori hanno deciso di punirla amaramente.
Nel contempo, il nuovo “fascismo veltrusconiano” ha contribuito
all’estromissione dalla scena parlamentare della
sinistra borghese, senza porre in essere procedimenti autoritari o
violenti, ma facendo semplicemente ricorso ad
una vasta e capillare campagna propagandistica a favore del “voto
utile”, che ha convinto non pochi elettori della
“sinistra radicale” ad appoggiare il partito di Veltroni.
La situazione politica odierna è, di fatto, quella di un regime
senza colpo di stato, un fascismo privo della
dittatura militare. Il nuovo Duce si chiama Veltrusconi.
Pasolini docet: “il fascismo potrà risorgere a condizione che si
chiami antifascismo”.
Infatti, il quadro politico-parlamentare determinato dalle ultime
elezioni, risulta assai più inquietante e
pericoloso del fascismo propriamente inteso, per la semplice ragione
che l’affossamento della sinistra parlamentare borghese è
avvenuto in una cornice di apparente democrazia, ovvero senza l’avvento
di un colpo di stato militare che abbia messo fuorilegge i partiti di
sinistra. I quali si sono in pratica “suicidati” (quasi) da soli. Gli
avversari si sono limitati ad assecondare gli eventi.
Tale risultato si è rivelato addirittura traumatico, inducendo
alcuni osservatori e personaggi politici che sono
in qualche misura riconducibili al fronte dell’ultra-conservatorismo
(quali, ad esempio, Giulio Tremonti) a temere l’attuale scenario, nella
misura in cui le contraddizioni sociali e materiali, i conflitti di
classe presenti nel mondo del lavoro, le vertenze e i contrasti insiti
nella realtà del paese, potrebbero assumere un carattere di
insanabilità, in quanto non sarebbero più governabili e
suscettibili di mediazioni politico-istituzionali. In pratica si teme e
si paventa che l’assenza di rappresentanza parlamentare della sinistra
possa generare antagonismi sociali esplosivi, fenomeni di
recrudescenza politica difficilmente gestibili. Inoltre, con il quadro
parlamentare appena uscito dalle elezioni, mi pare assai facile
prefigurare un tentativo di stravolgere il testo della Costituzione
attraverso una sorta di “grande
inciucio”, ossia un’ampia intesa di stampo “veltrusconiano” sul terreno
delle cosiddette “riforme costituzionali”, tanto attese ed invocate non
solo dalla coalizione di centro-destra guidata da Berlusconi, Bossi e
Fini.
Pertanto, le elezioni si sono riconfermate un rito vuoto ed inutile, ma
soprattutto un meccanismo assai pericoloso ed
ingannevole, specie se tale pratica è scissa e distante dal
corpo reale della società e della Politica (con la P
maiuscola), divenendo un’appendice assolutamente funzionale agli
interessi di parte delle forze dominanti.
L’elettoralismo è dunque una malattia, che infatti si manifesta
attraverso i sintomi di un forte stato febbrile.
L’elettoralismo è un potente sedativo in mano alla borghesia e
ai poteri dominanti, una “droga” spirituale usata per
addormentare la coscienza delle masse. Le elezioni servono soprattutto
a rincretinire le classi lavoratrici e a
distrarle dal loro compito rivoluzionario. Deviare e allontanare le
masse operaie dal terreno della lotta di
classe, per incanalarle e impantanarle nella palude melmosa
dell’elettoralismo e del parlamentarismo borghese, è
sempre stato un obiettivo necessario per la salvaguardia e la
conservazione del potere detenuto dalla borghesia capitali sta. Ma la
democrazia borghese non è solo una truffa, un’illusione: essa
è un’emanazione generata dallo stesso modo di produzione
capitalistico-borghese che di fronte al mercato rende tutti uguali,
ovvero omologati, tutti
venditori e compratori allo stesso tempo. Un infame ingranaggio che
costringe le persone a produrre e consumare
per un’intera esistenza e infine crepare, condannandole a un destino
miserabile e degradante. Un sistema brutale ed
alienante, fondato sull’economia di mercato, sull’aziendalismo
esasperato, sulla proprietà privata, sul principio (pericoloso e
mistificante) dell’individualismo e della competizione sfrenata tra gli
individui, messi l’uno
contro l’altro (“homo homini lupus”). La democrazia rappresentativa
borghese concepisce la società come una
somma di individui atomizzati, ognuno con i suoi criteri di scelta e di
giudizi o, con una propria coscienza, con un
proprio destino, senza alcun legame di solidarietà, di
interdipendenza e di condivisione con la coscienza e il
destino altrui.
