Mer 22 Nov 2006
Maj e Czeppel libertà vigilata
Interrogazione a risposta orale
RUSSO SPENA, BOCCIA Maria Luisa -
Al Ministro della giustizia -
Risultando agli interroganti che:
i cittadini italiani Giuseppe Maj e Giuseppe Czeppel, membri del
(nuovo)PCI [(n)PCI] dal 22 maggio 2006, sono stati sottoposti dalle
autorità francesi al regime di libertà vigilata con
obbligo di firma e con divieto di lasciare la Francia;
entrambi sono stati sottoposti, in Francia, alla custodia cautelare in
carcere per la durata di mesi 18, nonché alla misura del confino
per la durata di mesi 16, sulla base di un capo d’imputazione per
associazione a delinquere finalizzata alla preparazione abituale di
documenti falsi;
oltre ai suddetti cittadini, anche lo studente Angelo D’Arcangeli,
simpatizzante del (n)PCI, è da dieci mesi sottoposto in Francia
al regime di libertà vigilata, dopo avere subito quattro mesi di
custodia cautelare in carcere, dal 19 luglio al 19 novembre 2005;
gli stessi, unitamente ad altri cittadini, sin dal 1981 sono stati
indagati in Italia nell’ambito di numerosi procedimenti penali,
promossi inizialmente dalla Procura di Bergamo, e successivamente dalle
Procure di Venezia, Milano, Roma, Napoli e infine dalla Procura di
Bologna, per reati associativi, e precisamente per i delitti di
associazione sovversiva e associazione con finalità di
terrorismo e di eversione dell’ordine democratico (ai sensi degli artt.
270 e 270-bis del codice penale), “per avere organizzato” - come si
evince dai capi d’imputazione - “un’associazione denominata (nuovo)
Partito Comunista in forma clandestina, la quale si propone il
compimento di atti di violenza al fine di eversione dell’ordine
democratico”;
le concrete modalità di realizzazione di tali procedimenti,
conclusisi peraltro con decreti di archiviazione quando non con il
proscioglimento con formula piena, per insussistenza del fatto,
suscitano notevoli perplessità, non soltanto per la costante
reiterazione di accuse per i medesimi fatti in violazione del principio
del ne bis in idem processuale, a fronte della rilevata insussistenza
dei reati ascritti, che ha condotto all’assoluzione degli indagati, ma
anche per le modalità di conduzione delle indagini;
nella fase investigativa (protrattasi sovente ben oltre i limiti
massimi previsti dalla normativa processuale) si sono infatti operate
misure precautelari spesso in assenza dei requisiti di legittimazione;
si sono realizzati sequestri probatori e preventivi di documenti (anche
di natura strettamente politica, come il materiale per l’ultima
campagna elettorale) il cui possesso costituisce espressione dei
diritti all’esercizio dell’attività politica ed alla
libertà di espressione e manifestazione del pensiero, ed il cui
sequestro non sembra peraltro funzionale ai fini delle indagini ai
sensi e per gli effetti di cui agli artt. 253 e seguenti del codice di
procedura penale, né alle esigenze preventive e cautelari di cui
agli artt. 321-323 dello stesso codice;
nel contesto delle suddette indagini si sono ripetutamente e
sistematicamente irrogate misure cautelari custodiali e coercitive,
spesso in assenza delle fondamentali esigenze cautelari previste dal
codice di rito;
i procedimenti in questione si sono costantemente caratterizzati per un
irrituale e poco chiaro collegamento non soltanto tra l’autorità
giudiziaria italiana e quella francese, ma anche tra magistratura ed
esecutivo italiani;
profili evidenziati in particolare dalle seguenti circostanze sono:
a) il procedimento iniziato nel 2001 dalla Procura di Napoli a carico
dei cittadini su riferiti si è concluso significativamente nel
2005 con una declaratoria di difetto di competenza, all’esito di
innumerevoli perquisizioni e sequestri in Italia, Francia e Svizzera e
dopo che le autorità svizzere avevano negato ufficialmente la
propria collaborazione, in ragione della “natura politica” del
procedimento;
b) nel giugno del 2003, Giuseppe Maj e Giuseppe Czeppel sono stati
sottoposti ad arresto da parte dell’autorità giudiziaria
francese, su richiesta avanzata per rogatoria, mediante il Ministero
della giustizia, dalle Procure di Napoli (nell’ambito del procedimento
su riferito) e Bologna (nonostante l’assenza di indagini pendenti al
momento del fatto presso questa Procura). Il nucleo della polizia
giudiziaria francese per il contrasto del terrorismo, nonostante
l’assenza di ordinanze di custodia cautelare da parte della
magistratura italiana, ha proceduto all’arresto di Maj e Czeppel,
contestando come reato-fine la detenzione di documenti di
identità falsi, nel quadro di un’imputazione per associazione a
delinquere con finalità di terrorismo, poi derubricata ad
associazione a delinquere finalizzata alla falsificazione di documenti.
