Cento milioni di spese militari per
ogni milione di aiuti.
Fondi record al Sismi e alla Croce
rossa.
Risultato: la missione in Iraq ha
inghiottito oltre un miliardo e mezzo di euro
Spreco Nassiriya
di Gianluca Di Feo
Abbiamo speso più per gli 007
che per gli aiuti. È il paradosso più grande della
missione italiana in Iraq, una spedizione nata per favorire la
ricostruzione del Paese dopo gli anni della dittatura di Saddam Hussein
e soprattutto per dare sollievo alla popolazione stremata da embargo e
combattimenti. Doveva essere una missione umanitaria: invece a
Nassiriya l'Italia ha investito più negli agenti segreti che nel
sostegno agli iracheni.
Nei primi sei mesi del 2006 il
bilancio approvato dal governo per l'operazione Antica Babilonia
prevede 4 milioni di euro di aiuti e ben 7 milioni "per le
attività di informazioni e sicurezza della presidenza del
Consiglio dei ministri", ossia per gli inviati del Sismi.
E la stessa cosa è avvenuta sin dall'inizio: in tre anni
l'intelligence ha ottenuto circa 30 milioni di euro mentre per "le
esigenze di prima necessità della popolazione locale" ne sono
stati stanziati 16. Un divario inspiegabile, che sembra mostrare
l'Italia più interessata allo spionaggio che al soccorso di quei
bambini per I quali era stata decisa la partenza di un contingente
senza precedenti: oltre 3.500 militari con mille veicoli.
Ma a leggere i dati contenuti nella monumentale relazione pubblicata
sul sito dello Stato maggiore della Difesa, tutta l'operazione Antica
Babilonia appare come una voragine, che inghiotte finanziamenti record
distribuendo pochissimi aiuti. O meglio, I conti mettono a nudo la
realtà che si vive a Nassiriya: non è una missione di
pace, ma una spedizione in zona di guerra.
Finora infatti sono stati stanziati 1.534 milioni di euro, poco meno di
3 mila miliardi di vecchie lire, per consegnare alla popolazione della
provincia di Dhi-Qar poco più 16 milioni di materiale finanziato
dal governo: un rapporto di cento a uno tra il costo del dispositivo
militare e i beni distribuiti. In realtà, però, la spesa
totale per le forze armate italiane a Nassiriya è addirittura
superiore a questa cifra: tra stipendi, mezzi distrutti ed
equipaggiamenti logorati dal deserto la cifra globale calcolata da
'L'espresso', consultando alcuni esperti del settore, si avvicina ai
1.900 milioni di euro.
Intelligence a go-go. Su tutte le pagine del rapporto dello Stato
maggiore Difesa, disponibile sul sito web, è stampata la
dicitura: 'Il presente documento può circolare senza
restrizioni'. Solo nelle ultime 20 pagine questo timbro non compare. Ed
è proprio nella nota finale sugli aspetti finanziari di Antica
Babilonia che compaiono le notizie più delicate. A partire dalla
voce: 'Attività di informazioni e sicurezza della PCM', ossia
della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Si tratta dei fondi extra
consegnati agli agenti del Sismi che operano in Iraq: non si sa se lo
Stato maggiore li abbia indicati per voto di trasparenza, per errore o
per una piccola mossa perfida. Di fatto, finora le disponibilità
degli 007 erano un mistero, oggetto di grandi illazioni soprattutto per
quanto riguarda la gestione dei sequestri di persona. Da anni si
discute delle riserve usate dalla nostra intelligence per comprare
informatori o per eventuali riscatti pagati durante I rapimenti. Adesso
queste cifre permettono di farsi qualche idea del costo dei nostri 007
in azione.
Per i primi sei mesi del 2003, purtroppo, lo Stato maggiore non
è illuminante: la provvista è mescolata assieme alle
spese di telecomunicazioni, quelle dei materiali per la guerra chimica
e quella per il trasloco delle truppe. In totale poco meno di 35
milioni. Facendo il confronto con I bilanci dei semestri successivi, si
potrebbe ipotizzare che al Sismi siano andati circa 4 milioni di euro.
