4° Congresso Nazionale della Federazione RdB/CUB
SOGNI BISOGNI CONFLITTO
FIUGGI 17 18 19 Giugno 2005
Ci misuriamo e
agiamo da tempo in un contesto dominato da un generale arretramento
sociale,
politico e culturale, che rende difficile a molti il solo sognare e
immaginare
una società dove il lavoro non sia luogo di oppressione e di
precarietà, dove
avere una casa sia un normale diritto, dove la fatica di arrivare a
fine mese
non sia così comune, dove la guerra sia un lontano ricordo.
La tenuta e la
crescita della nostra organizzazione è la dimostrazione del
fatto che siamo
ancora in molti ad insistere nell’immaginare, nel volere e nell’agire
per una
società dove vincano i diritti sui privilegi, gli interessi dei
lavoratori
sugli interessi del mercato e del padronato.
Noi vogliamo sognare e realizzare una società trasformata
da lavoratori
e lavoratrici che richiedono la soddisfazione dei propri bisogni ora
imprigionati e travisati dall’ideologia e dalle condizioni materiali
dettate
dalle compatibilità dell’economia liberista. Bisogni che si
devono tradurre in
interessi concreti per cui è necessario lottare e creare
unità tra lavoratori,
precari e disoccupati.
Tra sogni,
bisogni e conflitto, del titolo del documento
congressuale, il nostro accento
va sul conflitto: siamo sempre più convinti che
l’identità della nostra
organizzazione sindacale si rafforzi, trovi concreta verifica e cresca
attraverso il riconoscimento ed il valore che diamo ai conflitti, alle
lotte,
perchè è attraverso questi che si definiscono e si
rendono liberi i bisogni, si
rendono collettivi e si realizzano i sogni.
PREMESSA
Il quarto
Congresso nazionale della Federazione RdB/CUB si svolge a due anni
dalla
Assemblea nazionale della CUB che si è tenuta a Rimini e che ha
segnato in
positivo il percorso di crescita della CUB. Il nostro Congresso, che
assume
appieno le scelte di prospettive decise a Rimini, cade in una
congiuntura
politica assai complessa sia sul piano internazionale che su quello
interno. Il
varo della Costituzione Europea del libero mercato segna un orizzonte
di
pesante arretramento dei diritti dei lavoratori i cui risvolti pratici
sono
però ancora di difficile lettura. Sarà dalla pratica
attuazione dei
provvedimenti dell’Europa che si sveleranno compiutamente – un primo
esempio è
dato dalla direttiva Bolkestein e dalle modifiche del quadro di
riferimento
sulla sicurezza nei luoghi di lavoro – i risvolti di una Costituzione
varata in
totale assenza di dibattito e di possibilità, per le popolazioni
interessate,
di intervenire nella sua costruzione e di mancanza di strumenti
democratici di
approvazione. Sul piano interno la campagna elettorale permanente di
cui siamo
vittime ormai da quasi due anni fornisce un quadro politico in continuo
movimento. È evidente che la definizione dei compiti contingenti
di una organizzazione
sindacale non possa prescindere dalla lettura degli scenari politici
che si
presentano all’orizzonte anche se, e per noi questo vale più che
per molti
altri, la totale indipendenza della nostra organizzazione ci rende il
compito
meno arduo. Dovremo quindi, mantenendo fermo il nostro orizzonte
strategico,
abbozzare anche alcuni scenari possibili e capire cosa accadrà
nei prossimi
anni sul fronte sindacale mantenendo inalterata la scelta del conflitto
come
strumento centrale del nostro agire sindacale.
Negli ultimi
due congressi ci siamo dotati di strumenti importanti di lettura della
realtà
che ci hanno consentito di resistere abbastanza bene alle profonde
modificazioni e agli scenari di concertazione che hanno informato gli
anni 90
nonché di rafforzare ed estendere il peso e l’influenza
dell’organizzazione. Se
non avessimo approfondito l’analisi sulle trasformazioni sociali e
produttive
in atto, con il congresso del ’96, e se non ci fossimo dotati di una
forte
identità con quello del 2000, probabilmente avremmo vissuto
difficoltà molto
maggiori di quelle che abbiamo dovuto affrontare.
Le
trasformazioni produttive e sociali che avevamo individuato “in fieri”
nel
congresso del 96 – e prima ancora con la Conferenza di organizzazione
del 94 –
sono ormai diventate realtà. L’Europa, non solo monetaria,
è fatto ormai
concreto. L’introduzione dell’euro ha prodotto, in Italia più
che altrove, un
impoverimento di massa dei settori popolari e in particolare del lavoro
dipendente. Nei singoli Paesi si riduce la capacità propria di
intervento sulle
politiche economiche e sociali; tutto ormai dipende dalle scelte del
nuovo
super stato che determina, attraverso il Patto di stabilità,
quali siano i
parametri che ogni Paese deve rispettare, quali politiche economiche
vadano
intraprese, quali e quanti tagli allo stato sociale operare
perché siano
rispettati i 7 4° Congresso Nazionale della Federazione delle
RdB/CUB 2005
Sogni Bisogni Conflitto vincoli europei. Il lavoro è stato,
più di ogni altro
fattore, quello che ha pagato maggiormente le nuove politiche europee.
In
Italia la Legge 30 ha rappresentato il coronamento della
destrutturazione
totale del mercato del lavoro introducendo ulteriori figure di
precarietà che
vanno aggiunte a quelle già introdotte dal Pacchetto Treu. I
processi di
finanziarizzazione dell’economia, da noi ampiamente analizzati negli
scorsi
anni, continuano lasciando sul campo anche morti e feriti. Le
delocalizzazioni
delle imprese nei paesi a minore costo del lavoro, a media
professionalità e,
in alcuni casi, ad alta professionalità degli addetti, hanno
prodotto la
chiusura e lo spostamento di apparati produttivi di ogni dimensione che
hanno
aggravato il dato occupazionale del Paese. Le privatizzazioni, seppure
in
maniera meno pesante da come aveva operato il centro sinistra, sono
continuate
ed hanno avuto effetti gravissimi sia sulla tenuta del welfare che
sulle
condizioni occupazionali. Un ciclo pesantissimo, che avrebbe spezzato
la
capacità di resistenza di qualunque organizzazione non si fosse
dotata di una
forte identità, strettamente legata all’individuazione
dell’identità del
movimento dei lavoratori, e non avesse affermato con forza la propria
indipendenza dai governi, dai padroni, dai partiti.
Questo dato
dell’identità e dell’indipendenza l’abbiamo affrontato
compiutamente con il 3°
congresso che ci ha fornito strumenti adeguati a resistere in un quadro
di
trasformazione, per l’Italia, epocale. Abbiamo rifiutato la concezione
dilagante secondo cui al mercato non ci si può opporre
perché esso rappresenta
“il bene” per la società e, quindi, anche per il singolo
lavoratore che vivendo
dentro il mercato globale avrà comunque opportunità se si
disporrà alla
precarietà, agli scarsi salari, alla perdita di diritti. Abbiamo
ritenuto utile
e fondamentale partire invece non solo dal rifiuto del mercato ma dalla
affermazione forte che il punto di vista del mondo del lavoro si crea a
partire
dalla propria condizione materiale e quindi dall’esigenza di garanzie
sul piano
materiale. La forte identità e indipendenza dell’organizzazione
ci è stata
utile ad attraversare, crescendo in numeri e peso politico, sia il
periodo buio
della concertazione, sia quello nero della fine della relazioni
sindacali nel
paese inaugurato dal centro destra.
Riportiamo
alcuni passaggi del documento congressuale del 2000 che potranno
aiutare a
comprendere meglio cosa intendiamo per “identità”.
Dal documento
per il 3° Congresso nazionale della Federazione RdB/CUB 12/14
maggio 2000
“…….Definito il
quadro generale in cui vivono i lavoratori e si deve organizzare il
movimento
sindacale di base, appare evidente che il conflitto, in questa fase,
viene
portato dai poteri finanziari forti e si muove su due livelli.
Il primo è
quello concreto, materiale, che sposta ricchezze dalla società
alla speculazione;
il secondo, che ha assunto il carattere di condizione indispensabile
per
l’attuazione del primo, avviene sul piano dei valori e della visione
del mondo
attuato attraverso i potenti strumenti della produzione immateriale. La ripresa di una soggettività
sindacale di
base richiede perciò di affrontare ambedue questi livelli
trovando le risposte
adeguate.
Sul piano
concreto, la lotta e l’organizzazione rimangono gli strumenti
fondamentali da
sostenere e far crescere, ma si pone la necessità di dare una
risposta anche
sul piano della visione generale delle cose, cioè
dell’identità, che sostenga
il punto di vista, individuale e collettivo, dei lavoratori.
Le cose che
stiamo scrivendo non possono avere il carattere della novità,
perché il
conflitto di classe non è nuovo, al di là delle varie
vicissitudini storiche.
Proporre un’identità attuale del movimento sindacale significa
sicuramente fare
i conti con quella che è oggi, concretamente, la società
nel suo sviluppo
attuale e nelle forme che tale sviluppo assume.
L’operazione
ideologico-religiosa che viene fatta oggi è quella di affermare
che esiste un
meccanismo generale, “globale”, cioè il mercato, al quale tutto
e tutti devono
essere subordinati.
Se si perde il
posto di lavoro non bisogna preoccuparsi perché così il
“sistema” funziona al
meglio, se si riduce il nostro reddito non bisogna preoccuparsi
perché così
facciamo rimanere l’Italia in Europa e siamo competitivi, se aumentano
le
tariffe ed i servizi peggiorano, non bisogna preoccuparsi perché
così funziona
la privatizzazione che domani ci garantirà un futuro sicuramente
migliore, se
non troviamo più un partito in cui credere e votare, non bisogna
preoccuparsi
perché il sistema bipolare è quello che garantisce
l’equilibrio e la modernità
politica.
Questo, nelle
sue infinite forme, è il leitmotiv che ci propongono per
sostenere le
operazioni più indecenti.
Noi, invece,
crediamo che questa impostazione vada esattamente ribaltata,
poiché chi vive
del proprio lavoro deve fare i conti con i problemi materiali
quotidiani e con
l’insicurezza delle prospettive, sia economiche che esistenziali;
pensiamo che
il punto di partenza e di riferimento per ogni valutazione e scelta non
debba
essere il “si-9 4° Congresso Nazionale della Federazione delle
RdB/CUB 2005
Sogni Bisogni Conflitto stema” ma la concretezza della vita individuale
e
collettiva dei lavoratori. Quando
parliamo di concretezza non parliamo solo dell’aspetto strettamente
economico
ma anche delle esigenze di vita e soprattutto di aspettative di un
lavoratore
nella società.
Dunque una
garanzia dei livelli materiali sul piano del reddito, ma anche garanzia
in
termini di aspettative rispetto, per esempio, alle possibilità
occupazionali
per i giovani che oggi arrivano senza occupazione ad oltre 30 anni e
vivono
ancora con i genitori, come la pensione per gli anziani che invece
governo,
confindustria e sindacati vogliono mettere in mano agli speculatori di
borsa.
Garanzia di
acquisizione e mantenimento di un livello culturale e formativo
adeguato allo
sviluppo scientifico e tecnologico, ma anche di tutela sanitaria per
tutti i
cittadini.
In altre parole
pensiamo che, per ricostruire un sistema di valori valido per noi,
bisogna
partire da quella che è la condizione dei lavoratori anche a
livello
individuale. Partire da questo elemento
materiale ed esistenziale significa anche prendere coscienza che il
singolo
lavoratore, da solo, non può “accedere” a questa condizione
poiché non ha alcuna
possibilità di stabilire “rapporti di forza” tali da
consentirgli di tutelarsi
individualmente, visto che la situazione oggettiva spinge esattamente
nella
direzione opposta.
Questo
significa che il valore della competizione deve divenire un disvalore,
ovvero
accettare la competizione come rapporto generale significa isolare i
lavoratori
uno dall’altro e lasciarli soli di fronte al “Dio mercato”cioè
di fronte a chi
detiene il potere di decidere.
Dunque
condizione individuale dei lavoratori e necessità di
unità collettiva sono due
elementi strettamente connessi e non è un caso che, ad una
situazione di
divisione fin dentro i singoli posti di lavoro, corrisponda un
peggioramento
complessivo della vita dei lavoratori.
Partire perciò
dal binomio condizione individuale/unità collettiva, ci porta
inevitabilmente
verso una concezione dei rapporti sociali più equilibrati,
più equi, dove le
esigenze dei vari settori sociali vengono tenuti nella dovuta
considerazione in
base al peso che hanno sulla scorta di una logica fondata sui diritti e
non
frutto di mera, caritatevole elargizione.
Non a caso non
usiamo la parola solidarietà, perché oggi questa parola
ha assunto un
significato distorto e complementare a quello della
competitività. Infatti, mentre la
società è competitiva,
verso chi è stato sconfitto in questa competizione, per chi vive
una condizione
materiale ed esistenziale miserabile bisogna essere solidali, “buoni”,
sempre
che non si rimetta in discussione il carattere competitivo dello
sviluppo,
ovvero il motivo di fondo che produce la miseria sempre più
vasta che
caratterizza la nostra società a livello nazionale ed
internazionale. Il “buonismo” è
diventato lo sport nazionale
sia verso i bisognosi del nostro pae-10 4° Congresso Nazionale
della
Federazione delle RdB/CUB 2005 Sogni Bisogni Conflitto se sia verso
quelli
degli altri paesi che aumentano in modo impressionante; chissà
perché?
Questo
buonismo, inoltre, colpevolizza chi ha qualcosa, anche poco, da
difendere,
magari un posto di lavoro, obbligandolo a vergognarsi di essere un
“privilegiato” e chiedendogli contributi per alleviare la miseria
dilagante e
per alleggerire gli aggravi economici dello stato e delle istituzioni
internazionali preposte che, “naturalmente”, devono invece impegnare le
risorse
a sostegno della competizione. Questo
dei “privilegiati” è uno dei trucchi più odiosi che viene
utilizzato per
dividere ulteriormente e per lasciare governare in pace chi ne ha il
potere. Allora i lavoratori
“privilegiati” dei servizi danneggiano i “poveri utenti” con gli
scioperi, gli
occupati che hanno il posto “fisso” impediscono ai disoccupati di
trovare
lavoro e soprattutto, gli avidi pensionati, i lavoratori che non
rinunciano
alla pensione di anzianità, rubano il futuro ai giovani.
È questa la
morale che ci propone la società “moderna” cioè i figli
contro i padri; più
competitivi di così non si potrebbe essere!
L’unità di cui
parliamo noi ha un altro significato distante mille miglia da questa
ipocrisia
sfacciata e istituzionalizzata. Questa è la presa d’atto, lucida
e razionale,
da parte dei lavoratori o di un settore di lavoratori, che solo in
questo modo
è possibile modificare i rapporti di forza nella società
attuale e riportare
una parte della ricchezza prodotta verso i produttori effettivi e non
verso la
speculazione dei capitali finanziari.
Deve essere
anche chiaro, però, che questa ricerca di unità si
può spingere solo fin dove
gli interessi a difendere le proprie condizioni collimano, con la
coscienza che
ciò coinvolge comunque la maggior parte del mondo del lavoro e
della società. Dunque
un’unità vera e non ipocrita, basata
su una chiara e netta coscienza di quali sono i propri interessi in
questa
società e di chi invece questi nostri interessi vuole colpire e
limitare…” Se
la RdB non si fosse dotata di tali strumenti di analisi e di condotta
probabilmente avrebbe subito il forte ridimensionamento che ha
interessato il
resto del sindacalismo di base, che rappresenta meglio di ogni altra
cosa come
la mancanza di un orizzonte strategico, capace di individuare per tempo
le
trasformazioni in atto e la mancanza di identità - ma ancor
più di indipendenza
- portino alla agonia di un’esperienza importante nel panorama
sindacale
italiano.
Se la CUB, con
il passaggio fondamentale del Congresso di Rimini del 2003, non avesse
confermato la giustezza del percorso intrapreso, che mira alla
definitiva
costruzione nei tempi più stretti possibili della Confederazione
del
sindacalismo di base indipendente e conflittuale, probabilmente oggi in
Italia
non esisterebbe alcuna espressione sindacale compiuta capace di
aggredire la
realtà e le trasformazioni con un punto di vista e una pratica
di classe.
