LA CONTRORIFORMA MORATTI
LEGGE N. 53 DEL 28 MARZO 2003
INTRODUZIONE
Tutti i tentativi di riforma della scuola superiore - riforma Gui,
Malfatti e Falcucci - dal 1968 fino alla riforma Berlinguer del 1997 –
sono falliti sotto i colpi della contestazione studentesca e del corpo
docenti. Questa controriforma è la più pericolosa
perché vuole azzerare decenni di studi e sperimentazioni per
riportarci alla scuola fascista e classista di Gentile.
La controriforma Moratti è una legge delega, vale a dire il
Parlamento ha autorizzato il Consiglio dei Ministri a proporre un
disegno di legge. Il Governo ha voluto costruire la riforma della
scuola senza discutere e far partecipare il Parlamento e tutto il paese.
La controriforma ha la sua applicazione concreta con i decreti
attuativi che saranno efficaci solo dopo l’approvazione di
provvedimenti che stanzino le risorse; il governo cioè deve
approvare delle leggi di spesa per dare la necessaria copertura
finanziaria, a meno che il ministero dell’istruzione non abbia fondi
propri.
La prima parte della controriforma è stata avviata nel 2004 e i
fondi sono stati trovati grazie ai tagli al personale docente e non
docente nelle scuole a metà gennaio 2005 è stato
presentato il decreto attuativo per il ciclo delle superiori che ne
prevede l’attuazione già dal biennio 2006/2007. Questa riforma
danneggia la scuola pubblica favorendo quella privata.
Il progetto governativo é volto a impoverire la scuola nel suo
complesso senza nessuna attenzione per gli aspetti didattici e
progettuali, con una progressiva ma costante riduzione di fondi, a
fronte invece di un esplicito storno di fondi statali a vantaggio della
scuola privata.
Nella scuola secondaria gli effetti della riforma sui livelli
occupazionali saranno devastanti: su un organico di 240 mila docenti si
stima che la riduzione dell’annualità e del monte ore
comporterà dalle 89 mila alle 104mila e cinquecento cattedre in
meno e un ulteriore perdita di circa 20 mila posti fra gli ATA, senza
contare che l’attività didattica potrà essere assegnata
dai presidi anche ad “esperti” con contratto privato. Naturalmente i
primi a pagare questa ristrutturazione saranno i lavoratori precari,
già penalizzati dai tagli organici e alle supplenze imposti
dalle ultime finanziarie.
Questo è un chiaro intento di impoverire la scuola pubblica
perché non c’è giustificazione nel voler ridurre gli
insegnanti con la scusa della regressione demografica. In Lombardia per
l’a.s. 2004-2005 ci sono 783 insegnanti in meno a fronte di 2000
iscritti in più
LE RIFORME SCOLASTICHE
Gentile (periodo fascista)
- scuola di avviamento, senza sbocchi [con esame d'ammissione e
studio del latino nel corso inferiore]
- secondaria inferiore e superiore
- con accessi differenziati all’università
- Nuove scuole: istituto magistrale, liceo scientifico, in
sostituzione rispettivamente della scuola normale e della sezione
fisico-matematica dell’istituto tecnico.
- La religione come fondamento e coronamento
L’aveva concepita come riforma liberale della scuola. Il suo scopo era
di cristallizzare la struttura classista della scuola.
Bottai: La riforma Bottai (Carta della scuola), non applicata entra
in vigore dal 1945 solo per la scuola media: esame d’ammissione dopo
l’elementare, accanto alla scuola senza sbocchi (avviamento
commerciale). Rimarrà fino al 1961.
Dal 1945 al 1961 dibattito sull’unificazione della scuola dagli 11
ai 14 anni.
La riforma Fanfani del 1962
Democratica ma ancora classista, approvata dall’allora centrosinistra
(DC, socialisti etc.) e, dialetticamente, dal Pci.
Nasce la scuola media unificata , non più separazione tra
avviamento e scuola media con il latino che preparava alle superiori e
si eleva l’età dell’obbligo scolastico a 13 anni.
1968 l’asilo si trasforma in scuola materna con orientamenti
didattici e pedagogici
1991 nella scuola elementare non c’è più il maestro
unico. Nasce il gruppo di maestri che si dividono i compiti
La riforma Berlinguer-De Mauro (Legge 59/97 e successivi
regolamenti)
L’autonomia scolastica introdotta dalla riforma Berlinguer nel 1997
è il principale strumento di attuazione della riforma Moratti.
E’ uno strumento formidabile per la realizzazione del disegno di
dividere e mettere in competizione tra loro le singole scuole,
sulla via della loro totale privatizzazione.
Cos’è, infatti, questa trasformazione delle scuole statali in
imprese con cui le famiglie e gli studenti stipulano un contratto sulla
base del Piano dell’offerta formativa (DPR 275/99), se non la
privatizzazione della scuola pubblica?
Una privatizzazione che si realizza nell’imporre alle scuole il modello
privato del "mercato", in cui ognuno produce una specifica merce (la
formazione) per rispondere ad una domanda che proviene da un preciso
settore di potenziali clienti (studenti e famiglie), adeguandosi
contestualmente alla dimensione imprenditoriale: il manager dirige,
gestendo risorse e personale (D.Lgs.59/98), gli organi collegiali
"garantiscono l’efficacia dell’autonomia", gli insegnanti, divisi nelle
nuove figure e gerarchie contrattuali, flessibilizzati, controllati e
valutati, "hanno il compito e la responsabilità della
progettazione e della attuazione del processo di insegnamento e di
apprendimento", il personale ATA sarà destinato anche a
"funzioni già di competenza dell’amministrazione centrale e
periferica”.
Un altro elemento che suscita perplessità della controriforma
Moratti, quello del tutor, è stato di fatto anticipato dalla
legge Berlinguer perché già adesso l’insieme dei docenti
che vengono a contatto con un allievo non coincide col consiglio di
classe – persona giuridica astratta piuttosto che una persona
pedagogica concreta – e la classe non è più l’unico
elemento di riferimento per l’organizzazione delle attività
didattiche e dell’organico”, che dovrebbe tendere a diventare di rete,
piuttosto che diviso fra le singole scuole.
