Discorso tenuto da Nurit Peled Elhanan alla manifestazione a Tel Aviv
(17 giugno 2007) in commemorazione di 40 anni di Occupazione.
Nurit Peled ha ricevuto il Premio Sakharov 2001 dal Parlamento Europeo
per il suo impegno per la pace in Medio Oriente. Ha perso sua figlia il
4 settembre 1997 in un attacco suicida. Insegna Lingua e Educazione
all’Università Ebraica (Gerusalemme).
Buona sera. È un grande onore per me trovarmi su questo palco a
fianco del mio amico e fratello Bassam Aramin, un uomo del campo
palestinese della pace, uno dei fondatori del movimento pacifista
Combatants for Peace (Combattenti per la Pace), del quale due dei miei
figli, Alik e Guy, sono membri. Solo la settimana scorsa,
martedì ad Anata e giovedì a Tulkarem, il movimento dei
Combattenti per la Pace ha organizzato con successo due manifestazioni
di massa che hanno visto la partecipazione di 10.000 palestinesi che ne
condividevano le finalità – una lotta comune contro
l’Occupazione, attraverso una stretta cooperazione tra israeliani e
palestinesi. Se non fosse per le leggi razziste dello Stato di Israele,
quelle migliaia di persone potrebbero essere qui con noi questa sera
per dimostrare una volta per tutte che noi abbiamo un partner.
Bassam ed io siamo entrambi vittime di quella crudele Occupazione
che sta corrompendo questo paese da ormai quarant’anni. Noi due siamo
venuti questa sera per piangere il destino di questo luogo che ha
seppellito le nostre due figlie – Smadar, la gemma del frutto, e
Abìr, il profumo del fiore (Nota: significati letterali
rispettivamente del nome proprio ebraico e arabo) – che sono state
uccise a distanza di dieci anni, dieci anni durante i quali il
nostro paese si è coperto di sangue di bambini, e il regno
sotterraneo dei bambini sul quale camminiamo ogni giorno e ogni ora,
è cresciuto fino a straripare.
Ma quello che unisce Bassam e me non è solo la morte alla quale
l’Occupazione ci ha condannato. Ciò che ci unisce è
principalmente la fede e il desiderio di crescere i bambini che ci sono
stati lasciati, in modo tale che non accettino mai più che
uomini politici e generali assetati di sangue e di conquista governino
la loro vita e li mettano gli uni contro gli altri. Che non permettano
che il razzismo che si è diffuso in questo paese li porti fuori
dal percorso di pace e di fratellanza che si sono preparati.
Perché solo quella fratellanza può abbattere il muro di
razzismo che è stato costruito davanti ai nostri stessi occhi.
Da quarant’anni razzismo e megalomania dettano la nostra vita.
Quarant’anni in cui più di quattro milioni di persone non hanno
conosciuto il significato di libertà di movimento. Quarant’anni
in cui i bambini palestinesi sono nati e cresciuti come prigionieri
nelle loro case che l’Occupazione ha trasformato in una prigione,
privati fin dal principio dei diritti che spettano agli esseri umani,
in quanto sono umani. Quarant’anni in cui i bambini israeliani sono
stati educati a un razzismo di un tipo che è sconosciuto da
decenni al mondo civilizzato. Quarant’anni in cui hanno imparato a
odiare i vicini solo perché sono vicini, a temerli senza
conoscerli, a vedere un quarto dei cittadini dello Stato come un nemico
demografico e un nemico interno, e a riferirsi ai residenti dei ghetti
creati dalla politica di Occupazione come a un problema che si deve
risolvere.
Solo 60 anni fa, gli ebrei abitavano nei ghetti ed erano visti, negli
occhi dei loro oppressori, come un problema che bisognava risolvere.
Solo 60 anni fa, gli ebrei erano reclusi dietro orribili muri di
cemento armato, elettrificati, sormontati da torrette di osservazione
presidiate da figure erette armate, ed erano deprivati della
possibilità di condurre una vita e di allevare i loro bambini
con dignità. Solo 60 anni fa il razzismo fece pagare il suo
prezzo al popolo ebraico. Oggi il razzismo governa nello Stato ebraico,
calpesta la dignità delle persone, le depriva della
libertà e condanna tutti noi a vite da inferno. Ora da 40 anni
la testa ebraica si china senza sosta in venerazione del razzismo e la
mente ebraica escogita i modi più creativi per devastare,
demolire e distruggere questo paese.