ANALISI DI FASE
Tendenze della
mondializzazione capitalista
1. Dinamiche e
trasformazioni economico-produttive nella competizione globale In
questi ultimi
anni i processi di trasformazione economica hanno interessato tutti i
principali paesi industrializzati con pesanti ricadute sui paesi in via
di
sviluppo. In tutte le economie si è assistito ad una riduzione
del peso
dell’industria sull’occupazione complessiva, in particolare delle
grandi
imprese, a favore dell’area dei servizi.
Questo calo dell’industria è dovuto soprattutto al
processo di
esternalizzazione di funzioni precedentemente interne e di carattere
soprattutto di servizio all’industria (si pensi ai servizi legali,
statistici,
commerciali, informatici, di ricerca, ecc.) ma anche a fasi intere del
ciclo
produttivo.
Le politiche
economiche neoliberiste basate sulla flessibilità e
precarizzazione del mondo
del lavoro, della produzione, con i connessi processi di
privatizzazione, hanno
causato molti cambiamenti nelle modalità di sviluppo economico
internazionale,
con un aumento vertiginoso nel settore dei servizi e la crescita del
settore
industriale in regioni a basso e medio livello di sviluppo grazie ai
processi
di delocalizzazione produttiva.
L’attuale modo
di presentarsi della divisione internazionale del lavoro, delle filiere
produttive internazionali, la finanziarizzazione dell’economia e la
cosiddetta
interdipendenza tra i diversi paesi, che altro non è che una
nuova e più
sofisticata dipendenza dei paesi poveri della periferia dai paesi
ricchi, sono
le maggiori manifestazioni della globalizzazione neoliberista con
evidenti
segnali di competizione capitalistica accentuata.
La competizione
globale, infatti, ha imposto negli ultimi anni ristrutturazioni di
impresa,
privatizzazioni selvagge, innovazioni tecnologiche, che
complessivamente invece
di creare nuova occupazione hanno realizzato meno posti di lavoro dei
licenziamenti effettuati. Una realtà senza analogie con il
passato, che ha
portato la disoccupazione a divenire uno dei fenomeni più
drammatici del nostro
tempo con caratteristiche sempre meno congiunturali e di fase assumendo
forti
connotati strutturali. Questo anche
perché, molte imprese, per ridurre il peso degli oneri sociali e
il costo del
lavoro utilizzano sempre più il cosiddetto “outsourcing”, ossia
l’esternalizzazione di fasi e di interi processi produttivi per
accrescere
l’efficienza e la produttività dell’impresa e diminuire i costi.
Domina la
“produzione snella” che permette di realizzare subito alti profitti e
rendite,
comprimendo i costi del lavoro. Nel
mercato finanziario, molto più impressionante è stata la
globalizzazione
realizzata in questi anni; ogni giorno circa 2.000 miliardi di dollari
sono
spostati da un punto all’altro del pianeta attraverso le speculazioni
finanziarie. Le grandi imprese industriali che fino a pochi anni fa
erano
collocate tra le prime dieci imprese del mon-13 4° Congresso
Nazionale della
Federazione delle RdB/CUB 2005 Sogni Bisogni Conflitto do, sono oggi
state
sostituite dalle imprese finanziarie (come ad esempio i grandi Fondi
pensione
degli USA e del Giappone). Oggi sono le Borse a dominare e la
finanziarizzazione dell’economia si oppone a qualsiasi forma di
miglioramento
delle condizioni di vita dei lavoratori, ostacolando la libertà
di scelta e
espansione dei diritti sindacali e sociali a carattere universali.
La nuova
organizzazione capitalistica del lavoro si caratterizza sempre
più con
l’esplosione della precarietà, della flessibilità, della
deregolamentazione,
sotto forme senza precedenti per i salariati in attività.
È il disagio del
lavoro, con la paura di perdere il proprio impiego, di non avere
più una vita
sociale, anzi di impiegarla tutta al e per il lavoro, con l’angoscia
legata
alla consapevolezza di un’evoluzione tecnologica che non risolve i
bisogni
sociali.
È la
precarizzazione dell’intero vivere sociale per i lavoratori dei paesi a
capitalismo maturo e la miseria assoluta per i paesi della periferia.
È la
logica di un mercato mondializzato che, oltre a non avere alcun
riguardo verso
i diritti umani, l’ambiente, la qualità della vita,
flessibilizza e precarizza
il vivere sociale, allarga le masse di estrema povertà e di
nuovi miserabili.
Si tratta di un
capitalismo selvaggio che allarga sempre più la forbice delle
condizioni
economiche e sociali tra ricchi e poveri; questa è una ulteriore
riprova del
fallimento del mercato che, lasciato libero a se stesso, accentua
sempre più le
distanze esistenti tra le classi sociali.
2. I due attori
principali della competizione capitalista: le tendenze macroeconomiche
nei
blocchi USA e UE L’economia degli USA presenta chiari segni di
debolezza in
quanto, pur essendo in crescita il mercato finanziario, vi è una
crescente
stagnazione dei settori tradizionali; la distribuzione del reddito
è peggiorata
in questi ultimi anni a sfavore delle classi basse ma soprattutto
medie. La
società americana oggi è formata da una vasta parte di
popolazione che vive al
limite della povertà, a cui si contrappone un 20% di benestanti
che hanno la
stragrande maggioranza della ricchezza del paese. Dal punto di vista
delle
difese per i lavoratori si ricorda che negli USA i sindacati
rappresentano solo
il 10% della forza lavoro nel settore privato e, cosa non di poco
conto, sono
molto legati e dipendenti dai due principali partiti politici.
Gli USA
riescono a mantenere la loro posizione di dominio nel mondo soprattutto
nel
campo finanziario in quanto le riserve valutarie dei principali paesi
occidentali sono in dollari; in questo modo riescono a dare al dollaro
un
valore molto superiore a quello reale e a indebitarsi senza immediate
ricadute
negative. Ed infatti la sicurezza del capitale finanziario è
molto importante
per gli USA dal momento che il risparmio interno è
pressoché nullo ed in
sostanza la ricchezza statunitense si basa sulla povertà imposta
agli altri
paesi.
Va considerato
che gli USA sono strettamente dipendenti dall’approvvigionamento 14
4°
Congresso Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005 Sogni Bisogni
Conflitto di petrolio e questo è causa di un sempre più
agguerrito
coinvolgimento militare a livello mondiale. In questi ultimi anni gli
Stati
Uniti sono tornati ad avere una quota intorno al 30% del PIL globale,
grazie
alle spese militari. È per questo che la produzione bellica
degli USA e la
connesse ricerche utili a migliorare le tecniche militari rappresentano
oltre i
due terzi delle spese mondiali in questi settori. Gli USA sono
consapevoli che
senza egemonia militare non potrebbero imporre al mondo il
finanziamento dei
loro deficit, che consente loro di mantenere una posizione-guida anche
in campo
economico ma in maniera del tutto artificiale, fittizia, senza alcuno
stabile
retroterra macroeconomico. È solo attraverso la spesa militare
che gli USA
riescono a mantenere l’egemonia del dollaro nel mondo.
In questa
situazione il ruolo centrale dell’Europa può emergere in tempi
molto rapidi
approfittando della debolezza strutturale dell’economia statunitense.
L’euro
continua a rafforzarsi e a profilarsi come strumento di guerra
monetaria che si
accompagna ad una dura guerra commerciale tra i due maggiori poli
capitalisti.
Per gli Stati Uniti la migliore Europa possibile deve essere
sufficientemente
unita ma sotto il dominio USA, perché questi ultimi temono che
nel tempo possa
sostituire la loro leadership mondiale e l’euro minacciare il rango del
biglietto verde come valuta di riserva mondiale.
Le tensioni tra
Europa e Stati Uniti sul rapporto di cambio tra dollaro ed euro, sui
mercati
commerciali e sul piano dei nuovi obiettivi espansionistici (vedi le
diverse
posizioni assunte in America Latina, in Medio Oriente e sulla strategia
da
seguire nella guerra all’Iraq e nel cosiddetto dopoguerra) mostrano
come sia
sempre più pressante la competizione tra i due poli.
E così l’Europa
abbandona il modello di capitalismo “temperato” e per entrare nella
competizione globale deve distruggere le forme di protezione del lavoro
e del
Welfare determinando nuove aree di povertà. Il fenomeno della
povertà in
Europa, infatti, nonostante i programmi messi in atto dai vari governi
per
cercare di risolvere il problema, è in grande aumento, anche
considerando, che
oggi si evidenziano sempre più le nuove forme di povertà
da lavoro.
Se con la guerra
all’Iraq si manifesta in tutta la sua complessità la
competizione globale
USA-UE, questa era esplosa già con l’avvento dell’euro,
togliendo il monopolio
al dollaro nelle relazioni internazionali. È su questo che, in
tendenza, si
giocherà la partita delle relazioni fra i due maggiori poli
capitalisti
considerando anche il nuovo ruolo e l’accelerazione economica del nuovo
asse
asiatico intorno a Cina e India. Tale accelerazione
dell’attività economica è
principalmente riconducibile al forte andamento delle esportazioni e
dei
consumi privati. Ciò anche per il nuovo ruolo che riveste la
Cina, insieme
all’India e a qualche altro paese competitivo nei confronti degli USA,
cioè
aree a medio-alto livello di sviluppo che nella ristrutturazione
internazionale
economico-produttiva non hanno più il solo ruolo di produttori
di materie prime
ma di trasformatori produttivi e di grandi esportatori di beni di buona
o
ottima 15 4° Congresso Nazionale della Federazione delle RdB/CUB
2005 Sogni
Bisogni Conflitto qualità, a prezzi altamente concorrenziali.
Nell’ambito
quindi della nuova divisione internazionale del lavoro e nell’attuale
riorganizzazione economico produttiva va assolutamente considerato in
chiave di
prospettiva l’asse Cina-India come competitore strategico sicuramente
alternativo agli USA.
3. La
congiuntura economica internazionale
Non è possibile
parlare della situazione congiunturale dell’economia italiana senza
analizzare
sinteticamente la situazione internazionale e in particolare i maggiori
attori:
Stati Uniti, Unione Europea, Giappone (e anche Asia, America Latina).
Gli anni
2002-2003 sono stati anni di interruzione di un ciclo in parte
positivo, anche
se a crescita “pompata” per i maggiori paesi industrializzati. In
Giappone la
ripresa economica è stata molto lenta nel corso del 2004 ed
anche negli altri
paesi asiatici si è avuto un rallentamento. Unica eccezione la
Cina che ha
registrato nel 2004 una crescita del PIL del 9,5 per cento (nel 2003
era stato
del 9,3%).
Per quanto
riguarda l’Europa nel 2004 si è avuta una leggera ripresa
nell’area dell’euro,
anche se le principali economie sono state però caratterizzate
da sviluppi
diversi e quindi il quadro appare altalenante. In Germania
l’attività è stata
sospinta dalle esportazioni, i consumi hanno ristagnato, gli
investimenti si
sono contratti. In Francia e in Spagna la domanda interna ha continuato
a
espandersi, compensando l’andamento nel complesso negativo
dell’interscambio
estero. Nel contesto di una sensibile ripresa in atto nell’economia
internazionale, trainata dagli Stati Uniti attraverso l’economia di
guerra e
dai paesi emergenti dell’Asia (Cina in testa), l’Unione Europea
è, dunque,
l’unica grande area economica a crescita ridotta. Il cambio forte, poi,
se da
un lato contribuisce a contenere la dinamica dei prezzi in Europa,
dall’altro
comprime la crescita delle esportazioni.
L’andamento
stagnante e la continua compressione della produzione industriale si
sono
accompagnati anche in Italia ad una diminuzione del potere di acquisto
dei
salari e ad una forte diminuzione dei consumi privati. Questa crescita,
dal
passo lento e incerto, ha portato a un consuntivo di aumento del PIL
per il
periodo 1999-2004 pari ad appena l’1,4% in media.
Negli ultimi
mesi del 2004 e nei primi mesi del 2005 l’economia mondiale, quindi, ha
continuato a crescere a un ritmo relativamente positivo anche se
continua ad
essere sostenuta da condizioni tipiche dell’economia di guerra a guida
USA. La tendenza sembra ancora essere
quella di crisi internazionale dove continuano i processi di
finanziarizzazione
dell’economia, anche se con esiti controversi e comunque dannosi per
l’economia
reale.
Peraltro il
processo che ha caratterizzato lo sviluppo industriale degli ultimi 25
anni nei
paesi a capitalismo maturo è stato contraddistinto quasi sempre
e, anche se in
modo diversificato, ovunque da un forte aumento della
produttività del lavoro a
cui è corrisposto un risparmio di lavoro che eccede decisamente
la creazione di
nuove op-16 4° Congresso Nazionale della Federazione delle RdB/CUB
2005 Sogni
Bisogni Conflitto portunità occupazionali. La globalizzazione
neoliberista,
l’internazionalizzazione dei processi produttivi, si accompagnano alla
realtà
di centinaia e centinaia di milioni di lavoratori disoccupati e precari
in
tutto il mondo.
In conclusione
la via di uscita per la gestione della crisi sembra essere solo quella
di
marciare secondo i parametri del sostenimento della domanda attraverso
l’economia di guerra in una nuova fase keynesiana dove si aumenta la
spesa
pubblica a carattere militare e si comprimono al massimo le spese
sociali. Cioè
sviluppare ancora una volta un keynesismo militare come tentativo di
risolvere,
o almeno gestire, la crisi. Per questo l’economia di guerra e la guerra
guerreggiata dovranno avere carattere strutturale, cioè ampio
respiro e lunga
durata, con drammatiche ricadute anche sul movimento dei lavoratori dei
paesi a
capitalismo maturo (con i tagli al sistema pensionistico, alla
sanità e allo
Stato sociale con un nuovo specifico attacco ai diritti civili, sociali
e
sindacali).
SITUAZIONE
INTERNA
Dopo gli anni
dei governi tecnici e di centro sinistra, e quindi dell’apoteosi della
concertazione, il governo di centro destra ha inaugurato una fase di
sganciamento progressivo dalla concertazione per definire un modello di
“non
relazioni” sindacali più congeniale a politiche liberiste tout
court, attuato
attraverso il “muro contro muro” come nel caso dell’articolo 18 che,
nonostante
il mancato raggiungimento del quorum al referendum, resta l’unico
provvedimento
che il governo Berlusconi non è ancora riuscito a varare. Il
risultato di
quella mobilitazione, seppure attorno ad uno strumento come quello
referendario
che, lo ripetiamo, non ci piace e non intendiamo praticare, è
però
straordinario. Nonostante uno schieramento avversario vastissimo che
comprendeva anche buona parte delle forze sindacali e del centro
sinistra,
oltre undici milioni di cittadini hanno respinto l’ipotesi di scomparsa
definitiva delle tutele dal licenziamento. C’è, evidentemente,
un pezzo di società
più largo e più consistente delle forze che hanno
condotto la battaglia per la
difesa e l’allargamento delle tutele dell’articolo 18 che ritiene i
temi e i
diritti del lavoro ancora centrali. A questo pezzo di società
più radicale
dobbiamo rivolgerci anche per rilanciare nuove battaglie di democrazia
e di
avanzamento.
Da tempo le
parti sociali non hanno più ruolo nel paese. Sia la
Confindustria che i
sindacati tradizionali sono tenuti ai margini della vita politica.
Abituati a
“condividere” le scelte di politica macroeconomica, a segnare il
sentiero dello
sviluppo e degli investimenti, a dettare condizioni, oggi si ritrovano
invece
ad essere sbeffeggiati ed ignorati da un governo che ha scelto
deliberatamente
di fare a meno dell’intermediazione delle parti sociali e di gestire
direttamente il confronto con i propri amministrati.
Le modalità con cui il governo ha gestito la questione
della
Finanziaria e della “riduzione” delle tasse sono gli esempi più
eclatanti di questa
nuova linea.