CONTENUTI CONTRORIFORMA MORATTI
PRINCIPI GENERALI
INTENTO ORIENTATIVO
Fin dalle elementari la tendenza é quella di selezionare chi
andrà al liceo e chi all'istruzione professionale, sostituendo
ai percorsi individualizzati (che già erano presenti nella
scuola e che prevedevano la scelta di differenti strategie per
garantire obiettivi comuni) i percorsi personalizzati, che prevedono
invece sì differenti strategie ma per differenti obiettivi,
cioè esiti diversi a seconda delle
«potenzialità» e attitudini, le quali però
dipendono, come dimostrato ampiamente, anche dalle condizioni sociali
di partenza e meritano un'attenzione della scuola per farle crescere e
maturare, piuttosto che ritenerle fisse e immodificabili). E'
facile prevedere, anche conoscendo il peso «psicologico»
che il giudizio in uscita dalle scuole medie ha sulle famiglie, specie
le meno attrezzate culturalmente, che i licei diventeranno una scuola
per i pochi che hanno strumenti e possibilità di andare
avanti. Questo è negativo per due ordini di ragioni.
Uno strettamente didattico: una scuola nella quale vengono
«eliminate» le persone che hanno difficoltà è
una scuola che toglie alla didattica la possibilità di elaborare
tutte le strategie possibili per migliorare il proprio modo di
insegnare a tutti; è una scuola nella quale, alla lunga, anche
chi «è bravo» sarà danneggiato.
Uno più «sociale»: è una scuola nella quale
si perde una grande occasione educativa: quella di insegnare ai ragazzi
a vivere in una realtà che è sempre più,
molteplice, complessa e composita. E' una scuola che disabitua i
ragazzi a confrontarsi con le difficoltà , proprie e altrui e
che risulterà essere un'isola che intende
presentarsi come felice, mentre sarà solo staccata dalla
realtà della quale non rispecchierà più la
verità e rispetto alla quale non fornirà più agli
studenti strumenti di lettura e di interpretazione e quindi
capacità di orientamento
Se invece al liceo accederanno anche quegli studenti che avrebbero
preferito una preparazione più «tecnica», ma che
giustamente rifiutano l'accesso a una scuola professionale fortemente
dequalificata, il liceo si troverà a non corrispondere alle
aspettative e alle esigenze di chi l’ha scelto, producendo danni che
è facile immaginare.
PERSONALIZZAZIONE DEI PERCORSI
I progetti di sperimentazione, avviati in Lombardia nell’a.s.
2003-2004, elaborati sia dai settori della formazione, sia da quelli
dell’istruzione, pur essendo diversi tra loro, incarnano completamente
i dettami della riforma Moratti previsti per ogni ordine di scuola.
Anche in questi progetti la personalizzazione prevale a discapito
dell’individualizzazione, vale a dire non più percorsi diversi
per raggiungere stessi obiettivi, ma percorsi diversi per raggiungere
obiettivi diversi.
Personalizzare i percorsi equivale a selezionare tra gli obiettivi
possibili quello che più si
adatta alla persona, ma una volta trovato, l’obiettivo non può
mai più essere cambiato: si
indossa sempre lo stesso abito per tutta la vita. Lo studente che segue
un percorso
personalizzato paradossalmente non incontrerà mai
difficoltà, tutto è fatto su misura, ma
alla fine si ritroverà esattamente identico a come quando ha
iniziato: nessuna crescita
evidente e nessun cambiamento significativo.
OBBLIGO SCOLASTICO
La situazione pre - Moratti
o Art. 34 Costituzione: l’istruzione inferiore, impartita per almeno
otto anni, è
obbligatoria e gratuita.
o Legge 9/99: prevedeva la graduale elevazione dell’obbligo scolastico
(a partire
dall’a.s. 99-00) da 8 a 10 anni complessivi (cioè fino a 16 anni
di età), disponendo
provvisoriamente la durata novennale dello stesso (cioè fino a
15 anni di età).
o Art. 68 legge 144/99 e DPR 257/00: istituiscono l’obbligo di
frequenza ad attività
formative fino al compimento del 18° anno di età, che
può assolversi in percorsi
anche integrati di istruzione e formazione nel sistema di istruzione
scolastica, nei
cfp di competenza regionale, nell’esercizio dell’apprendistato.
La controriforma Moratti
La disciplina normativa è contenuta nei seguenti provvedimenti:
Art. 34 Costituzione
Legge 53/03 (la cosiddetta riforma Moratti, legge delega) art. 2
DL 59/04 (decreto attuativo relativo alla scuola dell’infanzia e al
primo ciclo
dell’istruzione) art.2 comma 1 lettera c della legge 53/03:
… è assicurato a tutti il diritto all'istruzione e alla
formazione per almeno dodici anni o, comunque, sino al conseguimento di
una qualifica entro il diciottesimo anno di età; l'attuazione di
tale diritto si realizza nel sistema di istruzione e in quello di
istruzione e formazione professionale. La fruizione dell'offerta di
istruzione e formazione costituisce un dovere legislativamente
sanzionato; nei termini anzidetti di diritto all'istruzione e
formazione e di correlativo dovere viene ridefinito ed ampliato
l'obbligo scolastico di cui all'articolo 34 della Costituzione,
nonché l'obbligo formativo introdotto dall'articolo 68 della
legge 17 maggio 1999, n. 144, e successive modificazioni.
Bozza decreto legislativo per le superiori, art. 25: “A partire
dall’anno scolastico e dall’anno formativo 2006/2007 e fino alla
completa attuazione del presente decreto, il diritto-dovere di
istruzione e formazione di cui al relativo decreto legislativo
ricomprende i primi tre anni degli istituti di istruzione
secondaria superiore e dei percorsi sperimentali di istruzione e
formazione professionale…”
La legge 9/99 è abrogata, in attesa dei decreti attuativi sulle
superiori resta in vigore la
normativa riguardante l’obbligo formativo precedente (ovvero L144 e DPR
257).
La controriforma Moratti sostituisce il concetto di “obbligo” con
quello di “diritto - dovere” in modo da rendere l'impegno dello Stato
più blando.
