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Gli atti di distruzione avvenuti negli ultimi anni
negli Stati Uniti, nello
Stato Spagnolo, nel Regno Unito... e l'impatto che ha avuto la loro
diffusione
sui mezzi di comunicazione, hanno generato un particolare stato di
opinione
nella comunità internazionale. Questo stato di opinione (che
evoca paura,
panico, terrore e che neutralizza l'autonomia della volontà e la
priva
totalmente di discernimento e di senso critico), ha permesso il
consolidamento
di misure di sicurezza in opposizione al godimento dei diritti umani e
delle
libertà pubbliche. Alcuni governi hanno implementato nuove
legislazioni e
progettato misure per affrontare la nuova situazione, creando una
"legge
per il nemico, più che per il cittadino". Gli stati hanno
sfruttato la
retorica "antiterrorista" a beneficio dei loro interessi politici,
economici o geostrategici, criminalizzando qualsiasi movimento
dissidente,
alternativo, antagonista... dai "rossi separatisti" dell'epoca di
Franco, i "comunisti" o "anarchici" dell'Italia fascista,
il "sovversivo" dell'Argentina di Videla, i "fondamentalisti
islamici" degli Stati Uniti, d'Israele o del Regno Unito, la
"narcoguerriglia" della Colombia... fino termine generico ed
universale "terrorista", valido per qualsiasi movimento di
opposizione, sono esempi vecchi ed attuali di questa retorica.
Questa dinamica ha avuto il suo riflesso anche
nell'Unione Europea; nel
dicembre 2002, i Capi di Governo e di Stato dell'Unione Europea si sono
riuniti
a Laeken, per adottare la Decisione Quadro per la lotta al terrorismo,
creando
nuove norme imperative, che dovevano essere adottate da tutti gli stati
membri,
anche se non si trovavano ad affrontare problemi relativi a questo
fenomeno.
Non sono stati capaci di trovare una definizione comune di terrorismo,
ma anno definito
le sue cause, le sue intenzioni; questo significa che la valutazione su
cosa
sia terrorismo sarebbe venuta dall'analisi degli effetti di presunte
azioni
terroriste. Le conseguenze di questa definizione sono abbastanza
chiare:
qualsiasi dissidenza o gruppo di opposizione può generare un
effetto che,
nell'Unione Europea, può essere considerato terrorismo. In
questo contesto, si
creano le cosiddette "liste terroriste", nelle quali si inseriscono
persone ed organizzazioni dopo una decisione politica , senza
possibilità di
ricorso contro tale decisione.
Nel delineare questo ambito, lo Stato spagnolo
(insieme a quello francese), ha
svolto un ruolo cruciale, a causa dei suoi interessi particolari
riguardanti la
questione basca.
Il Paese Basco, Euskal Herria, un territorio di 20.600 chilometri
quadrati,
situato sui due versanti dei Pirenei Occidentali e composto da sette
province,
Araba, Behenafarroa, Bizkaia, Gipuzkoa, Lapurdi, Nafarroa y Zuberoa,
con una
popolazione di quasi tre milioni di abitanti, è diviso in
diverse demarcazioni
amministrative fra gli stati spagnolo e francese. La Costituzione
spagnola
riconosce l'esistenza di nazionalità ma nega loro il diritto
all'autodeterminazione. La Costituzione francese, al contrario,
riconosce il
diritto di autodeterminazione ma rifiuta di ammettere l'esistenza di
popoli o
nazioni nel territorio nel quale è in vigore. Questo, oltre ad
altri elementi
di negazione strutturale, sociale e culturale, genera una situazione di
conflitto in Euskal Herria, un popolo che lotta per il suo
riconoscimento e per
la facoltà di decidere il suo futuro in libertà.
Questo conflitto politico ha, anche, un'importante
componente armata, che ha
generato un numero di vittime difficile da definire; oggi vi sono 688
prigionieri politici in 88 carceri ma anche circa 2000 cittadini baschi
che si
sono visti costretti ad abbandonare il territorio basco a causa della
repressione e delle persecuzioni e vivono in altri stati come rifugiati
politici.
i dati assoluti della repressione, in un territorio minuscolo e che,
oggi, è
probabilmente il più militarizzato di tutta l'Europa
occidentale, sono
spaventosi: 15.000 persone sono state arrestate negli ultimi
venticinque anni,
6.000 di queste hanno anche subito torture dalla polizia spagnola,
dalla
Guardia Civil e dalla polizia autonoma basca. La legislazione
antiterrorista
spagnola permette alla polizia di mettere il presunto "terrorista" in
isolamento assoluto per cinque giorni, periodo nel quale non
potrà vedere i
suoi congiunti, né un medico, né un avvocato di fiducia;
in questo periodo di
privazione assoluta di contatti con il mondo esterno, si riproducono le
testimonianze di tortura, che includono l'utilizzo di elettrodi,
sacchetti di
plastica per provocare asfissia, esercizi fisici estenuanti e percosse
ed
aggressioni fisiche e psicologiche di ogni genere.