Proprio la
contemporanea perdita di ruolo sia di confindustria che di cgil cisl e
uil sta
rinvigorendo le relazioni tra loro con l’obbiettivo di rilanciarsi.
Dopo il
naufragio del tentativo del governo berlusconi di “polarizzare” anche
il
sindacato, attraverso gli accordi separati sul Patto per l’Italia e le
relazioni privilegiate con cisl e uil – tentativo naufragato non tanto
per
ritrosia di Pezzotta e Angeletti, quanto perché insostenibile
anche per loro il
livello di attacco complessivo alla funzione sindacale – riparte,
seppur con
parecchi mal di pancia, il riavvicinamento della uil e della cisl alla
cgil e,
sul piano politico, al centro sinistra. Comincia la gara tra Pezzotta
ed
Epifani per accreditarsi come sindacato di riferimento e la parte
più moderata
di questo comincia a corteggiare più la cisl che la cgil che
viene considerata
troppo conflittuale (sic!). Unico punto di accordo tra governo e parti
sociali
sembra essere il comune intento di rapina del TFR, un aspetto
emblematico
attorno a cui si giocano, oltre ai soldi dei lavoratori, la partita del
decollo
del sistema finanziario italiano – definito asfittico perché
mancano risorse da
gettare sul mercato azionario – e quella di garantire comunque un ruolo
al
sindacato attraverso la gestione, anche se non più esclusiva
come gli aveva
garantito il centro sinistra, dei fondi pensione. La battaglia della
CUB per la
difesa del TFR racchiude più obbiettivi: difendere una
consistente fetta di
salario dei lavoratori, rilanciare la battaglia per la difesa e la
riqualificazione del sistema previdenziale pubblico, dimostrare
attraverso il
rifiuto di massa del trasferimento del TFR ai fondi pensione che i
sindacati
concertativi non rappresentano il mondo del lavoro che su questioni
rilevanti
come questa non segue le loro indicazioni.
Il cambio di gestione in Confindustria è anche cambio di
modello. Si
passa dal piccolo è bello rappresentato dalla gestione D’Amato –
che ha avuto
il pieno sostegno del governo, almeno nei primi anni – al ritorno, con
Montezemolo, della grande azienda con l’intento di ricollocare
l’industria
italiana nella fascia alta della produzione tecnologica europea e di
mantenere
il potere finanziario nelle mani delle grandi famiglie che da tempo
hanno
deciso di diversificare i propri interessi investendo, più che
sulla
produzione, sul mercato finanziario mobiliare e immobiliare, sulle
assicurazioni ecc. Un progetto che, assieme alla ridefinizione del
proprio
ruolo, necessita del conforto sindacale per avverarsi. Così
Montezemolo diviene
il protagonista della ripresa delle relazioni tra imprese e sindacati
al fine
di ritrovare uno strumento di condivisione capace di garantire alle
imprese
nuovi margini di sviluppo. È la neo concertazione al ribasso, in
cui non ci
sono merci di scambio e che, con l’obbiettivo condiviso della lotta al
declino
industriale, prefigura nuovi scenari di sacrifici per i lavoratori. I primi passi, poco compresi, della neo
concertazione sono stati l’avvio dei tavoli comuni sulla riforma del
sistema
contrattuale e quello, interno alle confederazioni, sulle relazioni tra
loro e
quindi sulle dinamiche della rappresentanza. Manca ancora un attore, il
governo, al tavolo della neo concertazione, ma sia la nuova
Confindustria che
Cgil, Cisl e Uil non disperano in un cambio politico con le prossime
elezioni
del 2006. In attesa di questo evento “salvifico”, cgil, cisl e uil
fanno la
voce 18 4° Congresso Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005
Sogni
Bisogni Conflitto grossa e adottano una strategia di forte presenza
politica e
di iniziativa generale che però non sembra in grado di
impensierire il governo
che si fa beffe degli scioperi generali, peraltro quasi sempre di
scarso, se
non fallimentare, impatto. Gli
strumenti di lotta generale, in questa fase di presenza di un governo
reso
forte dal maggioritario e impermeabile sul piano sociale, rischiano di
essere
percepiti dai lavoratori come inutili se non controproducenti in quanto
non
realizzano concreti spostamenti nelle politiche del governo e pertanto
non
vengono compresi dai lavoratori. Molto
importanti e significativi sono stati invece i momenti di conflitto
vero come
quelli che hanno riguardato la questione ambientale (Scanzano, Acerra,
Benevento), alcune lotte di settori specifici di lavoratori
(autoferrotranvieri, ferrovieri, aeroportuali, Melfi, pendolari) che
hanno
dimostrato che è possibile far fare retromarcia all’esecutivo,
ai padroni e ai
sindacati concertativi su questioni molto sentite dagli interessati. Più di ogni altro ha segnato questa
fase la
diffusione di iniziative (May day, 6 novembre, apparizioni di S.
Precario, 4
dicembre manifestazione nazionale degli immigrati ecc.) che sono state
capaci
di dialettizzarsi direttamente con questioni quali il carovita, la
disoccupazione, la precarietà l’immigrazione che non possiamo
che considerare
centrali nella fase attuale, che ci riguardano assai da vicino e che
pongono al
centro una riflessione importante sulla rappresentanza dei nuovi
soggetti
prepotentemente affacciatisi nella nuova dimensione dello sfruttamento
e sulle
forme, queste non nuove, di nuova contrattazione sociale che si sono
presentate
soprattutto intorno alla questione del carovita e del reddito.
I conflitti
esplosi in questi ultimi anni, quelli cui accennavamo pocanzi, hanno
saputo
anche saldare, nelle lotte, soggetti diversi che fino ad allora avevano
faticato a dialogare fra loro. I movimenti che hanno informato le lotte
degli
ultimi anni da Genova in poi, giovani, studenti, centri sociali,
strutture
sindacali hanno trovato un nuovo comune e prezioso modo di relazionarsi
partecipando,
ciascuno con le proprie dinamiche e modalità, ai più
importanti conflitti. Così
attorno alla questione dei tranvieri si sono viste forme di
solidarietà
militante dei giovani e degli studenti, alle iniziative per il diritto
al
reddito hanno contribuito assieme ai disoccupati i giovani precari e
dei centri
sociali, nelle lotte contro le discariche le popolazioni hanno ottenuto
il
conforto attivo nostro ma anche di tanti che operano quotidianamente
sul piano
sociale. Questo ha prodotto anche pratiche di lotta nuove, soprattutto
per
l’alveo sindacale, che possono diventare anche nostre. Una
novità, questa della
relazione con i movimenti reali che non dobbiamo disperdere né
limitare ad
alcuni territori dove i processi sono più avanzati.
GLI SCENARI PROSSIMI
VENTURI
Se il quadro
che abbiamo attraversato negli ultimi anni è quello descritto,
non possiamo ora
che porci l’obbiettivo di costruire un sindacato capace, nella nuova
fase, di
19 4° Congresso Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005
Sogni Bisogni
Conflitto affrontare adeguatamente le sfide che la trasformazione ci ha
posto
di fronte. Questo ovviamente non significa solo slancio volontaristico
nell’affrontare i nuovi problemi, così come non sarà
sufficiente dotarci di
strumenti di rappresentazione politica ”alta” con cui interloquire con
la
situazione. Ci serve, oggi più che in passato, una
organizzazione che sappia
strutturarsi sui nuovi terreni di intervento come su quelli classici. Non ci facilita il compito, nella
definizione della nostra strutturazione, essere in un momento in cui il
quadro
politico è ancora in movimento, in cui non c’è ancora
certezza di quale sarà la
coalizione politica che guiderà il Paese nei prossimi cinque
anni. È ovvio, e vogliamo ripeterlo
fino alla
noia, che per noi – che facciamo dell’indipendenza un punto centrale
della
nostra identità – non è in discussione l’impianto
conflittuale con cui ci
collochiamo nella nostra quotidiana battaglia per la difesa dei diritti
dei
lavoratori. È invece materia di approfondimento valutare
attentamente gli
scenari con cui ci troveremo a dover fare i conti, perché
è del tutto evidente
che la situazione non sarà uguale se a governare sarà
ancora il centro destra o
tornerà il centro sinistra, non vogliamo dire che sarà
peggiore o migliore,
semplicemente che non sarà la stessa cosa. I “blocchi sociali”,
e quindi gli
interessi materiali, che sono rappresentati dal centro destra e dal
centro
sinistra confliggono direttamente. Il centro destra è stato
supportato in
questi anni dalla Confindustria di D’Amato perché quella
Confindustria era
espressione diretta delle piccole e medie imprese e il governo
Berlusconi ha
incentrato la sua politica economica proprio intorno all’ipotesi di
sostegno a
questo segmento specifico. Invece l’attuale presidente di Confindustria
Montezemolo, espressione delle grandi famiglie del capitalismo
italiano, guarda
con evidente simpatia al centro sinistra in quanto questo schieramento
è
decisamente orientato al rilancio di quel capitalismo da lui ben
rappresentato
essendo anche il presidente della Fiat e della Ferrari. È quindi
evidente che
gli scenari economici cambieranno a seconda che a prevalere sia
l’ipotesi
legata alla piccola e media impresa o quella legata al rilancio delle
“famiglie” del capitalismo italiano più classico.
L’eventuale vittoria del centro sinistra alle elezioni politiche
del 2006 che, è bene ricordarlo, non sono la stessa cosa delle
Amministrative,
rilancerebbe il protagonismo delle forze sociali che, come abbiamo
visto,
avranno dato un contributo politico importante a questo ipotetico
risultato e
presenteranno il conto. Protagonismo che ovviamente avrà
caratteristiche del
tutto diverse da quelle “conflittuali” adoperate durante i cinque anni
di
governo del centro destra. Il rilancio della concertazione diverrebbe
così il
primo punto all’ordine del giorno dell’agenda delle parti sociali, con
le
caratteristiche al ribasso che abbiamo individuato in premessa, ma
questo
avverrebbe in un quadro di smobilitazione graduale che dovrà
necessariamente
passare anche per la normalizzazione di quanto in questi ultimi anni si
era
mosso nel solco del conflitto. Il
programma di “liberismo temperato” che inevitabilmente informerà
l’eventuale
governo di centro sinistra necessiterà, per essere attuato,
della condivisione
delle parti sociali ma soprattutto di una buona dose di pace sociale,
che solo
cgil, cisl e 20 4° Congresso Nazionale della Federazione delle
RdB/CUB 2005
Sogni Bisogni Conflitto uil potranno tentare di garantire. Un nuovo
patto
sociale, costruito attorno alle esigenze del padronato, del capitale
finanziario, della attuazione della Costituzione europea.
Un patto sociale che avrà quindi, come
sempre, come merce di scambio i diritti dei lavoratori. Il “contrordine
compagni” è già iniziato, cosi com’è iniziata la
fase di normalizzazione
interna alla cgil – l’accordo sul contratto dei metalmeccanici tra fiom
e fim -
uilm ne è una concreta avvisaglia – che deve, nel breve volgere
di pochi mesi,
ricalibrare la propria iniziativa avendo di fronte una prospettiva di
governo e
non più di opposizione frontale. La presenza nel centro sinistra
anche
dell’area cosiddetta radicale, offrirà la indispensabile
copertura a sinistra
e, qualcuno spera, potrebbe normalizzare anche parte del mondo del
sindacalismo
di base. La stessa sinistra Cgil ha completamente smobilitato ed oggi
si può
sostenere che la minoranza interna sia gestita direttamente dalla
maggioranza
di Epifani. In questa prospettiva, non irrealistica, di vittoria del
centro
sinistra e di rinculo dell’iniziativa di cgil, cisl e uil, si
aprirà per la CUB
una forte possibilità di tornare ad essere gli unici a rimanere
in campo a dare
battaglia per la difesa dei diritti dei lavoratori, rimettendo al
centro del
conflitto non l’ostilità a Berlusconi e alla sua coalizione ma
le politiche
antipopolari adottate ieri dal centro destra e oggi di nuovo dal centro
sinistra.
Sicuramente
diversa la situazione che si presenterà ove il centro destra
dovesse
riconfermarsi alla guida del paese. È del tutto evidente che le
operazioni di
delegittimazione delle parti sociali subirebbero una forte
accelerazione con
l’intento di delineare anche in Italia una situazione di relazioni
industriali
all’americana dove il sindacato – che comunque lì non è
mai stato fortissimo –
è stato ridotto al lumicino e non ha alcuna voce in capitolo
nella definizione
delle politiche sociali. La vicenda del nuovo fronte della
destrutturazione
finale del modello di welfare statunitense presentato da Bush –
cioè quello
delle pensioni – è la dimostrazione più classica di come
anche il centro destra
nostrano interpreta le relazioni sindacali: nessuna necessità di
condivisione,
muro contro muro con la garanzia, data dal sistema maggioritario, di
poter
portare l’affondo senza eccessivi problemi. Le politiche ultraliberiste
già
delineate nell’ultimo scorcio di legislatura subirebbero un forte
rilancio,
così come l’attacco ai diritti sarebbe ancora più
massiccio. In una situazione
simile è lecito ipotizzare sia una nuova fase di crisi del
centro sinistra, di
scomposizione e ricomposizione dell’alleanza costruita attorno a Prodi,
ma
anche una vera e propria crisi politica di prospettiva, sia un
mantenimento del
ruolo di antagonista politico di una parte del sindacalismo confederale
–
facile anche ipotizzare una nuova fase di crisi tra cgil, cisl e uil –
che
genererà inevitabilmente una nuova fase di “movimento” dentro al
quale abbiamo
dimostrato essere capaci di stare senza perdere i tratti della nostra
identità
come avvenuto invece praticamente per tutto il resto del sindacalismo
di
base. Un altro aspetto fondamentale del
prossimo futuro con cui fare i conti sarà l’attuazione del
federalismo, sia
nell’accezione proposta dal centro sinistra con le modifiche al titolo
V° della
Costituzione approvate agli sgoccioli della passata legislatura, sia 21
4°
Congresso Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005 Sogni Bisogni
Conflitto nell’accezione “hard” della devolution come richiede la lega
e buona
parte del centro destra. Quale che sia l’opzione prevalente,
diverrà operante,
formalmente e sostanzialmente, una modifica importante del quadro
istituzionale
che ci riguarda da vicino e che necessita della massima attenzione
perché con
il quadro istituzionale si andranno via via modificando anche le
politiche
economiche e del lavoro e, quindi, le relazioni sindacali. Già
oggi assistiamo
ad un imperioso protagonismo delle autonomie locali che, di fronte ad
uno Stato
centrale che ha progressivamente ridotto le proprio attribuzioni per
decentrarle - senza tuttavia attuare un contemporaneo e simmetrico
decentramento delle risorse per la sua attuazione – costruisce leggi
finanziarie locali, si dota di propri strumenti di governo del welfare,
istituisce luoghi istituzionali di confronto che prima erano esclusiva
attribuzione dello stato centrale. Si intravede, anche se ancora non
nitidamente, un futuro fatto di frammentazione localista, di politiche
del
lavoro centrate sulle capacità produttive dei singoli territori,
di
competizione tra le varie realtà del paese per attrarre
investimenti e
insediamenti produttivi in una logica in cui chi offre migliori
condizioni di
costo del lavoro e di subordinazione alle esigenze di impresa
guadagnerà spazi
di mercato a discapito di altri territori. Una logica fatta di bassi
salari,
riduzione del welfare, tassazione locale alta per consentire sgravi
alle
imprese, in un quadro di concertazione locale funzionale alla
realizzazione di
questi progetti in una cornice di pace sociale. È evidente che
una simile
prospettiva ci obbliga ad una attenta e approfondita riflessione sulla
nostra
funzione e sulla nostra strutturazione, se non vogliamo arrivare
impreparati
alla sua realizzazione.
