Tutto quello che avreste
voluto sapere sulla più grande mina vagante per i conti pubblici
del Paese...
di Alberico Giostra
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Ercole Incalza:
ex presidente della Tav ed ex direttore generale del ministero
dei Trasporti. Attuale consulente del ministro Lunardi, secondo De
Michelis è il più importante tecnico italiano dei
trasporti. Già implicato negli scandali delle opere fantasma di
Italia 90, il 7.2.1998 fu arrestato su mandato dei giudici di Perugia.
Accusato di concorso in corruzione insieme a Necci (V.), Pacini
Battaglia (V.), Maraini (V.) avrebbe corrotto l’ex capo dei gip di Roma
Squillante e il pm Giorgio Castellucci (V.) che dovevano indagare sulla
Tav. Incalza e Maraini hanno affidato per quattro anni consulenze
miliardarie a tre avvocati amici di Castellucci: Di Amato, Grollino e
Petrelli. Secondo i giudici Incalza faceva parte integrante di quella
«struttura bene organizzata composta da manager pubblici e
privati» che manipolava gli appalti per «creare fondi
extracontabili per erogare tangenti verso il potere politico che quei
vertici avevano sponsorizzato e verso gli stessi amministrato ri
pubblici per garantire il loro illecito arricchimento». Insomma
il sistema Tav come, secondo i giudici, fu ideato da Necci e Pacini.
Interessi intercalari. Sono gli interessi che lo Stato sta già
pagando ogni anno e che continuerà a pagare fino a quando la Tav
non entrerà in funzione. Si tratta di interessi su prestiti che
la Tav ha avuto dalle banche e dalla Cassa Depositi e Prestiti a tassi
il cui importo si conosce solo per la Cassa Depositi e Prestiti (5,5
per cento) ma che è sconosciuto per i prestiti avuti dalla Bei o
dal San Paolo di Torino. La spesa prevista per gli i.i. nel 1991 era di
770.000.000 euro. Nel 2010, quando (forse) i lavori Tav saranno
ultimati, avremo pagato 8.690.000.000 euro, una spesa undici volte
superiore.
Lavoratori. Nel
dicembre 2003 erano 13.779. Lavorano a ciclo continuo, ovvero 24 ore su
24 in squadre composte da sei operai. I turni possono impegnarli anche
48 ore di seguito e la pausa mensa non è conteggiata nelle ore
giornaliere di lavoro. Le condizioni di lavoro sono usuranti: in
galleria si respira male, l’aria è inquinata, l’illuminazione
scarsa, i rischi molti. Vivono in prefabbricati privi di comfort
e di intimità, in camerate e con docce comuni. La maggioranza di
loro viene dal Sud e vive lontano dalle proprie famiglie. Ma
soprattutto nei cantieri Tav si muore: l’1.2.03 al Careggi di Firenze
è spirato Giovanni Damiano, 42 anni, di Benevento, padre di due
figli. È solo l’ultimo in ordine di tempo. Il 31.1.00, nel
tunnel di Vaglia (Fi), al Carlone, moriva Pasquale Costanzo, 23 anni,
elettricista di Petilia Policastro. Il 26.6.00, moriva a Ponte
Nuovo a Calenzano (Fi) Giorgio Larcianelli, camionista, 53 anni, di
Scandicci. L’1.9.00 moriva nella galleria di Monghidoro Pietro
Giampaolo, 58 anni, di Chieti, schiacciato dalle ruote di un
camion. Il 5.1.01 moriva Pasquale Adamo, 55 anni, di Quarto (Na),
sposato e padre di tre figli, stritolato dalla coclea di un
posizionatore nella galleria di Monte Morello. Tutti operai dei
cantieri Cavet della Fi-Bo. Il 29.11.01 la prima vittima della tratta
Milano-Bologna: nel cantiere Cepav nei pressi di Campogalliano,
è morto Francesco Minervino, 57 anni, travolto da
un’escavatrice. Poi il 26.1.04 è morto Biagio Paglia, travolto
da una ruspa a Lesignana di Modena. Il 19.4.04 è toccato a
Kristian Hauber e il 10 maggio scorso Mario Laurenza, un carpentiere
campano di 37 anni, è rimasto folgorato in un cantiere di
Castelfranco Emilia.