In ogni caso, gli stanziamenti diventano poi espliciti: 9 milioni nel
2004, 10 milioni nel 2005, 7 milioni già disponibili per I primi
sei mesi di quest'anno. Una somma compresa tra I 50 e I 60 miliardi di
vecchie lire, destinata soltanto a coprire I sovrapprezzi delle
missioni top secret in territorio iracheno, a ricompensare gli
informatori e, verosimilmente, alla gestione dei sequestri di persona.
Quelle operazioni che hanno determinato il ritorno a casa di sei
ostaggi, grazie anche al sacrificio del dirigente del Sismi Nicola
Calipari.
Un ultimo dato:
dalla stessa relazione dello Stato maggiore apprendiamo che il Sismi ha
avuto altri 23 milioni e mezzo per la missione in Afghanistan. Anche in
questo caso, la dote degli 007 supera di gran lunga il valore dei beni
distribuiti alla popolazione.
La lontananza
è cara.
Le voci trasporti e
telecomunicazioni della spedizione hanno importi choc. Per I viaggi
avanti e indietro dei reparti, dei rifornimenti e degli
equipaggiamenti, sono stati spesi finora 125 milioni di euro. Ogni
quattro mesi infatti le brigate impegnate a Nassiriya vengono
sostituite: devono tornare in Italia con le loro dotazioni di materiali
e armi leggere. Veicoli e scorte invece restano sempre in Iraq, salvo
quando il logoramento impone di rimpiazzarli. Sorprendente anche la
'bolletta del telefono': 11 milioni in 18 mesi. Non si tratta delle
chiamate a casa dei soldati o dei carabinieri, ma del flusso di
telecomunicazioni via satellite per l'attività dei militari: I
contatti con l'Italia, quelli con I comandi alleati e molte delle
trasmissioni radio sul campo.
Pesante pure il
capitolo 'Croce rossa italiana': si tratta di oltre 32 milioni di euro.
E riguardano il solo ospedale di Nassiriya, quello che fornisce
assistenza medica ai nostri militari. Questa struttura ha soltanto come
scopo secondario l'attività in favore della popolazione locale:
450 ricoveri in tre anni. Nel 2003 la Croce rossa aveva a
Nassiriya 85 persone, poi scese a 70: dall'inizio della missione si
tratta di una spesa media per ogni operatore sanitario di oltre 400
mila euro. Perché? La risposta ufficiale chiama in causa le
indennità straordinarie e le difficoltà di trasferire
medicinali e apparecchiature. L'ospedale da campo creato a Baghdad nel
2003, invece, era finanziato con i fondi del ministero degli Esteri: il
costo era ancora più alto, ma i pazienti erano tutti iracheni.
Farnesina tecnologica.
La quota più consistente dei fondi destinati alla
rinascita dell'Iraq viene gestita dalla Farnesina: 103 milioni di euro.
La fetta maggiore è stata inghiottita dall'ospedale di Baghdad e
dalla difesa dell'ambasciata. Ci sono poi numerose iniziative ad alta
tecnologia, tutte realizzate in Italia e alcune di discutibile
utilità: 5 milioni per la rete telematica Govnet che dovrebbe
connettere i ministeri di Bagdad; 800 mila euro per la ricostruzione
virtuale in 3D del museo di Bagdad. I programmi di formazione invece
prevedono che il personale iracheno frequenti dei corsi in Italia: una
procedura sensata quando si tratta di lezioni per dirigenti o tecnici
di alto livello, forse meno quando comporta il trasferimento a Roma di
30 orfani destinati a imparare il mestiere di falegname, barbiere o
sarto. Più concreti gli interventi gestiti dal Ministero
attraverso la Cooperazione per la ricostruzione dell'agricoltura, del
sistema scolastico e di quello ospedaliero: ma nei primi 18 mesi nella
regione di Nassiriya erano stati realizzati progetti per soli 3,7
milioni.
Armata ad alto costo.
