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Stato
di
allerta alla Monsanto: dopo l'allarme per una bomba nel suo
insediamento
francese di Peyrehorade, nel dipartimento delle Landes, il secondo
colosso
mondiale di semi agricoli lancia sulla sua rete Intranet un protocollo
di
sicurezza in caso di attacco cibernetico o fisico diretto ai suoi
dipendenti.
Questi ultimi sono tenuti a segnalare comportamenti sospetti, chiamate
telefoniche non identificate e persone sconosciute, come pure a
chiudere a
chiave tutte le porte, a usare password per bloccare l'accesso al
monitor dei
computer e a non utilizzare modem connessi con l'esterno. Quanto ai
colloqui
con i giornalisti, sono proibiti a tutti, tranne che alle persone
appositamente
incaricate. La cultura del segreto, del resto, non è poi
così estranea
all'attuale direttrice delle comunicazioni di Monsanto-Francia, Armelle
de
Kerros, la quale ha lavorato per la Compagnie
générale des
matières atomiques (Cogema). Il che non impedisce alla Monsanto
di ostentare la
sua volontà di «trasparenza»...
Dopo lo scandalo Terminator, prima pianta assassina nella storia
dell'agricoltura (1),
l'azienda si dibatte tra paranoia difensiva e aggressività
strategica. I
problemi erano iniziati con l'acquisto, per la somma di 1,8 miliardi di
dollari, dell'impresa Delta & Pine Land. La Monsanto entrava
così in
possesso di un brevetto che, grazie ad una tecnica di ingegneria
genetica,
permetteva di «bloccare» i semi inibendone la ricrescita da
un anno all'altro,
il che valse a questa tecnica di sterilizzazione il soprannome di
«Terminator»
da parte della Rafi (The Rural Advancement Foundation International).
Di fronte alla levata di scudi provocata a livello internazionale, il
presidente della Monsanto, Bob Shapiro, annunciò il ritiro del
prodotto, prima
di dare le dimissioni.
Da allora, la multinazionale ha abbandonato lo slogan di un tempo -
«Cibo,
salute, futuro» - e cerca di rifarsi un nome. Produrre Ogm (si
parla
pudicamente di biotecnologie) è, infatti, un'impresa ad alto
rischio, sia in
termini di immagine che di investimenti. Senza
parlare di
possibili incidenti biologici: minacce alla biodiversità e
comparsa di insetti
mutanti, resistenti agli insetticidi incorporati nelle piante
transgeniche (2).
Negli Stati uniti, l'Agenzia per la protezione dell'ambiente (Epa) ha
già
incoraggiato gli agricoltori a destinare almeno il 20% delle loro terre
a
coltivazioni convenzionali per permettere lo sviluppo di insetti non
resistenti
al transgene Bacillus thuringiensis.
Organismi geneticamente «migliorati» Sono rischi
sufficienti a spiegare come
mai, nel valzer delle fusioni-acquisti e delle ristrutturazioni,
l'agrochimica,
che comprende le biotecnologie vegetali (cioè gli Ogm), sia
sistematicamente
isolata dagli altri settori, in modo da compartimentare il rischio
transgenico.
È in questa logica che Aventis cerca di svincolarsi da
CropScience, la sua
branca agrochimica. L'azienda aveva infatti commercializzato il mais
transgenico Starlink, capace di provocare allergie nell'uomo.
Benché destinato esclusivamente all'alimentazione animale, il
mais è stato
ritrovato in notevoli quantità nelle patatine e nei corn-flakes
dei consumatori
americani, come pure nei dolci della ditta Homemade Baking venduti in
Giappone.
È sempre in questo contesto che nasce, nell'ottobre 2000, il
primo gruppo
mondiale di agrochimica, Syngenta, - risultato della fusione della
svizzera
Novartis con l'anglo-svedese Astra-Zeneca - che realizzerà un
giro d'affari di
circa otto miliardi di euro.
