Si è ormai giunti al colmo dell’ipocrisia e della rimozione di
qualsiasi possibile riflessione critica sulla natura politica, non
razziale, dello Stato di Israele.
Nel confuso dibattito che si è aperto in questi giorni in merito
alla legge che punisce le forme di “incitamento all’odio razziale”,
è finito anche il “sionismo”, mentre si è ritenuto che
divulgare e propagandare il “negazionismo” sia legittimo anche se non
“politicamente corretto: l’equiparazione del Presidente Napolitano tra
antisionisti ed antisemiti è strumentale e tendenziosa, e ha
come obiettivo la totale rimozione di ogni critica ad Israele puntando
a legittimare la linea filo-israeliana dell’intero Parlamento Siamo
dunque al paradosso che chi mette in discussione criticamente la
dottrina del sionismo dal punto di vista politico - evidenziando come
le scelte militari di tutti i governi israeliani e le occupazioni dei
territori palestinesi da parte dell’esercito israeliano siano la
conseguenza diretta della dottrina sionista - sia tacciato di
antisemita, mentre chi nega la Shoa si può tranquillamente
permettere di diffondere “teorie” di falsificazione storica e di
evidente strumentalità propagandistica.
Assisteremo dunque nei prossimi mesi alla persecuzione di chi, essendo
antifascista e salvaguardando la Resistenza contro il nazifascismo,
esprime una posizione antisionista politicamente articolata sulla
natura e la politica dello Stato di Israele, e dall’altro lato al
dilagare di gruppi e squadracce neonaziste che in nome di una fraintesa
libertà di opinione e “pensiero” diffonderanno la pestilenza
dell’antisemitismo più becero mascherato dalla negazione che
siano esistiti realmente i campi di sterminio.
Antisionismo, antinegazionismo, antifascismo
La chiarezza è a questo punto essenziale. Equiparare
antisionismo ad antisemitismo è una operazione speculare a
quella sciagurata del presidente iraniano Ahmadinejad, il quale con il
“convegno scientifico” tenutosi a Teheran sull’Olocausto ha predisposto
una vergognosa e spregiudicata messinscena politica per rafforzare le
fondamenta ideologiche della battaglia politica per l’eliminazione
dello Stato di Israele. L’effetto è però disastroso: non
si combatte l’imperialismo e il sionismo legittimando posizioni
insostenibili e fomentando le posizioni neonaziste del negazionismo, e
il sostegno alle resistenze dei popoli in generale e del popolo
palestinese in particolare non può confondersi con le posizioni
reazionarie, razziste, oscurantiste espresse da chi nega lo sterminio
degli ebrei durante la seconda guerra mondiale, o di qualsiasi altro
popolo che ha subito o subisce tutt’oggi il genocidio.
Detto questo, occorre fare chiarezza su cosa debba intendersi per
sionismo e quale sia la nostra posizione sullo Stato di Israele.
La dottrina politica denominata “sionismo” nasce nella seconda
metà del 1800 fondata da Hertz il quale sosteneva la
necessità che gli ebrei, nati come popolo in Palestina,
ricostruissero un proprio Stato in quella terra. Tale dottrina non fu
inizialmente accolta con grande calore dagli stessi ebrei, ed è
stata minoritaria nelle comunità ebraiche europee fino alla
tragedia della Shoa, poiché era prevalente il sentirsi cittadino
della propria nazione e non c’era la disponibilità a fondare uno
stato esclusivamente e puramente ebraico.
Il sionismo ha assunto una egemonia quando, dopo il delirante furore
nazifascista, la comunità internazionale ha raccolto l’appello
alla costruzione di uno Stato in cui gli ebrei potessero ritrovare la
sicurezza: è così che l’ONU nel 1948 ha approvato la
costituzione dello Stato di Israele, sottraendo terre ai palestinesi e
dividendo la Palestina. L’opzione di un unico stato multietnico,
sostenuta da alcuni tra cui il grande intellettuale palestinese Edward
Said, è stata scartata per l’indisponibilità degli stessi
sionisti, per i quali Israele deve essere uno stato ebraico fondato su
precetti religiosi più che politici: da qui derivano le
discriminazioni per i cittadini non ebrei, oltre alla concezione
fondamentalista che tutta la Palestina appartenga agli ebrei in quanto
donata loro da Dio.
Fino a quando Israele sarà fondato sulla dottrina del sionismo
non potrà che presentarsi come uno Stato che discrimina e
concepisce i diritti dei propri cittadini in base all’appartenenza
etnico-religiosa. Oltretutto, la creazione di uno Stato esclusivamente
"per" gli Ebrei pare confermare la negazione della possibilità
di ricostruire una convivenza tra ebrei e non ebrei, così come
il nazismo aveva negato.