Lodigiani Vincenzo. Costruttore,
nome storico di Tangentopoli. Finisce sotto inchiesta per la Tav nel
filone milanese delle indagini. Di Pietro viene in possesso nel 1993
della cosiddetta agenda «Paparusso», dal nome del
centravanti della Lodigiani, la squadra del costruttore. In
quell’agenda c’è l’elenco delle mazzette che gli imprenditori
dovevano pagare per entrare nel giro degli appalti ferroviari. 1.510
milioni era la richiesta del Dc Citaristi, 1.020 quella del socialista
Balzamo, 500 quella delle Cooperative Rosse da destinare al Pds. Ma
erano previsti pagamenti anche ai ministri Bernini e Cirino Pomicino,
al membro dc della Commissione Trasporti della Camera Cesare Cursi (125
milioni) e ai partiti minori, Msi compreso. Secondo L. questi soldi
però non sono mai stati effettivamente dati. L. riferisce a Di
Pietro anche delle mazzette date alla Cisl e alla Uil. 450 milioni a
D’Antoni (che lo ha querelato vincendo la causa a Roma e vedendosela
archiviare a Milano) e 350 alla Uil sotto forma di pubblicità
sulla rivista Lavoro, circostanza che verrà negata da Giorgio
Benvenuto. In cambio L. avrebbe chiesto di non creare problemi
sindacali nei cantieri Tav. L. è tuttora sotto processo a
Perugia. Il pm Vinci, poi deceduto, aveva indagato e prosciolto L.
nell’inchiesta sui palazzi d’oro della capitale e per le sue indagini,
secondo l’accusa, volutamente superficiali, fu rinviato a giudizio a
Perugia. Vinci attraverso gli appunti di L. si sarebbe dovuto accorgere
dei suoi rapporti con il banchiere Pacini Battaglia (l’annotazione
«Karfinco 8000T Pappalardo» si riferiva al conto Timor
Overseas Corp della Karfinco di Pacini), e della congerie di
riferimenti all’Alta Velocità e a Necci. Vinci si difese
addossando alla Procura di Milano l’insabbiamento delle indagini. Ma
Pacini Battaglia è stato arrestato il 22.1.1998 su ordine della
magistratura milanese per le tangenti per lo scalo Tav Fiorenza. E a
Milano si è celebrato il processo. In primo grado, il 16.5.2000,
L. e Necci sono stati condannati per corruzione a cinque anni di
reclusione, Pacini Battaglia a quattro anni e tre mesi. Nel processo
d’appello il 4.10.2001, le condanne sono state confermate ma le pene
attenuate: tre anni a L., tre anni e due mesi a Necci, tre anni e tre
mesi a Pacini Battaglia. Il 4.4.2003 la Cassazione ordina la
ripetizione del processo a L. Necci è invece riconosciuto
colpevole, ma la Suprema Corte chiede al Tribunale d’appello di
attenuare la condanna a 3 anni e due mesi di carcere. La Lodigiani
è stata acquistata dalla Impregilo.
Maraini Emilio. Numero uno della
Italfer, la società incaricata dell’Alta Vigilanza sulla Tav.
Insieme a Incalza era il dirigente Fs più vicino a Necci.
«Il Munifico» lo nominò nel 1993 nonostante avesse
due rinvii a giudizio a Napoli e Milano e fosse indagato a Roma. M. era
stato arrestato nel 1993 dal pool Mani pulite e nel corso degli
interrogatori aveva ammesso pagamenti di tangenti come amministratore
delegato di Ansaldo Trasporti per partecipare ai lavori della
metropolitana di Roma e per quella leggera di Milano. È stato
nuovamente arrestato il 7.2.1998 per ordine dei magistrati di Perugia.
Necci Lorenzo. Il padre della Tav. Ex amministratore delegato delle
Ferrovie dello Stato e prima ancora presidente Enimont, Lorenzo
«Il Munifico» Necci ha avuto persistenti rapporti con la
politica. Per anni nella direzione del Pri, poi legato ad Andreotti,
attualmente milita nel Nuovo Psi di De Michelis. Necci è stato
in corsa per diventare ministro nel naufragato governissimo Maccanico
del 1996, ma era così utile alle Fs, che Fiat e Mediobanca
posero un veto alla sua nomina per salvaguardare i 9 mila miliardi
investiti nei lavori Tav. Il regno di questo potente boiardo di Stato
finì il 15.9.1996 quando fu arrestato dai giudici spezzini.
Un’inchiesta nata per caso indagando su un autoparco della mafia prima
e su un traffico di armi poi e che vedeva coinvolto Pacini Battaglia.