Le famiglie hanno il diritto di richiedere l’istruzione per 12 anni,
salvo le ultime modifiche proposte, e lo Stato ha il dovere di
fornirlo. E’ evidente che se la scelta verrà fatta dalle
famiglie il futuro dei bambini sarà determinato dalle condizioni
sociali, culturali ed economiche della famiglia. La scuola della
riforma Moratti non è conforme al principio costituzionale che
indica la scuola pubblica come strumento di emancipazione ed elemento
riequilibratore delle disuguaglianze sociali e culturali.
Poi confonde volutamente, mettendo sullo stesso piano, obbligo
scolastico e obbligo formativo
Il primo implica la frequenza della scuola, l'altro significa
formazione attraverso l’alternanza di periodi di studio e di lavoro,
svolti presso imprese, enti pubblici o privati, disponibili ad
accogliere gli studenti per periodi di tirocinio che non costituiscono
rapporto individuale di lavoro, con evidente diminuzione della parte
volta all’acquisizione di strumenti culturali. Il senso dell'aumento
dell'età dell'obbligo scolastico è quello di far
sì che una fascia sempre più larga di cittadini abbia una
base culturale ampia e condivisa, mentre l'obbligo formativo ha in
sostanza lo scopo di far sì che tutti abbiano "un mestiere".
Quando la Moratti afferma che l'obbligo formativo sarà innalzato
ai 18 anni non dice nulla di nuovo: questo obbligo già
c'è, anche se largamente non applicato, quello che invece la
Moratti vuol diminuire è l'obbligo scolastico.
Retrocessione dell'età dell'obbligo
Con la Legge 53 l'obbligo scolastico passa dai 15 ai 14 anni, primo
caso al mondo, in cui l'età dell'obbligo invece di aumentare,
diminuisce. Con la Legge 9/99, l'obbligo veniva portato a 9 anni
(dunque: 5 anni di elementari, 3 di medie e il primo anno delle
superiori).
Questa legge è cancellata dalla "riforma" Moratti. La Legge 53
fa riferimento al solo art. 34 della Costituzione e dunque assicura
l'obbligo scolastico solo fino a 14 anni (deve quindi intendersi
soppresso, anche il regolamento che assicurava la gratuità dei
primo anno delle superiori).
Il confronto con l’Europa ci vede all’ultimo posto.
Anche il CNPI (Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione) ha
espresso parere negativo allo schema di decreto sul diritto–dovere, in
particolare relativamente ai punti seguenti:
o difformità sul territorio nazionale (non solo da regione a
regione, ma anche nelle diverse realtà all’interno della stessa
regione).
o la non obbligatorietà della scuola dell’infanzia, che invece
è da considerare presupposto e integrazione del diritto - dovere
o il “diritto - dovere”, a differenza dell’obbligo, appare
giuridicamente troppo debole per essere sanzionato (sulla
sanzionabilità si è già espressa in senso
contrario l’Assemblea Costituente)
Il significato “sociale” dell’abbassamento dell’obbligo e
dell’introduzione del diritto - dovere.
•L’obbligo ai 15 anni ha contato su quattro anni di attuazione. Quando
era uscita la legge che innalzava l'obbligo ai 15 anni, le
preiscrizioni alle superiori si erano già concluse. Fu
necessario riaprirle per 'obbligare" i ragazzi che non intendevano
iscriversi alle superiori. In questo modo fu possibile calcolare il
numero dei "nuovi obbligati" (circa 70.000) e seguirne il destino
scolastico. Al termine dei primo anno delle superiori la stragrande
maggioranza di questi studenti (circa 56.000) decideva di proseguire
gli studi: i promossi passando alla classe successiva, i non promossi
ripetendo la classe frequentata.
Con un calcolo molto approssimativo possiamo dire che in questi cinque
anni 200.000 ragazzi sono rimasti a scuola grazie all'obbligo ai 15
anni.
L'innalzamento dell'obbligo dunque non ha sortito l'effetto di riempire
le scuole di una massa di chiassosi rompiscatole pronta ad andarsene
non appena assolto l'obbligo, ma ha costituito un grimaldello per
l'innalzamento dei livello di istruzione di una fascia significativa di
gioventù. E dunque possiamo comprendere il carattere classista
della riduzione dell'età dell'obbligo.
•Le ricerche sociologiche (cfr. ad es. “Il sistema formativo in Italia:
ambiente famigliare e stratificazione sociale. Daniele Checchi, marzo
2003) indicano chiaramente che i ragazzi che interrompono presto gli
studi appartengono alle classi sociali più basse. L’Italia
è uno dei paesi in cui è più forte la dipendenza
tra ambiente famigliare di provenienza e destino scolastico. Il fattore
infatti che risulta più influente rispetto al successo
scolastico, ancor più che il reddito, è il grado di
istruzione dei genitori, in particolare della madre. Vi è quindi
un evidenza ben documentata del fatto che la scuola riproduce la
stratificazione sociale.
•Uno dei modi con cui si può tentare di ridurre il divario tra i
destini scolastici di ragazzi provenienti da classi sociali diverse
è sicuramente quello di estendere l’obbligo scolastico.
Un altro fattore è il posticipare il più possibile
l’orientamento, ovvero la scelta tra percorsi scolastici che, a nostro
avviso, devono avere tutti la stessa valenza formativa e quindi essere
“scuola” a tutti gli effetti.
ALTERNANZA SCUOLA – LAVORO
L’art. 4 della legge 53/03 dispone per gli studenti che abbiano
compiuto 15 anni, la
possibilità di svolgere l'intera formazione dai 15 ai 18 anni,
nell’espletamento del diritto -
dovere, in alternanza scuola - lavoro. Attraverso un accordo tra scuola
e azienda lo studente può lavorare senza contratto in azienda
durante le ore curricolari per una non ben quantificata quantità
di tempo. L’alternanza si configura come un sistema che integra nel
percorso scolastico tradizionale moduli di formazione in aula ed
esperienze lavorative in azienda secondo modalità di
apprendimento flessibili ed equivalenti sotto il profilo culturale ed
educativo. L’esperienza lavorativa, a differenza dell’apprendistato,
non costituisce rapporto individuale di lavoro. I cicli in alternanza
sono attivati dalle istituzioni scolastiche mediante convenzioni con le
imprese e/o loro associazioni. Attualmente, la sperimentazione dei
percorsi, pur risultando illegittima, coinvolge istituti in
ottantacinque province.
