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Lettera aperta alle lavoratrici e ai lavoratori


Cari colleghi e colleghe,
Come molti di voi sanno, da pochi giorni Vodafone ha disposto il mio licenziamento.
Questo provvedimento non riguarda il mio comportamento professionale, sempre corretto; non avendo di meglio a disposizione per giustificarlo, l’azienda mi accusa di fatti e idee espresse al di fuori dell’ambito lavorativo, ritenuti incompatibili per la continuazione del rapporto “fiduciario” che deve intercorrere tra lavoratore e datore di lavoro.
Il polverone mediatico costruito attorno alla mia vicenda ha evidentemente annebbiato le capacità di giudizio di molti; ma basta analizzare con serenità i fatti, senza lasciarsi fuorviare dagli allarmismi utili solo ad aumentare la tiratura dei giornali, per capire la gravità del provvedimento di Vodafone non solo in relazione a me, ma come pericoloso precedente per tutti i lavoratori.

La sera del 13/02 mi hanno arrestata perchè trovata in possesso di un manifesto che diceva: “terrorista è chi ci affama e fa le guerre, non chi lotta al fianco dei popoli”.  Una parola d’ordine su cui negli ultimi anni hanno manifestato nel mondo decine di milioni di persone, a riprova che quei contenuti non sono patrimonio di uno sparuto drappello di presunti “fiancheggiatori del terrorismo”, bensì di ampi settori della popolazione. L’attacchinaggio era stato programmato per pubblicizzare la partecipazione alla grande manifestazione di Vicenza contro l’allargamento della base USA ed il governo e promuovere la solidarietà con chi sta lottando e resistendo.
Vodafone, - che come tutti i potenti è garantista quando si tratta di tutelare uno di loro, ma mai quando si tratta di lavoratori che lottano per i loro interessi - non accetta il fatto che io non abbia rinnegato di aver partecipato a tale attività, quotidiana e consueta in questo paese per migliaia di attivisti sindacali e politici, e che non si è svolta “clandestinamente” ma a bordo della mia auto e con i documenti in tasca.
Perciò il reato che avrei commesso (art 414 cp, cioè “istigazione a delinquere”) è tutto da dimostrare, se e quando avrà luogo un processo.
Intanto, però, l’azienda ha deciso che le leggi italiane sono per lei carta straccia, ed emette nei miei confronti una sentenza di condanna sostituendosi alla magistratura, in spregio del principio della presunzione di innocenza. Arriva addirittura a ipotizzare che in futuro potrei essere un pericolo per l’azienda e per i clienti, potendo usare i loro dati telefonici. Un’ipotesi grottesca, che si potrebbe sostenere per chiunque lavori in questa azienda (da Arun Sarin all’ultimo rep), perchè non si basa su azioni commesse ma che “potrebbero essere commesse”. Il classico processo alle intenzioni!

Certo, nel clima creato con l’arresto di presunti “terroristi”, tra cui il mio compagno, qualunque cosa io potessi dire o fare poteva rischiare di essere travisata o peggio strumentalizzata per essermi ritorta contro, come accaduto per un’intervista da me rilasciata e maliziosamente riportata su un giornale, su cui l’Azienda basa parte del suo teorema accusatorio.
Tuttavia, io sono convinta delle mie idee e della necessità di doverle affermare, anche se il momento storico in cui viviamo preferisce inculcarci il vuoto mentale e la paura, per poterci meglio imbonire e convincere che questo è l’unico mondo possibile in cui vivere.  
In quella dichiarazione (per la quale, peraltro, non sono stata denunciata da nessuno) ho semplicemente difeso un patrimonio storico e politico del nostro paese, quello della Resistenza partigiana, di cui vado orgogliosa e il cui messaggio profondo, lo ribadisco, va tramandato alle future generazioni, perché mai più si accetti di vivere sotto l’oppressione.
Le mie idee possono non essere condivise, ma non devono diventare motivo per un datore di lavoro (o come dicono loro: “giusta causa”) per licenziare una lavoratrice, come vieta lo stesso Statuto dei Lavoratori (legge n. 300 del 20 maggio 1970).
 
