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Foto UNRWA di Munir Nasr
Donna che ha perso la sua tenda - Giordania febbraio 1969 |
Foto UNRWA
Nahr al-Bared in Libano, inverno 1948 |
Profughi
cacciati dai loro villaggi
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Deir Yassin
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Foto UNRWA - 1948 - separata dalla "linea
verde"
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Foto
UNRWA - 1948
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Ogni anno il popolo palestinese commemora al-Nakba,
la catastrofe.
Al Nakba è l’appellativo che i Palestinesi danno al 15 maggio
1948, data in cui lo stato d'Israele si è impossessato delle
terre, delle case e delle vite del popolo palestinese.
Al Nakba è stato il giorno in cui il popolo pale-stinese si
è trasformato in una nazione di rifu-giati. 750.000
Palestinesi sono stati espulsi dalle loro case e sono stati costretti a
vivere nei campi profughi. Molti di quelli che non sono riusciti a
scappare sono stati uccisi.
Nel 1948 più del 60 per cento della popolazione palestinese
è stato espulso.
Più di 530 villaggi palestinesi sono stati evacuati e
distrutti completamente.
Finora Israele ha impedito il ritorno di circa sei milioni di rifugiati
palestinesi e continua ancora oggi a cercare di espellere i palestinesi
dalla loro terra. Queste operazioni assumono di volta in volta forme e
nomi diversi, attualmente vengono chiamati “trasferimenti”.
I rifugiati palestinesi sono fuggiti in diversi posti; alcuni sono
fuggiti nei paesi limitrofi intorno alla Palestina, altri sono fuggiti
all'in-terno della Palestina ed hanno vissuto nei campi profughi,
costruiti appositamente per loro dalle agenzie ONU, e altri si sono
dispersi in vari pae-si del mondo.
Tutti questi rifugiati hanno un sogno in comune: ritornare nelle
loro case di origine, e questo so-gno è rinnovato ogni anno
attraverso la commemorazione della Nakba.
Cenni
cronologici
Dal 1920, il governo mandatario britannico ha messo la Palestina in una
situazione economica, ammi-nistrativa e politica difficile, facilitando
la formazione di uno stato ebraico e la conseguente espulsione dalle
proprie terre di oltre 750.000 Palestinesi, in quattro fasi temporali
diverse.
Prima fase: gennaio 1947 e marzo 1948. Circa 30.000 Palestinesi sono
costretti a lasciare il paese.
Seconda fase: marzo 1948 - maggio 1948 . Oltre 300.000
Palestinesi abbandonano Gerusalemme ovest, Tiberiade, Haifa, Jaffa,
Beishan. Sono stati ter-rorizzati dal terribile massacro compiuto
dai ter-roristi sionisti dell’Hagana e Stern contro civili inermi del
villaggio di Deir Yasin, dove furono uccise 250 persone compresi i
bambini, le donne e gli anziani.
Terza fase: maggio 1948 - dicembre 1948. I mili-tari israeliani
deportano in Giordania circa 100.000 Palestinesi residenti a Ramallah e
Lod.
Quarta fase: a causa delle ostilità israeliane, che sono
continuate anche dopo la guerra del 1948, oltre 200.000 Palestinesi
sono stati costretti a rifugiarsi nella striscia di Gaza.
Un altro ingente esodo forzato di 350mila palestinesi é
avvenuto nel 1967, dopo la cosiddetta guerra dei giorni.
Il caso dei profughi palestinesi è oggi il
più considerevole come numero di persone coinvolte ed anche
quello che si protrae di più nel tempo, rispetto agli altri casi
di rifugiati nel mondo.
Più di 6 milioni di persone, che rappresentano i tre quarti del
popolo palestinese e quasi un terzo della popolazione mondiale dei
rifugiati, rimangono senza una soluzione definitiva della loro
con-dizione. Più della metà dei profughi
palestinesi non godono dei diritti di base, quali sicurezza fisica,
libertà di movimento ed accesso all’impiego.
