APPELLO CONTRO LA TORTURA DEMOCRATICA PER IL DIRITTO ALLA VITA DI DIANA
BLEFARI
La Convenzione ONU approvata dall'Assemblea generale il 10 dicembre
1984 e ratificata dall'Italia ai sensi della legge 3 novembre 1988, n.
498, all'articolo 1 definisce il crimine della tortura come «qualsiasi
atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitti ad una persona
dolore o sofferenze, fisiche o mentali, con l'intenzione di ottenere
dalla persona stessa o da un terzo una confessione o un'informazione,
di punirla per un atto che lei o un'altra persona ha commesso o è
sospettata di aver commesso, di intimorire o costringere la persona o
un terzo, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi altra forma
di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenza siano inflitte da
un pubblico ufficiale o da ogni altra persona che agisca a titolo
ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o
tacito». All'articolo 4 si prevede che ogni Stato parte vigili affinchè
tutti gli atti di tortura vengano considerati quali trasgressioni nei
confronti del proprio diritto penale.
Diana Blefari sta per morire. Dopo due anni e mezzo di carcere, per la
maggior parte dei quali ha subito una vera e propria tortura fisica e
mentale, si sta arrendendo, nell.unica forma che una persona con
dignità attuerebbe a fronte della somministrazione di una massa di
violenza di dimensioni spropositate come quella che gli è stata
rovesciata contro. Qualche giorno fa i medici di Rebibbia hanno chiesto
ufficialmente, alla Corte che si occupa del suo appello, il suo
«indispensabile» ricovero «immediato» in una struttura sanitaria
idonea. Non mangia, infatti, da circa 30 giorni e continua ad essere
detenuta in regime di 41 bis.
Non è una notizia inaspettata. Negli ultimi tre mesi, in seguito all.
interessamento di alcuni membri di Rifondazione comunista di L.Aquila
(dove ha sede il carcere che l.ha .ospitata. fino a poco tempo fa), la
sua situazione era stata ripetutamente denunciata con alcune lettere e
articoli pubblicati su giornali nazionali e alcune manifestazioni di
solidarietà erano state espresse da ambiti della sinistra antagonista.
Ma naturalmente non è servito a niente. Come del resto finora a nulla è
servito l.iter legale promosso dai suoi difensori che, già
precedentemente, era stato avviato per fare presente la gravità della
sua situazione e quindi sollecitare un intervento da parte degli organi
competenti.
A nulla, se non a dimostrare, qualora ce ne fosse ancora bisogno (ma
giusto per chi come al solito vuole far finta di non capire), la
preterintenzionalità della volontà di uccidere attuata nei suoi
confronti (naturalmente dopo averla torturata per bene!). È infatti
emersa una stridente contraddizione all.interno delle istituzioni (come
chiaramente si evince dalla scheda allegata): strutture mediche del Dap
(Dipartimento amministrazione penitenziaria) che da mesi esprimono la
necessità di toglierla dal 41bis, e strutture burocratiche che
rispondono alle istanze degli avvocati affermando che la situazione
medica della detenuta è perfettamente sotto controllo!
La sua condizione è sicuramente figlia del 41 bis e più in generale
del carcere di annientamento, considerato che condizioni .particolari.
di detenzione, basate sull.uso massiccio dell.isolamento, sono comunque
applicate con larga discrezionalità in ogni carcere. È noto a chi e in
seguito a quali episodi si deve l.introduzione del 41bis nel nostro
ordinamento; altrettanto noto è il processo decisionale che ha portato
alla sua stabilizzazione ed estensione a persone con altri tipi di
imputazioni rispetto alle originarie come appunto Diana, attualmente in
custodia cautelare per reati previsti dall.art. 270bis del codice di
procedura penale.
Secondo la ratio della norma il 41 bis dovrebbe servire ad impedire le
comunicazioni dei detenuti con eventuali complici all.esterno, quindi a
scopo preventivo. Ma poi la realtà del suo utilizzo è tutta un.altra.