Gli indagati sono quindi stati sottoposti a custodia cautelare in
carcere fino al Natale del 2003, e successivamente ad obbligo di
soggiorno in Francia e di residenza in una specifica abitazione,
nonché alla misura cautelare coercitiva dell’obbligo di
presentazione all’autorità di Pubblica sicurezza; il tutto
durante la pendenza di procedimenti distinti, dinanzi alla magistratura
francese, come alla Procura di Napoli. Alcuni autorevoli giornalisti,
tra i quali in primis Guillaume Perrault del quotidiano “Le Figaro”,
con particolare riferimento al suo scritto “Génération
Battisti”, hanno sollevato il ragionevole dubbio in merito ad una
probabile pretestuosità del procedimento francese, asseritamente
carente dei presupposti di legittimazione e meramente funzionale a
consentire la restrizione in vinculis degli indagati, in attesa che la
magistratura italiana raccogliesse elementi di prova idonei a sostenere
l’accusa in giudizio. L’istruttoria del procedimento francese (diretta
dal giudice istruttore per il contrasto del terrorismo, mons. Gilbert
Thiel, del Tribunale di grande istanza di Parigi, che aveva disposto un
nuovo arresto per Giuseppe Maj e Giuseppe Czeppel a Parigi il 26 maggio
2005), subiva una sensibile accelerazione nella primavera del 2006,
concludendosi con la scarcerazione - sostituita da ultimo con la misura
della libertà vigilata - dei suddetti indagati, rispettivamente
il 22 e 24 maggio 2006;
c) nel frattempo la Procura di Bologna, che senza aver aperto un
procedimento contro Giuseppe Maj aveva tuttavia chiesto e ottenuto
dalle autorità francesi la perquisizione del 23 giugno 2003 e il
sequestro a suo uso di ogni documento rinvenibile nella casa parigina
di Maj, nel settembre 2003 ha aperto un’indagine (l’ottava, solo in
Italia) nei confronti di Giuseppe Maj ed altri undici coindagati, per
associazione con finalità di terrorismo e di eversione
dell’ordine democratico. Il 14 febbraio 2006 ha fatto eseguire ancora
una volta da parte della Digos di Modena alcune perquisizioni in Italia
contro sette membri del partito dei CARC (Comitati di appoggio alla
resistenza per il comunismo), disponendo il sequestro di vari documenti
cartacei ed informatici (persino il materiale relativo alla campagna
elettorale delle politiche del 2006 per la quale i membri dei CARC
erano candidati). Il procedimento risulta ancora pendente, nonostante
siano trascorsi ormai da tempo i termini massimi di durata delle
indagini preliminari, con ciò ingenerando notevoli
perplessità sulla legittimità del procedimento, che si
teme meramente strumentale all’esecuzione di ulteriori mandati
d’arresto europei. Peraltro, il sostituto procuratore della Repubblica
di Bologna, dott. Paolo Giovagnoli, con nota avente per oggetto
«Commissioni rogatorie internazionali concernenti la Commissione
preparatoria del “(nuovo)Partito comunista italiano” e le sue relazioni
con le Brigate Rosse» datata 26 dicembre 2003 ed indirizzata al
“Sig. Magistrato Italiano di collegamento presso il Ministro della
Giustizia Francese, dr. Stefano Mogini”, nel dare la
disponibilità del suo ufficio a partecipare alla riunione
proposta dal giudice istruttore dì Parigi, dott. J.L.