Monsanto, dopo la fusione con Pharmacia & Upjohn, una grande ditta
farmaceutica, si occupa ormai solo di agricoltura, con un giro d'affari
che nel
2000 ha raggiunto i 5,49 miliardi di dollari. Ha ceduto a Pharmacia il
suo
medicinale di punta antiartrite, il Celebrex, per specializzarsi nella
produzione di prodotti fitosanitari, di semi agricoli e, in
particolare, di
semi geneticamente modificati. Monsanto è ora, a livello
mondiale, la seconda
casa produttrice di semi (dopo Pionneer) e di fitosemi dopo Syngenta ed
è il numero
uno degli erbicidi grazie al Roundup, l'erbicida più venduto al
mondo (il suo
giro d'affari nel 2000 è stato di 2,6 miliardi di dollari, quasi
la metà di
quello del gruppo). Il suo obiettivo è
quello di fare
accettare i prodotti transgenici convincendo l'opinione pubblica che
è meglio
nutrirsi con una pianta transgenica piuttosto che con una irrorata di
pesticidi
(3). Strategia che si agghinda di fronzoli
filantropici ed
ecologici per superare gli ultimi ostacoli.
Senza lesinare in fatto di «etica», Monsanto ha così
adottato, nel gennaio
2001, un nuovo codice comportamentale che contiene cinque impegni:
«dialogo»,
«trasparenza», «rispetto»,
«condivisione» e «benefici».
Secondo il direttore generale di Monsanto-Francia, Jean-Pierre Princen,
i
consumatori europei - i più restii agli Ogm - devono capire che
un organismo
geneticamente modificato non è altro che un organismo
geneticamente migliorato.
Da qui la nascita di una nuova Monsanto, indicata all'interno
dell'azienda come
«progetto M2»: i suoi semi sono ecologici e ottimi per la
salute. Coloro che ne
dubitano sono semplicemente male informati. Del resto è bene
fare tabula rasa
del passato: chi ricorda che Monsanto produceva il defoliante, detto
«agente
arancio», utilizzato dai bombardieri americani durante la guerra
del Vietnam?
Oggi, le équipe della multinazionale si riuniscono a
Ho-Chi-Minh-City per
vendervi i loro erbicidi e per stringere relazioni privilegiate con i
media,
gli scienziati e i membri del governo vietnamita. Dalle Filippine
all'Argentina, si vuole disporre di una totale libertà d'azione:
«Free to
operate» («carta bianca») nel gergo della casa.
All'esterno, dunque, sarà opportuno mettere in risalto le
qualità ecologiche
degli Ogm, di cui il gruppo commercializza due varietà.
Il primo, il gene Bt, nato dal batterio Bacillus thuringiensis,
diffonde le
proprie tossine insetticide, il che permette di diminuire la
vaporizzazione di
pesticidi supplementari: un raccolto di cotone detto «Bt»
ne subirà due invece
di sei o otto. Seconda varietà: il Roundup Ready, concepito per
resistere
all'erbicida Roundup. Così, l'agricoltore compra in kit sia il
seme che
l'erbicida! Il Roundup è presentato dalla ditta come un prodotto
biodegradabile, e questo le è valso un processo per
pubblicità menzognera,
intentato dalla Direction générale de la concurrence, de
la consommation et de
la répression des fraudes (Dgccrf) di Lione (Direzione generale
per la
concorrenza, il consumo e la repressione delle frodi).
Rischi di sterilità Negli Stati uniti,
l'Epa calcola tra i
20 e i 24 milioni di chilogrammi il volume annuo di glifosato
utilizzato (4).
Il prodotto è presente in modo massiccio soprattutto nella
produzione di soia,
grano, fieno, nei pascoli e nelle maggesi. Dal 1998, la sua
utilizzazione è
aumentata di quasi il 20% all'anno. Contenuto nel Roundup, è
l'erbicida più
venduto al mondo e rende ogni anno alla Monsanto circa 1,5 miliardi di
dollari.