La maggior parte dei rifugiati palestinesi vive nel raggio di 100
miglia dai confini d’Israele, ospite negli stati arabi confinanti.
Più della metà dei rifugiati vive in Giordania, circa un
quarto nella striscia di Gaza e nel West Bank, e circa il 15 per cento
risiede in propor-zioni uguali in Siria e nel Libano, mentre la
po-polazione restante dei rifugiati risiede all'in-terno d'Israele
(persone spostate internamente), nel golfo arabo, in Europa e negli
Stati Uniti.
Circa un terzo dei profughi costretti all’esodo nel 1948 vive nei campi
profughi situati nel West Bank, nella striscia di Gaza, in Giordania,
in Libano ed in Siria.
Prima del 1948 i Palestinesi possedevano più
del 90% della terra in Palestina, oggi ne possiedono o hanno accesso
solo al 10%.
Secondo il diritto internazionale(risoluzione ONU n.194 dell'11
dicembre 1948) i rifugiati hanno il diritto di ritornare nelle loro
case di origine, avere la restituzione della proprietà e la
compensazione per le perdite e i danni subiti.
Ci sono tre soluzioni di base ai problemi dei
profughi palestinesi: rimpatrio volontario (o ritorno),
integrazione volontaria nel paese ospitante o trasferimento volontario
in un paese terzo.
Di queste tre soluzioni soltanto il rimpatrio o il ritorno è un
diritto riconosciuto legalmente.
Ciascuna delle tre soluzioni su menzionate è guidata dal
principio degli atti volontari o della scelta del rifugiato.
D'altra parte, lo stato d’Israele impedisce ai profughi palestinesi di
esercitare il diritto al ritorno nelle proprie ca-se, che è un
diritto fondamentale sancito dal diritto umanitario internazionale.
Dati aggiornati
al 2007
I profughi palestinesi registrati dall'UNRWA (agenzia ONU per i
rifugiati) nel 2007 sono 4.504.169 distribuiti fra i 59 campi
profughi in Giordania (10 campi), Libano (12 campi), Siria (10 campi),
Cisgiordania (19 campi) e Gaza (8 campi).
Territorio
Numero campi ufficiali Profughi
registrati Profughi registrati nei campi
Giordania
10
1.880.740
330.468
Libano
12
411.005
217.441
Siria
10
446.925
120.383
Cisgiordania
19
734.861
187.916
Gaza
8
1.030.638
481.180
Totale
59
4.504.169
1.337.388
La situazione in Libano
I profughi palestinesi in Libano hanno un trattamento diverso e
più discriminatorio rispetto a quelli che vivono negli altri
paesi arabi. Non hanno diritti civili e sociali.
Non c’è diritto al lavoro, alla proprietà, alla
residenza, alla salute, all’istruzione e all’assistenza, alla
sicurezza, e neanche diritto di associazione e di libero movimento.
DIRITTO AL LAVORO
Il 60% dei profughi libanesi vive al di sotto del-la soglia di
povertà
45.000 sono registrati dall’UNRWA nella categoria particolarmente
disagiata o di povertà estrema (in percentuale superiore a
quella della striscia di Gaza).
Le condizioni economiche si sono sempre più aggravate per i
palestinesi in Libano.
Prima del 1982 l’OLP forniva lavoro al 65% della popolazione
palestinese, ma poi la sede è stata evacuata.
Dopo il 1993, quando con gli accordi di Oslo si è costituita
l’ANP, i fondi dei paesi donatori si sono concentrati in Cisgiordania e
Gaza e la di-sponibilità finanziaria per l’UNRWA (Agenzia ONU
per i rifugiati) e le ONG in Libano è stata ridot-ta. Non sono
arrivati aiuti neanche dalla ANP.
Le università dell’europa orientale non hanno offerto più
istruzione universitaria a prezzi contenuti e i palestinesi non hanno
più potuto andare a lavorare nei paesi arabi produttrici di
petrolio perché i costi dei visti di ingresso e di transito per
i palestinesi provenienti dal Libano sono andati alle stelle.