Bruguière, suggeriva l’opportunità di svolgere, nello
stesso periodo, «l’iniziativa a livello governativo sullo stesso
tema alla quale potrebbero essere invitati anche gli altri uffici
giudiziari italiani che svolgono indagini sui CARC». Lo stesso
magistrato di collegamento, dott. Stefano Mogini, peraltro, nella sua
nota avente identico oggetto, datata 15 dicembre 2003, e indirizzata
alla “dott.ssa Stefania Castaldi, Procura della Repubblica presso il
Tribunale di Napoli, al dott. Paolo Giovagnoli, Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Bologna, e per conoscenza alla
dott.ssa Augusta Jannini, Direttore Generale della Giustizia Penale
Ministero della Giustizia ROMA”, aveva sottolineato che lo svolgimento
della riunione fra Procure della Repubblica italiane e gli Uffici
giudiziari parigini avrebbe in ogni caso dovuto essere
«coordinato con l’iniziativa già formalizzata da tempo
sullo stesso tema a livello governativo su richiesta di codesti Uffici
dal nostro Ministero della Giustizia», così manifestando
la volontà di instaurare un non meglio precisato rapporto di
collaborazione tra la magistratura e l’esecutivo, sulla cui
legittimità ed opportunità si nutrono ragionevoli dubbi;
considerato che:
la comprovata insussistenza delle accuse elevate contro i suddetti
cittadini ingenera notevoli perplessità (manifestate anche da
ordini del giorno di Consigli comunali, interventi di parlamentari,
raccolte di firme, prese di posizione del mondo politico e
intellettuale, dibattiti e manifestazioni di piazza) in ordine alla
legittimità dei numerosi procedimenti penali avanzati dalle
varie Procure italiane, anche sulla base di rogatorie internazionali
sistematicamente conclusesi con la dimostrazione dell’innocenza degli
indagati e addirittura con la declaratoria dell’insussistenza dei fatti
contestati;
la ripetuta e sistematica irrogazione nei confronti dei suddetti
indagati di misure cautelari coercitive, di misure precautelari
fortemente lesive dei diritti costituzionalmente tutelati alla
libertà ed alla dignità personale, alla riservatezza,
alla segretezza della corrispondenza e di ogni forma di comunicazione,
all’inviolabilità del domicilio, alla libertà di
informazione, di associazione e manifestazione del pensiero determina
un inammissibile vulnus alle garanzie individuali al cui rispetto
è subordinata la legittimità del processo penale,
violando palesemente i suddetti diritti fondamentali,
costituzionalmente sanciti dalle norme di cui agli articoli 2, 13, 14,
15, 18, 21;
nonostante l’esito delle innumerevoli indagini sopra citate abbia
dimostrato l’innocenza degli indagati e l’assoluta infondatezza delle
accuse loro rivolte, la magistratura continua ad aprire nuovi
procedimenti per il medesimo titolo di reato nei confronti degli stessi
cittadini, prorogandone lo stato di restrizione della libertà in
assenza dei presupposti giustificativi di tali misure, a giudizio degli
interroganti con una evidente ed inammissibile violazione dei suddetti
principi costituzionali, delle garanzie del due process of law e delle
norme fondamentali dello Stato di diritto, così ingenerando il
ragionevole dubbio che l’imputazione sia sostenuta unicamente dalla
volontà di ostacolare la libera e legittima manifestazione del
pensiero, la propaganda di idee comuniste e la realizzazione del
diritto, costituzionalmente tutelato e dichiarato inviolabile, al
libero esercizio dell’attività politica;
la prosecuzione delle suddette indagini, nelle concrete modalità
di realizzazione sopra indicate, a giudizio degli interroganti rischia
di risolversi nell’inammissibile violazione del principio di cui
all’articolo 22 della Carta costituzionale, alla cui stregua “nessuno
può essere privato, per motivi politici, della capacità
giuridica, della cittadinanza, del nome”;
è imprescindibile garantire l’effettiva attuazione dei principi
di cui agli articoli 101 e 104 della Costituzione, alla cui stregua “i
giudici sono soggetti soltanto alla legge” e “la magistratura
costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere”;
così come del precetto di cui all’articolo 111 della medesima
Carta costituzionale, secondo cui “la giurisdizione si attua mediante
il giusto processo regolato dalla legge”,
si chiede di sapere:
se il Ministro in indirizzo sia a conoscenza della questione sopra
descritta ed in particolare dell’iniziativa di collaborazione tra
magistratura ed esecutivo;
quali provvedimenti di competenza intenda adottare, al fine di
salvaguardare, nell’interesse di una corretta amministrazione della
giustizia e dei diritti dei cittadini, l’autonomia della magistratura,
suscettibile, a giudizio degli interroganti, di essere gravemente lesa
dalla indicata commistione del potere esecutivo nell’esercizio
dell’attività delle Procure della Repubblica;
se non ritenga opportuno assumere ulteriori informazioni in merito ai
fatti sopra indicati, anche al fine di garantire, nell’interesse e nel
rispetto dei principi costitutivi dello Stato costituzionale di
diritto, che l’attività di accertamento e repressione dei reati
da parte della magistratura non sia in alcun modo, sia pur indiretto e
mediato, condizionata dall’esecutivo, con il rischio di risolversi in
un’indebita limitazione delle libertà costituzionalmente
garantite a tutti i cittadini.
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