Il brevetto è scaduto nel 2000, ma la ditta conserverà
una parte del monopolio
grazie alle piante geneticamente modificate, concepite per essere
tolleranti al
glifosato. In Bretagna, questo pesticida figura tra gli inquinanti
pericolosi e
regolari: nell'ottobre 1999 superava di 172 volte la norma nell'Elorn,
che
fornisce acqua potabile ad un terzo del Finistère, «il che
prova che la
dichiarata biodegradabilità del Roundup è una
impostura» spiega la dottoressa
Lylian Le Goff, membro della missione Biotecnologie dell'associazione
France
Nature Environnement (Francia Natura Ambiente). L'inquinamento da
pesticidi del
suolo, dell'acqua e dell'acqua piovana, dell'insieme della catena
alimentare e
dell'aria è diventato un serio problema di salute pubblica che
l'amministrazione francese ha tardato a prendere in considerazione. Ne
consegue, per la dottoressa Le Goff, «l'assoluta necessità
di applicare il
principio di precauzione riconsiderando la sollecitazione ad utilizzare
pesticidi, soprattutto se incoraggiata da una pubblicità falsa,
che vanta
l'innocuità e la biodegradabilità dei prodotti a base di
glifosato».
L'ingestione di pesticidi da parte del consumatore sarebbe nettamente
più alta
se le piante geneticamente modificate dovessero diffondersi, visto che
queste
ne sono impregnate. Come le diossine, anche i
pesticidi - tra
cui il glifosato - non sono biodegradabili nel corpo umano e
costituiscono un
vero e proprio inquinamento invisibile (5).
Le loro molecole cumulano effetti allergizzanti, neurotossici,
cancerogeni,
mutageni e ormonali alterando la fertilità maschile. Hanno
proprietà simili a
quelle degli ormoni femminili, gli estrogeni: globalmente, queste
azioni
ormonali sarebbero responsabili di una diminuzione del 50% del tasso di
produzione spermatica registrato negli ultimi cinquant'anni. Se il
declino
spermatico dovesse proseguire, la clonazione si imporrebbe alla specie
umana
intorno al 2060! Oltre che biodegradabili, i semi transgenici
compatibili con
il Roundup sono presentati dalla Monsanto come «amici del
clima» (climate
friendly), dato che il loro impiego permetterebbe agli agricoltori di
ridurre,
o addirittura eliminare l'aratura, permettendo lo stoccaggio nella
terra di
dosi massicce di gas carbonico e di metano, con la conseguenza di
ridurre del
30% le emissioni di gas carbonico degli Stati uniti.
Resta da spiegare in cosa una coltivazione non transgenica sarebbe meno
efficace... Una sola certezza: i profitti sarebbero minori, in
particolare
perché una coltura ordinaria farebbe a meno dell'erbicida Roundup.
L'improvvisa vocazione ecologica della Monsanto e lo zelo del suo
«presidente
per lo sviluppo sostenibile», Robert B. Horsch, convergono con
gli interessi di
chi vende i diritti ad inquinare, come quei proprietari terrieri del
Montana,
già riuniti in una Coalizione per la vendita di diritti di
emissione di gas
carbonico (6).
Se la fraseologia ad uso esterno della Nuova Monsanto è centrata
su
«tolleranza», «rispetto» e
«dialogo», il vocabolario strategico si fa
nettamente più crudo all'interno. La «filosofia»
dell'azienda, come è stata
esposta da Ted Crosbie, direttore del programma di sviluppo vegetale,
ad
un'assemblea di dirigenti della Monsanto-America latina nel gennaio
2001, non
usa sfumature: «consegniamo insieme il pipeline e il
futuro». Detto più
chiaramente, si tratta di inondare di Ogm le superfici agricole
disponibili per
occupare terreno - e in modo irreversibile. L'America latina è,
da questo punto
di vista, «un ambiente vincente»: Monsanto valuta che nel
solo Brasile restano
ancora 100 milioni di ettari di superfici da «sviluppare».