Quanto alla situazione nelle carceri, dei 688 prigionieri politici solo
11 si
trovano in Euskal Herria; non è un caso, gli altri si trovano
distribuiti nelle
sezioni di 88 prigioni in quattro stati. Nello Stato spagnolo ci sono
528
prigioniere e prigionieri politici baschi, in 52 carceri, ad una
distanza media
di 623 chilometri da Euskal Herria. Nello Stato francese si trovano 154
prigioniere e prigionieri politici baschi, in 33 carceri e ad una
distanza
media da Euskal Herria di 790 chilometri. 5 prigioniere e prigionieri
politici
baschi sono detenuti in due carceri del Messico ed uno è in
prigione a Londra.
Lo scopo di generare sradicamento e vulnerabilità nel
prigioniero è evidente:
la media di pestaggi che il Collettivo dei Prigionieri ha dovuto subire
negli
ultimi anni è di 20 all'anno; il 25% del Collettivo è
condannato a vivere in
regime di isolamento continuo. Altri diritti, come quello alla salute,
all'uso
della propria lingua, all'istruzione sono severamente limitati;
inoltre, la
violazione di diritti che gli stati spagnolo e francese praticano con
la
politica di dispersione è costante e colpisce anche i familiari.
Da quando è
stata avviata tale politica, sono stati 16 i familiari e congiunti che
hanno
perso la vita in incidenti stradali mentre si recavano ai colloqui
nelle
carceri.
Fra gli anni 2001 e 2002, il collettivo dei Prigionieri Politici Baschi
ha
svolto un lungo e profondo dibattito interno, decidendo l'obiettivo del
suo
rimpatrio: la richiesta di condizioni affinché il Collettivo,
come soggetto
politico quale è, possa prendere parte ai dibattiti ed agli
accordi politici
per una soluzione democratica al conflitto politico. Il suo
raggruppamento in
Euskal Herria,, il potersi organizzare, la possibilità di
mantenere relazioni
con gli altri soggetti fuori dalle carceri e potere prendere parte a
tutti i
dibattiti ed accordi politici sono elementi fondamentali per potere
affrontare
questa sfida. Il riconoscimento dello status di prigionieri politici
è una
delle basi per l'esercizio di questi diritti.
D'altra parte, il movimento associativo basco gode
di buona salute: i movimenti
sociali hanno capacità di incidenza reale in tutti gli ambiti
sociali, le
organizzazioni popolari veicolano le rivendicazioni sociali, culturali
e
politiche, la cosiddetta "società civile" è attiva e ha
la capacità
di trasmettere i suoi progetti, concordarli con altri organismi e
contrapporli
a quelli del potere. Lo Stato ha utilizzato la repressione, attraverso
le
inchieste note come 18/98 e le successive per attaccare questo ampio
movimento,
per continuare ad esercitare la sua egemonia e per perpetuarsi. Sebbene
la
repressione abbia creato difficoltà a questo movimento
dissidente basco nella
sua capacità di essere motore del cambiamento politico, sociale
e culturale in
Euskal Herria, essa ha evidenziato meglio che mai che lo Stato spagnolo
non è
uno stato democratico, che è disposto a trasgredire ed a
svuotare dei loro
contenuti diritti e libertà fondamentali; così, si sono
violati i diritti di
associazione, opinione ed espressione.
Due vie parallele sono state aperte per cercare di neutralizzare questo
movimento:
Una è quella per la quale, attraverso una reinterpretazione del
Codice Penale
portata avanti dal giudice Baltasar Garzón, giudice istruttore
del tribunale
speciale antiterrorista chiamato Audiencia Nacional, si è deciso
che
organizzazioni sociali, politiche e persino mezzi di comunicazione
orbitano
nell'ambiente di ETA e che, come logica conclusione, appartengono a
ETA; fra le
organizzazioni coinvolte si trovano il quotidiano Egin, l'emittente
radiofonica
Egin Irratia, la rivista Ardi Beltza, il quotidiano in lingua basca
Egunkaria,
l'associazione politica Ekin, l'organizzazione per le relazioni
internazionali
Xaki, la Fondazione Joxemi Zumalabe per l'attivazione del movimento
sociale,
l'associazione per la difesa dei diritti dei prigionieri politici
Gestoras pro
Amnistia e, successivamente, l'organismo di solidarietà con i
prigionieri
politici Askatasuna, le organizzazioni giovanili Haika e Segi, il
partito
politico Batasuna, l'assemblea di sindaci e consiglieri comunali
Udalbiltza.