Dietro il mio licenziamento e la campagna di “terrorismo culturale” contro chi dissente in maniera aperta e coerente si cela, in generale, la volontà padronale di eliminare le “voci contro” dai posti di lavoro, dove sempre più dure si fanno le condizioni di sfruttamento. Ogni giorno muoiono 4/5 lavoratori per “incidenti” sul lavoro e migliaia sono i feriti, per l’avidità degli imprenditori e la follia delle leggi di mercato, che mettono il profitto prima del rispetto della vita umana.
Questo licenziamento politico rappresenta un vero e proprio atto intimidatorio non solo nei miei confronti, ma contro tutte quelle coscienze critiche che pensano sia ingiusto, nell’Italia moderna, sfruttare i lavoratori, partecipare a guerre di rapina, o vivere nella precarietà del presente e nell’incertezza del futuro, dove perfino costruirsi una famiglia è diventato un lusso.
Eliminando me, ma soprattutto costruendomi attorno un clima infame di sospetto, puntano a creare divisione tra noi lavoratori e a isolare i soggetti che come me si battono (forse fin troppo apertamente, altro che “infiltrati”!) contro le angherie dei nostri datori di lavoro.
Infatti, passata l’utile “emergenza terrorismo”, il risultato sarà che qualcuno ci avrà rimesso il posto (la sottoscritta), qualcuno verrà azzittito o intimidito ogni volta che alza troppo la voce contro le aziende, e tanti lavoratori si troveranno da soli ad affrontare gli attacchi aziendali, con delegati più disposti a firmare qualunque cosa e senza quella combattività capace di anteporre gli interessi dei lavoratori a quelli di ogni altra persona o cosa.
Penso che, prendendo spunto dalla mia vicenda, Vodafone voglia affermare una filosofia aziendale molto più aggressiva che in passato, per far fronte ai conflitti futuri che inevitabilmente la toccheranno visti i crescenti problemi che crea ai lavoratori: ritmi di lavoro estenuanti, esternalizzazioni, bassi salari.
La volontà di resistere a questa deriva autoritaria, che è arrivata persino a sindacare sulle mie scelte familiari, è stata alla base della mia decisione di non rinnegare i miei comportamenti ed opinioni, criticabili ma non certo “criminali”. A volte certi spazi di “libertà” vanno difesi in prima persona, anche se sarebbe più comodo starsene al calduccio.  La coerenza, proprio in una società basata sull’egoismo, i voltafaccia, la vigliaccheria e l’opportunismo, ha un prezzo che, per me, vale la pena di essere pagato.

In questo clima di “caccia alle streghe”, vorrei infine denunciare lo scandaloso comportamento dei vertici della CGIL, ossia di quello che, anche criticamente, ho ritenuto essere finora il mio sindacato.
Rinnegando alla sua funzione, che dovrebbe essere quella di difendere gli interessi dei lavoratori contro i soprusi dei padroni, la CGIL ha rifiutato di assistermi nell’impugnazione del provvedimento di licenziamento. Mi hanno liquidata in fretta come una “mela marcia”, ma le vere mele marce sono quei sindacalisti che fanno il loro mestiere in maniera “interessata”, ossia puntando a difendere la poltrona più che i lavoratori, o a far carriera in politica, o a diventare imprenditori coi soldi dei lavoratori nei fondi pensione. Mi auguro che i tanti onesti delegati e anche funzionari CGIL conosciuti in questi anni aprano gli occhi e non si sottraggano al dovere di criticare con forza questo atteggiamento antisindacale.

In conclusione, credo che la solidarietà contro il mio licenziamento politico, seppur calorosa e per alcuni versi inaspettata, non debba essere intesa come la difesa di una persona e delle sue, ovviamente opinabili, convinzioni, ma come la difesa di una lavoratrice da un provvedimento ingiusto. Se un tale licenziamento oggi dovesse passare in maniera indolore, domani l’azienda (e tutte le aziende) si sentirà più forte a comportarsi così anche con gli altri lavoratori.
Per questo, voglio battermi in tutte le forme e sedi possibili per il reintegro nel mio posto di lavoro, tutelando la mia dignità di lavoratrice e mantenendo ferma la mia identità politica e sociale, pienamente legittime e che rivendico con orgoglio.

La delegata e lavoratrice Angela Ferretti


Per discutere di come costruire una campagna contro l’ingiusto licenziamento politico, è indetta una

ASSEMBLEA PUBBLICA
SABATO 31 MARZO 2007 ore 16.30
Presso la Panetteria occupata, via Conterosso 20, MM2 Lambrate – Bus 33-54-11-75)
nolicenziamentipolitici@yahoo.it