Lo Stato di Israele fondato sul sionismo rappresenta la versione
statuale dei vecchi ghetti: occorre rimuovere non lo Stato di Israele,
ma il suo fondamento discriminatorio etnico-religioso, poiché le
differenze sono di classe, non di religione.
L’obiettivo dunque non è l’eliminazione di Israele, ma
l’affermazione dei diritti del popolo palestinese ad avere un proprio
Stato, contro l’occupazione e lo stritolamento effettuato da Israele.
Per fare questo, è probabilmente necessario l’abbandono del
sionismo come base fondativa dello Stato di Israele, a favore di
principi costituzionali fondati sulla reale uguaglianza dei diritti per
tutti i cittadini dello Stato di Israele, a prescindere dalla loro
origine e religione.
Sud Africa chiama Israele: il sionismo ricalca il segregazionismo
dell’apartheid
Opporsi al sionismo non significa negare lo Stato di Israele,
così come a suo tempo l’opposizione assoluta all’apartheid non
significò l’eliminazione del Sud Africa come Stato, ma la sua
“rifondazione” su basi antirazziste. È con questo spirito che
noi rivendichiamo il diritto a criticare non solo le singole azioni dei
governi israeliani, ma
Bisogna riconoscere lo Stato di Israele per quello che è: uno
stato segregazionista, alla pari del Sud Africa prima della presidenza
Mandela, un regime di apartheid che si avvale di complicità
internazionali, dei silenzi Europei e del pieno sostegno militare,
economico e politico degli Usa. I paesi e le città palestinesi
sono stretti nella morsa dell’esercito israeliano, il territorio
palestinese viene smembrato, occupato militarmente, consegnato ai
coloni e annesso di fatto a Israele; la popolazione della Striscia di
Gaza e della Cisgiordania vive da generazioni in campi profughi; la
costruzione del Muro rappresenta l’ultima operazione apertamente
segregazionista, che divide paesi e campi, emargina in bantustan i
paesi palestinesi.
Esponenti palestinesi vengono accolti in pompa magna e con grande
ipocrisia dalle Amministrazioni locali di Centro sinistra, gli stessi
partiti dell’Ulivo, in accordo con la destra, deliberavano che la
posizione italiana all’ONU non andasse oltre l’astensione ogni qual
volta si doveva condannare l’operato di Israele. Ipocriti coloro che
nelle sale universitarie parlano di coesistenza pacifica tra due popoli
senza guardare alla politica di Israele, ai bombardamenti quotidiani
con aerei e artiglieria che colpiscono civili e campi profughi.
Non una parola sulle risoluzioni Onu in favore dei palestinesi mai
riconosciute e applicate, non una parola sulla sistematica violazione
dei diritti umani, sul fallimento di ogni piano di pace (dagli Accordi
di Oslo alla Road Map) e sulla costruzione del Muro della Vergogna: si
avvia anzi una collaborazione di ricerca militare per nuove micidiale
armi - alcune delle quali sono state sperimentate la scorsa estate
durante i bombardamenti in Libano e a Gaza.
La parola d’ordine due popoli, due stati sarà possibile e
realizzabile quando Israele terminerà le occupazioni di
territori che non gli appartengono, quando cesserà la
persecuzione della popolazione palestinese nei territori occupati,
quando sarà abbattuto il Muro segregazionista e sarà
permesso ai palestinesi di costruire il proprio stato sovrano,
indipendente politicamente e autonomo economicamente, nonché
territorialmente adeguato.
Israele invece non ha mai ritirato l’esercito violando sempre gli
accordi firmati, anzi attraverso le colonie degli estremisti ebraici
(ma quando si parla di estremismo vengono citati solo gli Islamici
secondo la logica delle crociate) hanno occupato sempre più
terra, instaurando un regime di apartheid attraverso l’interruzione
delle strade verso i campi profughi bloccando così servizi
medici, trasporti di scolari e di operai, hanno interrotto l’acqua o
razionandola o crivellando di colpi i cassoni (uno o due metri cubi)
che si trovano sopra ogni casa o baracca palestinese.
Lo strato di Israele ha cacciato via i palestinesi dalle terre
più fertili, impugnata la legislazione dell’Impero Ottomano per
appropriarsi della terra degli esiliati, respinta ogni causa intentata
dai palestinesi per ritornarne in possesso, tanto è vero
che organismi internazionali negano la presenza in Israele dello stato
di diritto e condannano violazioni di diritti civili.