Il cuore dell’affare alta velocità è infatti il legame di
Necci con il banchiere di Bientina dal quale riceveva 20 milioni al
mese in nero prelevati da un conto doubleface con il quale Pacini
pagava an che la domestica. Un prestito amichevole per pagare una casa
a Parigi e un terreno a Tarquinia, ha detto Necci. Una spiegazione che
non regge, per i giudici. Secondo i magistrati il sistema Necci-Pacini
si metteva in moto in occasione di ogni appalto ferroviario, immettendo
le tangenti raccolte in un complicato giro di conti bancari
riconducibile a società offshore, soldi infine utilizzati per
pagare i magistrati romani del cosiddetto «presidio
giudiziario» che insabbiavano le inchieste su di loro o pubblici
ufficiali come il maresciallo D’Agostino e il capitano della Guardia di
Finanza Floriani. Il sistema Necci-Pacini, altrimenti detto
«Tangentopoli 2», era diverso dalla Tangentopoli 1 in due
punti: erano coinvolte non solo una ma tutte le maggiori imprese del
Paese e per schivare il reato di corruzione e far schizzare in alto i
ricavi, fu coniata la madre di tutte le bugie, che la Tav fosse un
affare privato (V. alla voce Tav). Necci si è sempre dichiarato
estraneo alla p resunta associazione a delinquere contestatagli dai
giudici e dice di essere stato assolto 42 volte. Non è vero: il
4.4.03 ha subìto una condanna definitiva per corruzione nel
processo per lo scalo Tav Fiorenza (V. Lodigiani). Il 12.3.1992 infatti
Necci percepì a Parigi la tangente Derwood di un miliardo e
cinquecento milioni proveniente dalla Svizzera. «Sono figlio di
ferrovieri», dichiarò nel 1999 Necci «e volevo
portare avanti un progetto per il quale pensavo che mio padre sarebbe
stato contento».
Nomisma. Società bolognese fondata da Romano Prodi indagata dal
pm Geremia di Roma per aver ricevuto nel 1992 dalle Fs una consulenza
miliardaria sull’Alta Velocità. Nei 39 volumi si potevano
leggere frasi del tipo «il beneficio dell’alta velocità
è la velocità» o «la velocità consente
di risparmiare tempo». L’inchiesta della Geremia è stata
archiviata.
Pacini Battaglia Pierfrancesco.
Detto Chicchi, finanziere italo-svizzero. Insieme a Necci, Pacini
è il grande manovratore del sodalizio d’affari che ha sorretto
la Tav. «In qualche modo P.B. ha svolto il ruolo più
importante dell’associazione di predatori. È riuscito ad
assicurare ai suoi complici disponibilità economiche
assolutamente riservate all’estero. Ha mosso una mole enorme di denaro.
Ha ostacolato ogni possibile ricostruzione della provenienza del
denaro. Ha custodito il denaro e lo ha smistato su fondi fuori
contabilità per destinarlo al pagamento di funzionari pubblici e
al finanziamento illecito dei partiti» (Imposimato, Pisauro,
Provvisionato, Corruzione ad alta velocità, Koinè).
L’inchiesta sulla Tav nacque a Firenze e La Spezia quando i pm Cardino
e Franz indagando su un traffico di armi misero sotto controllo i
telefoni di P.B : dai colloqui con la segretaria Eliana Pensieroso e
con l’ex Dc e piduista Emo Danesi, emersero smistamenti di denaro di P.
B. oltrec hé a Necci anche a magistrati e avvocati romani.
Secondo i magistrati di Perugia che hanno ereditato le indagini, P.B.
«l’uomo un gradino sotto dio» avrebbe ideato un unico
disegno criminoso che si sviluppò dalla fine degli anni Ottanta
fino al biennio 1996-97, unendo le vicende dei fondi neri dell’Eni, le
tangenti ai partiti politici, gli appalti per i grandi progetti
ferroviari e la corruzione di magistrati romani. È la
Tangentopoli 2 alla sbarra a Perugia. L’associazione descritta
dal pm Della Monica vede Pacini e Necci «attivi» fin dagli
anni Ottanta a costituire provviste di denaro illecite. Necci dopo aver
lasciato l’Enimont per passare alle Ferrovie, avrebbe continuato a
operare con Pacini e gli altri presunti componenti dell’associazione a
delinquere. I progetti Tav sarebbero stati il nuovo campo d’azione
della lobby. Portaluri Salvatore. Presidente Tav dal 1991 al
1993. Fu costretto a dimettersi da Necci per l’ostilità nei suoi
confronti di Mediobanca, Imi, Banca di Roma e San Paolo di Torino che
premevano per avere più consulenze. Portaluri voleva annullare i
contratti con i general contractor Iri, Eni e Fiat, per indire gare
europee e abbassare i costi e Mediobanca temeva che Portaluri favorisse
consorzi stranieri. Portaluri voleva annullare anche i contratti con la
Italferr di Maraini (V.) perché arrestato due volte.
