cari compagni e compagne,
ecco un intervento di chi subisce da quasi un anno carcerazione dura e
deportazione del fascismo colonialista italiano.
si tratta di tre comunisti sardi in attesa di processo deportati in
Italia dallo scorso marzo.
vi prego di diffondere questa denuncia il più possibile.
Inoltre altri 9 militanti della nostra organizzazione "a Manca pro
s'indipendentzia" subiscono dall'11 luglio la repressione durissima
dello
stato italiano: solo 4 di questi sono ai domiciliari con
restrizioni durissime, mente 5 sono ancora prigionieri nel
carcere di Buoncammino
(Ca).
Per gli indirizzi dei prigionieri
e informazioni sulla campagna sia nazionale sarda che
internazionale
www.comitato11luglio.net
fino alla liberazione!
fino alla vittoria!
cristiano sabino (responsabile dei rapporti internazionali di a
Manca pro s'Indipendentzia)
*Intervento dei prigionieri comunisti Antonella-Ivano-Pauleddu *
Dopo quasi un anno di detenzione preventiva - iniziata il 30 marzo
del 2006 - e dopo tutto quello che è stato detto e
scritto sul nostro conto, ora vogliamo parlare noi riguardo le
motivazioni che hanno portato alla nostra prigionia e le
difficoltà più disparate che siamo costretti a
subire quotidianamente. Useremo il plurale per descrivere queste
vicende perché le angherie che subisce uno le sentiamo
come una ferita inferta a tutti. Siamo rinchiusi in carceri
considerati tra i più duri d'Italia (Antonella a Santa
Maria Capua Vetere, Ivano a Palermo-Ucciardone, Pauleddu a
Palmi) in regime di E.I.V. (Elevato Indice di Vigilanza) che ,
visto il particolare trattamento che ci riservano e la
quasi impossibilità di fare i regolari colloqui, possiamo
considerare un 41bis mascherato (con il dovuto rispetto per
tutti i prigionieri che subiscono questo infame trattamento).
È assai evidente, che le motivazioni della
nostra deportazione, non sono dovute agli ormai frequenti e
banali motivi di sicurezza con i quali lo Stato giustifica
la reclusione, in posti tanto distanti dalla terra d'origine, di
quegli uomini e donne che hanno la sfortuna
di cadere nelle sue mani. In realtà, la vera ragione,
è quella di torturare senza lasciare segni evidenti, nel vano
tentativo di spersonalizzare, e quindi abbattere, chi n on si
piega di fronte allo schifo che la loro democrazia ci
impone. Il dolore provocato non è solo quello di essere
allontanati dalle proprie famiglie, le quali subiscono a
loro volta una pena supplementare, essendo tutti di casta
proletaria, con problemi di salute e pertanto
impossibilitati ad affrontare lunghi viaggi con relativo
dispendio economico; ma anche quello di essere sradicati
dalla propria terra e cultura e catapultati in realtà
completamente diverse, con mentalità e codici che non ci
appartengono, costringendoci a rapportarci con persone che dei
nostri principi e ideali non hanno quasi mai sentito
parlare, e comunque estranei al nostro modo di confrontarci.
Anche questo, naturalmente, non è un caso:
il non potersi confrontare, il farti vivere in mezzo a uomini e
donne che ti considerano uno "sbagliato" perché odi un
sistema dove i soldi e il potere sono le regole di vita, è
il metodo che lo Stato utilizza per isolarti e atrofizzare
la tua lotta, il tuo orgoglio, il tuo pensiero. Senza contare che
questa lontananza non consente neanche la
preparazione di una linea difensiva appropriata, non potendo
quasi mai incontrare i nostri legali. Queste
difficoltà non possono certo essere compensate con la
corrispondenza (riguardo questo ringraziamo tutti quei
compagni amici e conoscenti di tutta italia, i quali non hanno
mai fatto mancare la loro solidarietà e vicinanza),
che tra l'altro fino a poco tempo fa era sottoposta a censura,
con conseguenti ritardi e sparizioni misteriose.