La RdB ha
sempre agito in un quadro unitario sul piano nazionale – tale scelta
non è
sempre stata condivisa da altri pezzi del sindacalismo di base –
perché abbiamo
sempre ritenuto l’unicità contrattuale, normativa e salariale
uno strumento
potente di unità della classe e di difesa dei lavoratori
soprattutto di quelli
dei territori più svantaggiati nello sviluppo. La RdB è
stata l’unica
organizzazione sindacale a carattere nazionale ad essere scesa in campo
ufficialmente quando fu sottoposta a referendum la modifica
Costituzionale in
senso federalista approvata nelle ultime ore di vita del governo
D’Alema con
una maggioranza risicatissima. Non possiamo che confermare la scelta
operata
all’epoca proprio oggi che si affacciano sulla scena sindacale progetti
di
riforma della contrattazione che puntano a scardinare il contratto
nazionale,
in nome del federalismo, per favorire la contrattazione locale. Noi ci
siamo
sempre opposti ad un simile stravolgimento dei rapporti di forza che
metterebbe
i lavoratori alla mercè diretta degli interessi di impresa
favorendo un dumping
tra i vari territori e le varie imprese. Riteniamo che anche oggi
questo
atteggiamento sia quello più giusto sul piano politico generale
e su questa
linea va ancorata l’iniziativa dell’organizzazione.
È però altrettanto necessario che la nostra
organizzazione trovi
gli strumenti adeguati alla nuova situazione. Le relazioni
istituzionali a
livello locale non possono più essere un optional ma, assieme a
tutta la CUB,
devono diventare un punto di pro-22 4° Congresso Nazionale della
Federazione
delle RdB/CUB 2005 Sogni Bisogni Conflitto gramma da rivendicare,
ovviamente,
attraverso il conflitto laddove si presentino resistenze di qualsiasi
tipo sia
da parte delle controparti istituzionali sia, come è probabile,
da parte dei
detentori del monopolio della rappresentanza sindacale. Le strutture
locali
dell’organizzazione non possono più quindi operare, come spesso
hanno fatto
finora, da semplice terminale politico/operativo dell’organizzazione
nazionale
ma, superando ritardi a volte anche gravi, divenire soggetto pieno, sul
territorio, dell’articolazione politica. Ci rendiamo conto
dell’insufficienza
dell’attuale strutturazione a fare fronte ai nuovi compiti politici che
la
situazione richiede, riteniamo giusto che il congresso assuma oggi la
decisione
di operare verso una migliore e più adeguata capacità di
stare sul territorio
rispondendo alle trasformazioni in atto, ma riteniamo anche che tale
modificazione dell’assetto della RdB necessiti di un lavoro
approfondito di
analisi e di proposizione politica che attraversi tutti i campi, da
quello
politico a quello dell’organizzazione, da quello economico a quello
degli
strumenti necessari a far decollare il progetto. Questo lavoro di
approfondimento, che non può essere disgiunto da un’ analisi
concreta della
situazione concreta, ha bisogno di tempo e di conoscenze che il
congresso non
ha e non può avere e che, necessariamente, deve essere rinviato
ad un
confronto, che ha le caratteristiche dell’urgenza, che coinvolga
appieno tutto
il corpo dell’organizzazione e in particolare i responsabili delle
strutture
interessate.
Sarebbe
comunque un errore grave immaginare che questa nuova situazione sia
affrontabile in termini di ingegneria istituzionale o di adeguamento
delle
politiche dell’organizzazione alle politiche di concertazione locale,
pur di
ottenere un tavolo di confronto con le istituzioni. È attraverso
il conflitto,
la puntuale individuazione delle nostre proposte e la loro costante
rivendicazione, la capacità di inserirsi nelle contraddizioni
dell’avversario
che sarà possibile ottenere con dignità e forza il ruolo
che ci spetta. Gli
aspetti su cui intervenire e su cui abbiamo da anni espresso una
posizione
netta sono innumerevoli, dalle privatizzazioni alle scelte in tema di
sanità,
di trasporti, di politiche della casa ecc. Sono questi gli strumenti
forti che
abbiamo da mettere in campo e intorno ai quali creare mobilitazione e
consenso
tali da imporre la nostra presenza nel quadro politico territoriale.
IL QUADRO
NOSTRO
La RdB
Dallo scorso
congresso ad oggi la RdB è cresciuta sia come estensione
dell’organizzazione
che come peso politico complessivo. Su questo non ci sono discussioni. Siamo stati protagonisti assoluti, con la
CUB, delle vertenze più importanti e più entusiasmanti
degli ultimi anni. In
particolare abbiamo dato un contributo rilevantissimo, se non decisivo,
alla
vertenza degli autoferrotranvieri che, iniziata nel dicembre 23 4°
Congresso
Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005 Sogni Bisogni Conflitto
2003,
ancora non può considerarsi conclusa. Una vertenza che seppur
centrata su una
questione strettamente di categoria, come il rinnovo del contratto,
è divenuta
il simbolo della rivolta del mondo del lavoro alle politiche di
compressione
dei salari e delle tutele dei lavoratori e alle scelte di
compatibilità operate
da cgil, cisl e uil. È da quella lotta che la parola d’ordine
“salari, diritti,
dignità” è divenuta parola d’ordine di tutto il mondo del
lavoro e che è
riecheggiata successivamente da Fiumicino a Melfi.
Siamo stati e siamo protagonisti della battaglia per il diritto
al reddito sociale ai precari e ai disoccupati. Attraverso la rete per
il
reddito sociale e i diritti, di cui siamo i principali animatori,
abbiamo
imposto al centro dell’attenzione politica la questione delle
condizioni di
vita di milioni di precari e disoccupati, la necessità di
introdurre strumenti
concreti che vadano nella direzione di assicurare comunque un reddito a
tutti,
la questione della lotta al carovita che sarà punto centrale
delle nostre lotte
nei prossimi mesi. È stata la determinazione politica ed
organizzativa, la chiarezza
con cui abbiamo affrontato la questione del reddito, a consentire che
la RdB
venisse considerata il sindacato di riferimento per migliaia di
disoccupati,
soprattutto campani, che hanno scelto di aderire alla nostra
organizzazione e
oggi rappresentano, assieme agli LSU di tutto il meridione e
particolarmente di
quelli della Sicilia, della Puglia e del Lazio, la punta avanzata del
movimento
di lotta per il lavoro ed il salario. I risultati elettorali ottenuti
nelle
recenti elezioni per il rinnovo delle RSU in tutto il pubblico impiego,
sanciscono la definitiva conferma della nostra radicata presenza in
tutti i
comparti e l’acquisizione della maggiore rappresentatività anche
nel comparto
Università. Sono sette oggi i
comparti
in cui la RdB è organizzazione sindacale maggiormente
rappresentativa nel
pubblico impiego. Ciò è avvenuto in una situazione
difficilissima in cui ci
confrontavamo con cgil cisl e uil che arrivavano all’appuntamento
elettorale
forti di una favorevole campagna mediatica dovuta al protagonismo
politico
messo in campo contro il Governo e con il chiaro obbiettivo,
specialmente della
cgil, di farci scomparire per togliersi di mezzo un pericoloso
contendente,
soprattutto in previsione di una eventuale vittoria del centro sinistra
e del conseguente,
inevitabile, cambio di rotta. Anche laddove era ed è più
difficile costruire
organizzazione nazionale, come nell’energia, abbiamo però
mantenuto presenza
politica e sindacale in special modo con l’opera di contrasto alle
privatizzazioni e alle conseguenti ristrutturazioni, trovando anche
relazioni
esterne a noi.
Se sul piano
del privato abbiamo confermato e rafforzato una presenza importante e
ormai
stabilizzata, oltre che nei settori storici anche nelle Multiservizi,
tra gli
ex LSU oggi dipendenti di imprese che operano nelle scuole ed in molte
altre
SPA che gestiscono servizi pubblici locali, nel settore delle
Cooperative
Sociali appartenenti al famoso No Profit o Terzo Settore, la nostra
iniziativa
non solo ha prodotto lotte e mobilitazioni significative - contro i
contenuti
contrattuali e l’inserimento di tipologie di precariato in attuazione
della
Legge 30, che CGIL CISL UIL hanno perseguito – ma ha fatto emergere da
quanta
miseria etica e sociale oltre che politica, di quanto profitto, 24
4° Congresso
Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005 Sogni Bisogni Conflitto
quello
sì vero, sia in realtà caratterizzata la gestione
esternalizzata dei servizi
sociosanitari, tutta basata sulla precarietà e sullo
sfruttamento più selvaggio
degli operatori. Un altro settore
d’intervento che ha preso l’avvio in modo sistematico da poco meno di
un anno è
quello dell’immigrazione.
Una scelta
dettata non solo dalla considerazione che ormai gli immigrati
rappresentano una
parte considerevole del mondo del lavoro - sono un milione e mezzo i
cittadini
extracomunitari che lavorano regolarmentein forma subordinata od
autonoma nel
nostro paese – ma soprattutto dalla consapevolezza che su di essi si
stanno
sperimentando modelli sociali, rapporti politici e legislativi che
costituiscono una vera e propria involuzione della tradizione
culturale,
politica e giuridica del nostro paese.
L’introduzione del contratto di soggiorno - imposto dalla Bossi
Fini,
che condiziona alla durata dei contratti di lavoro, ormai sempre
più precari e
brevi, la permanenza in Italia dei lavoratori immigrati - non è
altro che il
completamento della Legge 30 sul mercato del lavoro.
Sulla
consapevolezza della necessità di non ghettizzare le lotte degli
immigrati per
i propri diritti e la propria dignità, ma di trovare i modi
concreti con cui
queste si saldano con le lotte dei lavoratori italiani, si è
basata la nostra
attività che ha visto l’apertura in numerose sedi territoriali
di sportelli
specificatamente dedicati a queste tematiche, oltre naturalmente
all’intervento
più generale legato alle problematiche specifiche prodotte dalle
legislazioni,
sempre più oscurantiste, susseguitesi dal 1998 in poi, a partire
dall’approvazione della Turco/Napolitano.
La costruzione
di rapporti corretti con le associazioni e le comunità, il
sostegno alle lotte
che dall’autunno in poi hanno messo in evidenza un grande protagonismo
degli
stessi immigrati, il nostro impegno diretto nell’organizzazione delle
stesse,
ci hanno permesso di avere un ruolo non certo secondario all’interno
delle
mobilitazioni sfociate nella grande manifestazione del 4 dicembre a
Roma. Anche in questo settore l’autonomia
di
giudizio, che prescinde da posizioni ideologiche o politiche
precostituite, e
la capacità organizzativa che conferisce concretezza e coerenza
ai nostri
discorsi, sono state le armi vincenti e ancora di più dovranno
esserlo nella
costruzione di un movimento di lotta capace di affrontare la condizione
di
marginalità e di effettivo apartheid civile e sociale, a cui la
cultura
poliziesca e repressiva - che è alla base delle leggi emanate da
questo Governo
ma che ha trovato solide radici nelle precedenti normative di legge
promulgate
dal Centro sinistra – vuole ridurre i cittadini e i lavoratori
immigrati.
Se quindi sul
piano politico, del radicamento e delle lotte abbiamo segnato
indiscutibili
punti a nostro favore, non dobbiamo sottacere le difficoltà e i
problemi che
pure esistono al nostro interno e che vanno affrontati serenamente per
essere
risolti. Nei trasporti scontiamo le
difficoltà dovute alla mancanza pressoché totale di
agibi-25 4° Congresso
Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005 Sogni Bisogni Conflitto
lità e
diritti e la proterva continua chiusura delle parti datoriali –
più a livello
centrale che locale, in verità – dovuta non solo alla
volontà di queste di
impedirci la crescita, che un riconoscimento indubbiamente ci
consentirebbe, ma
anche, e forse soprattutto, alla netta chiusura ad un nostro
qualsivoglia
coinvolgimento nelle relazioni industriali da parte di cgil, cisl e uil
che
temono moltissimo il nostro ruolo e la nostra crescita. Non va
sottaciuta una
certa tendenza all’aziendalismo che, seppur comprensibile data la
natura della
categoria, sta diventando obbiettivamente un freno allo sviluppo e alla
crescita della struttura. Peraltro l’internità delle nostre
strutture al
coordinamento nazionale dei sindacati di base del trasporto pubblico
locale,
assieme a Sult, Sincobas, Slai, Cobas e Fltu, se ci ha nella prima fase
aiutato
nella grossa vertenza dell’autunno scorso, oggi è
obbiettivamente divenuta un
elemento di freno e di ritardo alla crescita. In particolare la stretta
dipendenza di alcune di queste organizzazioni da partiti politici che
hanno
però come interlocutore principale la Cgil, impedisce a noi
operazioni di
stabilizzazione, che pure abbiamo più volte tentato, e propone
continue
subordinazioni a esigenze di partito. È quindi necessario
mettere in campo
iniziative volte a modificare radicalmente questa situazione mettendo
anche in
conto la possibilità di interrompere questa unità di
azione che sta diventando,
nostro malgrado, unità per la non azione! È anche
necessario comprendere
appieno cosa significhi per la RdB/CUB Trasporto urbano l’integrazione
nella
CUB Trasporti, vista anche l’attuale condizione organizzativa e di
sviluppo
delle altre due organizzazioni, la FLTU e la CUB Trasporto aereo.
Quella dei
Trasporti è la prima significativa aggregazione di
organizzazioni diverse che
operiamo all’interno della CUB e quindi siamo di fronte ad una sorta di
sperimentazione che non deve essere negativa ma deve dare indicazioni
di lavoro
e di organizzazione a tutta la CUB. È necessaria una riflessione
attenta sia
sul piano operativo che su quello politico che affidiamo per buona
parte al
congresso della RdB/CUB Trasporti.
Nel pubblico
impiego, nonostante l’evidente successo alle elezioni RSU, permangono
alcune
difficoltà di gestione in alcuni settori, soprattutto tra quelli
storici, che
sarebbe opportuno risolvere rapidamente per non disperdere quanto
costruito
sinora e per poter immaginare un quadro di sviluppo davvero condiviso
da tutti.
Riscontriamo, ancora, diffidenze nei confronti della categoria unica di
pubblico impiego e particolarismi di settore, così come fanno
fatica ad
assumere il ruolo loro demandato i coordinamenti regionali di pubblico
impiego
che, raramente, hanno svolto funzione politica di sviluppo e di governo
della
categoria sul territorio. Il congresso della RdB pubblico impiego
avrà quindi
anche il compito di individuare le soluzioni migliori per superare di
slancio
le difficoltà che si sono presentate, ricordando sempre che gran
parte dello
sviluppo dell’organizzazione ancora oggi dipende dalla nostra
capacità di
intervento e dalla nostra crescita in questa categoria.
Le strutture
decentrate dell’organizzazione – i coordinamenti provinciali – hanno in
molti
casi accusato un notevole ritardo di comprensione politica dei processi
che
l’or-26 4° Congresso Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005
Sogni
Bisogni Conflitto ganizzazione metteva in atto, in particolare - tranne
che nel
meridione che su questa questione ha dato un contributo determinante -
nella
costruzione dell’iniziativa sul reddito. Alcuni coordinamenti sono
stati tali
solo sulla carta non svolgendo alcuna funzione sul territorio
limitandosi, nel
migliore dei casi, ad amministrare l’esistente senza progettare ed
attuare lo
sviluppo.
La CUB
Con l’Assemblea
Nazionale di Rimini del 2003 abbiamo segnato una svolta importante
nella
costruzione “reale” della CUB, passando dall’enunciazione della
necessità della
Confederazione alla concreta pratica della confederalità. La RdB
dopo Rimini ha
delegato pressoché completamente al livello confederale la
rappresentazione
politica e si è limitata a continuare a costruire il sindacato
nelle categorie
e nei territori. La CUB è stata
quindi
il soggetto che ci ha rappresentato tutti nelle iniziative contro la
guerra,
nella costruzione delle mobilitazioni contro la precarietà e per
il diritto al
reddito, nelle lotte dei lavoratori dei trasporti, nelle prime
manifestazioni
contro la ripresa della concertazione ecc. Ovviamente diamo un giudizio
positivo della visibilità politica ottenuta in questi due anni.