Purtroppo, questo
paese continua ad essere restio agli Ogm, lamentano Nha Hoang e i suoi
colleghi
del gruppo Monsanto incaricati della strategia «free to
operate» in America
latina: «È già il secondo produttore mondiale di
soia transgenica dopo gli
Stati uniti, e probabilmente sarà presto il primo. È la
più grande potenza
economica dell'America latina, ma è la sola in cui le
coltivazioni transgeniche
non hanno ancora ricevuto il permesso. I giudici hanno ritenuto viziato
il processo
di autorizzazione della soia transgenica Roundup Ready, perché
non erano stati
condotti appropriati studi d'impatto ambientale; sono arrivati a
sostenere che
l'attuale agenzia di regolazione delle biotecnologie sia stata
costituita in
modo illegale». La regolarizzazione dello statuto dell'agenzia in
questione,
CtnBio, attende la ratifica da parte del Congresso brasiliano...
Obiettivo:
ottenere il «pipeline» per la soia transgenica per aprire
la strada ad altre
autorizzazioni che consentano di immettere sul mercato: mais Yieldgard,
cotone
Bollgard e cotone Roundup Ready nel 2002; mais Roundup Ready nel 2003;
soia
insetticida Bt nel 2005. Intanto, Monsanto investe 550 milioni di
dollari nella
costruzione di una fabbrica che produrrà il suo erbicida Roundup
nel nord-est
dello Stato di Bahia.
La strategia della multinazionale è centrata sulla biotech
acceptance: fare
accettare gli Ogm dalla società, poi - o in concomitanza -
inondare i mercati.
Allo scopo vengono lanciate massicce campagne di aggressione
pubblicitaria.
Negli Stati uniti, gli spot televisivi sono comprati direttamente
dall'organo
di propaganda delle imprese del settore, il Council for Biotechnology
Information. La Monsanto è cofondatrice di questo organismo, che
centralizza le
informazioni relative ai «benefici dei biotech»: «La
televisione è uno
strumento importante per fare accettare i biotech. Perciò fate
attenzione agli
spot pubblicitari e fateli vedere alla vostra famiglia e agli
amici», è
l'invito di Tom Helscher, direttore dei programmi di biotechnology
acceptance
nella sede di Monsanto, a Crève-Coeur (Missouri). Soprattutto,
si devono
rassicurare gli agricoltori americani che, spaventati in particolare
per i loro
mercati esteri, esitano a comprare semi geneticamente modificati.
Anche se Aventis Crop Science, Basf, Dow Chemical, DuPont, Monsanto,
Novartis,
Zeneca Ag Products hanno lanciato massicce campagne di propaganda negli
Stati
uniti, esitano ancora a fare altrettanto in Europa... In Gran Bretagna,
l'équipe commerciale della Monsanto si dichiara soddisfatta dei
risultati del
proprio programma di «perorazione in favore delle
biotecnologie» che permette
ai dipendenti del settore commerciale, dopo una formazione garantita
dall'impresa, di autoproclamarsi «esperti» nella materia ed
andare quindi a
vantare i meriti dei prodotti transgenici tra i contadini e nelle
scuole. «Non
c'è niente di meglio che un eccesso di comunicazione»,
sostiene Stephen
Wilridge, direttore della Monsanto-Europa del Nord.
Il sistema scolastico costituisce evidentemente un elemento strategico
nella
conquista dell'opinione pubblica. Il programma Biotechnology Challenge
2000,
parzialmente finanziato dalla Monsanto, ha visto il 33% degli studenti
liceali
irlandesi produrre ricerche sul ruolo delle biotecnologie nella
produzione
alimentare. Mobilitato per distribuire premi e trofei, il commissario
europeo
incaricato della protezione della salute dei consumatori, David Byrne
in
persona, non ha «alcun dubbio sul fatto che esiste un legame tra
la riluttanza
dei consumatori nei confronti delle biotecnologie e la mancanza di una
seria
informazione sull'argomento». Per il 2001, il direttore della
Monsanto-Irlanda,
Patrick O'Reilly spera in una più ampia partecipazione,
perché «questi studenti
sono consumatori consapevoli e decideranno del futuro».