Sono respinti anche come rifugiati dai paesi che prima li accoglievano.
Le quasi uniche fonti di sostentamento sono l’UNRWA, le ONG e le
rimesse dei parenti dall’estero.
Per legge i profughi palestinesi non possono eser-citare, fuori dai
campi, 72 professioni e mestieri.
Neanche durante la guerra 2006 il governo libanese ha acconsentito che
i palestinesi esercitassero i mestieri a loro proibiti.
La privazione del diritto al lavoro è la maggiora causa di
povertà. La disoccupazione fra i profughi è all’80%.
Per ottenere un impiego salariato occorre avere il permesso di lavoro e
dopo il 1982 ben pochi per-messi sono stati rilasciati ai palestinesi.
Nel giugno 2005 il ministro per il lavoro Trad Haurade, vicino agli
Hezbollah, ha emanato un de-creto, che poi non è stato tramutato
in legge, per cercare di metter mano al diritto al lavoro nega-to, ma
non in maniera efficace. Ha ridotto solo il numero delle professioni
proibite, non ha tolto il divieto ai laureati di professare, rimane
l’obbligo di avere il permesso di lavoro per ottenere il lavoro
salariato. Da notare che chi ottiene un lavoro salariato ha le
trattennute di legge per la previdenza anche se poi, in quanto
palesti-nese, non ne può usufruire.
Il decreto non ha affrontato neanche il problema dell’acquisto di case
e beni immobili.
Vi sono anche differenze di retribuzione: guadagnano meno di 2400
dollari/anno il 44% dei palestinesi a fronte del 6% dei libanesi.
DIRITTO ALLA PROPRIETA’
I profughi non possono avere proprietà. E’ preclusa la
possibilità di migliorare le proprie condizioni andando a vivere
fuori dai campi.
DIRITTO ALLA RESIDENZA
Il governo libanese vuole tenere il numero di ri-fugiati al minimo e lo
fa continuando a non garan-tire il diritto alla residenza. Gli accordi
di Taif non permettono un insediamento permanente.
Esistono progetti per demolire i campi e la minaccia è sempre
alle porte.
Per esempio si è costruita un superstrada alle porte del campo
di Bourj al Barajneh ( Beirut sud) che eliminato 40 abitazioni e spazio
per il gioco dei ragazzi.
Chi sposa un/una cittadino/a libanese non acquisisce la cittadinanza
libanese.
Chi lavora all’estero perde il diritto di residen-za
DIRITTO ALLA LIBERTA DI MOVIMENTO
I profughi non possono lasciare il territorio libanese o rientrare
senza un visto valido per un massimo di 6 mesi che è molto
costoso.
DIRITTO ALLA SALUTE E ALL’ASSISTENZA
I profughi palestinesi sono esclusi dai servizi pubblici.
L’assistenza medica è a completa carico dell’UNRWA che
però ha sempre problemi di budget.
Per le malattie gravi le persone devono contare sull’aiuto di ONG o
enti assistenziali.
La Croce rossa copre l’assistenza ospedaliera solo in alcuni campi
profughi, ma ha anch’essa problemi di budget.
Le ONG offrono servizi medici, ambulatori ma non sono coordinate e
hanno sempre problemi finanziari e non possono migliorare le
prestazioni.
Non c’è assistenza psicologica, molto necessaria dopo
l’accumularsi di tanti conflitti.
Vi è un alto tasso di mortalità neonatale ed infantile
(rispettivamente 26 e 35 per ogni 1000 na-scite); un alto tasso di
malattie infantili croni-che; il 5% di bambini tra 1 e 3 anni sono
malnutriti; più del quinto dei profughi con più di 15
anni di età sono deboli di salute; più del quinto dei
profughi usa in modo regolare medicine per curare l’angoscia
psicologica.