Questo è ciò che resta del genio ebraico, che è
diventato israeliano. Compassione ebraica, misericordia ebraica,
cosmopolitismo ebraico, amore dell’umanità e rispetto per gli
altri sono stati dimenticati da lungo tempo. Il loro posto è
stato rivendicato dal razzismo.
È stato solo il razzismo che ha motivato un soldato della
Guardia di Frontiera a premere il grilletto dall’interno del suo
veicolo blindato e a sparare alla testa della piccola Abir mentre se ne
stava rimpiattata presso il muro della sua scuola, per paura di quel
veicolo militare calato nel cortile della scuola, come fosse il padrone
del posto.
È solo il razzismo che motiva i conducenti dei bulldozer a
demolire le case sulla testa di chi vi abita, a distruggere vigneti e
campi, a sradicare olivi vecchi di secoli.
Solo il razzismo può inventare strade sulle quali la
circolazione è regolamentata sulla base della razza, ed è
solo il razzismo che motiva i nostri figli a umiliare donne che
potrebbero essere le loro madri e di commettere abusi su vecchi agli
infami checkpoint, a colpire giovani della loro età che, come
loro, vogliono andare in auto con le loro famiglie a fare il bagno in
mare, e a guardare impassibili mentre le donne partoriscono sulla
strada.
È solo puro razzismo quello che motiva i nostri migliori piloti
a sganciare bombe da una tonnellata su case abitate, ed è solo
il razzismo a permettere a questi criminali di dormire bene la notte.
Perché il razzismo elimina la vergogna. Questo razzismo ha
eretto per se stesso un monumento a sua stessa immagine – il monumento
di un brutto, rigido, minaccioso ed invasivo muro di cemento. Un
monumento che dichiara a tutto il mondo che il senso della vergogna
è stato bandito da questo paese. Questo muro è il nostro
muro della vergogna, è testimonianza del fatto che ci siamo
trasformati da una luce per le nazioni a “un oggetto di disgrazia per
le nazioni e a una beffa per tutti i paesi” (Ezechiele, 22:4).
E stasera dobbiamo chiederci dove prendere la nostra vergogna? Come
rimuovere la disgrazia? Ma anzitutto, com’è che la vergogna non
ci impedisce di dormire la notte? Come possiamo acconsentire che
metà dei nostri soldi siano utilizzati per compiere
crimini contro l’umanità?
Com’è accaduto che siamo riusciti a circoscrivere la vergogna a
due colonne nei giornali, e a dedicarvi non più di quei dieci
minuti che riserviamo a una lettura affrettata degli articoli di Gideon
Levy e di Amira Hass, come si legge un rapporto su uno scenario che era
noto in anticipo?
Com’è accaduto che siamo riusciti a incapsulare un’interminabile
sofferenza quotidiana, la fame, la malnutrizione, i traumi dei bambini,
il lutto, il restare inabili e orfani, in un’unica parola alienante:
“politica”?
Com’è che i nostri figli continuano a mostrarsi impettiti e a
pavoneggiarsi nelle uniformi della brutalità che indossano
quando servono nell’esercito dei massacri e delle distruzioni?
Com’è che tutte le splendide istituzioni del mondo se ne stanno
da parte e non fanno nulla per salvare un bambino dalla morte o per
rimuovere un blocco di cemento dal muro della vergogna? Com’è
che tutte le organizzazioni per la pace e i diritti dell’uomo non sono
capaci di fermare le jeep delle Guardie di Frontiera che vengono per
terrorizzare gli scolari e per ammazzarli, non sono capaci di fermare
un bulldozer che va a demolire una casa sulle teste dei suoi abitanti,
non sono capaci di salvare un albero di olivo dalla distruzione o di
salvare una scolara che si perde sulla strada verso la scuola e si
trova nel mirino dei soldati dell’Occupazione?
Una delle risposte a queste domande è che lo Stato di Israele
è capace di mettere a silenzio e di paralizzare il mondo intero
perché c’è stato l’Olocausto. Lo Stato di Israele ha
acquisito un permesso per violentare un’intera nazione perché
c’è l’antisemitismo. Lo Stato di Israele sta portando al
disastro esistenziale - economico, sociale e umano – i suoi
cittadini e i suoi sudditi e nessuno osa fermarlo perché una
volta ci fu Hitler. E intanto i sopravvissuti dell’Olocausto soffrono
in questo paese l’ignominia della fame.