La CUB è uscita
allo scoperto sui temi centrali, ha avuto una buona eco tra i
lavoratori e
sulla stampa, è riuscita ad imporsi davvero, nell’immaginario
collettivo, come
la confederazione del sindacalismo di base presente nelle categorie e
radicata
nei territori, anche per la evidente crisi del resto del sindacalismo
di base
che si è appiattito sempre più sulla Cgil e sulle scelte
eterodirette del
social forum. Ciò che è mancato, e che ancora sembra
mancare, e che in qualche
modo ha rappresentato un freno alla crescita complessiva della CUB e
quindi
anche nostra, è stata la capacità di avviare campagne
politiche forti su temi
centrali che pure erano stati posti all’ordine del giorno come quello
sul
salario e sul ripristino della scala mobile, del TFR, della
rappresentanza, del
diritto di sciopero. Le diverse
provenienze delle organizzazioni che compongono la CUB che, ancora
oggi, è
formalmente una confederazione di organizzazioni, probabilmente giocano
ancora
un ruolo importante. Convivono, seppur con qualche difficoltà,
più di un modo
di leggere la realtà politica e sindacale del paese, cosa che ha
generato
conseguenti modelli di relazione ed organizzativi diversi che ancora
fanno
fatica ad omogeneizzarsi e che, in qualche occasione, determinano
ritardi ed
incomprensioni. Il permanere di diversi
modelli organizzativi, frutto come dicevamo di diverse concezioni
sindacali,
pur in presenza di una sostanziale unità di vedute sul piano
politico, ha
impedito alla CUB di operare al meglio e di rafforzarsi e consolidarsi.
Noi
abbiamo sempre ritenuto, e continuiamo a ritenere, che lo sviluppo
dell’organizzazione
sia questione centrale e che non possa essere delegata unicamente alla
buona
volontà di chi opera nei singoli territori o nelle singole
categorie ma che sia
necessario uno sforzo solidale di tutta l’organizzazione. Spesso ci
siamo fatti
carico a livello locale anche del sostegno ad altre categorie della CUB
che non
erano in grado in pro-27 4° Congresso Nazionale della Federazione
delle RdB/CUB
2005 Sogni Bisogni Conflitto prio di programmare lo sviluppo, abbiamo
aperto le
sedi RdB alle altre organizzazioni della CUB, insomma abbiamo reso
fruibile ciò
che abbiamo costruito faticosamente in questi anni, ma è ormai
evidente che non
è più ipotizzabile questa modalità di relazioni se
non si definisce in concreto
un modello di sviluppo e di organizzazione compatibile. Ciò si
rende ancora più
necessario nell’ipotesi, che noi sosteniamo decisamente, della
costruzione
delle CUB regionali su tutto il territorio nazionale come punto di
forza di
tutta l’organizzazione e struttura capace di rendere più facile
e veloce
l’omogeneizzazione all’interno della CUB. L’esperimento della
costruzione della
CUB Trasporti ancora non ci da sufficienti elementi per capire se
stiamo
andando nella direzione giusta, certo è che il futuro
dovrà sempre più vedere
momenti di sintesi organizzativa e di gestione, un processo che rischia
di
essere ritardato proprio dalla mancata definizione di un modello
unitario di
regole e di funzionamento. La prossima
Assemblea nazionale della CUB, prevista statutariamente per il 2006,
dovrà obbligatoriamente
sciogliere alcuni nodi in tal senso. Da oggi ad allora dovremo comunque
fare
ogni sforzo possibile perché la CUB si affermi come il soggetto
unitario di
tutti noi sia sul piano nazionale sia, costruendo le CUB regionali
dappertutto,
sul piano territoriale.
LO STATO DELLE
STRUTTURE E I NUOVI COMPITI
La crescita
obbiettiva dell’organizzazione, la spinta alla costruzione delle CUB
regionali,
lo spostamento di poteri sul piano istituzionale dal livello centrale a
quello
locale ci obbligano ad una rilettura del nostro piano organizzativo
generale
per renderlo
adeguato a dare
le risposte che la situazione ci chiede. È indispensabile a tal
fine una
disamina attenta e non consolatoria dello stato delle nostre strutture,
tenendo
sempre presente che, comunque, sono queste che ci hanno fatto
raggiungere
l’attuale peso politico
Il
Coordinamento nazionale
Riteniamo che
l’esperienza del Coordinamento nazionale allargato alla presenza dei
compagni
responsabili delle maggiori strutture di coordinamento provinciale,
seppure ha
consentito di avere un quadro più puntuale della percezione e
della
realizzazione delle scelte dell’organizzazione, non sia stato
completamente
adeguato. È sicuramente mancata la presenza di compagni interni
al lavoro
legato ai nuovi compiti dell’organizzazione, raramente si è
usciti dal
localismo. Un’ipotesi di lavoro che proponiamo al congresso è
pertanto quella
di un allargamento contenuto del Coordinamento nazionale, non per farne
un’assise pletorica ma per avere al suo interno anche la rappresentanza
di
territori e articolazioni di lavoro importanti ma fin qui esclusi dalla
costruzione della direzione, e la costituzione di un esecutivo
più ristretto
che 28 4° Congresso Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005
Sogni
Bisogni Conflitto abbia il compito di rendere effettivamente
realizzabili sul
piano concreto le scelte che il Coordinamento di volta in volta
effettuerà.
Il Consiglio
nazionale
Ben più critica
è la valutazione sul Consiglio nazionale di Federazione che si
è dimostrato
essere del tutto inadeguato al compito statutario che gli veniva
affidato, cioè
quello di contribuire a definire le scelte dell’organizzazione.
Nonostante
molti abbiano ritenuto di candidarsi a farne parte, in concreto alle
riunioni
del Consiglio molte erano le assenze ripetute, ma soprattutto è
mancata la
funzione di elaborazione, di contributo politico che ci si aspettava.
La
partecipazione agli organismi non può più essere intesa
come elemento di
“formazione sindacale”. Altri sono i luoghi in cui ciò
sarà possibile, alla RdB
oggi serve un quadro dirigente responsabile, interno ai processi
decisionali,
capace di fornire strumenti e contributi di analisi. Riteniamo
pertanto, alla
luce di questa esperienza di dover valutare con attenzione la
composizione del
consiglio, senza sottostare a pressioni categoriali o di territori ma
individuando quei compagni effettivamente disponibili a dare un fattivo
contributo alla crescita dell’organizzazione e che siano effettivamente
rappresentativi dei territori e delle categorie.
I Coordinamenti
provinciali
È
prioritariamente necessario chiarire che, anche alla luce della
verifica del
loro funzionamento, non tutte quelle strutture che oggi si
autodefiniscono
coordinamenti provinciali lo sono. In molti casi si tratta
semplicemente di
sedi di lavoro - non avendo ancora costruito compiutamente un assetto
di
coordinamento politico che è quello che abbiamo deciso nei
precedenti congressi
- che spesso non sono intervenute, come è invece indispensabile,
a sostenere le
categorie prive di agibilità e diritti sindacali.
Su questo probabilmente è necessario fare maggiore
chiarezza. Molti coordinamenti
provinciali hanno fin qui soprattutto assolto ad un compito di
coordinamento
dell’esistente senza immaginare lo sviluppo del nostro intervento su
quei
settori emergenti che pure sono stati al centro della nostra attenzione
politica dall’ultimo congresso ad oggi. Con questo Congresso sanciamo
invece
una nuova fase, che non può che valere per tutti, in cui
affianchiamo alla
necessità di mantenere sempre alto il livello dell’intervento
nelle nostre
roccaforti categoriali, l’avvio della strutturazione necessaria a far
si che il
sindacato sia strumento “fruibile” anche fuori delle aziende e accolga
i
soggetti espulsi o estranei al ciclo produttivo classico. Rendere
fruibile
l’organizzazione significa attrezzare le nostre sedi e i nostri
compagni ad una
nuova modalità di lavoro fatta di intervento politico e
sindacale ma anche di
capacità di offrire servizi e strumenti che per alcuni settori
sono
indispensabili tanto quanto il sostegno politico sindacale.
È tanto più
necessario attrezzare le nostre strutture locali ai nuovi compiti in
quanto su
questi terreni sindacali/sociali intervengono anche articolazioni di
movimento
29 4° Congresso Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005
Sogni Bisogni
Conflitto che non hanno come noi caratteristica e strutturazione di
tipo
sindacale e con le quali è opportuno mantenere una
capacità di interlocuzione
che, senza snaturare né destrutturare il nostro modello
sindacale di approccio
ai problemi, coniughi con questo le nuove forme di contrattazione
sociale che
si stanno affermando come modalità di battaglia e
rappresentazione politica. Lo
scontro sul carovita, che intendiamo portare avanti con forza e
determinazione,
necessita ad esempio della capacità di allargare il movimento ad
altri
soggetti, consumatori, disoccupati, precari, associazioni di quartiere
che
potranno offrire valore aggiunto alle nostre iniziative che, ad esempio
nei
luoghi di lavoro, potranno esprimersi attraverso un forte rilancio
della
proposta di nuova scala mobile. L’esperienza estremamente positiva di
lavoro in
comune con altri soggetti che abbiamo realizzato con la Rete per il
reddito
sociale e i diritti può senz’altro essere un riferimento di
come, senza cadere
nelle trappole di relazioni “eterodirette” che al momento giusto si
squagliano
come neve al sole per restituire ai partiti la gestione della politica,
si
possano utilmente far convivere esperienze di natura e provenienze
diverse.
Da tempo
abbiamo prodotto l’analisi e l’elaborazione necessaria su questi temi,
ciò che
ancora ci manca sono gli strumenti dell’intervento - anche se qualcosa
abbiamo
già messo in campo - e la riorganizzazione delle strutture
intorno a questi
nuovi compiti. Se, infatti, il nostro
intervento sul mondo del lavoro ”classico” va mantenuto e rafforzato
perché
rimane comunque strategico – e su questo terreno possiamo dire che gli
strumenti di cui ci siamo dotati hanno funzionato abbastanza bene –
dobbiamo
ora, evitando freni e resistenze di tipo categoriale, attrezzare al
meglio le
nostre strutture per i nuovi compiti.
Le Federazioni
Territoriali
Le Federazioni
Territoriali, quelle cioè cui il nostro statuto assegna il
compito specifico di
occuparsi dei precari, dei disoccupati, dei pensionati, degli
immigrati, dei
lavoratori non organizzabili in categorie nazionali, finora si sono
strutturate
solo in alcune città, principalmente del meridione, sulla scorta
dell’intervento su LSU e disoccupati.
In questi luoghi abbiamo potuto sperimentare il progetto
ricevendone
indicazioni preziose visto anche il confortante risultato ottenuto. Se
è vero,
come sosteniamo, che ora le nuove figure sociali sono largamente
diffuse su
tutto il territorio nazionale – anche se le caratteristiche non sono
sempre le
stesse, ad esempio gli immigrati nel nord sono quasi tutti inseriti nei
cicli
produttivi mentre nel centro sud vivono soprattutto di lavoro nero o di
piccolo
commercio abusivo – noi dobbiamo attrezzarci alle relazioni con questi
soggetti
ovunque. Vanno individuate le strutture dedicate a questo nuovo lavoro,
le
risorse, gli strumenti. Va innanzitutto prodotta inchiesta su
ciò che realmente
è presente sul territorio e quali esigenze prioritarie si
manifestano. La struttura centrale
dell’organizzazione
che ha prodotto molto, sia in termini di analisi che di intervento,
dovrà
disporsi al sostegno concreto e materiale di que-30 4° Congresso
Nazionale
della Federazione delle RdB/CUB 2005 Sogni Bisogni Conflitto sto nuovo
lavoro.
Proponiamo al congresso, anche per evitare incomprensioni sul ruolo di
questa
struttura, di cambiare la denominazione passando da “federazioni
territoriali”
a “coordinamenti del territorio” in modo che risulti chiaro che si
tratta di
articolazioni che, nell’ambito della strutturazione organizzativa e di
lavoro
che ci siamo dati, operano sul territorio espressamente per
l’organizzazione
dei soggetti che abbiamo sopra indicato.
Le Federazioni
regionali
Si pone altresì
un problema di adeguamento delle strutture previste statutariamente. Emerge la necessità – soprattutto di
fronte
ai nuovi compiti e al decentramento di poteri in atto – di dotarci
dell’organismo Regionale che sia in grado di essere punto di sintesi
politica e
organizzativa di quanto accade nell’ambito regionale. La proposta
quindi è
quella di istituire statutariamente la Federazione Regionale RdB/CUB
cui sia
attribuito anche il compito di contribuire alla costruzione della CUB
regionale
e all’individuazione dei piani di sviluppo sul territorio nonché
la gestione
materiale delle risorse dell’organizzazione. Una tale scelta non deve
però
preludere ad una duplicazione di funzioni, o di attribuzioni, sulle
stesse
persone. Non ci serve avere più giacchette da far indossare alle
stesse
persone, ma la crescita di nuovi quadri capaci di essere punto di
riferimento
ciascuno ai propri livelli. Così come le attuali risorse
dell’organizzazione
non ci consentono allo stato attuale di prevedere se non minimi
implementi
delle risorse economiche che vanno invece meglio distribuite tenendo
conto
dell’eventualità, che qui si propone, della costruzione del
nuovo livello
regionale. La discussione sulle
risorse, finalizzata a questo nuovo livello dell’organizzazione, che
per noi è sempre
politica e non unicamente economica, è necessariamente rinviata
al nuovo
consiglio e coordinamento nazionale che dovranno elaborare una proposta
strettamente legata alla nascita di questa nuova struttura.
Gli strumenti
materiali
Va sottolineato
come molte strutture non utilizzino appieno gli strumenti già
disponibili per
la crescita materiale e politica dell’organizzazione. Il Centro studi
Cestes e
la rivista Proteo, che pure sono strumenti apprezzatissimi in tutti gli
ambienti scientifici, sindacali e politici non trovano grande riscontro
all’interno
dell’organizzazione. Non viene
pianificata la distribuzione della rivista, non si lavora agli
abbonamenti, da
tempo nessuna struttura si è fatta promotrice di presentazioni
dei numeri di
Proteo per allargare la nostra influenza. Non tutte le federazioni
hanno aperto
centri di raccolta del CAF di Base e in alcuni casi in cui è
stato aperto non
viene sufficientemente valorizzato, portando invece che benefici
sperpero di
risorse, così come quasi da nessuna parte è stato
impiantato l’ufficio vertenze
che sarà uno degli strumenti più utili nei confronti dei
nuovi soggetti che
abbiamo deciso di organizzare. Alcuni di questi strumenti, in
particolare il
CAF e l’ufficio vertenze possono anche essere utili all’au-31 4°
Congresso
Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005 Sogni Bisogni Conflitto
tofinanziamento delle strutture; non è più ipotizzabile
che il finanziamento
dell’organizzazione provenga unicamente dalle quote degli iscritti, che
pure
vanno implementati, è ora che tutte le strutture individuino le
nuove forme del
finanziamento se non vogliamo rischiare che l’asfissia economica ci
riduca la
capacità di intervento politico. Nodo
ancora irrisolto è quello degli strumenti di informazione.
Rilanciando “noi”
telematico pensavamo di fare cosa utile e gradita, ma ad oggi non ci
sembra ci
sia rispondenza da parte delle strutture che non collaborano affatto
alla
costruzione dello strumento inviando notizie ed altro. Permane quindi
la
necessità di individuare uno strumento “intermedio” tra il
volantino e Proteo,
capace di far circolare tra i lavoratori le nostre analisi e il nostro
pensiero
e di raccogliere indicazioni e informazioni sulle lotte.
Sulla questione
formazione, dopo alcuni cicli riguardanti più il piano teorico
generale che
quello strettamente sindacale, abbiamo ora urgenza di rilanciare un
piano
formativo sia per attrezzare le strutture ad indagare meglio e
più a fondo
sulla nuova composizione di classe e sui nostri nuovi compiti, sia per
fornire
una cassetta degli attrezzi sindacali a chi, come i nuovi delegati RSU,
si
affacciano al lavoro sindacale partendo dalla propria buona
volontà, dalla
propria disponibilità ma senza grandi strumenti sindacali che
invece spetta
all’organizzazione fornire.