Con l’alternanza scuola - lavoro l’impresa entra prepotentemente nella
scuola sostituendosi ad essa. Grazie alla legge Treu ( centrosinistra
1997) e alla legge Biagi ( centrodestra 2003), che introducono forme di
apprendistato sotto pagate e senza diritti, l’obbligo formativo
può essere assolto completamente in azienda.
Ma anche a chi decide di frequentare quel che rimarrà della
scuola pubblica, l’impresa si offre come agenzia formativa per un 15%
del monte ore, in modo da diffondere la propria ideologia ed usufruire
di manodopera, in questo caso completamnentre gratuita. Invece di
estirpare il lavoro minorile, ancora presente nel sommerso, lo si
istituzionalizza, dandogli valenza formativa. E’ anche previsto che
questa magnanima disponiblità delle imprese sia ricompensata con
finanziamenti pubblici, naturalmente sottratti alla scuola.
APPRENDISTATO
La riforma della scuola introdotta dalla legge 53/03 si lega a doppio
filo con la nuova disciplina dell’apprendistato contenuta nei
provvedimenti di riforma del mercato del lavoro (legge 30/03 e Decreto
Legislativo 276/03).
La legge 53/03, infatti, prevede che l’assolvimento del “diritto -
dovere” all’istruzione e alla formazione può essere svolto nel
canale dell’apprendistato dai 15 ai 18 anni.
Non solo si vuole determinare un’ulteriore selezione tra i giovani che
rimangono all’interno del percorso scolastico e quelli che vengono
avviati precocemente al lavoro, ma si vuole anche diffondere l’idea
che, nella rappresentazione collettiva, il lavoro minorile abbia
valenza formativa pari all’educazione formale.
Nel panorama di completa liberalizzazione del mercato del lavoro
offerto dalla legge 30/03 e Decreto Legislativo 276/03, i due vecchi
contratti a causa mista: apprendistato e contratto di formazione e
lavoro risultano sostituiti da un unico contratto a contenuto
formativo: l’apprendistato. Ma la legge 30/03 non prevede alcun obbligo
preciso da parte dell’azienda di garantire la formazione a chi è
assunto in forma di apprendistato.
La nuova disciplina dell’apprendistato regola tre tipologie
contrattuali diverse: o apprendistato per l’espletamento del diritto -
dovere di istruzione e formazione (15-
18 anni) o apprendistato professionalizzante per il conseguimento di
una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un
apprendimento tecnico - professionale (18-29 anni) o contratto di
apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta
formazione (da 17 a 29 anni)
L’apprendistato per l’espletamento del diritto - dovere ha durata che
dipende dalla qualifica da conseguire, dai crediti posseduti e dal
bilancio delle competenze convenuto con i servizi all’impiego. In buona
sostanza la durata è individuale e si può estendere al
massimo fino a tre anni. Il monte ore di formazione deve essere
“congruo” alla qualifica che l’apprendista deve conseguire secondo gli
standard minimi previsti dalla legge 53/03 e può essere svolto
in alternativa sia esternamente sia internamente all’impresa. La
regolamentazione dei profili formativi e’ rimessa alle Regioni e alle
Province Autonome, d’intesa con il Ministero dell’Istruzione ed
il Ministero del Lavoro, sentite le parti sociali più
rappresentative a livello nazionale, regionale, territoriale e le
associazioni dei datori di lavoro.
L’inquadramento professionale dell’apprendista è di due livelli
contrattuali inferiore all’inquadramento del lavoratore qualificato di
riferimento.
Il numero degli apprendisti non può essere superiore al 100%
delle maestranze specializzate e qualificate. Il Decreto non specifica,
nella determinazione del rapporto, se il riferimento è alla
totalità dei lavoratori qualificati in servizio presso l’azienda
o ai lavoratori qualificati dell’unità produttiva.
Il quadro presentato porta immediatamente all’evidenza alcuni degli
elementi di grave pericolosità sia sul versante formativo sia
sul versante lavorativo:
•Svuotamento dei Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro perché
la competenza relativa alla regolamentazione della formazione viene
trasferita alle Regioni e alle Province autonome rompendo la
validità nazionale dei profili formativi assicurata dai
contratti stessi; il proliferare di standard formativi
comporterà poi una serie di difficoltà nella
trasferibilità delle competenze acquisite.
• Conseguenza della regionalizzazione è l’assenza della
previsione sia delle ore di formazione secondo l’art. 16 della legge
196/97 sia quelle riguardante le ore di formazione per l’assolvimento
dell’obbligo formativo (legge 144/99, art. 68).
•Ulteriore effetto della regionalizzazione è l’affrancamento dei
benefici contributivi, goduti dall’impresa, dal vincolo dell’effettiva
formazione dell’apprendista; almeno fino all’emanazione di
provvedimenti per la verifica dello svolgimento della formazione (art.
54, comma 3)
•La possibilità di svolgere la formazione all’interno
dell’azienda unita alle indicazioni per la certificazione dei crediti
formativi e all’impegno a produrre i criteri di accreditamento delle
“imprese formatrici” (art. 51 e 52) pongono in essere l’istituzione
delle scuole di impresa con valore equivalente a quelle pubbliche.
•L’apprendista può essere inquadrato fino a due livelli al
disotto di quello di riferimento con tutto ciò che comporta (il
lavoratore apprendista non ha diritti di copertura economica in caso di
malattia, di infortunio…) soprattutto in relazione all’estensione del
contratto di apprendistato fino a 29 anni
I CICLI
Scuola dell’infanzia
dall’età di 2 anni e mezzo (prima si poteva accedere non prima
dei tre anni) e per tre anni
Primo ciclo di otto anni
5 anni per le elementari
si possono iscrivere i bambini di 5 anni e mezzo (prima si poteva
accedere ai 6 anni)
3 per la secondaria (scuola media)
Secondo ciclo
Dopo l’esame di terza media verrà adottato un “doppio canale”.