Negli ultimi tempi, già sotto il Governo Zapatero e promosse dal
successore
provvisorio di Baltasar Garzón, il giudice Grande-Marlaska, sono
continuate le
aperture di processi contro il quotidiano Gara, contro il sindacato
LAB, contro
il partito politico EHAK (Partito Comunista delle Terre Basche,
N.d.T.)...
Circa 250 persone sono coinvolte in questi processi, la maggioranza
delle quali
arrestate in veri e propri rastrellamenti polizieschi e detenute in
carcere per
periodi di tempo variabili. Diversi degli accusati nelle inchieste
contro
Haika-Segi e Gestoras pro Amnistia hanno, fra l'altro, scontato quasi
quattro
anni di carcere preventivo, in attesa di giudizio. Proprio nella
primavera di
quest'anno si è celebrato il primo dei processi contro
l'organizzazione
giovanile Haika-Segi, il primo di una probabilmente lunga serie.
Osservatori
internazionali partecipanti all'iniziativa Euskal Herria Watch hanno
dato conto
delle irregolarità del processo e della sua totale mancanza di
garanzie; la
loro principale preoccupazione ha riguardato l'evidente mancanza di
prove sulle
quali basare l'accusa per la quale, partecipando alle attività
di Haika-Segi,
in realtà, si sarebbe partecipato all'attività di ETA. Il
tribunale, nel suo
verdetto, non ha riconosciuto questa accusa (che comportava pene di 12
anni) ma
ha, invece, ritenuto che Haika e Segi sono organizzazioni illegali e
diversi
loro membri sono stati condannati a pene fra i due anni e mezzo ed i
tre anni e
mezzo.
L'atra via è quella marcata dalla Riforma della Legge Organica
sui Partiti
Politici, approvata nel giugno 2002 e che, da diversi ambiti, è
stata definita
come un "abito su misura" per la messa fuori legge di Batasuna, visto
che i partiti che non condividono i "principi costituzionali" sono
messi fuori dalla legge spagnola. Questo fatto si è verificato
il 17 marzo
2003, quando il Tribunale Supremo spagnolo ha emesso la sentenza di
messa fuori
legge della formazione della Sinistra indipendentista, dopo un processo
sommario, per evitare che partecipasse alle imminenti elezioni.
Successivamente, altri partiti dall'orientamento politico simile (AuB
Autodeterminaziorako Bilgunea, HZ Herritarren Zerrenda, Aukera Guztiak
e circa
250 piattaforme elettorali municipali) saranno sospese mediante
l'applicazione
estensiva di quella sentenza. Questa situazione ha anche un impatto
evidente
sul diritto di manifestazione; i termini nei quali è stata
redatta la legge,
utilizzando determinate espressioni per proibire l'indizione di
manifestazioni
da parte di Batasuna ("direttamente o indirettamente". "come
entità
o attraverso suoi membri"), conferisce alla polizia la facoltà
di decidere
se, ad esempio, l'indizione di una manifestazione pubblica da parte di
privati
cittadini, la manifestazione possa essere considerata, invece, promossa
dalla
formazione messa fuori legge, pur se semplicemente mascherata, come
spesso è
accaduto. Questi metodi non sono stati ideati a causa della retorica
antiterrorista internazionale ma sono stati definiti in passato come
strategia
di stato; forse questo impatto antiterrorista globale ha accelerato le
misure
descritte, ma non si tratta di misure nuove contro il popolo basco. La
nostra
esperienza, negli ultimi decenni, è stata rafforzata dal grave
quadro di
violazioni dei diritti umani e dalla mancanza di garanzie per quanto
riguarda
la promozione e la protezione dei diritti umani.
La risoluzione di questa situazione è la sfida che dobbiamo
affrontare.
Importante, inoltre, è alzare la voce, diffondere l'allarme
prima che questa
situazione sia diffusa ad altri contesti politici, ovunque ciò
possa accadere.