GLI OBBIETTIVI
DEL LAVORO POLITICO DELLE NOSTRE STRUTTURE
Le categorie e
le strutture locali dovranno ovviamente dotarsi di un impianto di
lavoro che,
in linea con le esigenze generali dell’organizzazione che emergeranno
da questo
nostro momento di confronto congressuale, sia capace di far avanzare la
nostra
prospettiva.
I congressi
delle categorie e delle federazioni territoriali dovranno quindi
decidere su
quali priorità orientare l’intervento. Ci sembra comunque
possibile fin da ora
indicare, senza in alcun modo voler condizionare gli esiti del
dibattito delle
categorie, alcuni punti di programma e di sviluppo.
Il pubblico
impiego
La
trasformazione dello stato, il suo divenire sempre più apparato
di servizio
alle imprese, la lenta ma inesorabile destrutturazione di ciò
che per anni ha
rappresentato il welfare italiano e quindi gli elementi di resistenza
da
mettere in campo per ostacolare questi progetti – anche se sono ormai
in stato
avanzato di attuazione grazie soprattutto all’incalzare del
federalismo/devolution – non possono che essere al centro della
riflessione e
dell’azione della nostra categoria più forte e strutturata.
Affidiamo quindi
alla elaborazione di chi quotidianamente opera nella pubblica
amministrazione
il compito di fornire a tutta l’organizzazione elementi di analisi e di
lotta
da op-32 4° Congresso Nazionale della Federazione delle RdB/CUB
2005 Sogni
Bisogni Conflitto porre alla devastazione dello stato sociale.
Ciò ovviamente
ha anche implicazioni dirette sulla vita e sul futuro dei lavoratori
pubblici
che attraversano ormai da anni le continue, profonde trasformazioni in
atto.
Sono ormai
centinaia di migliaia coloro che hanno perso la propria condizione di
dipendente pubblico e sono approdati, loro malgrado, nel privato
seguendo le
sorti dei settori in cui lavoravano; altre migliaia di lavoratori sono
in
procinto di seguire la stessa sorte. È evidente che una
organizzazione
sindacale come la nostra, da sempre orientata alla difesa e alla
qualificazione
dello stato sociale, non possa che essere in prima fila in questo
scontro.
Ma per riuscire
sempre più ad essere punto di riferimento stabile e diffuso
abbiamo necessità
di sviluppare la nostra presenza nei luoghi di lavoro e nel territorio.
Le due
ultime scadenze elettorali per il rinnovo delle RSU ci consegnano un
quadro
confortante. Solo in due comparti,
purtroppo i più consistenti sul piano numerico, non abbiamo
raggiunto ancora la
maggiore rappresentatività anche se abbiamo mantenuto un buon
livello di
presenza, nonostante le difficoltà. Oggi, se vogliamo davvero
dare definitiva
stabilità al nostro operare, non possiamo che lavorare al
consolidamento e
all’allargamento della nostra influenza nei settori in cui abbiamo
già ottenuto
il riconoscimento e allo sviluppo della nostra presenza in questi due
settori –
enti locali e sanità – provando a raggiungere anche qui la
maggiore
rappresentatività. Ma il pubblico
impiego oggi ha anche un altro compito importante da assolvere, quello
della
battaglia alla precarietà che va informando sempre più
anche questo settore
strategico. Le centinaia di migliaia di precari già operanti a
diverso titolo
nella pubblica amministrazione sono destinati ad aumentare con
l’utilizzo delle
forme più spregiudicate di flessibilità introdotte dalla
legge 30. L’iniziativa
continua e forte già messa in campo dalla RdB pubblico impiego
va senza dubbio
sviluppata e radicata su tutto il territorio nazionale, collegandola
con le
iniziative che mettiamo in campo, su questo tema, sul piano più
complessivo
della lotta al precariato. Battersi contro queste forme di lavoro nel
pubblico
impiego è anche battersi contro la devastazione dello stato
sociale.
I TRASPORTI
La
straordinaria battaglia messa in campo nel settore del trasporto
pubblico
locale, pur avendoci dato molta visibilità non ci ha consegnato
una crescita
adeguata della nostra struttura. Siamo senz’altro cresciuti in quelle
aziende
dove già eravamo presenti e dove abbiamo svolto un ottimo ruolo
di direzione
delle lotte, ma non abbiamo colto questa straordinaria occasione,
tranne alcuni
casi, per espanderci fuori dai confini delle aziende dove eravamo
già presenti.
La RdB continua a ritenere questo settore di lavoro un settore
strategico, lo
dimostra anche il sostegno dato alla RdB tra-33 4° Congresso
Nazionale della
Federazione delle RdB/CUB 2005 Sogni Bisogni Conflitto sporti da tutta
l’organizzazione durante i mesi infuocati dell’autunno scorso. È
proprio per
questo che chiede uno sforzo di impegno per l’espansione della nostra
presenza
in altre aziende e in altre province e il consolidamento di quanto
abbiamo già realizzato. Ciò
sarà possibile se riusciremo a ridurre
la visione aziendalista che troppo spesso ha impedito di liberare
risorse per
poter intervenire laddove non siamo ancora presenti e, in alcuni casi,
facendoci perdere importanti occasioni di sviluppo. Va sottolineato,
dal punto
di vista della federazione nazionale, che molte nostre strutture di
coordinamento provinciale dell’organizzazione non hanno sostenuto
sufficientemente il lavoro di espansione. Questo è sicuramente
un problema di
tutti, non solo della struttura dei trasporti.
Ma dopo anni di
lavoro intenso e faticosissimo di radicamento e di iniziativa in un
comparto in
cui non esistono agibilità sindacali e le aziende sono veri e
propri mastini,
dobbiamo indirizzare il nostro lavoro ad ottenere il riconoscimento
definitivo
della nostra organizzazione. Sappiamo che non esistono scorciatoie
facilmente
percorribili, dobbiamo quindi avere questo obbiettivo ben presente
nella nostra
quotidiana attività e costruire le condizioni perché
questo si realizzi
partendo da una capacità di individuazione delle contraddizioni
e operando
affinché l’obbiettivo diventi praticabile. È però
ovvio che avviare la
battaglia per il riconoscimento della nostra organizzazione apre
contraddizioni
all’interno del Coordinamento nazionale dei sindacati di base con cui
è utile
mantenere rapporti di lotta e di iniziativa unitaria ma non può
ritardare il
nostro sviluppo. Su questo punto specifico è importante avviare
una riflessione
approfondita sulle modalità di relazione da avviare.
Il congresso
della RdB/CUB Trasporti dovrà anche definire il proprio quadro
di intervento
sui settori
nuovi che si stanno organizzando con noi – portuali, aeroportuali
e soprattutto
individuare le forme della nostra partecipazione al definitivo decollo
della
CUB Trasporti cui tutta la RdB annette grande importanza.
L’ENERGIA
Eravamo state
facili cassandre nel denunciare, negli anni scorsi, le ricadute
negative sui
lavoratori e sui cittadini delle privatizzazioni/liberalizzazioni
dell’ENEL e
delle aziende municipalizzate e proprio come Cassandra abbiamo
riscontrato
difficoltà nel rapporto con i lavoratori che abbagliati in
primis dalla
retorica del privato è bello hanno poi subito un brusco
risveglio di fronte
agli spezzatini, agli smembramenti, alle vendite a imprese straniere e,
non
ultimo, alle perdite realizzate dai titoli delle proprie aziende
collocate in
borsa e incautamente acquistati.
La Cassa
Integrazione, la mobilità sono stati i contenuti principali dei
piani
industriali che le nuoveproprietà hanno messo in piedi
oltretutto accollando
alla collettività le spese di modernizzazione degli impianti.
In questo
quadro le prospettive future del settore non inducono certo
all’ottimismo: grazie alle scellerate
politiche sia
del centro destra che del centro sinistra, l’Italia è diventata
terra di
conquista sia per la statunitense General Elettric che per la francese
EDF e
con un governo interessato solo a far cassa - è prossima la
vendita ai privati
di un’ulteriore quota dell’ENEL – e a favorire la scalata di gruppi e
società
che dall’energia ricavano guadagni elevatissimi, i rischi per i
lavoratori e
gli utenti si moltiplicano. Gli
spezzatini, il passaggio a società diverse, la mancanza di
diritti sindacali, i
vuoti creatisi nelle nostre strutture con la mobilità e
l’espulsione di
centinaia di lavoratori, tutti questi fattori hanno inciso
negativamente sulla
nostra capacità di iniziativa generale nel settore.
In questa
condizione resistere e mantenere importanti presenze nel settore
è già stato un
fatto assolutamente positivo.
Nella lotta
contro le privatizzazioni abbiamo dimostrato capacità di
iniziativa politica e
di costruzioni di alleanze. È il caso, oltre all’ormai storica
vicenda del
referendum Acea di Roma, dell’AEM di Milano: il sindaco Albertini ha
dovuto
sudare non poco per superare, in modo del tutto illegale peraltro, gli
ostacoli
posti dalla RdB sulla strada della vendita dell’AEM; a Napoli siamo in
prima
fila nell’opposizione al progetto Bassolino/Iervolino di privatizzare
l’acqua,
e questi sono esempi minimi mentre si affacciano inquietanti segni
circa la
cessione ai privati delle restanti quote di servizi pubblici, compreso
il gas.
Considerando
l’incidenza che il costo dei servizi pubblici ha sul salario e sul
livello di
vita, cosa di cui, passata la sbornia liberista, masse sempre crescenti
di
lavoratori e cittadini prendono coscienza, la lotta contro le
privatizzazioni
dovrà necessariamente trovare collegamenti tra le nostre
strutture categoriali
e quelle territoriali. Nel clima di
generale involuzione che caratterizza le vicende del nostro paese,
è da tenere
in forte considerazione la prospettiva di un ritorno al nucleare,
invocato
ormai più di una volta da Berlusconi e dai suoi ministri e
propiziato da
sospetti blackout, pretestuosamente addebitati alla carenza di fonti
energetiche mentre sono da ascrivere interamente ai meccanismi causati
dalla
privatizzazione.
Ricordando che
su questo tema si è espresso tutto il paese con un referendum,
riteniamo
indispensabile un forte impegno della RdB Energia e della CUB su questo
problema PRIVATO, PRECARIATO, TERRITORIO Se nei precedenti congressi
avevamo
individuato il precariato come uno degli obiettivi fondamentali del
nostro
lavoro, oggi non solo bisogna ribadire la necessità di
continuare ad essere un
punto di riferimento politico ed organizzativo per questa parte 35
4° Congresso
Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005 Sogni Bisogni Conflitto
del
mondo del lavoro, che aumenta in maniera esponenziale, ma ad esso va
associato
l’intervento rispetto al privato diffuso alla luce delle
trasformazioni,
avvenute o in fieri, nei rapporti di lavoro.
Le
liberalizzazioni, le privatizzazioni dei servizi pubblici, locali e
nazionali,
lo spezzatino delle grandi aziende pubbliche dei servizi a rete in
decine di
microsocietà stanno trascinando migliaia e migliaia di
lavoratori, finora
classificabili tra i garantiti, in una specie di limbo in cui non
esistono
sicurezze né garanzie. È
indubbio che
questo settore d’intervento riveste un’importanza strategica per lo
sviluppo
delle RdB, sia a livello di elaborazione politica che di espansione
organizzativa, poiché accanto ai settori del lavoro dipendente
tradizionale si
diffondono sempre di più altri settori che sfuggono ai
cliché classici del
lavoro subordinato. Siamo in presenza
infatti di una modificazione strutturale radicale della composizione di
classe.
Il diffondersi
del lavoro a breve termine, a contratto atipico, occasionale, degli
appalti non
più solo di segmenti di lavoro servile, a scarso contenuto
tecnologico, ma di
interi settori produttivi nelle grandi aziende, è accompagnato
da un
cambiamento nella struttura delle istituzioni sociali, politiche,
sindacali,
che vengono adeguate alla logica del mercato, il quale è troppo
dinamico per
permettere di fare le stesse cose allo stesso modo un anno dopo l’altro.
Si impone la
logica dei rapidi ritorni economici che possono essere generati
sopratutto
grazie a cambiamenti rapidi nella struttura produttiva delle aziende. La politica del lungo termine, della
stabililità,
caratteristica dello sviluppo capitalista della fase fordista cede il
passo di
fronte all’instabilità dei mercati azionari, all’oscillazione
del ciclo
economico, alle crisi finanziarie ed economiche che con
periodicità accelerata
investono intere zone del pianeta.
Nella seconda
metà del ‘900 la presenza combinata di grandi aziende,sindacati
forti e
garanzie normative introdotte con lo stato sociale, aveva permesso di
tenere in
qualche modo sotto controllo tale disordine producendo un’era di
relativa stabilità
Oggi la produzione si riorganizza sulla base di modelli flessibili,
snelli, più
simili a reti che a piramidi, l’azienda flessibile diventa un
arcipelago di
attività collegate in cui è possibile intervenire
eliminando, se necessario,
delle parti senza distruggerne altre.
Gli aspetti più evidenti di questa continua
ristrutturazione sono la
riduzione dei posti di lavoro, la perdita di controllo e di potere da
parte dei
lavoratori e delle loro organizzazioni sindacali, la polverizzazione
della
produzione nel territorio, l’abbattimento di qualunque garanzia e
diritto.
Questi fenomeni
- che negli Stati Uniti sono ormai giunti a maturazione, basti pensare
che già
nel 1998, anno in cui in Italia viene introdotto con il Pacchetto Treu
il
lavoro interinale, la Manpower, una delle più grandi
multinazionali di lavoro
in affitto, aveva sui suoi libri paga 600.000 persone contro le 400.000
della
General Motor e le 350.000 dell’IBM – sono una realtà anche qui
da noi.
L’entrata in
vigore della Legge 30/2003,
che ha reso brutalmente legittime le più svariate forme di
rapporti di lavoro
atipici, combinata con la politica delle privatizzazioni,
permetterà ai padroni
nostrani, pubblici e privati, di ampliare a dismisura l’area del lavoro
fluido
allungando al contempo l’instabilità, l’insicurezza, la
precarietà su segmenti
del mondo del lavoro che finora potevano ritenersi immuni da tali
condizioni. Il lavoro viene fisicamente
decentrato, scompaiono le stratificazioni organizzative tipiche della
produzione fordista con le sue catene di comando, ma il controllo sul
lavoratore, sul suo tempo, è più diretto sia a livello
individuale che
sociale. Il lavoro disgregato produce
disgregazione politica, nel senso che si smarrisce il senso della
propria
identità sociale, culturale, e naturalmente lavorativa e
contrattuale. Il mondo dei nuovi lavori o
del lavoro
fluido, è molto complesso, accanto a figure ad alta
scolarizzazione, che questa
nuova rivoluzione industriale destina a mansioni sempre più
elementari e
scomposte, vivono schiere di lavoratori addetti a mansioni servili,
entrambi
ricattati e sottoposti a condizioni di sfruttamento sempre più
brutali e senza
diritti.
Molti parlano
di questa complessità come se ciò rappresentasse una
nuova condizione sociale,
ma forse bisogna riferirsi ad essa più semplicemente come ad
un’acutizzarsi
della contraddizione capitale/lavoro, cui noi ci siamo sempre riferiti. Certo è che questa nuova condizione del
lavoro pone una serie di interrogativi a cui andrà cercata
risposta con un
lavoro di approfondimento analitico e scientifico, che avrà
bisogno dei
necessari tempi di realizzazione e verifica, soprattutto in relazione
alla
“soggettività” della nuova composizione di classe.
Quello che è
certo, e lo abbiamo già verificato concretamente, è che
il modello sindacale
tradizionale, costruito sulla base di categorie omogenee – lavoro
stabile,
aggregato, di grandi dimensioni, incardinato nel territorio – non
è in grado di
intercettare le nuove figure del lavoro precario, flessibile, fluido
nel tempo
e nello spazio. Se i lavoratori sono
nomadi, ricattabili, se i luoghi dei lavori sono sparsi, atomizzati,
sfuggenti,
l’organizzazione del sindacato non può pensarsi radicata sul
posto di lavoro,
deve darsi una dimensione esterna al posto di lavoro.