Questa sera dobbiamo fare un appello al mondo per liberarci dalla
vergogna. Questa sera dobbiamo spiegare al mondo che se vuole salvare
il popolo di Israele e il popolo di Palestina dall’imminente olocausto
che minaccia tutti noi, è necessario condannare la politica di
Occupazione, al dominio della morte si deve bloccare il passo. Tutti i
criminali di guerra che mettono via le loro divise e si mettono a
girare per il mondo devono essere arrestati, processati e imprigionati,
invece di avere il permesso di godere i piaceri della libertà,
mentre ancora si trascinano dietro cassette di denaro tintinnanti piene
di crimini di guerra.
E per noi è venuto il tempo di smettere di consegnare i nostri
figli a un sistema educativo che impianta dentro di loro valori falsi e
razzisti ed insegna loro che il loro contributo alla
società si riassume in abusi e uccisioni dei figli di un altro
popolo. Per noi è venuto il tempo di spiegare loro che la
popolazione locale di questo posto non è divisa in ebrei e
non-ebrei com’è scritto nei loro testi scolastici, ma in esseri
umani che vogliono vivere in pace e tranquillità malgrado ogni
cosa, come Bassam Aramin e molti altri come lui - che se non fosse per
le leggi razziali che restringono i loro movimenti, starebbero qui con
noi oggi - e persone che hanno perso la loro umanità e provano
piacere nella distruzione e nella devastazione.
Ed è venuto il tempo di dire ai nostri figli dove vivono. Oggi,
mentre l’intero mondo civilizzato si diverte a diffamare e gettare
discredito sul sistema educativo palestinese, non c’è alcun
libro scolastico in Israele che presenti un’immagine di un palestinese
come di una normale persona moderna. Non c’è alcun libro
scolastico in Israele in cui appaia la parola “Occupazione”. I nostri
figli sono arruolati nell’esercito di Occupazione senza conoscere il
posto dove vivono e senza conoscere la sua storia e la sua gente. Vanno
a servire nell’esercito imbevuti di odio e paura. I nostri figli sono
educati a vedere chiunque che non sia ebreo come il Goy, l’Altro, che
generazione dopo generazione cerca di distruggerci. Questa educazione
rende facile per l’apparato militare la trasformazione dei nostri figli
in mostri.
Pertanto il solo modo per impedire ai nostri figli di diventare
strumenti nelle mani della macchina di distruzione è di
insegnare loro la storia di questo posto, di tracciare per loro i suoi
confini, di aiutarli a conoscere i loro vicini, la loro cultura, la
loro cortesia e i loro diritti sulla terra dove vivono e dove vissero
per molte generazioni, prima che i pionieri sionisti arrivassero alla
Terra Promessa di Israele. E soprattutto ad insegnare loro a non
sottomettersi allo Stato, a non rispettare la sua autorità,
perché lo Stato è governato da mediocri ladri e vili
opportunisti che non controllano i loro impulsi sessuali e d’altro
genere anche nei tempi più cupi e reggono questo paese secondo
le leggi della Mafia.
Tu hai ucciso uno dei miei, io ucciderò cento dei tuoi. Tu hai
gettato contro di me una bomba fatta in casa, io getterò su di
voi cento delle bombe più sofisticate e distruttive al mondo,
che non lasceranno traccia di te, della tua famiglia e dei tuoi vicini.
Questa sera dobbiamo pensare a coloro che sono condannati a morte nel
prossimo anno, e a coloro che sono condannati a cadere nel crimine
sotto la copertura della legge e dell’uniforme. Li dobbiamo salvare
tutti. Dobbiamo insegnare a tutti loro di non obbedire a ordini che,
anche se sono legali secondo le leggi razziali di questo Stato, sono
manifestamente inumani, in modo palese.
E soprattutto, questa sera ci dobbiamo fermare per un momento, tutti
noi, per guardare il volto della piccola Abir Aramin, la sua testa
colpita da dietro, il cui assassino non andrà mai incontro
a un giudizio in questo paese e non sarà mai punito in ogni modo
che merita, e soprattutto per chiederci:
Perché quella striscia di sangue lacera il petalo della sua
guancia (Anna Achamtova).