Intervento di Fosco Giannini senatore Prc e direttore de L'Ernesto
In questi ultimi anni, dal Congresso di Venezia in poi, sono accaduti
molti fatti, il nostro Partito ha vissuto molte esperienze; l'una si
è addossata all'altra, l'una è stata conseguenza
dell'altra e tutte insieme hanno costituito la catena della nostra
crisi, del nostro fallimento.
Oggi, noi di Rifondazione, somigliamo a quei personaggi del film
"Germania anno zero": uomini e donne che ondeggiano tra le macerie,
così frastornati dalla rovina da non riconoscerla; così
segnati dal caos da sbandare lungo strade bombardate e senza più
direzione. Solo un andare cieco, avanti e indietro, avendo perduto ogni
cammino e ogni meta.
Dal movimentismo estremo, che affidava al movimento stesso il ruolo di
intellettuale collettivo, all'ipergovernismo prodiano;
dall'innamoramento di Toni Negri a quello della Presidenza della
Camera; dalla Sinistra Europea alla Sinistra Arcobaleno, passando
attraverso un lungo processo di decomunistizzazione e abbandono -
politico e teorico - del progetto di Rifondazione Comunista: avete
prosciugato passioni, sentimento, senso della comunità: siamo
lì, "Germania anno zero", le macerie, lo sbandamento.
Il nostro gruppo dirigente ha lo sguardo sempre più simile a
quei personaggi di Rossellini: perso nel vuoto di un dopoguerra, non sa
più dove andare e dove portarci.
Edmund Koeler, il ragazzino tedesco di "Germania anno zero", alla fine
si getta nel vuoto, si suicida.
Il nostro gruppo dirigente sembra aver trovato una strada diversa per
uscire dal proprio caos, dalla propria crisi: vuol ricostruire un
partito "nuovo" sulle macerie di Rifondazione Comunista, un partito con
Mussi, socialdemocratico come Mussi. E lo fa senza suscitare passioni,
senza coinvolgere il nostro popolo, gli operai, i lavoratori, i
movimenti di lotta, gli intellettuali; lo fa a freddo, una cosa da
laboratorio politicistico, senza un programma, senza una strategia, se
non quella dell'abbandono non solo dei simboli ma, soprattutto, della
natura politica e culturale comunista, anticapitalista.
Il gruppo dirigente non si suicida come Edmund Koeler, ma si getta
nello stesso vuoto.
"Volete superare l'autonomia comunista, volete costruire un partito
nuovo di stampo socialista o socialdemocratico" - abbiamo sempre
denunciato e sostenuto.
E sino ad un certo punto gran parte del gruppo dirigente ha risposto
che ciò era falso: si stava solo costruendo una nuova
soggettività (distinzione difficile da capire).
Vado constatando che ora, sotto la spinta delle cose, sotto la
pressione vincente di Alfonso Gianni, Gennaro Migliore e tanti altri;
sotto la spinta degli editoriali di Bertinotti sulla sua rivista
("Alternative") e di Sansonetti sul suo quotidiano ("Liberazione"),
vado constatando che tali rassicurazioni appaiono sempre più
deboli e rarefatte e che ormai anche Giordano (a cui altre minoranze
avevano accredidato tanta fiducia per l'avvenire) cita Alfonso Gianni e
assume la sua linea liquidazionista.
Il partito "nuovo" - socialista, non più comunista - volete
farlo. Ditelo, non prendete più in giro le compagne e i compagni.
Trovo curioso l'atteggiamento del gruppo dirigente, che ancor oggi non
riesce a mettere in fila le cose, a cogliere il nesso che lega la linea
politica di Venezia all'attuale (drammatica) nostra afasia, paralisi,
immobilità rispetto alla campagna elettorale. Veltroni
imperversa, sposta sempre più l'ago politico in senso moderato,
erode sempre più Sinistra Democratica e noi siamo fermi,
raggelati dai nostri errori, dal nostro caos, dalla nostra crisi di
identità.
E' un inizio di campagna elettorale in cui non abbiamo un'idea forte,
non abbiamo una proposta, non abbiamo uno slogan, non siamo presenti,
non siamo percepiti, non siamo sentiti, non suscitiamo passioni e
sentimenti popolari. E questo Arcobaleno sembra un residuale e
nostalgico segno della sinistra moderata degli anni '80. Un segno
freddo e identitario di vent'anni fa.
