di Paolo Forcellini
da L’Espresso in edicola N.48 del 02.12.2005
( Pag. 73 ) - Attualità
Premessa: «Sono un ambientalista molto ma molto tiepido». Mette le mani avanti Marco Ponti, uno dei maggiori esperti europei di trasporti e docente al Politecnico milanese, di fronte alla richiesta de L’espresso di parlare del piano italiano per l’alta velocità ferroviaria (Av), nell’occhio del ciclone per le contestazioni in particolare, ma non solo, in Val di Susa. Ma anche se non accenna a sospette presenze di amianto nelle montagne da traforare o all’inquinamento delle valli, Ponti demolisce il progetto Av. Con ragionamenti da economista che non lasciano scampo. Oggi si preferisce parlare di alta capacità anziché di alta velocità : perché?
«I verdi hanno voluto che si usasse la nuova definizione per sottolineare che non si trattava di un progetto per correre più in fretta, ma per aumentare la capacità del sistema ferroviario nel suo complesso. Una solenne fesseria perché il sistema italiano è largamente sottoutilizzato. Su una linea normale a doppio binario possono transitare 240 treni al giorno, su una ad Av fino a 350. Non ha senso aggiungere su alcune tratte una tale enorme capacità, poiché non esiste una domanda di trasporto ferroviario di queste dimensioni. Si aggiunga che le linee ad Av sono costosissime».
Però altri paesi le hanno realizzate.
«Non è un caso che il progetto di Av sia iniziato in Francia. Là costava relativamente poco: tra Parigi e Lione ci sono pianure e colline molto dolci su cui è possibile sfruttare al meglio l’inerzia del treno. Poi i francesi hanno provato in tutti i modi a esportare il sistema, incontrando uno straordinario insuccesso, dagli Stati Uniti alla Corea. Noi invece insistiamo. Eppure le linee in Italia debbono correre tutte su viadotto o in galleria. E i costi salgono a livelli stratosferici. Inoltre, mentre l’Av francese è un’Av leggera , solo per passeggeri, il modello che abbiamo scelto noi è misto, passeggeri e merci, e assai più dispendioso». Perché questa opzione?
«L’unica spiegazione che mi so dare è: perché costa di più. Non ha infatti alcuna motivazione razionale: la capacità della rete esistente è molto esuberante rispetto alla domanda e le merci che viaggiano in ferrovia non hanno alcun bisogno di andare a 300 all’ora, bastano e avanzano i 180. Oltretutto le gallerie hanno costi proporzionali al quadrato del loro raggio: farle un po’ più larghe raddoppia la spesa. Ma se si vuole che i treni corrano veloci occorre che i trafori siano abbondanti, altrimenti si produce un effetto ariete che li rallenta. Conclusione: o si fa come nel tratto Av tra Bologna e Firenze, che non viene ultimato perché i costi sono saliti in modo demenziale per fare gallerie ampie, oppure se ne fanno di normali, come nel progetto Frejus, ma allora i treni dovranno andare a non più di 120-150 all’ora. Alla faccia dell’Av».
Ma per i passeggeri spostarsi da una città all’altra in tempi più brevi è un gran progresso.
«Esiste già un’Av che non costa nulla allo Stato: i voli low-cost. Imbattibili sopra i 500 km. Per andare da Torino a Parigi difficilmente si prenderà la Torino-Lione. Ma ciò renderà ancor più improbabile quadrare i conti: l’Av ha bisogno di flussi enormi di traffico per essere giustificata. Ne siamo lontani. I treni giornalieri a lunga distanza tra Milano e Torino sono 30 e viaggiano mezzi vuoti; quelli previsti dalle stime ufficiali sul Frejus sono una dozzina».
La sua è una condanna senza appello per tutta l’Av, oppure si può salvare qualcosa?
«Sono un economista, ma non del genere conta fagioli (bean counter), come direbbero gli americani. Si può costruire qualcosa pure con obiettivi non economici. Tra Milano e Roma, e pure fino a Napoli, anche considerato che una parte è già stata realizzata, forse è sensato finire la linea ad Av: nella spina dorsale del paese l’Av ha anche un significato politico. Forse ha un senso pure ultimare l’Av tra Milano e Verona, ma solo perché ne è già stato costruito un pezzo: là la domanda è infatti già molto inferiore. Inoltre, mentre tra Milano e Roma le distanze medie viaggiate sono di 250 km, tra Torino e Venezia siamo a 90: ciò riduce l’opportunità di costruire linee veloci su questo asse. E su tratte come la Venezia-Trieste con quattro pendolini al giorno si soddisfa la domanda per secoli». Tra i valichi previsti per l’Av vi sono quello dei Giovi e quello del Brennero. Che ne pensa?
«Pollice verso per il primo: ci sono già quattro binari neppure lontanamente saturi. Quanto al Brennero, la linea è bene in ordine dalla parte italiana e ci sarebbe solo il costo della nostra quota del valico, tre miliardi. Un investimento ragionevole per far passare treni merci più pesanti».
Prolungare l’Av da Napoli a Reggio Calabria?
«È previsto dalla legge Obiettivo ed è pura follia. Le Ferrovie hanno già detto di no due volte a questa ipotesi che succhierebbe circa 22 miliardi. Inascoltate. Una radicale ristrutturazione della linea esistente costerebbe un decimo e sarebbe più che sufficiente. Ma questa pazzia si completa e trova giustificazione in un’altra pazzia: il passaggio dei treni sul Ponte di Messina. Così ci saranno costi raddoppiati rispetto a un ponte per soli veicoli su gomma».
C’è qualche tratta prossima alla saturazione?
«La Padova-Venezia, ad esempio, ma ormai è quasi finito il raddoppio. E in ogni caso si possono mettere in atto molte misure per allontanare la saturazione: costruire treni merci più pesanti (ora sono da 300 tonnellate, negli Usa ce ne sono da 2 mila); utilizzare treni passeggeri a doppio piano; creare sistemi di blocco più sofisticati che consentano frequenze maggiori». È sostenibile finanziariamente il progetto Av?
«Si è partiti promettendo che si sarebbe ripagato al 60 per cento. Poi si è scesi al 40 e infine è stato stabilito che bastava il 40 dei costi, esclusi quelli per i nodi in prossimità delle città, molto dispendiosi. Secondo le mie simulazioni si arriverebbe al 20 per cento; altri stimano il 23. Il sistema è destinato al default: pagherà lo Stato. Molti di questi lavori verranno inaugurati ma poi non ci saranno i soldi per proseguirli e saranno ri-inaugurati a ogni tornata elettorale. La Torino-Lione è un monumento alla dissipazione: costerà almeno 13 miliardi, come 3 o 4 ponti sullo Stretto. Werner Rothengatter, presidente mondiale degli esperti di trasporti, nel suo Megaprojects ha però calcolato che alla fine i costi di queste grandi opere aumentano in media del 30-40 per cento». Ammetterà che queste opere accrescono però conoscenze tecnologiche e occupazione...
«Non lo ammetto. Per sviluppare l’innovazione si deve puntare sulle tecnologie, non sul cemento. Quanto all’occupazione, oggi le grandi opere hanno un moltiplicatore modesto: non si mobilitano più, come nell’Ottocento, i braccianti. È poi evidente che il nostro è un territorio con un grande valore turistico per il futuro. Quindi ci sono modi più redditizi per spendere. A meno che qualcuno non si riprometta, per se stesso, grandi affari sulle grandi opere».