La multinazionale impara a decodificare, ma anche a riciclare i
messaggi e le
attese della società. Da alcuni mesi, Monsanto oscilla tra
velleità di dialogo
e rifiuto viscerale nei confronti delle più importanti
organizzazioni non
governative che contestano le presunte qualità degli Ogm. A
cominciare da
Greenpeace, definita un «criminale contro l'umanità»
dall'inventore svizzero
del riso dorato, Ingo Potrykus, che lavora alla Syngenta. Il riso
dorato è un
riso transgenico arricchito di beta-carotene (vitamina A), dunque un
Ogm di
seconda generazione, detto «alicament» per le sue pretese
curative, oltre che
alimentari.
Primo riso terapeutico nella storia dell'agricoltura, è molto
atteso dalle
grandi industrie biotecnologiche: con lui gli ultimi scettici non
avranno più
dubbi sul carattere fondamentalmente virtuoso del progetto Ogm. La
vitamina A,
integrata per transgenesi, sarà, alla fine, il promotore morale
dell'alimentazione transgenica mondiale: chi si azzarderà ancora
a criticarne i
meriti, quando tanti bambini del terzo mondo sono colpiti da
cecità per carenza
di beta-carotene?
Chi oserà più dubitare che la vocazione di fondo del
commercio di semi
transgenici sia nutritiva, ecologica ed umanitaria?
Una contestazione demoniaca Rimane il fatto che l'efficacia del riso
dorato per
le popolazioni interessate è poco credibile: Greenpeace e altri
lo dimostrano
per assurdo, chiarendo in particolare, con l'aiuto dei microgrammi, che
per
ingerire ogni giorno una dose sufficiente di vitamina A, un bambino del
terzo
mondo dovrebbe compiere un'impresa eroica: ingerire 3,7 chilogrammi di
riso
dorato bollito al giorno, invece di due carote, un mango e una ciotola
di riso.
Ed ecco la reazione pubblica di Potrykus, durante una conferenza stampa
a
Biodivision, il «Davos» delle biotecnologie, tenuta a Lione
nel febbraio 2001:
«Se avete intenzione di distruggere le coltivazioni sperimentali
a scopo
umanitario di riso dorato, sarete accusati di contribuire ad un crimine
contro
l'umanità. Le vostre azioni saranno scrupolosamente registrate
in tribunale e
avrete, spero, modo di rispondere dei vostri atti illegali e immorali
davanti
ad una corte internazionale».
Criminali contro l'umanità, dunque, tutti coloro che dubitano e
contestano,
sono addirittura definiti «demoni della terra» (Fiends of
the Earth), gioco di
parole che richiama sia il nome inglese degli Amici della terra
(Friends of the
Earth) che un sito web molto apprezzato dal personale della Monsanto.
Se la
contestazione politica è per sua natura «demoniaca»,
il «dialogo» non può
proseguire. Eppure, la nuova Monsanto s'impegna, nella sua carta
deontologica,
«a instaurare un dialogo permanente con tutti i soggetti
interessati, per
comprendere meglio problematiche e preoccupazioni suscitate dalle
biotecnologie».
Dietro questa apparente sollecitudine si mette in moto una vera e
propria
strategia commerciale, quella della doppia conformità:
conformità a posteriori,
dell'immagine dei prodotti Ogm con le attese dei consumatori;
conformità delle
menti, attraverso propaganda pubblicitaria e comunicazione intensiva.
Perché,
se il solo e unico scopo della Monsanto è far passare il suo
progetto
biopolitico mondiale, la nuova Monsanto ha bisogno di mostrare
un'etica,
necessariamente a geometria variabile, visto che è la
multinazionale stessa a
dettarne le regole. A tal fine, la società ha affidato ad una
specialista
mondiale delle comunicazioni d'impresa, Wirthlin Worldwide, il compito
di
«trovare meccanismi e strumenti che aiutino la Monsanto a
persuadere i
consumatori con la ragione e a motivarli con l'emozione».
Questo sondaggio degli atteggiamenti mentali - battezzato
«progetto Vista» - è
basato sulla «rilevazione dei sistemi di valori dei
consumatori».
