BERLUSCONI MISTIFICA E MANIPOLA
LA REALTA’: LE TRUPPE ITALIANE DALL’IRAQ VANNO RITIRATE
IMMEDIATAMENTE PER IMPEDIRE ALTRE MORTI INNOCENTI E ALTRI MASSACRI
Il 19 marzo 2005 manifestazioni in
tutto il mondo, in Italia a Roma ci sarà quella principale,
riporteranno milioni di persone in piazza per dire ancora una volta NO
ALLA GUERRA.
I motivi per cui noi aderiamo attivamente a questa manifestazione sono
gli stessi che già esprimemmo un anno fa.
Se si vuole la pace
occorre la cessazione immediata dell’occupazione imperialista dell’Iraq
e il ritiro delle truppe straniere “senza se” e “senza ONU”. L’autodeterminazione dei popoli,
e quindi del popolo iracheno, è un diritto riconosciuto dal
diritto internazionale; in questo senso, la resistenza irachena
all’occupazione coloniale da parte di Stati Uniti, Gran Bretagna,
Italia– così come quella palestinese all'occupazione coloniale
israeliana– è pienamente legittima perché fondativa del
processo di autodeterminazione contro l’occupazione da parte di un
paese straniero.
La guerra di aggressione all’Iraq produce l’aumento delle spese militari non
solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa. Che ciò avvenga a
scapito delle spese sociali è ormai evidente agli occhi di
tutti. Le risorse sottratte alle spese sociali servono non solo a
finanziare l’apparato militare dei paesi aggressori, ma anche il
progetto di esercito europeo la cui dottrina militare si ispira alla
medesima logica della guerra preventiva. Insieme alle spese militari
stanno aumentando le spese per la “sicurezza”, intesa come fronte
interno della guerra preventiva e tesa a rafforzare la repressione dei
movimenti sociali e la militarizzazione della società.
Ricordiamo che un mese di combattimento in Iraq costa circa 75 miliardi
di dollari, 65 miliardi solo per armi e paghe dei soldati.
Per l’accesso universale all’istruzione primaria basterebbe impiegare
10 miliardi di dollari all’anno, poco meno di una settimana di guerra
in Iraq.
Servirebbero 7 miliardi di dollari l’anno per far retrocedere in modo
efficace l’epidemia dell’aids, basterebbe rinunciare a pochi giorni di
guerra in Iraq.
La guerra in Iraq costa circa trentamila dollari al secondo e
basterebbe interrompere per un secondo la guerra per avere il danaro
sufficiente alla costruzione di una scuola e di un pozzo in Burkina
Faso.
Gli stanziamenti in USA per la spesa militare sono stati per il 2003 di
364,6 miliardi di dollari e nel 2004 di 379,9 miliardi di dollari.
Investire nelle spese militari significa accentuare il disastro
ambientale su tutta la terra. Non solo in Iraq, in Medio-Oriente, ma
ovunque i mari, i fiumi, l’aria, il suolo saranno più inquinati
a guerra conclusa.
Ci saranno nuovi veleni, quantitativi incontrollati di uranio
impoverito e di radiazioni sconosciute. Generazioni di bambini si
troveranno con malattie nuove.
Gli anglo-americani hanno giustificato la loro aggressione contro
l’Iraq e il suo governo legittimo sostenendo che il governo iracheno
era in possesso di armi di distruzione di massa.
Sono, al contrario, gli USA che stanno conducendo l’aggressione facendo
uso di armi di distruzione
di massa, di bombe a grappolo (cluster bombs) e di armi chimiche
come a Falluja, dove è stato perpetrato un vero e proprio
genocidio, dimostrato anche da testimonianze dirette.
Le bombe a grappolo e i proiettili con uranio impoverito sono stati
già usati dalla prima guerra del Golfo in poi.
Le autorità militari dichiarano che le armi con uranio
impoverito non comportano alcun rischio, ma nei documenti riservati del
ministero della difesa statunitense del 1991 si trova già
scritto che l’uso di queste armi ha il potenziale di produrre effetti
nocivi sulla salute umana. Nel 1992 l’agenzia nucleare della difesa
statunitense descriveva le particelle di uranio impoverito come una
seria minaccia per la salute; un rapporto curato dalla sezione chimica
del comando militare statunitense concludeva che i rischi sanitari a
lungo termine per la popolazione locale e per i veterani potevano
essere dei deterrenti all’uso continuativo di questi proiettili e,
invece, si è continuato a usarli tenendosi per sé le
informazioni più scottanti.
Quali sono stati gli effetti di queste armi sui soldati nella prima
guerra del Golfo?
Viene chiamata sindrome del Golfo: almeno 150 mila reduci – che
è una cifra altissima in proporzione alle forze impiegate – sono
stati colpiti. Il 28% dei soldati sono morti, altri hanno avuto lesioni
permanenti, il 67% delle famiglie hanno avuto bambini con malformazioni.
E quali saranno gli effetti in Iraq?
Ciò che sta accadendo oggi può essere messo a confronto
con quanto accaduto dopo la prima guerra del Golfo. Tra il 1989 e il
1994 si è verificato un aumento del 700% dei casi di tumore in
Iraq (fonte: statistica ONU pubblicata sul British Medical Journey)
senza che negli ospedali del paese fossero disponibili né
farmaci chemioterapici né antidolorifici per i malati terminali
(a causa dell’embargo in vigore da dodici anni).
Gli USA, in Iraq, e a Falluja e nel carcere di Abu Ghraib, hanno
commesso crimini di guerra.
Questo spiega perché gli USA continuano a sabotare
l’attività della corte penale internazionale. Temono che i loro
leader politici e i vertici militari possano essere perseguiti per
crimini di guerra o contro l’umanità.
In questo contesto e in queste condizioni rimane insensata la scelta
del governo italiano di voler mantenere ancora il nostro contingente
militare in Iraq. La permanenza in Iraq costituisce inoltre una
palese violazione dell’art. 11 della Costituzione.
Risulta evidente da tutte queste documentate considerazioni che occorre
continuare la mobilitazione per il ritiro immediato di tutte le truppe
d’occupazione dall’Iraq, che costituisce l’unico modo per consentire
l’autodeterminazione del popolo iracheno.
SOLIDARIETA’
CON LA RESISTENZA IRACHENA.
Giorgio Riboldi ( presidente Associazione L’altra Lombardia – su la
testa)
Mariella Megna (segretaria sezione di Cremona e provincia
Associazione L’altra Lombardia – su la testa)
Cremona, 16 marzo 2005