Ha affermato in questi giorni Bertinotti che la gente (la gente!)
imparerà ad amare e ad affezionarsi ai nuovi simboli (svelando -
maldestramente? consapevolmente? - che questi saranno, definitivamente,
i nuovi simboli). Noi crediamo che l'amore e l'affetto per i simboli
non possano crescere solo attraverso la loro reiterata apparizione sui
media, sui manifesti, sulle schede elettorali.
I simboli prendono corpo e spirito, entrano nell'anima del nostro
popolo, dei lavoratori, solo se rappresentano le grandi lotte, le
grandi idee di liberazione, le grandi storie del movimento operaio e
dei popoli. Solo se hanno il sangue e la storia viva della falce e il
martello e della bandiera rossa!
Siamo già in campagna elettorale e i nostri compagni, la nostra
base non se n'è ancora accorta. Il gruppo dirigente sta
lì, attorcigliato su se stesso, in preda al panico e al senso di
vuoto. Occorrerebbe uno scatto bruciante per affrontare questa campagna
elettorale; occorrerebbe che si rimboccassero le maniche e scendessero
nelle piazze i nostri iscritti, i nostri militanti. E tutti noi siamo
chiamati a far sì che questo avvenga.
Ma la vedo dura. La vedo dura perché è difficile
convincere i soldati a combattere senza dir loro per chi e per che
cosa. E anche in questi giorni il gruppo dirigente non è capace
di motivare l'esercito, di dargli una meta, di infondere coraggio,
passione, senso del sacrificio. Sono troppi, anzi, i dirigenti che in
queste ore si mobilitano per una sola battaglia: quella delle
candidature.
Avremmo bisogno di un partito forte, organizzato, radicato e lo
sciogliete; avremmo bisogno di un forte senso dell'unità a
sinistra e corrompete e degenerate questo valore attraverso una nefasta
precipitazione organizzativistica volta alla costruzione di un soggetto
e di un partito nuovo.
Avremmo bisogno di una forte solidarietà interna e il gruppo
dirigente risponde con l'attacco e l'emarginazione delle minoranze. Di
quelle non dialettiche. Di quelle cattive!
Come facciamo, oggi, in queste condizioni a spingere tutte le nostre
forze ad agire, a scendere nelle strade, nei quartieri per la campagna
elettorale? E' nostro compito, compito di ogni dirigente, sollecitare
con la massima determinazione il lavoro per la campagna elettorale. Lo
faremo e tutti dobbiamo farlo. Tuttavia lo stato d'animo creato dal
gruppo dirigente è dei peggiori: hanno seminato freddezza invece
che passione, hanno oscurato l'orizzonte prima della battaglia. Ed ora
sta a tutti noi far capire che la destra è in agguato e che la
sinistra non può distruggersi.
Ma al gruppo dirigente del nostro partito va detto: avete operato
strappi dopo strappi ed ora vi assumete una grande
responsabilità, quella di aver gettato la nostra base
nell'inerzia, nell'accidia, nell'ibernazione politica.
Siamo di fronte al fallimento del governo Prodi; siamo di fronte al
fallimento della nostra stessa esperienza di governo e non avanziamo
ancora uno straccio di analisi seria, di riflessione sulla fase e su
noi stessi.
Ciò è sconcertante e paradossale. Chi rimuove la
realtà è condannato a commettere sempre gli stessi
errori. Questa è la destinale e tragica coazione a ripetere che
cresce sulla base materiale della rimozione e che Freud aveva
individuato come uno dei segni delle depressioni gravi.
Abbiamo invece bisogno di mettere a fuoco i fatti concreti:
primo, la linea di Venezia, con la quale si passa dai movimenti alla
subordinazione al governo Prodi e dunque alla NATO, agli Usa,
all'Unione europea, alla Confindustria e al Vaticano; secondo, la
rottura - pesantissima - con i movimenti; terzo, la crisi profonda del
Partito, crisi di identità, di passione politica, di militanza,
di appartenenza; quarto, la trasformazione giacobina, prepotente del
nostro Partito nella Cosa Rossa, l'abbandono della falce e il martello
e della nostra cultura anticapitalista e antimperialista, cosa che non
possiamo tollerare e non tollereremo. Se il Congresso lo farete, ci
vediamo al Congresso; quinto, lo smarrimento col quale ci avviciniamo
alla campagna elettorale.