Preti Luigi. Ex ministro Psdi
nella primavera del 1993 inoltrò un esposto alla Procura di Roma
nel quale denunciava le procedure seguite per la costituzione della Tav
spa. Preti fu il primo ad accorgersi dei lati oscuri della Tav.
L’inchiesta venne affidata al pm Giorgio Castellucci (V.).
Tav spa. La storia della Tav spa comincia il 7 agosto 1991. Nacque
pronunciando un’enorme bugia, quella che i 100 miliardi di lire del suo
capitale fossero al 60 per cento capitale privato e al 40 per cento
pubblico. Non era vero, erano tutti pubblici. Le 21 banche
presenti erano quasi tutte pubbliche e le private arrivavano al 10 per
cento del capitale. La maggioranza assoluta era delle Fs, le quali
detenevano il 45 per cento delle quote più il 5,5 per cento
attraverso la Banca Nazionale delle Comunicazioni, la banca delle Fs.
Dalla madre di tutte le bugie Tav scaturì la possibilità
di affidare la costruzione delle infrastrutture a dei general
contractor (V.) mediante trattativa privata. Di seguito venne propalata
l’altra grande bugia, che l’opera verrà finanziata sempre al 60
per cento da capitali privati. Invece fu lo Stato a garantire «il
finanziamento del 40 per cento in conto capitale, mentre il 60 per
cento doveva essere ricercato sul mercato dei capitali con prestiti che
ovviamente dovevano essere restituiti con interessi di mercato; poco
importava anzi bastava tenere riservato il fatto che gli interessi fino
alla realizzazione dell’opera dovevano essere pagati dallo Stato
così come la restituzione dei prestiti doveva essere garantita
dalle stesse Fs e dallo Stato» (I. Cicconi, La storia del futuro
di Tangentopoli, pag.188). Nacque poi il problema di legare Fs e Tav.
Le Fs dovevano finanziare solo il 40 per cento dell’opera per cui la
Tav con un contratto di concessione di gestione poteva rientrare del 60
per cento sborsato privatamente tramite gli incassi della gestione. Ma
per rientrare dei soldi spesi Tav avrebbe impiegato almeno 350 anni.
Allora venne coniata la «concessione per lo sfruttamento
economico» per giustificare il trasferimento di risorse dallo
Stato alle Fs. Un trasferimento impossibile: negli accordi di programma
non viene mai detto come i privati dovevano finanziare il 60 per cento
né come lo avrebbero recuperato. Di f ronte a questi silenzi,
Eni e Iri, due dei tre general contractor, si fanno da parte, indicando
delle loro società collegate, Snam e Iritecna mentre il terzo,
la Fiat, firmò all’ultimo momento, il 15 settembre, solo quando
ebbe la certezza della copertura da parte dello Stato. Nel dicembre
1991 vennero firmati i contratti tra Tav e i consorzi, Cepav uno e due,
Iricav uno e due, Cavet, Cociv, Cavtomi, accordi di massima con una
sola certezza: «Tav spa paga il 100 per cento dei costi previsti
nei contratti, nessun rischio è a carico degli
imprenditori» (Cicconi, op. cit., pag. 192). Il capolavoro
è fatto. L’Italia potè rispettare il parametro di
Maastricht che impone al 3 per cento il rapporto tra deficit e Pil ed
entrare trionfalmente in Europa. Il 10.3.1998 cadde la maschera: le Fs
acquisirono il 100 per cento di Tav spa e dal 1.1.2003 la Tav è
entrata nell’orbita della società Infrastrutture spa con
azionista unico la Cassa Depositi e Prestiti. Infrastrutture si accolla
que l 60 per cento finto privato e trasforma in capitale sociale il 40
per cento pubblico, allungando al 2061 la concessione alla Tav. Lo
Stato continuerà a coprire la quota relativa agli interessi
intercalari fino alla conclusione dei lavori; quando la Tav
funzionerà il debito sarà coperto, sia per la quota
relativa agli interessi che per quella relativa al capitale, dai
proventi dello sfruttamento economico. Lo Stato si farà carico
anche di integrare quella parte del debito che i proventi non
riusciranno a coprire (50 per cento. Appena Infrastrutture spa
sarà operativa, Tav sarà finanziata con il collocamento
della prima emissione obbligazionaria.
Tempi di percorrenza. Quando i
treni andranno a 300 km. all’ora da Roma a Milano si impiegheranno 3
ore anziché 4 ore e mezzo; da Torino a Napoli 5 ore contro le 9
attuali. Se la stragrande maggioranza degli utenti viaggiasse lungo
queste tratte la Tav potrebbe essere davvero vantaggiosa. Purtroppo
l’80 per cento dei passeggeri effettua trasferte inferiori ai 100 km.