Tra aiuti diretti consegnati dai militari e progetti, concreti o
virtuali, della Farnesina in tutto sono stati stanziati 119 milioni di
euro. Secondo lo Stato maggiore, per il contingente armato finora sono
stati messi a disposizione 1.418 milioni di euro. Ma è un stima
parziale: non tiene conto del costo degli stipendi, del logoramento dei
mezzi, di molte delle parti di ricambio. Non tiene conto
dell'elicottero distrutto in missione, dei dieci veicoli Vm90
annientati negli attacchi, delle munizioni esplose, della base dei
carabinieri cancellata dall'attentato del 2003. Non tiene conto del
terribile bilancio di vite umane: 22 tra carabinieri e soldati caduti e
61 feriti in azione, altri sette morti e sette feriti in incidenti. In
più un civile ammazzato nella strage del 12 novembre 2003 e un
altro ferito. Un sacrificio giustificato dai risultati? Di sicuro, non
si può chiamarla una missione di pace. Nei quattro mesi
'più tranquilli' i parà della Folgore hanno distribuito
beni o avviato progetti pari a 4 milioni di euro, finanziati dal
governo o da istituzioni e aziende italiane: in più hanno
vigilato sulla nascita di iniziative internazionali per altri 6 milioni
di dollari. Nella fase di crisi della battaglia dei ponti, invece la
brigata Pozzuolo del Friuli si è fermata a meno di 4 milioni di
dollari tra attività portate a termine o soltanto avviate. Ormai
è difficile anche controllare a che punto sono i lavori nei
cantieri: ogni sortita è pericolosa. Per questo il comando di
Nassiriya ha ipotizzato di usare gli aerei-spia senza pilota, i
Predator, che con le telecamere all'infrarosso possono verificare se i
macchinari sono accesi o se i manovali ingaggiati dalla Cooperazione
stanno perdendo tempo. Certo, si potrebbe affidare la sorveglianza alle
autorità irachene: grazie a un programma della Nato abbiamo
addestrato 2.600 soldati e 12 mila poliziotti locali. Eppure tanti
uomini in divisa non sono bastati a impedire che un'imboscata venisse
messa a segno a pochi metri dal commissariato più importante.
Aiuti oltre i limiti.
Soldati e carabinieri escono ancora dalla loro base per sostenere
la popolazione. Prima della strage del 2003 lo facevano molto di
più: fino a quel momento la brigata Sassari aveva percorso un
milione e 900 mila chilometri; dopo di loro i bersaglieri della
Pozzuolo del Friuli ne hanno macinati solo 460 mila. C'è un dato
che fotografa la situazione meglio di ogni altra analisi: poco meno di
2 milioni di chilometri totalizzati dalle colonne dell'Esercito in
quattro mesi prima dell'attentato, altrettanti percorsi nei 24 mesi
successivi. Eppure, nonostante i rischi altissimi testimoniati
dall'attacco costato la vita a due carabinieri e un capitano
dell'Esercito, i nostri militari non rinunciano a condurre le
attività umanitarie. Cercano di costruire scuole e ambulatori,
forniscono macchine ai laboratori artigianali e all'unica raffineria.
Per evitare imboscate, lo fanno di sorpresa: arrivano nei villaggi
all'improvviso, scaricano doni e materiali, poi ripartono. Se invece
c'è qualche cerimonia ufficiale, tutta l'area viene presidiata
in anticipo con cecchini e blindati. Insomma: una situazione di guerra.
Ma nessuno si sottrae ai pericoli. Anzi, tutti i reparti fanno
più del necessario. Prima di partire per l'Iraq, c'è una
sorta di questua tra istituzioni locali e aziende della zona dove ha
sede la brigata per raccogliere aiuti da distribuire: spesso i reparti
mettono insieme una quantità di merci superiore ai fondi
governativi. Inoltre in occasioni particolari, ci sono collette
tra i soldati per acquistare riso o medicinali. O iniziative
straordinarie, come quella della famiglia del maresciallo Coletta, una
delle vittime del la strage del novembre 2003, che ha mandato un
container di farmaci per un ospedale pediatrico. Ma a tre anni dalla
caduta di Saddam ha ancora senso rischiare la vita di 20 militari per
consegnare un camion di riso e medicine?