Si tratta, a partire dalla raccolta di dati, di elaborare «una
cartografia a
quattro livelli dei modi di pensare (...): i preconcetti, i fatti, i
sentimenti
e i valori. Negli Stati uniti, i risultati dello studio hanno permesso
di
elaborare messaggi che colpiscono il grande pubblico, di individuare
cioè
l'importanza dell'argomento a sostegno dei biotech: meno pesticidi nei
vostri
piatti». In Francia, i dipendenti della Monsanto sono stati
sottoposti a questa
indagine durante un colloquio confidenziale ove si presumeva potessero
esprimere liberamente il loro pensiero sulle biotecnologie, «nel
bene o nel
male», dato che l'obiettivo era formare dei «portavoce che
utilizzeranno i
messaggi studiati per il grande pubblico».
Inquinamento genetico L'accesso al materiale genetico, e ai mercati,
col
beneficio di una totale libertà di manovra, è la duplice
priorità definita dal
concetto «free to operate». La messa a punto di un Ogm
costa tra i 200 e i 400
milioni di dollari e richiede dai sette ai dieci anni. Come
contropartita per
un tale investimento, la multinazionale deve necessariamente ottenere
una
rendita, garantita dalla dipendenza rispetto al brevetto depositato
sulla
pianta. Per potere riseminare da un anno all'altro, bisognerà
ogni volta pagare
royalties all'impresa. Ogni varietà che comporti un organismo
geneticamente modificato
sarà protetta dal brevetto, il che implica, per l'agricoltore,
l'acquisto di
una licenza.
Il rischio, a (breve) termine, è quello di dare ai grandi
produttori di semi la
possibilità di bloccare tutto il sistema, monopolizzando il
patrimonio genetico
mondiale e creando una situazione irreversibile: l'agricoltore non
potrebbe più
recuperare questo patrimonio per tornare a selezionare lui stesso.
Questo poteva porre un problema alla Monsanto anche in base al suo
stesso
codice comportamentale che l'impegna a «far sì che gli
agricoltori senza
risorse del terzo mondo possano beneficiare della conoscenza e dei
vantaggi di
tutte le forme di agricoltura, per contribuire a migliorare la
sicurezza
alimentare e la protezione dell'ambiente».
Ed ecco allora la generosa concessione al Sudafrica del brevetto sulla
patata
dolce transgenica, nella speranza di un più ampio insediamento
sul continente
nero. «In Africa, potremmo con pazienza ampliare le nostre
posizioni con lo
Yield Gard, e anche con il mais Roundup Ready.
Parallelamente, dovremmo pensare a diminuire o a eliminare i diritti
sulle
nostre tecnologie adattate alle culture locali, come la patata dolce o
la
manioca».
Strategia a due facce, dove si mostrano intenzioni generose per
prendere piede
in mercati poco disponibili, o meno solvibili, ma potenzialmente
dipendenti. Un
procedimento simile a quello che ha portato a impiantare il riso dorato
della
Syngenta in Thailandia (per metterlo a disposizione gratuitamente
è stato
necessario togliere 70 brevetti) o ad usare la vacca da latte indiana
dopata al
Polisac della Monsanto (ormone proibito nell'Unione europea), per
arrivare a
conquistare mercati locali poco attratti dalle biotecnologie.
D'altro canto poi, la Monsanto ha recentemente fatto condannare Percy
Schmeiser,
agricoltore canadese, ad una multa di circa 22 milioni di lire per
«pirateria»
di colza transgenica. L'interessato ha contrattaccato accusando la
Monsanto di
avere accidentalmente inquinato i suoi campi di colza tradizionale con
colza
transgenica tollerante al Roundup.
Ma la giustizia è in grado di stabilire l'origine di un
inquinamento genetico?
Questo caso, che rischia di ripresentarsi, mostra la difficoltà
di contenere le
disseminazioni accidentali di Ogm. In Francia, queste sono sottoposte
alla
legge del silenzio. Nel marzo del 2000, diversi lotti di semi
convenzionali di
colza primaverile della società Advanta, contaminati da semi Ogm
di un'altra
società, sono stati seminati in Europa. Le piante sono state
distrutte.