La situazione del Medio Oriente è resa sempre più
drammatica dall’occupazione militare che dal 1967 Israele compie sui
territori palestinesi, in spregio a qualsiasi norma del diritto
internazionale e nonostante le numerose risoluzioni dell'ONU che
impongono il ritiro degli israeliani dai territori occupati.
L’oppressione del popolo palestinese privato di terra, acqua, diritti,
patria, costretto a sopravvivere in piccoli bantustan separati dal Muro
della vergogna e controllati dai check point dei militari israeliani e
a cui è negato perfino il rientro dei profughi è una
delle cause più esplosive delle tensioni nell’area, che gli
americani e gli israeliani vorrebbero risolvere con un finto Stato
palestinese disgregato e diviso.
Vengono violati i diritti umani e la stessa Convenzione di Ginevra del
1949, la sicurezza dei coloni Israeliani significa nei fatti negare
ogni diritto ai palestinesi, liquidare come terroristiche le loro
stesse rivendicazioni. Dagli anni settanta ad oggi, il Piano Alon, il
Piano Drobless, quelli di Oslo ed infine la Road Map sono stati sempre
concepiti per favorire coloni israeliani e la cacciata dei palestinesi.
A fronte di tutto questo, il popolo palestinese resiste. Le ultime
drammatiche vicende che vedono lo scontro tra Hamas (che ha vinto le
elezioni ed è al governo) e Fatah (che attraverso Abu Mazen,
appoggiato da Stati Uniti e Israele, vorrebbe impedire ad Hamas di
governare) sono il risultato delle ingerenze sul popolo palestinese,
che non ha diritto neppure a scegliersi i propri rappresentanti.
Così, il diritto dei palestinesi, ma anche degli iracheni,
libanesi e di tutti gli altri popoli nell’area e nel mondo a resistere
viene liquidato con l'accusa di terrorismo.
Sionisti di destra e sionisti di sinistra: obiettivo la colonizzazione
ad ogni costo
I media occidentali hanno omesso gran parte delle fonti, dei
particolari, imponendoci informazioni manipolate e largamente
incomplete. Per questi motivi gran parte dell’opinione pubblica crede
che eliminando l’integralismo Islamico possa tornare la pace in medio
Oriente, sposando la tesi Usa e Israeliana che giustifica occupazione
militare e apartheid in nome della suprema lotta al terrorismo.
Tanto i Laburisti quanto i Conservatori in Israele hanno sostenuto la
politica imperialista del sionismo, Barak e negli anni settanta M.
Dayan hanno sostenuto e praticato il diritto degli ebrei a
insediarsi ovunque “nella terra dei loro antenati”, il Fondo
Nazionale Ebraico ha gettato la sua veste religiosa per
raccogliere in ogni sinagoga fondi con i quali finanziare immigrazione
in Palestina, occupazione di terre, acquisto di armi per coloni e
di tutto il necessario per far crescere dal nulla, e in pochi anni,
città moderne. Oggi, il dopo Sharon è ancora più
duro: Omert rappresenta l’ala dura dello schieramento sionista, che ha
scatenato la guerra contro il Libano e Gaza per estirpare le resistenze
di Hezbollah e di Hamas (peraltro diversissime in quanto l’una
organizzazione è di matrice sciita mentre l’altra è
sunnita) e imporre definitivamente la presenza delle colonie israeliane
nei territori occupati illegittimamente dal 1967 in Cisgiordania.
Il piano Allon, dopo la guerra del 1967, prevedeva la colonizzazione
intensiva della striscia di terra lungo il Fiume Giordano, arrivando ad
occupare oltre il 40% della Cisgiordania; negli anni ottanta arriva una
manodopera a basso costo, ebrei provenienti dall’est europeo che
costituiranno il nucleo portante dei coloni più oltranzisti. La
politica di Israele e degli Usa favorirà queste massicce
emigrazioni che risulteranno utili per le massicce colonizzazioni dei
territori, inclusi quelli che gli Accordi di Oslo avevano destinato ai
palestinesi (si veda a tal proposito come le aree destinate
all’Autonomia nazionale Palestinese siano prive di qualunque
continuità geografica, circondate, spezzettate da colonie
ebraiche alle quali va anche gran parte dei corsi di acqua e le
più moderne vie di comunicazione).
Negli anni novanta si afferma dunque la strategia della colonizzazione
selvaggia, introducendo nella società israeliana sempre maggiori
elementi di autoritarismo e di stretta osservanza dei precetti
religioso, vissuti in chiave nazionalista e antipalestinese.