QUESTA E’ LA VERA RIFORMA DELLA LEGGE, UNA NOVITA’ RILEVANTE E
PREOCCUPANTE
Lo studente deve scegliere tra il liceo e la formazione professionale
Vi saranno 8 licei della durata di 5 anni (2+2+1): artistico, classico,
scienze umane, economico, linguistico, musicale e coreutica,
scientifico, tecnologico. Viene abolito il liceo delle scienze sociali.
L’ultimo anno è di approfondimento, necessario per accedere
all’università facendo l’esame di stato
Gran parte degli istituti tecnici (geometra, ragioniere, periti)
verranno assorbiti nei licei e verranno aboliti tutti gli istituti
professionali.
La competenza rimane allo Stato, ma le Regioni possono inserire
insegnamenti collegati con le realtà locali.
Il sistema dell’istruzione e della formazione professionale comprende
corsi della durata di 3 o 4 anni, non rilascia un diploma ma solo
qualifiche e dunque non dà accesso all’università. E’
prevista la possibilità, dopo i quattro anni, di frequentare
appositi moduli per sostenere un esame che consenta di accedere
all’università.
Le aree in cui si articolerà l’istruzione professionale sono:
agricoloambientale, tessile-moda, edile e del territorio,
grafico-multimediale, meccanica, chimico-biologica,
elettrico-elettronicoinformatica, turistico-alberghiera,
aziendale-amministrativa, sociale-sanitaria.
Il passaggio dalla formazione professionale ai licei e viceversa
è possibile ma subordinato alla valutazione dei crediti
formativi e alla frequenza di apposite iniziative didattiche.
La competenza passa alle Regioni
Dai 15 anni, per assolvere l’obbligo formativo, è prevista la
possibilità di alternanza scuola-lavoro
Vengono complessivamente proposti 5 diversi percorsi:
percorsi triennali mirati – 3 anni o 1+3 se in alternanza scuola-lavoro
per ottenere una qualifica;
percorsi triennali polivalenti per una Qualifica professionale
più ampia per accedere a tutti i percorsi di specializzazione o
al quarto anno di Diploma;
percorsi annuali di specializzazione - 1 anno o 2 se in alternanza
scuola-lavoro;
percorsi quadriennali di tecnico polivalente – 2+2 per il Diploma
ETÀ DI INGRESSO
Viene anticipato l’ingresso a tutti i livelli : due anni e mezzo alla
scuola d’infanzia (materna) e cinque anni e mezzo alle elementari e si
prefigura, quindi, che bambini di 12 anni che frequentano la seconda
media debbano già fare una scelta che riguarda il loro futuro:
frequentare il sistema dei licei o il sistema dell’istruzione e della
formazione professionale. E siccome i due canali sono, come
dimostreremo in seguiti, nettamente separati uno dall’altro, la scelta
di questi bambini sarebbe drammatica: università o “mestiere”, a
quell’età dovrebbero decidere il proprio destino di vita. Una
canalizzazione precoce e classista, determinata solo dalla scelta delle
famiglie su cui inciderà il grado di istruzione e la condizione
economica.
LE LINGUE
La lingua straniera entra già nel primo anno di scuola
elementare, e viene introdotta la seconda lingua nella scuola media ma
ci sono già evidenti contraddizioni: i tagli al personale
operati nella scuola elementare non hanno permesso la continuazione
della sperimentazione dell’insegnamento della lingua straniera che
molte scuole avevano già avviato e nella scuola media per
introdurre la seconda lingua si riducono le ore di insegnamento della
prima!!
IL COMPUTER
Il computer diventa il “compagno di strada” dei ragazzini ma
questa materia non è integrata nell’insegnamento della
matematica.
LA VALUTAZIONE
La valutazione per promozioni e bocciature avviene ogni due anni
Viene ipotizzata una specifica figura di “valutatore”, “una
professionalità da premiare contrattualmente come per il
coordinatore”
Ai docenti sono affidate la valutazione, periodica e annuale, degli
apprendimenti e del comportamento degli allievi la certificazione delle
competenze, e la valutazione dei periodi didattici ai fini del
passaggio al periodo successivo consentito con al massimo un solo
debito per superare (la divisione in minicicli biennali sarebbe
finalizzata ad ottenere maggiore flessibilità e recuperi).
L’esame di Stato conclusivo dei cicli di istruzione considera e valuta
le competenze acquisite dagli allievi nel corso del ciclo e si svolge
su prove organizzate dalle commissioni d’esame e su prove ( i famosi
quiz a scelta multipla) predisposte e gestite dall’Istituto Nazionale
per la Valutazione del Sistema di Istruzione (INValSI), sulla base
degli obiettivi specifici di apprendimento del corso ed in relazione
alle discipline di insegnamento dell’ultimo anno (la scuola come
“lascia o raddoppia”!).
I crediti acquisiti concorrono a costituire il portfolio, che comprende
una scheda di valutazione e una d’orientamento; raccoglie la produzione
significativa dell’allievo ed è costruito con la sua
partecipazione, diventando così anche strumento di
autovalutazione.
Sempre l’INValSI – con il soliti orribili test nozionistici -
effettuerà verifiche periodiche e sistematiche sulle conoscenze
e abilità degli allievi e sulla qualità complessiva
dell’offerta formativa delle istituzioni scolastiche e formative. E’ da
notare che il ministero e i dirigenti tendono a far apparire questi
test come obbligatori; in realtà non lo sono e ogni collegio
docenti può decidere di non effettuarli.
I DOCENTI
L’introduzione della figura del tutor a partire dalla scuola primaria
elimina di fatto il valore della collegialità nel lavoro del
corpo docente.
Il completamente delle cattedre a 18 ore ha determinato la forte
diminuzione di cattedre verticali (cioè un insegnante che segue
la stessa classe, in continuità per più anni) con
la conseguenza che gli alunni di una classe si trovano a cambiare anche
ogni anno gli insegnanti per una stessa disciplina, ovvero: la
continuità didattica, strutturalmente, non può più
essere garantita.