Il cretinismo parlamentare, una delle principali caratteristiche
degenerative della politica democratico-rappresentativa borghese,
consiste proprio nel considerare il singolo individuo come il motore
della storia
, come l’agente determinante dei possibili miglioramenti o
peggioramenti della vita sociale. Ma in cuor loro, le classi dominanti,
benché stordite dai loro stessi inganni, sanno che la
realtà sociale segnata dalle contraddizioni e dagli antagonismi
di classe, si rivolterà inevitabilmente contro di esse.
Berlusconi e Veltroni, e le loro differenti alleanze
politico-elettorali, rappresentano sostanzialmente i due
principali poli economico-finanziari contrapposti. Col pretesto di
combattere e scongiurare il rischio che il
governo cada nelle mani della “destra”, tutti i “sinceri democratici”
tendono ad abbracciarsi e sostenersi a vicenda,
recandosi alle urne per votare la (falsa) “sinistra”.
Si pensi ad un partito sedicente “comunista” come Ri(af)fondazione,
diviso da sempre tra un’anima elettoralista e una vocazione governista,
da un lato, e spinte movimentiste ed operaiste dall’altro. Un partito
la cui direzione (non solo i quadri dirigenti, bensì pure la
base militante) mirava alla formazione di un blocco elettorale di
sinistra, il più aperto ed ampio possibile, per battere la
destra berlusconiana. Mai che qualcuno nel PRC avesse solamente
ipotizzato che l’epicentro della lotta per il potere reale fosse
collocato all’esterno del gioco elettorale e parlamentare, ed
implicasse la formazione di uno schieramento e di un blocco di classe,
non di votanti e relative schede elettorali. Non si tratta di due
strade praticabili contestualmente, ma di due percorsi opposti e
divergenti. Infatti, le forze democratico-riformiste che hanno nella
democrazia parlamentare il loro ossigeno non riescono a fuoriuscire da
quello stato “ambientale” per misurarsi decisamente sul terreno
di classe. Non si conoscono ancora esempi di partiti comunisti a
carattere “anfibio”.
Per ridestarsi da decenni di rincoglionimento e cretinismo elettorale e
parlamentare (pseudo)democratico, il
proletariato dovrà con ogni probabilità essere scosso da
terremoti economici e sociali di grandi dimensioni e di
grande intensità e profondità. Solo allora i proletari
massacrati in tutto il mondo ritroveranno l’unica risposta
di classe che la storia riserva loro. E manderanno al diavolo i
parlamenti liberal-borghesi e le (inutili) schede
elettorali.
La vera sinistra potrà risorgere solo se saprà fare una
seria autocritica e ripartire dai bisogni concreti e dalle
vertenze reali della sua gente, ovvero i lavoratori. Il terreno
più fertile e congeniale per la sinistra di classe
è da sempre il mondo delle lotte e dei diritti del lavoro
salariato, la base del movimento operaio e sindacale. La
vocazione storica, la natura e l’attitudine della sinistra realmente
antagonista, coincidono con le lotte e le vertenze
dei lavoratori, con le tendenze e i bisogni effettivi delle masse
operaie, non con le competizioni elettorali e tanto
meno con le opzioni riformiste e governiste, che invece non pagano e
non ottengono mai nulla.
Concludo citando Ernesto Che Guevara, il quale sosteneva che le
sconfitte, specie quelle più amare e brucianti, possono
rivelarsi nel tempo anche più utili ed istruttive di una
vittoria troppo facile ed esaltante. Non a caso, la
“vittoria” del 2006 ha arrecato molti danni preparando il terreno
all’attuale disfatta, in quanto ha alimentato e
favorito un progressivo distacco della sinistra parlamentare dalla
realtà drammatica e dolorosa dei bisogni e delle
lotte delle masse popolari. Non sono pochi i quadri dirigenti che si
sono montati la testa, assumendo atteggiamenti di
arroganza, superbia e cecità nei confronti del legittimo
dissenso espresso in diverse circostanze dalla base
militante (soprattutto la base operaia, che di conseguenza ha voltato
le spalle), per cui molti attivisti e
simpatizzanti della cosiddetta “sinistra radicale” si sono
disaffezionati e allontanati in modo crescente, decidendo
infine di astenersi dal voto per punire duramente chi aveva deluso e
tradito le attese e le speranze suscitate
nel popolo della sinistra proprio dalla “vittoria” ottenuta nel 2006.
Sono trascorsi appena due anni solari, eppure
quella data sembra distante anni luce dall’attuale momento
storico.
Lucio Garofalo
18 aprile 2008