Da questo punto di vista la condizione di Diana è emblematica dellla
vera logica che presiede all.applicazione di tale norma (anche se, pure
in questo senso, il suo caso non costituisce una novità assoluta,
almeno per chi ebbe modo di leggere un paio di anni fa il libro-
inchiesta .Tortura democratica. di S. D.Elia e M. Turco). La teoria
della necessità di rompere i collegamenti tra i detenuti ed eventuali
associati in libertà si rivela una panzana vergognosa, visto che Diana
non comunica più, ormai da quasi un anno, con nessuno. La tortura dell.
isolamento ha provocato in lei l.unica risposta possibile per
sottrarvisi: il rifiuto di ogni dialogo e infine il lasciarsi piano
piano morire.
Appare chiaro, dunque, che, più che ad impedire i suddetti rapporti
con l.esterno, con l.applicazione del 41bis si vuole distruggere quel
minimo di rapporti affettivi che il carcere .normale. non era ancora
riuscito ad azzerare. E lo si fa allo scopo preciso di ottenere
.collaborazioni. e .pentimenti..
Esistono numerose .confessioni. che svelano questa falsità: .Contro i
capimafia è necessario il massimo rigore, senza lasciar neppure
intravedere la possibilità di un ammorbidimento delle condizioni di
detenzione, salvo che cambino idea e non inizino una seria e fruttuosa
collaborazione., così l.allora presidente dei deputati Ds Luciano
Violante il 24 maggio 2002; ancora più esplicito è stato Alberto
Maritati, già membro Ds della Commissione parlamentare Antimafia (e
oggi neo-sottosegretario alla Giustizia del governo Prodi! Proprio un
bel segnale di garantismo!), che il 16 luglio 2002 dichiarò: .Il punto
centrale è la stabilizzazione del 41bis. Non tanto per dare una
risposta a Leoluca Bagarella. Ma perché di fronte ad una situazione
stabile si chiarisce che si esce dal carcere duro solo con una precisa
dissociazione o un pentimento.. Erano i tempi in cui si discuteva
appunto se rendere stabile la disciplina del 41bis, inizialmente
sottoposta a periodico rinnovo, e di estenderla ad altri tipi di
imputati detenuti (proprio così. basta essere imputati! E nelle carceri
italiane oltre il 60% di quelli che ci finiscono si rivelano alla fine
innnocenti!). Come è noto la decisione fu presa in pieno spirito
bipartisan.
L.attività repressiva dispiegata contro gli imputati per associazione
eversiva o mafiosa è già palesemente ispirata a una logica di guerra, e
non solo quando vengono reclusi. Già in sede investigativa e poi in
dibattimento le procure sono impegnate a dimostrare la .verità. dei
loro teoremi accusatori e non la verità storica dei fatti accaduti. Ma
tale piano potrebbe ancora rientrare nelle prerogative dello Stato (se
non fosse per il piccolo particolare dei numerosi innocenti che ci
vanno sempre di mezzo!), quando il nemico si pone anch.esso sul piano
della guerra.
Ma quello che è schifoso, il vero crimine, è che, con l.utilizzo del
carcere di annientamento, si pratica una logica da guerra .sporca.,
quindi analoga a quella vigente nelle varie Guantanamo e Abu Grahib
disseminate nel mondo, verso le quali le organizzazioni umanitarie sono
solite indignarsi (strana vocazione umanitaria quella di dedicarsi solo
a detenuti stranieri e naturalmente risiedenti il più lontano possibile
dall.Italia e . ancora meglio se sono già morti!).
Il 41 bis, essendo utilizzato per provocare la .collaborazione.,
quindi per determinare un comportamento non voluto dal soggetto che lo
subisce, è chiaramente una forma di tortura, nel senso previsto anche
dalle convenzioni internazionali. È concepito in maniera raffinata, per
sottrarne la sua applicazione al contraddittorio con la difesa davanti
ad un giudice terzo. Infatti è erogato con misura amministrativa e
ministeriale e quindi non esiste diritto di difesa per l.imputato,
anche se le pezze d.appoggio per applicarlo sono ricercate nelle note
informative degli organi investigativi e negli atti della pubblica
accusa, quindi in .atti di parte..