Si rende
necessario allora pensare ad un modello sindacale che copra ambiti
più vasti
rispetto al luogo dove si svolge la prestazione lavorativa, con una
trama che
tenga insieme elementi di utilità pratica ( CAF, servizi
informativi, di
consulenza sindacale/ legale, ecc) ma anche elementi in grado di
stimolare
l’acquisizione della coscienza della propria condizione, della
comprensione
della vera natura dei propri problemi individuali, in un parola sia in
grado di
dare il senso di un’identità.
Il modello
sindacale
Anche se oggi
non possiamo definire con certezza un nuovo modello sindacale,
dall’esperienza
di questi ultimi anni ci vengono alcune indicazioni concrete sulle
caratteristiche dell’intervento in questo settore:
innanzitutto
l’ambito d’intervento, legato alle specificità presenti nel
territorio e di
tipo confederale, reso necessario sia dalla dispersione nel territorio
della
produzione sia dalle accentuate trasmigrazioni e nomadismi lavorativi,
da un
posto di lavoro all’altro, da un settore all’altro. Di fronte a questa
nuova
condizione del lavoro, sarebbe una follia riferirsi solo a modelli
categoriali,
organizzati verticalmente, poiché non siamo in presenza di una
categoria
formalmente identificabile ma di un processo che tendenzialmente
riguarda tutti
gli ambiti del mondo del lavoro.
la funzione di
serviziodell’organizzazione sindacale, necessaria a nuovi soggetti la
cui
condizione sociale ha fatto smarrire qualsiasi riferimento ai diritti,
attraverso l’organizzazione del CAF, di servizi di
informazione/formazione, di
consulenza, di tutela sindacale, vertenziale e legale, dell’A.S.I.A con
tutte
le problematiche legate alla casa che, per la stragrande maggioranza
dei nuovi
lavoratori, rimane un miraggio. Il
lavoro fluido ha una dimensione sociale, si lavora in aziende da cui
non si
dipende, ci si sposta frequentemente, si cambia lavoro continuamente:
dobbiamo
fare in modo che in questo vortice di cambiamenti il sindacato rimanga
stabile,
diventi un punto di riferimento in cui è possibile riconoscersi.
la combinazione
di elementi associativi più larghi, che travalicano gli ambiti
strettamente
sindacali, di carattere sociale e culturale, che possano contribuire a
costruire un’indentità, a percepirsi all’interno di una
condizione collettiva,
ad uscire dall’atomizzazione individuale, dallo smarrimento del senso
di
appartenenza, che rende questi nuovi soggetti deboli ed isolati e
perciò più
ricattabili. Tutto ciò andrà
naturalmente verificato, con calma ed approfonditamente, ma a tutt’oggi
sembra
corrispondere meglio alla nuova condizione di classe.
Se è vero che l’accumulazione flessibile scardina le
istituzioni
stabili e tra esse il sindacato così come l’abbiamo conosciuto
finora, è anche
vero che saranno necessarie cautela e verifiche prima di dare per
scontate
nuove forme di organizzazione sindacale.
Per quanto ci riguarda è un lavoro che va fatto
territorialmente ma che
ha bisogno di un coordinamento centralizzato per la valenza politica
più
generale che questa problematica riveste: se la nostra intuizione
è giusta
siamo davanti ad un salto, una rottura di carattere storico, che
riguarda non
solo noi, ma le forme del conflitto nei prossimi anni.
Ci rendiamo conto quindi della necessità di
un’elaborazione politica - per la quale dobbiamo attrezzarci con tutti
gli
strumenti a disposizione - ma anche di un piano pratico, concreto,
rispetto al
quale dobbiamo individuare e circoscrivere alcuni ambiti di
strutturazione, non
dimenticando che se il mondo del lavoro fluido è in espansione,
è ben presente
anche l’altro segmento, quello che mantiene ancora le caratteristiche
del
lavoro “stabile”.
I settori
d’intervento
Il precariato
classico, con caratteristiche omogenee: LSU, precari della Pubblica
Amministrazione; la competenza per quest’ultimo, in crescita
esponenziale,
ricade
naturalmente
sulle RdB del Pubblico Impiego ma esiste un collegamento in rapporto
alla
necessità di generalizzazione della vertenza.
Il privato
stabile con caratteristiche di settore di massa, per il quale
l’organizzazione
diretta può ancora essere pensata sul modello tradizionale.
Rientrano in questa
categoria, le Multiservizi, gli ATA dipendenti dalle imprese
cooperative e non,
i lavori ad alto contenuto di mano d’opera ( pulizie, mense, ecc) le
SPA
pubbliche/private tipo Igiene Ambiente, nettezza urbana, ecc.
le Cooperative
sociali, punti di concentrazione di lavoro a metà tra lo stabile
e il precario;
precarie senz’altro le condizioni di vita dettate dai bassi salari e
dall’alto
tasso di sfruttamento. Nell’anno appena trascorso le iniziative di
lotta dei
lavoratori delle cooperative sociali sono riuscite a svelare gli
aspetti
nascosti che riguardano un settore più ampio, il cosiddetto
noprofit, che
erroneamente viene considerato marginale rispetto a settori più
sindacalizzati.
Solo nelle coop sociali sono 170.000 gli operatori che si occupano di
assistenza e lo sviluppo del settore viene contrabbandato da molti come
l’alternativa a processi di pura privatizzazione del servizio pubblico;
un vero
mito che non trova riscontro nella realtà, poiché esse si
sono trasformate in
ottimi strumenti di esternalizzazione della sanità e dei servizi
sociali
accompagnati da un ampio ricorso alla flessibilità, alla
mobilità, alla non
applicazione dei diritti sindacali, alle deroghe contrattuali, che
fanno di questo
settore una punta avanzata nel processo di precarietà e di
sfruttamento. Il
basso livello di regolarità dei rapporti di lavoro si coniuga
con la presenza
del volontariato che non è da considerarsi come
un’attività libera e gratuita:
la presenza dei volontari, pagati pochi euro l’ora, rappresenta
l’esercito
industriale di riserva del no profit spesso usato, anche in caso di
sciopero,
come risorsa per affiancare o sostituire i lavoratori.
Per questo
settore necessaria, oltre l’organizzazione diretta, un’iniziativa
politica
generale capace di scardinare il circolo vizioso tra riduzione della
spesa
sociale,
privatizzazione
e precarizzazione, che entri nel merito anche del ruolo e delle
finalità
sociali ed etiche di questo lavoro
Il precariato
diffuso, rispetto al quale sarebbe sbagliato porsi da subito
l’obiettivo
dell’organizzazione tradizionale. Da una parte è un settore
interno alla
battaglia sul reddito, dall’altro è un terreno che dobbiamo
aggredire
innanzitutto politicamente, con capacità
d’intuizione/elaborazione e di
egemonia politica, ed elasticità organizzativa.
Sarebbe infatti un errore grossolano pretendere di “gestire” in
maniera sindacale tradizionale la condizione del precario, così
come hanno
tentato di fare i confederali, peraltro senza riuscirci.
Rispetto a
questo ambito, gli strumenti attivati ma da perfezionare sono:
il sito “Lavori
variabili”, già in funzione e con un buon successo, che
può essere, oltre che
uno spazio di dibattito aperto, anche uno strumento di aggregazione non
solo
virtuale;
le strutture
territoriali di servizio, che oltre all’aspetto tecnico, hanno anche
una
funzione di “antenne” in grado di captare quello che si muove sul
territorio;
le campagne
politico/vertenziali che coinvolgano i poteri locali sul tema dei
diritti sociali,
dalla salute all’accesso ai saperi, dai trasporti alla casa. Questi obiettivi politici presuppongono
anche una particolare attenzione alla formazione di quadri sindacali
locali,
mentre va naturalmente messo in rilievo come molte di queste tematiche
andranno
coordinate con le CUB Regionali rispetto alle quali questa nostra
attività può
e deve rappresentare un retroterra strategico e funzionare da volano.
CASA
Sul terreno
della casa dove sono passati processi di liberalizzazione del mercato
immobiliare
e di dismissione del patrimonio pubblico, al momento non vediamo
possibilità di
generalizzazione.
L’AS.I.A.,
Associazione Inquilini Assegnatari, vede infatti una presenza
significativa
all’interno dell’inquilinato di Edilizia Residenziale Pubblica a Roma,
dove
conta la stragrande maggioranza degli iscritti, oltre 5000, a Torino,
Bologna
Potenza ed in altri centri minori. Le sedi AS.I.A. nei quartieri
popolari
funzionano anche come centri servizi integrati con le strutture
territoriali
delle RdB.
Allo stato
attuale è possibile ipotizzare uno sviluppo di questo lavoro
solo se in sede
locale si presentino occasioni ed energie da impiegare, a cui possiamo
assicurare pieno sostegno politico dal centro.
L’IMMIGRAZIONE
L’immagine dei
cittadini immigrati e il fenomeno dell’immigrazione in Italia e in
Europa è
sempre più legata a questioni d’ordine pubblico e a modelli di
reclusione/precarietà economici, sociali e politici.
Mentre si
registrano sempre più spesso cronache di morte in mare di decine
di
“clandestini” gran parte dei mezzi di comunicazione di massa alimenta
quotidianamente il “panico da invasione “ del nostro paese da parte
degli
immigrati. Ormai la cosiddetta
emergenza immigrati unita a quella terrorismo islamico è il
ritornello
quotidiano che ci viene propinato dalle cronache ma soprattutto dalle
forze
politiche, Lega in testa, che hanno fatto di questo fenomeno il capro
espiatorio dei mali che attraversano la società italiana.
L’Europa che si
va costruendo è una cittadella che ha scelto una politica di
chiusura verso gli
stranieri attraverso pratiche sociali che trasformano i migranti in
esclusi e
40 4° Congresso Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005
Sogni Bisogni
Conflitto nemici della società, in un pericolo da contrastare
energicamente e con
ogni mezzo, dalla reclusione in veri e propri lager all’espulsione
generalizzata, dalla creazione di campi di internamento in territori
limitrofi
come la Libia alla militarizzazione dei confini, all’emarginazione
sociale e
politica di chi ha la fortuna di conquistare un permesso di soggiorno.
Il mito delle
frontiere chiuse ha già prodotto tanti effetti negativi per gli
stessi
cittadini dei paesi europei, i cui governi non vogliono accorgersi che
con 20,5
milioni di immigrati e altri milioni di naturalizzati l’Europa è
già un
continente multiculturale. A quindici anni dall’ingresso in Italia dei
primi
consistenti flussi migratori, agli immigrati regolarmente residenti non
è stato
riconosciuto nessuno dei diritti civili, politici o sociali di cui
godono i cittadini
italiani ed altri cittadini provenienti da paesi appartenenti
all’Unione
Europea comunitari. La conseguenza di questo atteggiamento è
stata
un’escalation di leggi e normative che avevano lo scopo di frenare gli
ingressi
“filtrando” i soggetti “buoni”, ma che hanno rappresentato una svolta
nella
tradizione culturale, politica e giuridica del nostro paese.
Basta pensare
al Decreto Dini del 1995 in base al quale uno straniero “ sospettato“
di
turbare l’ordine pubblico poteva essere sottratto al giudice naturale
ed
espulso dal paese senza alcuna possibilità di presentare ricorso.
A questa
tendenza repressiva non si è sottratto il centro sinistra che
nel 1998, con il
Governo Prodi, approvava la Turco Napoletano che ribadiva la pratica
delle
espulsioni preventive e introduceva i campi d’internamento, pudicamente
chiamati Centri di Permanenza Temporanea, dove viene rinchiuso chiunque
venga
trovato senza permesso di soggiorno, in attesa di un’espulsione che
può
arrivare anche dopo mesi, veri e propri luoghi di segregazione dove
vengono
stipati centinaia di esseri umani che non hanno commesso alcun reato se
non
quello di fuggire dalla miseria, dalla fame, dalle guerre.
Le politiche
dell’immigrazione in Italia sono un paradigma della facilità con
cui è
possibile calpestare, ignorare o violare i principi universalistici
fondamentali della Costituzione italiana, testimoni di un’involuzione
politica
e sociale che ha saputo concepire solo misure d’apartheid e di
esclusione.
In entrambi gli
schieramenti politici si è rivendicato l’orgoglio nazionale, il
privilegio
della cittadinanza italiana o europea fino a improntarne la recente
Carta
Costituzionale europea.
Le sole logiche
accettate sono state quelle rigidamente richieste dal mercato. Si poteva supporre che nell’epoca della
tanta declamata globalizzazione l’uguaglianza di tutti gli essere umani
ed il
loro diritto a muoversi alla ricerca di un’esistenza degna di questo
nome fosse
un principio naturalmente accettato, ma non è così;
grazie a meccanismi
impliciti ed espliciti le garanzie vengono negate agli immigrati,
considerati
illeggittimi nel migliore dei casi, in questo modo l’umanità
viene divisa tra
persone e non persone.
L’attuale
legislazione italiana in materia d’immigrazione, rappresentata dalla
Bossi/
Fini, la famigerata Legge 189, che ha preso le mosse dal precedente
Testo Unico
sull’Immigrazione varato dal centro sinistra, ha introdotto nuove forme
di
pesante discriminazione xenofoba a danno dei cittadini immigrati che
vengono
considerati elementi marginali della società italiana, trattati
alla stregua di
soggetti privi di dignità, cultura e vita propria.
Il cittadino
immigrato assume una parvenza di dignità solo in funzione di
ciò che produce
ovvero quando è al servizio e sfruttato dal padrone di turno
che, nel momento
in cui ritiene di non averne più bisogno, può facilmente
liberarsene e
determinarne la clandestinità, grazie all’introduzione del
contratto di
soggiorno prescritto dalla Bossi Fini, che condiziona la permanenza dei
lavoratori immigrati al rapporto di lavoro, che nella quasi
totalità dei casi
si svolge in condizioni precarie e di assoluto sfruttamento.
È sempre più
evidente come la strategia del Governo e del padronato parta dalla
necessità di
avere a disposizione un numero sempre più elevato di immigrati
irregolari, non
stabilizzati e clandestini che vada a incrementare una massa sempre
più grande
di forza lavoro da sfruttare in tempi brevissimi, sottoposta ad un
elevato turn
over e riciclo continuo. È lo stesso mercato del lavoro,
così come si va
configurando, che ha bisogno dell’aumento degli ingressi clandestini.
La
privatizzazione del rilascio dei permessi di soggiorno, l’allungamento
dei
tempi di rinnovo rispondono a questa necessità di
precarizzazione e di continuo
abbassamento del costo del lavoro con una immediata ricaduta sui
lavoratori
italiani, in un continuo gioco al ribasso delle garanzie e dei diritti.
Per non parlare
delle politiche delle quote, ovvero del “decreto flussi”, strumento il
cui
obbiettivo non è null’altro che un vero e proprio atto di
mercificazione dei
migranti, a loro discapito, necessario a soddisfare le richieste
dell’imprenditoria e delle politiche neo liberiste.
Balza agli
occhi a questo proposito l’assoluta necessità di non ghettizzare
le lotte degli
immigrati ma trovare i modi concreti su cui queste si saldano con le
lotte dei
lavoratori italiani.
Per questi
motivi il nostro impegno deve porre al centro il tema dell’immigrazione
non
solo in termini etico/politici ma proprio nella concretezza dell’azione
sindacale, nei luoghi di lavoro, nelle sedi territoriali in un rapporto
dialettico con il movimento generale.
Il nostro
lavoro sindacale deve partire da questo quadro, da una diversa visione
dell’immigrazione, ovvero iniziando proprio dalla considerazione dei
soggetti
immigrati che devono essere finalmente riconosciuti nella loro
dignità di
esseri umani e portatori di culture, tradizioni e saperi.
Tale progetto
sindacale deve affermare principi di uguaglianza, diritti di
cittadinanza,
dignità e autodeterminazione, nonché di sostegno al
processo di organizzazione
42 4° Congresso Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005
Sogni Bisogni
Conflitto dei migranti, in un quadro e una strategia che vede partecipi
insieme
ed uniti tutto il mondo del lavoro e non, dei precari, dei disoccupati,
con
particolare attenzione al ruolo e alla figura dei cittadini immigrati
che ormai
rappresentano una realtà stabilizzata del mondo del lavoro e
della nostra
società.