Inoltre gli stessi alunni si trovano ad avere insegnanti diversi per
quelle materie affini che
fino ad ora erano affidate al medesimo insegnante (ad esempio italiano
e storia, diritto ed economia, storia e filosofia, etc.). Si possono
ben immaginare le conseguenze per gli studenti, costretti a doversi
confrontare con un numero maggiore di insegnanti durante lo stesso anno
e a cambiare spesso insegnanti nel corso dei cinque anni, magari dopo
aver faticato a costruire un rapporto accettabile sia dal punto di
vista psicologico che didattico.
L’orario a 18 ore per tutti i docenti comporterà che non ci
saranno ore libere per le supplenze e per i progetti contro la
dispersione.
I docenti che, insegnando più discipline, sono presenti per un
consistente numero di ore nella stessa classe, diventano spesso un
punto di riferimento per i ragazzi, a volte anche per problematiche
extrascolastiche, grazie al rapporto di conoscenza reciproca e di
fiducia che possono instaurare con gli studenti, che è
fondamento ineliminabile per la buona riuscita del processo di
apprendimento. Suddividere le ore di insegnamento tra i diversi docenti
non può che aumentare i risultati negativi. Gli stessi
genitori vedono aumentare i docenti con cui confrontarsi nello
stesso anno e li vedono anche avvicendarsi tra loro da un anno
all’altro, nell’impossibilità di costruire un rapporto che possa
essere sinergico.
IL VOTO IN CONDOTTA
La valutazione del comportamento che era stato abolito negli anni
scorsi torna tra i criteri di valutazione.
Il ripristino del voto di condotta, che dovrebbe attestare il grado di
maturità sociale e responsabilità, viene giustificato
dalla “inscindibile unità di logica ed etica tra istruzione ed
educazione”, ma proprio perché inscindibili pare paradossale
prevederne poi una valutazione separata, se non per esaltare il
carattere “conformistico” del voto di condotta.
SCUOLA DELL’INFANZIA
Gli Asili Nido nati negli anni '70 hanno rappresentato una grande
conquista per le donne, per i bambini e per l'intera società.
Nel testo del DdL, però, non c’è alcun riferimento ad
essi.
Se l'abbassamento dell'età d’ingresso alla Scuola dell'infanzia
dovesse essere interpretato come una parziale risposta alla mancanza o
insufficienza dei Nidi, a ben vedere questa anticipazione rischia
invece di produrre l’abbassamento della qualità della Scuola
dell'infanzia e un abbandono totale di quel po' che resta dei Nidi
pubblici. Infatti:
abbassare l'età dei bambini in sezioni già sovraffollate
(fino a 28 bambini con un'insegnante al mattino e una al pomeriggio,
risultato di una politica aberrante di contenimento dei costi, art. 14
DM 331/98), oltre a vanificare qualsiasi contenuto educativo rischia di
mettere a repentaglio anche la pura assistenza;
le stesse strutture delle materne sono spesso inadeguate ad accogliere
bambini più piccoli;
se è già da ritenere troppo corto l’attuale ciclo 0-3 (o
più spesso 1-3 anni), visto che il senso del lavoro svolto con
bambini così piccoli lo si può cogliere, in termini di
socializzazione, comunicazione e autonomia, solo verso i 3 anni, la
prematura interruzione dello stesso non può che vanificarne gli
esiti.
Andrebbe, semmai, previsto un percorso educativo che, al di fuori
dell’astrattezza di cicli e scaglioni, unificasse Asilo Nido e Scuola
dell'infanzia in un'unica istituzione in cui i bambini potrebbero
seguire un unico percorso costantemente calibrato sulle diverse
esigenze dell'età.
Ma, purtroppo, mentre la Scuola dell'infanzia è riconosciuta
all'interno del sistema formativo-scolastico, si continua a considerare
l'Asilo Nido un "servizio a domanda individuale", e la sua stessa
identità è così messa in discussione, con troppi
EELL che, perseguitati dall'idea del risparmio (ma un risparmio per
chi?), iniziano a prevederne la cessione a cooperative e privati
foraggiati dai finanziamenti delle leggi regionali.
Tutto questo nonostante la richiesta di Nido sia in continua crescita,
non solo per la legittima esigenza di un buon posto dove lasciare il
bambino per i genitori che lavorano, ma soprattutto perché esso
soddisfa una prima richiesta di contenuti educativi e formativi per il
bambino e supporta i genitori anche a vivere in maniera più
libera e consapevole maternità e paternità.
PRIMOCICLO ELEMENTARI E MEDIA
Il primo ciclo di istruzione è costituito dalla scuola primaria,
della durata di 5 anni (1+2+2), e dalla scuola secondaria di primo
grado della durata di 3 anni (2+1), in una continuità verticale
che dovrebbe prevedere un’ulteriore sviluppo degli istituti comprensivi.
Si ritornerebbe all’insegnante unico sotto le mentite spoglie di
“insegnante prevalente”, che nella precedente scansione 2+2+1 avrebbe
avuto: 21 ore frontali + 3 di coordinamento nel primo biennio; almeno
15 nel secondo biennio; altri 2 docenti nel team in quinta.
Viene di fatto abolito il tempo pieno e prolungato sostituito da un
tempo scuola che elimina la progettualità didattica precedente
sostituendola con attività non integrate sul piano
didattico-curricolare e la cui sussistenza negli anni futuri è
demandata soltanto alla disponibilità dei fondi e degli organici
di ciascuna scuola, a dispetto di quanto ufficialmente il ministero
continua ad affermare negli organi di informazione di massa. E nella
scuola media non aumenterà il tempo prolungato.
Il primo ciclo di istruzione si conclude con un esame di Stato, dal
quale deve emergere anche una indicazione orientativa non vincolante e
la funzione d’orientamento dovrebbe diventare uno dei compiti
principali della scuola media, che poi dovrebbe anche seguirne gli
esiti nel ciclo successivo.