E' possibile - mi rivolgo al gruppo dirigente - che non capiate che fra
tutti questi fatti via sia un nesso? E' possibile che ancora non
abbiate compreso che i rapporti di forza sociali e l'attuale egemonia
del capitale non ci permettono di andare al governo facilmente con le
forze moderate e che dunque - oggi - la questione essenziale è
quella di rimettersi alla testa di un nuovo ciclo di lotte sociali per
cambiare i rapporti di forza, senza sognare alleanze governative col il
Partito democratico di Veltroni, riallanciando, invece, i legami con il
movimento operaio complessivo e con i movimenti?
E' possibile che non capiate che questo cupio dissolvi verso il nostro
Partito è la base materiale sulla quale nascono il disimpegno e
l'abbandono di migliaia di compagne e compagni?
Noi facciamo la battaglia contro la cancellazione della falce e il
martello. Voi ci rispondete che siamo identitari. Non ci provate! Non
attacca! Rischiate di fare come D'Alema quando attaccava volgarmente i
friggitori di salsicce del PCI e attaccando i friggitori di salsicce
attaccava in verità tutti noi, tutti coloro che avrebbero
costruito Rifondazione Comunista!
Toglietevi dalla testa che saremmo degli sprovveduti e dei
trinariciuti! Non siamo identitari, siamo comunisti! E sappiamo bene
che vi è un nesso preciso - specie ora, in questa fase - tra la
cancellazione della falce e il martello e la trasformazione della
natura politica del nostro Partito: da comunista a sinistra indefinita,
socialdemocratica, socialista. E' questo il punto, altroché
identitari!
Noi sappiamo che la rimozione della falce e il martello è il
prezzo da pagare a Mussi, è il prezzo da pagare per superare il
progetto di Rifondazione Comunista e costruire un partito vagamente di
sinistra.
Non difendiamo la falce e il martello come simbolo in sé: molto
di più, difendiamo quell'appassionante progetto originario che
puntava a rifondare un Partito comunista privo di nostalgie e
all'altezza dei tempi e dell'odierno scontro di classe!
Per ultimo, la democrazia interna. Ho appreso che il compagno Ferrara
ha delineato una distinzione tra minoranze buone e oppositori cattivi,
oppositori da escludere, punire, emarginare.
Caro Ferrara, non capisco davvero che cosa vuoi dire: una minoranza
è di per sé opposizione, se no sarebbe maggioranza o
un'ala della maggioranza. Se una minoranza è quella di sua
maestà, è quella servile, non è minoranza. E' solo
utilizzo di alcune differenze politiche a fini di lucro, di
accumulazione di prebende e potere: è opportunismo! E
l'opportunismo non fa bene alla verità e alla democrazia, anche
alla democrazia interna al nostro Partito.
Le minoranze non possono che essere di opposizione, e cioè si
oppongono, senza calcoli opportunistici e di sopravvivenza, ad una
linea che non condividono!
La teorizzazione di una minoranza ingabbiata entro limiti politici
decisi dalla maggioranza è un orrore antidemocratico. Se posso
dire, era, questa, una delle pratiche più nefaste della fase
degenerata dello stalinismo!
Caro Ferrara, cari compagni del gruppo dirigente al vostro posto sarei
molto cauto nel tentare di emarginare ed escludere le minoranze. Vi
sono migliaia di iscritti e militanti (da Vicenza a Milano, da Torino a
Bologna, dalle Marche alla Calabria, dalla Sicilia alla Sardegna) che a
queste minoranze tengono molto e per queste minoranze sarebbero
disposte a battersi in modo determinato.
Queste migliaia di compagne e compagni hanno un rapporto ormai molto
critico col Partito e per noi è stato e rimane difficile
convincerle che la cosa giusta (l'unica possibile) è continuare
a battersi nel Partito e militare per Rifondazione Comunista.
Sono migliaia di compagne e compagni, come ben sai, compagno Ferrara.