In nessun Paese del mondo l’Alta Velocità ferroviaria è
stata un affare. In Francia e in Giappone i treni superveloci hanno
devastato i bilanci delle aziende ferroviarie, portando al fallimento
quella nipponica.
Tempi di realizzazione.
Secondo il sito ufficiale della Tav la Torino-Milano sarà pronta
nel 2008, la Firenze-Milano entro il 2007 e la Roma-Napoli per il 2005.
Pochi sono disposti a credere a queste previsioni. Non ci crede nemmeno
Aurelio Misiti, che di lavori pubblici se ne intende e dopo aver
ammesso che il progetto della Firenze-Bologna«non era fatto bene
all’inizio» ha aggiunto: «Non credo che siamo alla fine del
percorso. Siamo al 55 per cento del lavoro. Otto anni fa si è
cominciato: ci sarà altrettanto da lavorare». Secondo l’ex
presidente del Consiglio dei lavori pubblici i lavori dunque finiranno
nel 2011. Dovevano finire nel 2003.
Terzo valico. Il terzo valico dei
Giovi è una parte della Milano-Genova (138 km) pari a 54 km di
cui 46 in galleria a doppio foro. Secondo affermazioni mai smentite di
Necci stesso (Sole 24 Ore 15.5.1991) la Mi-Ge, nonostante un iniziale
progetto lacunoso e privo di attendibilità, è stata una
carta di scambio per avere il via libera sulla Tav. Il progetto non ha
copertura economica (servono 4.339.000.000 euro) ma intanto è
già costato 415 miliardi di lire in progetti e fori pilota. Dopo
la bocciatura dei primi tre progetti, nel settembre 2003 ha avuto il
via libera del Cipe e dell’Ue, è rientrato nel Piano Generale
dei Trasporti (marzo 2001) e nel Contratto di Programma di Rete
Ferroviaria Italiana, ma i Comuni interessati non ne vogliono nemmeno
sentir parlare e l’opera manca della Valutazione ambientale strategica
obbligatoria per la normativa europea ed italiana. Nel 1998 i
carabinieri su denuncia del Wwf hanno chiuso i cantieri e il terzo
valico è finito in Procura a Mil ano. L’ipotesi di reato era
truffa aggravata ai danni dello Stato per 100 miliardi di lire. Secondo
l’accusa erano stati eseguiti dei falsi fori pilota in località
Fraconalto e Voltaggio che in realtà erano gallerie di servizio,
e il tutto senza alcun progetto. Inoltre i lavori eseguiti in base al
finanziamento suppletivo di 100 miliardi di lire del 16 giugno del 1995
risulterebbero gonfiati del 100 per cento. I 100 miliardi erano stati
stanziati dal governo Berlusconi I su pressione dell’allora
sottosegretario Grillo che però nega l’addebito. Sono stati
rinviati a giudizio il senatore di Forza Italia Luigi Grillo,
presidente della Commissione lavori pubblici del Senato, Ettore Incalza
(V.) e gli imprenditori Marcellino Gavio e Bruno Binasco. Il terzo
valico lo dovrebbe costruire il Consorzio Co.civ il cui 94,5 per cento
è della Impregilo di Pier Giorgio Romiti.
Tpl. Società di ingegneria
da cui è iniziata la carriera di Necci. La Tpl secondo i giudici
perugini era il crocevia dei traffici illeciti di denaro tra Necci e
Pacini Battaglia. Secondo l’ex presidente Snam Raffaele Santoro, Necci
la protesse e finanziò come fosse cosa sua. Nel 1991 la Tpl-Av
stipulò un contratto che prevedeva le stesse prestazioni
affidate a Italferr per la Tav: un incarico doppione del tutto inutile.
Da Necci la Tpl-Av ha avuto un contratto da 60 miliardi per studi
sull’Alta Velocità e solo per le attività di consulenza
la Tpl-Av ricevette anticipazioni finanziarie ampiamente superiori al
suo fatturato stesso: al 31.12.1996 erano ben sei miliardi di lire.
Secondo i Ros, il manager Tpl Mario Delli Colli ha riciclato 3 miliardi
di lire su ordine di Necci. Il suo presidente Mario Maddalonì,
che ha patteggiato un anno e sei mesi per i fondi neri Eni,
esercitò enormi pressioni per l’assunzione dell’ing. Savini
Nicci, attuale amministratore delegato Tav.