LICEI E FORMAZIONE PROFESSIONALE
DOPPIO CANALE: LICEI CONTRO ISTRUZIONE E FORMAZIONE
PROFESSIONALE
Attualmente le scuole superiori sono suddivise in una serie di
indirizzi in gran parte raggruppabili in: licei, Istituti tecnici,
istituti professionali. Nei primi hanno largo spazio le materie di
“cultura generale”, mentre negli ultimi hanno più spazio le
materie “professionalizzanti”. Gli istituti tecnici sono a metà
strada. In ogni caso si tratta di scuole:
durano cinque anni e al termine c’è un esame di stato che
permette poi l’accesso all’università. Al di fuori del
mondo della scuola c’è la formazione professionale. Si tratta di
corsi che hanno il fine di preparare ad una professione. Gli istituti
professionali che sono scuola e i corsi di formazione professionale che
scuola non sono, non hanno dunque nulla in comune. Nei primi, ad
esempio, le materie di cultura generale sono il doppio di quelle
presenti nei secondi.
In teoria sarebbe possibile passare da un canale ad un altro con
apposite “passerelle” oppure alla fine del secondo canale frequentare
appositi moduli per sostenere un esame che consenta di accedere
all’università. Nei fatti ciò sarà impraticabile,
dato che il primo canale avrà un carattere “culturale”, mentre
il secondo nettamente “professionalizzante” e potrà essere
svolto anche in regime di apprendistato, cioè senza mai andare a
scuola. Per uno studente sarà impossibile in questo caso
acquisire la preparazione necessaria per saltare da un canale all’altro
o per sostenere un esame di maturità.
Oggi, nonostante la separazione tra licei e istituti tecnici è
sicuramente meno ampia di quella tra i due canali della riforma, le
passerelle sono sempre dai licei verso gli istituti tecnici e mai il
contrario. È oltretutto impensabile che uno studente dopo aver
seguito un percorso formativo quasi completamente in regime di
apprendistato in azienda o in fabbrica possa avere le risorse per
passare ad un sistema scolastico di tipo liceale.
In realtà si attua una totale spaccatura tra i due percorsi,
accentuata dalla scomparsa degli istituti tecnici e degli istituti
professionale.
È chiaro quindi che già il sistema scolastico di oggi non
funziona dal punto di vista dell’equità sociale, perché
non “garantisce per capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, il
diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”, cosi come
invece è previsto dalla Costituzione. La riforma Moratti con il
secondo canale istituzionalizza definitivamente l’iniquità
sociale: la maggior parte delle famiglie della classe operaia e della
piccola borghesia manderanno i loro figli in istituti e centri
d’istruzione e formazione professionale, volendo loro garantire la
possibilità di poter lavorare subito dopo aver chiuso il secondo
ciclo di studi, non si vedrà mai più nessun studente
arrivare all’università provenendo da una scuola che non sia un
liceo. Il secondo canale della Moratti non è scuola è
avviamento precoce al lavoro. E ripropone vecchi modelli che rinviano
al passato disattendendo le esigenze espresse dagli stessi soggetti
produttivi e dalle nuove dinamiche della società di oggi.
LA GESTIONE DA PARTE DELLE REGIONI DEL SECONDO CANALE
Secondo la riforma Moratti il canale dell’istruzione e della formazione
professionale dovrebbe essere gestito dalle regioni secondo
modalità e tempi definiti da un decreto della presidenza del
consiglio dei ministri su proposta del ministro dell’istruzione
d’intesa con la conferenza stato-regioni Quali saranno i contenuti i
programmi i docenti di questo secondo canale scolastico?
Potrebbe verificarsi che solo le regioni potranno occuparsi di tutto
ciò che riguarda l’organizzazione scolastica, la gestione degli
istituti scolastici e di formazione e la
definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di
interesse specifico della regione. I lavoratori delle scuole del
secondo canale potrebbero diventare dipendenti regionali e non essere
più dipendenti statali come i colleghi che lavoreranno nel
sistema dei licei. Ci potremo ritrovare con 20 modelli organizzativi di
istruzione - formazione diversi, ma anche con 20 contratti dei
lavoratori del secondo canale diversi. È evidente che
l'attribuzione di competenze esclusive alle regioni su una materia
particolarmente delicata come la Scuola comporta l'inevitabile rischio
di sperequazioni territoriali nel godimento di diritti fondamentali,
che devono invece essere garantiti in maniera uniforme su tutto il
territorio nazionale. Ciò contrasta con il principio
dell’unitarietà del sistema educativo nazionale coerente con il
dettato costituzionale (art. 33).
Molti sistemi europei, la Germania in primo luogo, comprendono da tempo
un canale professionale forte, culturalmente qualificato, che
garantisce ai giovani che lo hanno scelto le conoscenze, la cultura e
le capacità e la differenziazione necessaria per inserirsi
nel mondo del lavoro; un titolo di studio pari a quello conseguito al
liceo. In Italia esistono invece solo pochissimi esempi di scuole
professionali di alto livello
E l’affidare la preparazione culturale e professionale di centinaia di
migliaia di ragazzi alle stesse Regioni che sono state protagoniste in
questi anni della fallimentare esperienza nell’amministrare i fondi
europei per i corsi di formazione professionale all’insegna di scandali
e sprechi rischia di accentuare la ghettizzazione, di limitarne le
capacità di sviluppo e di promozione e di inserimento in un
mondo del lavoro che richiede a tutti non solo le necessarie competenze
professionali ma anche basi linguistiche e matematiche.
Da giugno 2003 è stata avviata la sperimentazione della riforma
in tutte le regioni e senza conoscere il testo del decreto attuativo.
Per la sperimentazione del secondo canale ogni regione singolarmente ha
firmato un protocollo d’intesa con il ministero dell’istruzione e del
lavoro. Per ogni regione è stato predisposto un protocollo
diverso quindi sono stati presi accordi diversi. La scuola non è
più e non sarà più uguale su tutto il territorio
nazionale, ma effettivamente è cominciata a cambiare da regione
a regione.
La sperimentazione in Lombardia
In Lombardia la firma del protocollo d’intesa tra regione, MIUR e MLPS
risale al settembre 2003. Subito dopo nel dicembre dello stesso anno,
attraverso l’accordo territoriale fra la Regione e l’Ufficio scolastico
regionale, non solo i centri di formazione professionale, ma anche gli
istituti tecnici e professionali statali e paritari hanno cominciato a
partecipare alla progettazione di trienni di qualifica riformati.
