“Imbrattata ancora una volta la Foiba di Basovizza dove è
ancora aperto il cantiere per il rinnovamento del sito”, leggiamo
sul “Piccolo” del 18/10/06, e più avanti: “l’atto vandalico
ha subito provocato la reazione del presidente provinciale di AN
Gilberto Paris Lippi” (Lippi, lo ricordiamo, è anche
vicesindaco del Comune di Trieste). Leggiamo poi che Lippi si
è dichiarato “sconcertato e allibito di fronte alla notizia
che alcuni vandali hanno nuovamente imbrattato il cippo dei
Volontari (…) con la scritta in vernice nera, Ozna, con la stella
rossa, falce e martello, hanno rimarcato la loro mancanza di
coraggio”; seguono altre affermazioni del vicesindaco che accusa i
“vandali” di “viltà e vigliaccheria” e di essere “capaci di
comunicare le loro idee” solo con “l’atto vandalico”, ed in tal modo
“oltraggiano il ricordo dei nostri cittadini e danneggiano
contemporaneamente il patrimonio comune”; inoltre Lippi stigmatizza
la “mancanza di cultura” dei “vandali”, di quella “cultura che oggi
ci induce ad intraprendere un percorso che porti il nostro Paese
verso una memoria condivisa e non ad una costante dimostrazione di
intolleranza, risentimento e violenza”.
Stanti queste affermazioni di Lippi contrarie ad “intolleranza,
risentimento e violenza”, auspichiamo che quest’anno il nostro
rappresentante istituzionale si astenga dal festeggiare la
ricorrenza della marcia su Roma, come era invece uso fare in un
passato neanche tanto remoto. Del resto è proprio da alcune
sue dichiarazioni a proposito della serata di festeggiamenti
(pubblicate sul “Piccolo” del 31/10/00) che possiamo forse
comprendere meglio il concetto di memoria condivisa propugnato
dall’oggi vicesindaco ed allora consigliere regionale:
“Abbiamo passato una bella serata. Un modo come un altro per stare
assieme. Il 26 ottobre si celebra la seconda redenzione di Trieste,
quella del 1954, e visto che il 28 ottobre era vicino, lo abbiamo
ricordato collettivamente (…) La marcia su Roma del resto fa parte
del nostro passato, perché fingere di essercene
dimenticati?”.
Già, perché Lippi e Menia non dovrebbero festeggiare
il proprio passato, soltanto perché vorrebbero che altri
rinnegassero il proprio?
Ma torniamo alla questione dell’imbrattamento della foiba,
così come denunciato da Lippi. Innanzitutto non ci risulta
che presso il monumento esista alcun “cippo dei volontari”
(volontari in quale Corpo, ci chiediamo innanzitutto): c’è un
cippo posto dagli alpini, uno dalla Guardia di Finanza ed uno dalla
Federazione grigioverde a ricordo di tutti i militari.
Inoltre non ci sembra molto chiara la descrizione della scritta in
vernice nera che comprende anche una stella rossa: o gli ignoti
“vandali” si sono dedicati alla policromia nell’imbrattamento, o
forse per Lippi tutte le stelle sono rosse per definizione se si
trovano presso una falce e martello.
Alla protesta di Lippi è seguita una nota del capogruppo dei
DS in Consiglio comunale, Tarcisio Barbo, che sostiene essere il
fatto “più che un atto vandalico una vera e propria
provocazione (…) ne è evidente dimostrazione il richiamo
all’Ozna” (nota pubblicata sul “Piccolo” del 19 ottobre).
Anche qui c’è qualcosa che non ci convince. L’Ozna era un
organo istituzionale di polizia jugoslavo esattamente come all’epoca
dei presunti “infoibamenti” erano organi istituzionali di polizia di
l’OSS statunitense e la FSS britannica, tutti di paesi che erano
alleati nella guerra contro il nazifascismo. Dove stia la
provocazione nel richiamo all’Ozna Barbo ce lo dovrebbe spiegare
meglio; ma rileviamo che anche lui conclude il comunicato con un
richiamo alla “pacificazione in atto”, proprio come Lippi.
Fin qui le notizie sulla stampa: però a questo punto noi
andiamo oltre perché abbiamo avuto delle informazioni
interessanti da parte del professor Samo Pahor, che, non
risultandogli l’esistenza di alcun “cippo dei volontari” presso la
foiba di Basovizza, si è recato con un altro testimone sul
luogo per verificare lo stato dei luoghi. Ricordiamo che l’intera
area è ancora recintata per i lavori di “riqualificazione” a
cura del Comune di Trieste, ma lo stato dei luoghi è visibile
anche dall’esterno. Sentiamo ora cosa ci ha raccontato Pahor.
“Siamo andati fino al cantiere per verificare cosa fosse stato
effettivamente imbrattato, però non abbiamo visto alcuna
scritta o imbrattamento. Così, pensando che si fosse
già provveduto, nel corso dei tre giorni intercorsi, alla
pulizia del sito, ci siamo recati presso la stazione dei Carabinieri
di Basovizza, per chiedere chiarimenti. Alle nostre domande il
maresciallo ci ha risposto che loro non hanno constatato alcun
imbrattamento, e la ditta che sta effettuando i lavori ha negato che
vi sia stato alcun atto vandalico”.
A questo punto ci siamo chiesti, noi come il professor Pahor, come
abbia potuto il vicesindaco Lippi denunciare, oltretutto con tale
dovizia di particolari, un imbrattamento che non è avvenuto.
Così, mentre noi ci limitiamo a segnalare all’opinione
pubblica questa palese contraddizione, Pahor ha invece presentato
una denuncia alla Procura della Repubblica, avente come oggetto:
“denuncia penale per il reato previsto e punito dall’art. 656 del
c.p. con l’aggravante ai sensi dell’art. 3 della legge 13/10/75 n.
654 e della legge 25/6/93 n. 205 come pure querela se questa
è prevista per tutti gli altri reati che possono essere
ravvisati nel comportamento degli autori del sopraindicato reato con
l’aggravante del concorso in reato a i sensi art. 110 c.p.”.
Pahor si richiama all’art. 656 (“pubblicazione o diffusione di
notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine
pubblico”) poiché “l’atto che non è stato commesso
è però tale che avrebbe turbato l’opinione pubblica ed
avrebbe causato il disturbo dell’ordine pubblico”, e quindi chiede
vengano acquisite dalla magistratura le note inviate sia da Lippi
sia da Barbo, anche per verificare se i due abbiano agito
indipendentemente l’uno dall’altro oppure in accordo tra loro.
Inoltre Pahor stigmatizzando il fatto che il “Piccolo”, dopo avere
pubblicato la nota di Lippi, aveva evidenziato anche che i lavori
avevano “già subito slittamenti a causa di una serie di
ricorsi e proteste sull’iter adottato”, ricorda alla Procura che “il
sindaco di Trieste Roberto Di Piazza almeno due volte ascriveva in
dichiarazioni alla stampa la responsabilità dei ritardi dei
lavori allo Šoht alle osservazioni presentate in conformità
alla legge dall’associazione socio-politica Edinost e specificamente
attribuiva la responsabilità di questo fatto a Samo Pahor”, e
chiede si chiarisca se non vi sia stata intenzione, da parte di
persone da identificare, di accomunare il suo nome ai presunti (e
non avvenuti) atti vandalici.