Secondo la logica di questa guerra .sporca. il .nemico. deve essere
annientato prima con la tortura, poi auspicabilmente con il marchio
dell.infamità, e infine può anche morire.
Se la logica fosse quella di una guerra .normale., quindi, anche se
pur sempre deprecabile, propria di uno Stato di diritto, sarebbe molto
più coerente reintrodurre la pena di morte, ma naturalmente non lo si
vuole fare.i nemici non soffrirebbero abbastanza! E quest.ultimo
.aspetto. per i professionisti della gogna è davvero irrinunciabile.
Denunciamo la criminalità delle azioni e dei comportamenti che
colpiscono Diana.
Denunciamo che i criminali peggiori sono quelli che promuovono,
eseguono e godono della tortura degli esseri umani.
Denunciamo il pericolo che possa essere disposto il trasferimento di
Diana in un OPG (ospedale psichiatrico giudiziario), in quanto tale
soluzione sarebbe l.ultimo e più bestiale livello della tortura.
Verrebbe imbottita in maniera forzata di farmaci allo scopo di tenerla
in vita solo per farla ancora soffrire.
Disprezziamo, semplicemente disprezziamo, chi afferma che Diana sta
fingendo.
Chiediamo a chi è interessato ad eliminare la pratica della tortura
nel nostro paese e ritiene altresì importante la difesa del principio
del diritto alla vita, di sottoscrivere questo
APPELLO
PER L.IMMEDIATO RIPRISTINO DEL PRINCIPIO DEL DIRITTO ALLA VITA PER
DIANA, CON RICOVERO IN STRUTTURA OSPEDALIERA PUBBLICA E QUINDI CON
REVOCA DEL 41BIS, O, IN DOLOROSA ALTERNATIVA, IL RIPRISTINO DELLA PENA
DI MORTE CON PROVVEDIMENTO AD PERSONAM NEI SUOI CONFRONTI. ANCHE QUEST.
ULTIMO, CONSIDERATI I TEMPI E I LUOGHI IN CUI SI VIVE, SAREBBE UN
GRANDE GESTO DI UMANITÀ.
COMITATO CONTRO LA TORTURA DEMOCRATICA E PER IL DIRITTO ALLA VITA DI
DIANA BLEFARI
Adesioni singole:
Giulio Petrilli - Segretario provinciale prc L'Aquila
Francesco Paglia - Consigliere provinciale prc L'Aquila
Felicia Santilli e Pelino Santilli - Segreteria circolo prc L'Aquila
Romano Nobile - Ares 2000 onlus
Livia Medda - Cagliari
Enrico Padovan - Progetto Comunista Area Programmatica, Parma
Avv. Claudia Ruggieri - Teramo
Avv. Filippo Torretta - Teramo
dott.ssa Fabiana Costanzi - L'Aquila.
Avv. Simona Giannangeli - L'Aquila
Avv. Marina Ranieri - L'Aquila
Maurizio Acerbo - Deputato prc alla Camera
Francesco Caruso - Deputato prc alla Camera
Italo Di Sabato- Capogruppo prc/sinistra europea Consiglio regionale
Molise
Pino Cantarini - Psichiatra Responsabile del CSM di Orvieto (TR)
Valentina Valleriani - L'Aquila
Doriana Goracci - Donne in Nero Tuscia, Collettivo Bellaciao Italia
Maria Rosa Panté - Borgosesia (Vercelli)
Floriana Lipparini
Gabriella Grasso . Milano
Birgit Clari Schuler - Milano
Adesioni collettive:
Gruppo Donne in Nero di L'Aquila
Corrispondenze Metropolitane (Roma)
per contatti e adesioni: notorturademocratica@yahoo.it
giugno 2006