Quanto previsto dalla riforma ha cominciato in questo modo a
realizzarsi: gli istituti tecnici, tutti o in parte, e gli istituti
professionali con i centri di formazione professionale vanno a
confluire senza distinzioni nel secondo canale.
Quel che si prevede è quindi per esempio la scomparsa parziale o
completa, peraltro osteggiata anche da Confindustria, dell’istruzione
tecnica.
L’ORARIO SETTIMANALE
La situazione attuale
L’orario settimanale che oggi si applica è mediamente di 25 - 30
ore nei licei, 38 - 40 ore nei licei artistici, 36 ore nei tecnici e 36
- 40 ore nei professionali. Quasi tutti i licei attuano delle
sperimentazioni che portano mediamente il monte ore settimanale a 28-32
ore. Nel 2001-2002 gli allievi si distribuivano nei vari indirizzi
secondo le seguenti percentuali: licei classici 10%, licei scientifici
17%, licei pedagogici 7% licei linguistici 1%, licei artistici 2%,
istituti tecnici 38%, istituti professionali 22%, istituti d’arte 3%.
Mediamente quindi il 65% degli studenti frequenta settimanalmente con
un orario superiore alle 36 ore.
Cosa accade in seguito all’attuazione della riforma Moratti Il modello
di riferimento dichiarato per il secondo ciclo è quello del
liceo classico (25-27 ore settimanali) attuando così una
notevole riduzione di tempo scuola che non può che comportare un
impoverimento dei livello di istruzione e una perdita di tutto il
patrimonio acquisito in anni di sperimentazioni. Mentre la
prevista impostazione fortemente teorica finirà per penalizzare
una parte fondamentale del sapere, perché ci sono tante
discipline con poche ore e viene svalutato il concetto stesso di
curricolo. Inoltre l’introduzione del concetto di facoltatività
di alcune discipline genera forti e gravi differenze tra gli istituti e
gli stessi insegnamenti.
LICEI
Vengono ridotte le ore di educazione motoria da 2 a1.
Viene introdotto lo studio della seconda lingua (riducendo le ore di
studio della prima!).
Vengono introdotte le attività obbligatorie a scelta dello
studente a scapito delle ore curricolari.
Nel Liceo artistico vengono ridotte nel primo biennio le ore di
discipline artistiche per introdurre lo studio delle discipline
audiovisive.
Il liceo delle scienze sociali viene abolito.
UNIVERSITA’
Per l’accesso al settore terziario è raccomandata la piena
attuazione, e l’estensione, dell’obbligo alla selezione (art. 6 comma 1
DM 509/99) con l’attivazione di eventuali moduli di riallineamento
svolti da docenti delle secondarie selezionati dalle università.
Le università definiscono nei regolamenti didattici di ateneo
l’istituzione e l’organizzazione di un’apposita struttura di ateneo per
la formazione degli insegnanti, cui sono affidati, sulla base di
convenzioni, anche i rapporti con le istituzioni scolastiche.
Questa stessa struttura curerà anche la formazione in servizio
delle nuove figure di sistema, dei superprofessori: insegnanti
interessati ad assumere funzioni di supporto, di tutorato e di
coordinamento dell’attività educativa, didattica e gestionale
delle istituzioni scolastiche e formative.
CONCLUSIONI
E’ necessaria una mobilitazione generale di studenti, docenti e
genitori per chiedere l’abrogazione della legge 53 perché:
è stabilito un impianto classista con la netta separazione tra
il sistema statale dei licei e il sistema regionale dell’istruzione e
della formazione professionale: le passerelle previste funzioneranno,
di fatto, nella migliore delle ipotesi solo per il passaggio dal primo
al secondo sistema.
Nel modello di scuola proposto dalla riforma Moratti le differenze di
carattere economico, culturale e sociale presenti nella nostra
società, vengono sancite e accentuate. La canalizzazione
precoce, addirittura a 12 anni, la separazione netta tra il sistema dei
licei e il sistema dell’istruzione e della formazione professionale,
l’idea che l’azienda possa occupare il ruolo che spetta solo alla
Scuola nel proporre percorsi d’istruzione e di formazione, indicano il
tentativo di voler trasformare la Scuola in uno strumento atto a
provocare squilibrio sociale esclusivamente funzionale ai nuovi
meccanismi di produzione. La scuola della riforma Moratti abdica
totalmente alla funzione prioritaria della Scuola Pubblica della
Costituzione che dovrebbe essere, appunto, strumento di
emancipazione ed elemento riequilibratore delle disuguaglianze sociali
e culturali.
L’istruzione professionale verrà frantumata in 20 sistemi
distinti;
si gerarchizzano gli insegnanti con l’introduzione del tutor;
la riduzione dell’orario obbligatorio e la previsione di orari
facoltativi e opzionali determinerà, insieme all’eliminazione
delle deroghe al completamento a 18 ore delle cattedre, un pesante
taglio agli organici e una sostanziale precarizzazione del personale,
con cui la riforma si autofinanzierà;
la cosiddetta “liceizzazione” si risolve in una sorta di “didattica
dello spezzatino”, con qualche spruzzatina di latino e filosofia negli
istituti tecnici, che porterà ad un’ulteriore frammentazione
della formazione (molte materie con poche ore), con conseguente aumento
della dispersione scolastica;
verrà potenziata la deportazione di studenti verso la formazione
professionale –prevalentemente appaltata alle agenzie private - con
l’estensione dei percorsi sperimentali integrati.
RIPRENDIAMOCI IL DIRITTO ALL’ISTRUZIONE
LIBERIAMO LA SCUOLA DAL LAVORO
STUDENTI INSEGNANTI E GENITORI UNITI
PER RIVENDICARE LA CENTRALITA’ E L’ALTA VALENZA
FORMATIVA DELLA SCUOLA PUBBLICA
COME LUOGO DI FORMAZIONE
DELLA COSCIENZA CIVILE E DEMOCRATICA DEI GIOVANI
ASSOCIAZIONE L'ALTRA LOMBARDIA - SU LA
TESTA
COLLETTIVO STUDENTI "SU LA TESTA" DI CREMA
aprile 2005