Nel 2002 i
lavoratori extracomunitari iscritti all’INPS risultavano essere
1.225.000,
negli ultimi due anni hanno raggiunto il milione e mezzo, impiegati
prevalentemente nei servizi (50.4%) nell’industria (4,6%) e per un 8%
nell’agricoltura; le collaboratrici/ tori familiari superano le 500.000
unità,
andando a costituire una base strutturale in Italia del sistema
assistenziale.
La Caritas nel suo dossier 2004 sull’immigrazione assomma a 2.600.000
le
presenze di cittadini extracomunitari nel nostro paese, con 800.000
irregolari
secondo l’EURISPES.
Negli ultimi
mesi abbiamo assistito ad una ripresa del movimento sui problemi legati
agli
immigrati. Ciò è avvenuto soprattutto grazie alle lotte
che gli stessi
immigrati, insieme a numerose comunità, associazioni, hanno
portato avanti:
ricordiamo le manifestazioni di Roma di fine settembre 2004, con lo
sciopero
della fame dei primi di ottobre, che hanno avuto il merito di puntare
l’attenzione sui punti più esplosivi della Bossi Fini, sulla sua
estrema
macchinosità anche burocratica che dilata a dismisura i tempi di
attesa anche
per il rilascio dei rinnovi dei permessi di soggiorno.
Queste lotte, che si sono estese in
moltissime città, e la determinazione degli immigrati hanno
permesso la
realizzazione della manifestazione del 4 scorso dicembre e ne hanno
garantito
il successo.
Vale la pena di
sottolineare il percorso che ha portato a questa grande giornata, che
ha visto
l’affermazione del protagonismo diretto degli immigrati che certo
è destinato a
non piacere a molti, soprattutto perché espressione di una forte
radicalità di
contenuti, che entrano in rotta di collisione con la politica di alcune
forze
sociali e sindacali che negli anni passato hanno determinato agende e
problematiche del movimento antirazzista nel nostro paese.
Quali siano gli
orientamenti che accomunano CGIL CISL UIL alle forze politiche
dell’opposizione
di centro sinistra è stato chiarito in innumerevoli convegni,
dichiarazioni,
prese di posizione di molti ragguardevoli esponenti delle stesse che
continuano
a rivendicare per l’immigrazione un intervento dello stato serio ed
espulsioni
efficaci (!); per i quali la libera circolazione è un problema
ed anche in caso
di vittoria dell’Unione prevedono sia necessario parlare di
programmazione
dell’immigrazione, e via di questo passo; del resto la piattaforma di
CGIL CISL
UIL parla di umanizzazione dei CPT e questo è tutto dire! Una
posizione
politica oltretutto miope visto che in più di 334.000 si sono
iscritti a questi
sindacati andando a costituire il 6% dei lavoratori attivi iscritti ai
confederali.
Si capisce bene
allora come sia assolutamente necessario costruire un altro ambito, un
ambito
in cui da una parte possa dispiegarsi il processo di organizzazione
degli
immigrati, in cui possa affermarsi il loro protagonismo, senza
sottostare alle
logi-43 4° Congresso Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005
Sogni
Bisogni Conflitto che di subordinazione al quadro politico e dall’altra
ciò
possa avvenire in piena sintonia con tutte quelle forze sociali e
sindacali che
hanno fatto dell’indipendenza e dell’autonomia i loro principi guida,
che
rifiutano la condizione di apartheid e la cultura repressiva e
poliziesca che
sono alla base della Turco Napolitano e della Bossi Fini.
È chiaro che
questa condizione non si realizza dall’oggi al domani. Si tratta di
lavorare
per l’unità delle forze che praticano realmente gli obiettivi,
che non si
lasciano condizionare da burocrazie di partiti/ sindacati in funzione
di quadri
politici e di alleanze per governi di là da venire.
Per quanto
riguarda noi, è necessario procedere ad un approfondimento del
dibattito per
evidenziare gli obiettivi, all’interno della piattaforma più
generale del
movimento antirazzista, su cui costruire ed ampliare il rapporto con le
lotte
degli immigrati, lasciando alle specificità territoriali la
scelta su come “adattare”l’intervento,
viste le differenti problematiche che esistono secondo che si tratti ad
esempio
del Nord Est o del Sud.
Un punto
centrale rimane il contratto di soggiorno, condizionato dalla legge 30,
da
rapporti di lavoro sempre più brevi, che scadono perfino prima
del rilascio del
relativo permesso di soggiorno! La costruzione di una rete di lotta
contro la
Legge 30 diventa prioritaria.
Il II° blocco
di problemi da affrontare è quello del radicamento territoriale,
della scelta
dei settori d’intervento, di quali strumenti organizzativi abbiamo
bisogno per
affrontare questa parte del lavoro, quale modalità scegliamo:
collaborazione
con le comunità, rapporti diretti con gli immigrati, apertura
degli sportelli e
quant’altro. Dobbiamo verificare se gli strumenti finora messi in campo
si
siano rivelati più o meno idonei a costruire aggregazione,
mobilitazione, lotte
e soprattutto partecipazione e protagonismo degli immigrati.
Il III° blocco
riguarda il rapporto con il movimento e le scadenze politiche generali. Già abbiamo individuato nella battaglia
che
la Rete per il reddito sociale, i diritti e contro la precarietà
sta
conducendo, un terreno di coinvolgimento degli immigrati.
Rimangono aperti però tanti altri terreni, a
partire dal problema dei richiedenti asilo e dallanecessità di
arrivare ad una
nuova legge, senza tralasciare la mobilitazione contro i CPT e le
espulsioni
immediate rispetto ai quali il collegamento con le altre istanze di
movimento è
indispensabile.
Importante è
mantenere un’autonomia di giudizio - che prescinda da posizioni
ideologiche e
politiche precostituite di qualsiasi natura – e una capacità
organizzativa, che
dia concretezza e coerenza ai nostri discorsi.
LA LOTTA PER IL
REDDITO SOCIALE MINIMO:
STRUMENTO DI
IDENTITÀ E DI ORGANIZZAZIONE.
Uno degli
elementi caratterizzanti il nostro progetto sindacale è stato
quello di
misurarci con la nuova composizione di classe del mondo del lavoro,
ovvero con
le trasformazioni che hanno generato un nuovo sistema produttivo e con
le sue
ricadute sulle condizione dei lavoratori dipendenti o comunque
subordinati nel
nostro paese. Una tale scelta era
emersa già nella conferenza di organizzazione delle RdB tenuta
del ’94 a
Castellammare e si è via via delineata in modo più chiaro
negli anni
successivi. Naturalmente la correttezza
della scelta fatta all’epoca è emersa dalle tendenze
manifestatesi nella
modifica dell’apparato produttivo.
Il passaggio
dalla produzione manifatturiera a quella dei servizi e il predominio
della
dimensione finanziaria nel sistema economico del nostro paese hanno
prodotto
come effetti la crescita del lavoro precario, flessibile, senza diritti
a
discapito del lavoro stabile e con garanzie, dell’uso della
disoccupazione come
esercito industriale di riserva, soprattutto al sud, e come ricatto
permanente
per i lavoratori stabili e precari, la formalizzazione di questa
condizione
prima nella legge Treu poi con la legge 30 e dimostrano che è in
atto una
modifica strutturale del mondo del lavoro con la quale bisogna saper
fare i
conti se vogliamo avere un progetto sindacale all’altezza delle attuali
necessità.
Abbiamo anche
avuto ben chiaro, in questi anni, che una tale tendenza non andava
assolutizzata per una serie di motivi strutturali e dunque fare i conti
con
questa condizione significava capire che ci stavamo misurando nella
nostra
attività con un aspetto, sempre più importante, di una
più complessiva
condizione della classe lavoratrice. I
tentativi messi in campo negli anni passati per dare risposte a queste
necessità hanno portato alla costituzione di strutture
territoriali che mano
mano si sono andate definendo nel loro funzionamento con l’obiettivo di
radicare nel territorio un’attività sindacale collegata alla
nuova condizione
precaria del lavoro e che si sono positivamente rivelati non solo
strumenti di
tutela sindacale di singoli lavoratori ma anche occasione di lotta e di
costruzione di strutture stabili.
Il progetto ha
poi fatto i conti anche con una dimensione di movimento indispensabile
per una
crescita effettiva del sindacato: la lotta dei LSU, che ha visto
momenti
importanti sia per la quantità dei lavoratori coinvolti,
soprattutto nel centro
sud, sia per i processi di crescita delle nostre strutture una volta
stabilizzati, in vario modo, la gran parte di questi lavoratori.
La vicenda LSU
è stata sicuramente una verifica importante ma aveva il limite
della
specificità ovvero di una mancanza di possibilità di
generalizzazione della
lotta e dunque del ruolo del sindacato. La scelta perciò di
lanciare una
battaglia generale nasce da un percorso concreto di lotta e di
organizzazione
che si pone il chiaro obiet-45 4° Congresso Nazionale della
Federazione delle
RdB/CUB 2005 Sogni Bisogni Conflitto tivo di come adeguare il sindacato
alle
trasformazioni in atto che rischiano di vanificare la stessa funzione
sindacale
e dunque la necessità della sua stessa esistenza. La lotta per
il Reddito
Sociale Minimo parte da questa precisa necessità e condizione. Il doversi misurare con la complessità
del
lavoro precario e della disoccupazione sul piano generale non poteva
partire
solo dalle nostre ridotte forze o da lotte specifiche, pur essendo
queste cose
molto importanti sul piano pratico, ma doveva cogliere un elemento
generale
unificante.
In questo senso
la lotta per il Reddito Sociale Minimo ha in sè sia l’elemento
vertenziale,
cioè la richiesta di reddito diretto ed indiretto verso soggetti
istituzionali
ben precisi, che può produrre lotta ed organizzazione, sia un
elemento generale
che produce quella “Identità”, che è stata oggetto del
nostro ultimo congresso,
in quanto afferma un diritto del lavoro ed una richiesta di
equità sociale che
diviene sempre più forte di fronte al manifestarsi delle
storture causate da
una società basata sul lavoro precario, sull’assenza delle
prospettive per le
giovani generazioni e sul ricatto occupazionale. Proprio
questa capacità di tenere alto il livello della
iniziativa e della rappresentazione politica ha prodotto anche un nuovo
orientamento del movimento che si stava nel frattempo organizzando e
mobilitando.
Ciò è avvenuto ovviamente anche grazie al manifestarsi
pratico della
contraddizione sociale della precarietà, in rottura con la
direzione che la
CGIL indicava in quel periodo ai social forum ed al movimento di
opposizione al
governo Berlusconi, che si è manifestato a cominciare già
dal 2001 a Genova.
La costituzione
della “Rete per il Reddito Sociale ed i Diritti” è stato un
importante elemento
che si è misurato nella concretezza del conflitto sociale, sul
piano generale
ed in modo organico, in alternativa alla incontrastata impronta
politica data
dalla CGIL cofferatiana e che, oggi, può rilanciare una
iniziativa che si ponga
non solo il problema della lotta ma anche quello delle alleanze sociali
in una
fase di pesante attacco - da attendersi anche con il prossimo eventuale
governo
dell’Unione- alle condizioni di lavoro di vita e di salario del lavoro
dipendente sia stabile che precario. Le
manifestazioni di Milano con la May day del 1° Maggio 2004 e quella
di Roma del
6 Novembre hanno dimostrato che la strada intrapresa produce risultati
politici
ed organizzativi che rafforzano la nostra prospettiva sindacale. Anche
i
ripetuti tentativi di ridimensionare e distorcere la importante
giornata del 6
Novembre hanno avuto l’effetto contrario di mostrare i punti deboli di
chi
precarizzando il lavoro, nei fatti rafforza le tendenze all’opposizione
sociale
come sta avvenendo sulla questione del carovita. In
conclusione la battaglia per rivendicare il Reddito Sociale Minimo
e contro la precarietà del lavoro rimane un’asse importante
dell’azione
sindacale diretta e dell’azione politica del sindacato; inoltre siamo
anche
coscienti che questo tipo di battaglia, proprio perchè sta
dentro una tendenza
generale, è in grado di generare alleanze sociali fondamentali
per bloccare e
respingere l’appropriazione della ricchezza che il cosiddetto sistema
delle
imprese opera ai danni di tutta la società.
IL PROGRAMMA
Abbiamo detto in precedenza che abbiamo delegato alla CUB la
rappresentanza
politica di tutta la confederazione. Ovviamente ciò significa
anche che il
programma di lotta dell’organizzazione coincide con quello della CUB.
Abbiamo
stabilito a Rimini il programma di fase e le campagne su cui lavorare.
È chiaro
che oggi la situazione fornisce indicazioni ulteriori di lotta e di
terreni da
percorrere e sarà compito del consiglio nazionale della CUB e di
quello della
RdB aggiornare il programma alle nuove esigenze.
Rimangono
comunque centrali per tutta l’organizzazione la lotta alla guerra che
purtroppo
sembra destinata ad essere una costante della nostra azione anche per i
prossimi anni, ma che oggi ci pone l’imperativo di continuare a
mobilitarci
affinché l’Italia esca immediatamente dall’Iraq ritirando i suoi
soldati,
liberando così anche gli irakeni dall’occupazione; il salario
sia per quanto
riguarda il lavoro dipendente sia nell’accezione di salario sociale per
precari
e disoccupati legandola strettamente alla battaglia contro la
precarietà e per
la piena e buona occupazione. La
battaglia per il salario deve comunque trovare forme di espressione
legate alla
necessità di imporre una diversa distribuzione della ricchezza
prodotta, e
quindi del reddito e interloquire con lo scontro più generale
sul carovita che
sta crescendo nel Paese.
Altro fronte
che dobbiamo sicuramente rilanciare è quello legato ai diritti.
Il diritto di
sciopero, violentemente attaccato in questi ultimi anni, ha però
trovato nuova
forza nei sempre più frequenti episodi di disobbedienza che
stanno rendendo la
legge un arnese da rottamare. Spetta a noi continuare nella strada
della
disobbedienza a questa legge, mantenendo non solo alta l’attenzione
sulla
necessità di un ripristino effettivo del diritto di sciopero ma
dotandoci,
finalmente, assieme alla CUB, degli strumenti giusti per difendere i
lavoratori
su questo fondamentale terreno. La
questione della democrazia e della rappresentanza sta tornando
prepotentemente
di attualità e noi che siamo da sempre impegnati su questo
fronte e che, da
sempre, paghiamo l’assenza di un vero strumento normativo democratico,
dobbiamo
rilanciare la discussione e la battaglia per ottenerlo. Negli ultimi
tempi, a
fronte della nostra crescita complessiva, sono cresciuti gli attacchi
al potere
dei lavoratori nei luoghi di lavoro e ai diritti sindacali. La RdB e la
CUB devono
rilanciare questo terreno che rappresenta una contraddizione oggettiva
per
tutti, soprattutto in una fase di campagna elettorale permanente come
quella
che stiamo subendo.
La lotta alle
privatizzazioni, terreno comune di attacco sia del centro sinistra, che
le ha
inaugurate, che del centro destra, dovrà continuare e trovare
nuovi terreni. Le
esternalizzazioni della pubblica amministrazione, l’attacco ai beni
comuni, ad
esempio l’acqua, sono elementi di devastazione del welfare che dobbiamo
saper
aggredire con forza soprattutto partendo dalle categorie interessate e
dai
territori.
4° Congresso
Nazionale della Federazione delle RdB/CUB 2005 Sogni Bisogni Conflitto
Anche la
questione della previdenza pubblica, universalistica e funzionante deve
rimanere nel nostro programma di lotta. Gli attacchi concentrici fatti
di
continue “riforme”, di scippo del Tfr, di cartolarizzazioni tendono in
tutta
evidenza alla definitiva distruzione di questo pezzo importantissimo
del
welfare per garantire gli interessi economici della finanziarizzazione,
così
come la difesa e il rilancio della sanità, della scuola pubblica
devono vederci
in prima fila, sapendo fin d’ora che sono punti di programma largamente
condivisi e che possiamo davvero incidere su questi fronti.
Nazionale della Federazione delle
RdB/CUB 2005