Risultato: il fondamentalismo religioso come unico disperato appiglio
per i popoli oppressi
Tuttavia, tra il Piano Allon e Oslo c’è la politica fallimentare
dei paesi arabi, il fronte moderato capitanato dall’Egitto che nel 1978
a Camp David decise insieme ad Usa e Israele di dare il via libera
all’occupazione sionista e ebraica di Giudea e Samaria, ottenendo aiuti
Usa in funzione antisiriana e irakena (allora alleate dell’Urss),
rinunciando a priori al rimpatrio di oltre tre milioni e mezzo di
profughi palestinesi che vivono sparpagliati nei paesi della Regione,
spesso in campi profughi senza diritti, senza lavoro e istruzione.
Queste e non altre sono le cause della sconfitta non solo del popolo
palestinese ma di tutte le masse popolari arabe che nei loro paesi
hanno subito le politiche filo americane, la restrizione dei diritti
sociali, politici e sindacali, una vera e propria pacificazione
travestita da modernità.
L’integralismo islamico ha così giocato il ruolo della forza
alternativa all’occidentalizzazione forzata, integralismo che dalla
metà degli anni sessanta ai primi anni ottanta è stato
una emanazione Usa come dimostrano i finanziamenti del Pentagono e
degli sceicchi arabi ai fratelli Musulmani. L’integralismo allora
svolgeva una funzione di contenimento del nazionalismo arabo di
ispirazione socialista e terzomondista e avversava la nascita dei
movimenti di liberazione e della lotta armata contro Israele che ha
avuto numerose propaggini nei paesi confinanti. Nella lotta contro
l’Urss in Afganistan lo stesso integralismo è stato utile
alleato poi la situazione è sfuggita di mano, la politica filo
israeliana e il modello ideologico statunitense andavano distruggendo
le basi stesse dell’islamismo, questo è il motivo per cui il
fedele alleato diventa un nemico dichiarato.
Contemporaneamente, forte è stata la pressione per ridurre
l’incidenza dei settori radicali e socialisti nel mondo arabo e in
Palestina, mettendoli al bando come nemici del processo di pace (quello
stesso che cacciava via i palestinesi dalle loro terre incarcerandoli
se protestavano), negando la fondatezza delle loro accuse verso la
leadership di Arafat che per anni si è sorretto su note e
diffuse pratiche di corruzione e affari con le Multinazionali,
gettatesi sull’Autonomia Nazionale Palestinese come autentici
pescecani. Il risultato in Palestina è la vittoria di Hamas alle
elezioni; in Libano la crescita di consenso ed appoggio a Hetzbollah,
che peraltro rappresenta le istanze più schiettamente popolari a
salvaguardia della difesa della sovranità nazionale libanese,
più che quelle del fondamentalismo religioso.
In Irak lo scontro tra fazioni è ormai giunto alla guerra
civile, e l’occupazione statunitense non fa che aggravare di ora in ora
lo scontro politico-religioso tra sciiti e sunniti. In Iran,
l’opposizione all’aggressività statunitense ed israeliana ha
preso le forme dell’oscurantismo più pesante, in quanto le forze
laico-socialiste non hanno possibilità di affermarsi nell’area
perché perseguitate dai fondamentalisti ma anche dagli
occidentalisti (filoimperialisti).
Antisionismo non è antisemitismo
In conclusione, tornando alla questione dell’antisionismo, alla luce
dell’articolato ragionamento che abbiamo proposto, vogliamo ribadire la
nostra posizione contraria al sionismo come dottrina politica,. Tale
posizione non può essere confusa, se non per malafede
intellettuale, con l’antisemitismo, né tanto meno con il
negazionismo: continueremo a batterci contro qualsiasi espressione
razzista, contro ogni insorgenza nazi-fascista, contro tutte le idee
che tendono a dividere gli uomini e i popoli in superiori ed inferiori,
e proprio per questo riteniamo che, tragicamente e paradossalmente,
l’assunzione del sionismo come base fondativa dello Stato di Israele
abbia condotto a scelte persecutorie e aggressive.
Continueremo a denunciare che lo Stato di Israele, fino a quando si
considererà lo Stato Ebraico anziché uno Stato non
confessionale, è uno Stato fondato sulla discriminazione
religiosa e razziale.
Continueremo a denunciare le occupazioni e le aggressioni di Israele ai
popoli e ai Paesi dell’area, fino a quando Israele continuerà ad
aggredire ed occupare territori contro le risoluzioni dell’ONU.
Infine, continueremo a distinguere tra ebrei e israeliani, e
continueremo a parlare di “politiche aggressive di Israele e
dell’esercito israeliano”, e non di Stato ebraico.