Noi li abbiamo sempre convinti a non andarsene a casa, a continuare la
militanza, svolgendo così un'azione unitaria e volta al
rafforzamento del Partito. Non convincerli tu, Ferrara, ad abbandonare
la militanza e l'impegno politico.
Per ultimo, al compagno Giordano: non si può chiedere una
moratoria interna per la campagna elettorale con il sorriso sulle
labbra e con la spada in mano.
Ti dico tutto questo, compagno Giordano, solo per necessità di
una discussione politica, non per altro.
Perché mai, anche se potessi, scambierei una mia candidatura con
la rinuncia alle cose in cui credo, con la rinuncia alla battaglia
politica.
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Il Manifesto, sabato 23 febbraio 2008
Prc, deroghe ed esclusioni
Polemica per le nuove liste
Fuori la minoranza dell'Ernesto, che protesta con falce e martello.
Restano gli ex di altri partiti. Giordano: abolire l'Ici
Roma
Trattamento differenziato per le minoranze di Rifondazione comunista
nella compilazione delle liste per le elezioni politiche del 13 e 14
aprile. Dopo l'uscita dal partito dell'area trotzkista di Sinistra
critica - che si presenterà alle urne sotto l'insegna della
falce e martello - restano nel Prc l'area Essere comunisti di Claudio
Grassi e Alberto Burgio e quella dell'Ernesto di Fosco Giannini e
Gianluigi Pegolo. Solo i primi saranno ricandidati, ha spiegato ieri
davanti al comitato politico nazionale del partito il responsabile
dell'organizzazione Francesco Ferrara. In quanto minoranza
«dialettica»: Grassi ha dalla sua una lunga pratica di
contestazione delle scelte della segreteria ma poi di voto conforme
alla maggioranza. Restano fuori invece Pegolo e Giannini dell'Ernesto
in quanto «contrastano al fondo qualsiasi scelta del
partito». La reazione nel Cpn che prosegue oggi e deve approvare
i criteri per la formazione delle liste è stata dura: «Mi
chiedo se la parola democrazia abbia ancora un senso - ha detto Pegolo.
Noi non siamo in vendita, non rinunceremo alle nostre idee in cambio di
due posti in parlamento». Ma più antipatica per il gruppo
dirigente del Prc sarà la contestazione organizzata per questa
mattina da un gruppo di «autoconvocati» del partito che si
presenteranno con le bandiere della falce e martello per protestare
contro la decisione di «sciogliere Rifondazione» e
«cancellare il simbolo senza neanche consultare gli iscritti e i
militanti». Una protesta che il segretario di Rifondazione Franco
Giordano giudica «un gioco di posizionamento congressuale»
ammonendo a «non manovrare i sentimenti».
Al fondo c'è l'impegno totale del partito nella costruzione
della Sinistra - l'arcobaleno, contestato non solo dall'Ernesto, ma che
Giordano rilancia proponendo «una campagna militante e
mobilitante» nel corso della quale «le sezioni dovranno
mettersi a disposizione della costruzione del soggetto politico
unitario» con Verdi, Sinistra democratica e Comunisti italiani.
Giordano ieri ha attaccato Veltroni parlando di «un impianto
comune tra la destra liberista del Pdl e il centro del Pd equidistante
tra lavoro e impresa». Il segretario del Prc ha anticipato alcune
proposte che dovranno fare parte del programma comune della Sinistra:
«Abolizione dell'Ici sulla prima casa per i redditi medio bassi,
eliminazione del ticket sanitario e delle liste di attesa, restituzione
del fiscal drag, innalzamento della tassazione sulle rendite
finanziare, lotta alla precarietà attraverso il 'superamento'
della legge 30».
Ma al centro della discussione del parlamentino di Rifondazione
c'è la questione delle liste. Le «deroghe»
introdotte ai limiti del doppio mandato, oltre a quella per il
segretario e il candidato premier Bertinotti, lasceranno spazio ai
parlamentari che hanno svolto un secondo mandato sotto insegne diverse
dal Prc. Si tratta di Alfonso Gianni (ex deputato del Pdup), Milziade
Caprili (ex Pci), Lidia Menapace (ex Dc) e Franco Russo (ex Dp).
Proposta contestata, deciderà il voto di oggi.