DIRITTO ALL’ISTRUZIONE
Anche il diritto all’istruzione è compromesso. Chi provvede
è sempre l’UNRWA, ma i servizi sono ina-deguati ed
insufficienti. Offre solo corsi di ele-mentari e medie e di scarsa
qualità. Il mandato dell’UNRWA non prevede l’istruzione
prescolare e secondaria (scuole superiori), né tanto meno
l’istruzione universitaria.
L’istruzione privata è troppo costosa e l’istruzione pubblica
libanese dà priorità ai cittadini libanesi.
Come conseguenza di tutto ciò il tasso di analfa-betismo sta
aumentando (13% per i maschi, 26% per le femmine, 60% tra i giovani
adulti tra i 18 e i 29 anni). Altissima anche la percentuale di
abbandono scolastico che è sempre in aumento.
Il 50% circa degli studenti lascia la scuola all’età di 16 anni.
LE CONDIZIONI DI VITA NEI CAMPI
Nei campi non sono garantiti i servizi base: acqua pulita,
elettricità, fognature, raccolta rifiuti, illuminazione
pubblica, asfaltatura delle strade.
Il governo non ha autorizzato l’allaccio della fognature alla rete
municipale. Ci sono scarichi a cielo aperto, e le vie di notte sono il
regno dei topi.
Nei campi regna la polvere, l’umidità, il rumore, l’inquinamento.
I campi in Libano hanno un’estensione vincolata, non possono essere
più grandi di 1 – 1,5 kmq men-tre la popolazione si è
quadruplicata.
Le case vengono costruite sempre più una vicina all’altra e
sempre più in altezza non lasciando passare aria e luce del
sole creando, quindi, seri problemi di instabilità
strutturale e di igiene.
Non ci sono spazi nelle scuole per far giocare i bambini.
La qualità delle case è la peggiore di tutta le regione
mediorientale.
Il 96% non sono isolate e sono fatte di cemento armato che non lascia
traspirare.
Non possono neanche essere ristrutturate perché è
proibito far entrare nei campi materiali da costruzione.
Il 58.8% non ha acqua potabile corrente, il 13.9% non ha sanitari; il
45.7% non ha energia elettrica; il 67,2% ha un arredo scarso.
Sono fredde di inverno, calde di estate senza luce né aria.
Le malattie si sviluppano principalmente in coloro che stanno
più tempo a casa, cioè bambini e donne. Le donne soffrono
di artrite in età precoce e i bambini hanno problemi respiratori.
Un quarto delle casalinghe usa carbone e legna per cucinare e
scaldarsi, l’aria è quindi altamente inquinata.
IL MEMORICIDIO
da uno scritto di Ilan Pappe
“…………Tra febbraio e dicembre del 1948 l’esercito israeliano ha occupato
sistematicamente i villaggi e le città palestinesi, facendo
fuggire con la forza la popolazione e nella maggior parte dei ca-si
anche distruggendo le case, devastando le pro-prietà e portando
via loro averi e i loro ricordi.
Una vera e propria pulizia etnica.
Durante questa pulizia etnica ogni volta che vi è stata
resistenza da parte della popolazione questa è stata sempre
massacrata……….
La comunità internazionale era al corrente di questa pulizia
ernica, ma decise, soprattutto in occidente, di non scontrarsi con la
comunità ebraica in Palestina dopo l’olocausto…….
Le operazioni di pulizia etnica non consistono solo nell’annientare una
popolazione e cacciarla dalla terra. Perché la pulizia etnica
sia efficace è necessario cancellare quel popolo dalla storia,
dalla memoria.
Gli Israeliani sono molto bravi a fare ciò e lo realizzano in
due modi. Sulle rovine dei villaggi palestinesi costruiscono
insediamenti per i coloni chiamandoli con nomi che richiamano quello
precedente. Un monito ai palestinesi: ora il territorio è nelle
nostre mani e non c’è possibilità di far tornare indietro
l’orologio.
Oppure costruiscono spazi ricreativi che sono l’opposto della
commemorazione: vivere la vita, goderla nel divertimento e nel piacere.
E’ un strumento formidabile per un atto di “memoricidio”……..”