Nell'agosto 2000, alcune varietà di colza invernale, controllate
dalla Dgccrf,
hanno rivelato contaminazioni da semi Ogm. Ma nessun Ogm di colza
è ancora
autorizzato per la coltivazione o il consumo in Francia.
Già da ora, la tracciabilità mostra le sue crepe. Le
contaminazioni fortuite sono
sempre più frequenti. Un responsabile sanitario della Lombardia
ha recentemente
denunciato la presenza di Ogm in lotti di semi di soia e di mais della
Monsanto. Ogm sono stati rilevati in stock di semi di mais depositati a
Lodi,
vicino a Milano. La pressione in Europa salirà, visto che la
soia importata -
ormai massicciamente transgenica - sostituirà le farine animali
oggi proibite.
Ma l'obiettivo delle industrie che producono semi transgenici non
è forse
quello di vedere sparire la filiera senza Ogm, contando sugli alti
costi di
controllo che essa comporta? È probabile che nei prossimi anni
gli agricoltori
trovino sempre maggiori difficoltà a procurarsi semi provenienti
da questa
filiera. La ricerca mondiale si orienta verso i semi transgenici, e
dunque non
è impensabile che le varietà non-Ogm finiscano con
l'essere inadatte
all'evoluzione delle tecniche agricole, se non completamente obsolete.
Si può dunque dubitare della «trasparenza» mostrata
dalla Monsanto.
Il consumatore dipende delle informazioni fornite dall'impresa. Ogni
costruzione genetica è considerata un brevetto e non esiste
alcun obbligo
legale, per una società, di fornire il test a laboratori privati
per eseguire
analisi di controllo. In Francia, la descrizione di una costruzione
genetica è
depositata presso la Dgccrf che è la sola a poter effettuare
analisi. Non
essendo però abilitata a farlo a titolo commerciale, non
può essere utilizzata
a questo scopo da consumatori o industriali.
Il consumatore dovrà dunque accontentarsi di sapere che
l'industria
commercializza i semi solo dopo che questi hanno ricevuto
l'autorizzazione a
essere utilizzati per l'alimentazione umana e dopo essersi impegnata a
«rispettare le preoccupazioni d'ordine religioso, culturale ed
etico nel mondo
non utilizzando geni provenienti dall'uomo o da animali nei [suoi]
prodotti
agricoli destinati all'alimentazione umana o animale». La recente
nomina alla
direzione dell'Epa americana di una ex dirigente della Monsanto, Linda
Fischer,
fa pensare che non solo la nuova Monsanto non è fuori legge, ma
mira a fare la
legge.
note:
* Ricercatrice.
(1) Leggere Jean-Pierre Berlan e Richard C. Lewontin,
«Un racket
confisca la materia vivente», Le Monde diplomatique/il manifesto,
dicembre
1998.
(2)
Il rischio di disseminazione incontrollata è stato uno dei
motivi invocati da
Josè Bové e da altri due contadini per giustificare la
distruzione di piante di
riso transgenico nelle serre del Centro di cooperazione internazionale
e
ricerca agronomica per lo sviluppo (Cirad), avvenuta a Montpellier nel
1999. I
tre militanti, condannati il 15 marzo scorso a pene detentive con la
condizionale, hanno presentato ricorso.
(3) I tipi delle Editions de l'Institut national de la
recherche
agronomique (Inra) hanno pubblicato un fumetto (La Reine rouge, testi e
illustrazioni di Violette Le Quéré Cady, Parigi, 1999) la
cui lettura e
utilizzazione sarebbe, diciamo, raccomandata al personale della
Monsanto. Si tratta
di un panegirico a favore degli Ogm, in nome della pericolosità
degli
insetticidi.
(4) Cifre citate da Caroline Cox,
«Glyphosate», Journal of
Pesticide Reform, autunno 1998, vol. 18, n° 3, pubblicato dalla
Northwest
Coalition for Alternatives to Pesticides.
(5) Leggere a questo proposito il lavoro di Mohammed
Larbi
Bouguerra, La Pollution invisible, Puf, Parigi, 1997.
(6) http://www.carbonoffset.org.