Il rischio di perdere se stessi è molto alto, bisogna
continuamente far ricorso ai ricordi ed alla "vita
precedente" per non perdere la propria identità. Ci
troviamo rinchiusi in carceri dove in alcuni casi non erano
mai stati "ospitati" prigionieri politici, tanto meno Sardi.
Ancora adesso qualcuno di noi, con il regime E.I.V., si
trova a condividere questa situazione con detenuti A.S (Alta
Sorveglianza), con ulteriori difficoltà. Ma le
strutture carcerarie stesse sono degradanti, con le finestre a
bocca di lupo, i cubicoli con spazi ridottissimi,
prive di ogni tipo di riscaldamento. L'assenza totale di una
reale socialità con gli altri prigionieri, la
mancanza di una qualsivoglia struttura sportiva (nelle due ore
settimanali concesse si va in salette sprovviste di
attrezzature), il numero limitato di libri e riviste (massimo tre
alla volta), la doccia (tre volte la
settimana!) che il più delle volte l'acqua calda non
arriva. Vitto carente e da far schifo e sopravitto limitato
a pochissimi generi alimentari. Nelle sezioni si trovano massimo
dieci detenuti, per giunta suddivisi in due gruppi
per svolgere qualsiasi tipo di "attività". Inoltre, i
Direttori del carcere possono, a loro piacimento,
modificare il già restrittivo ordinamento penitenziario,
escludendo, dall'elenco degli oggetti da poter tenere in
cella, quelle piccole cose che diventano importantissime nel niente
che siamo obbligati a vivere. Così non è
consentito ricevere pacchi-cibo da casa e le poche volte che ai
nostri parenti è stato possibile venirci a trovare non gli
è
stato consentito di far entrare buona parte degli alimenti che in
tutte le altre carceri non sono proibiti. La conseguenza di
queste deficienze è, di riflesso, un isolamento della persona.
La mente deve impegnarsi per sopperire alla
mancanza di tutto, cercare di tenerla ancorata alle nostre
priorità naturali, nel tentativo di non perdere i nostri
sentimenti, i nostri familiari, compagni, amici. Non perdere
soprattutto la voglia di lottare! Ad evidenziare la
nostra "differenza" dagli altri detenuti ci pensano, non per
ultimo, le guardie. Ogni gesto che viene fatto nei
confronti dei nostri corpi e delle nostre menti è
finalizzato a renderci "diversi" agli occhi degli altri
detenuti. Veniamo perquisiti ogni qualvolta usciamo ed entriamo
nelle "nostre" celle, i ritmi cadenzati degli
orari per la battitura delle sbarre (la mattina presto verso le
6,30/7,00 e il pomeriggio) in orari appositi,
affinché non sia possibile poter rimanere a letto neanche
in quei giorni in cui la febbre o malanni vari non concedono
nessun movimento. Un altro vile sistema per cercare di annientare
la nostra resistenza è quello di negarci le
necessarie cure sanitarie (a tal proposito, ad uno di noi , che
ha subito vari interventi chirurgici per una grave
malattia, non viene permesso, dal giorno dell'arresto, di poter
essere accompagnato in un centro clinico idoneo per
sottoporsi alla visita di controllo di cui necessita).
Preferiamo poi non scendere nei particolari delle proposte infami
fatteci da "misteriosi personaggi" e dei vani
tentativi di metterci gli uni contro gli altri con il "solito
trucco": ovvero, che qualcuno di noi stesse
"collaborando".... Ma collaborando su cosa...? Su qualcosa di cui solo
"loro" conoscono l'esistenza...?
A parte il peso delle loro mani sempre addosso, quello che fa
male all'animo e infastidisce veramente è
l'umiliazione di dover subire questi soprusi da delle......
nullità!
E con i mesi che passano, anche il sopportare questa differenziazione
da persone che vivono insieme a noi queste
situazioni, ma dalle quali comunque ci allontanano troppe cose,
inizia a diventare pesante, portandoci ad avere
reazioni di auto-emarginazione, non trovando più neanche
quegli stimoli elementari che ci permettano una
comunicazione "intelligente" con chi abbiamo accanto. Non a caso
l'arma che lo Stato utilizza per spegnere le nostre
menti e ridurre ad un sussurro le nostre parole è sempre
la stessa, subdola e vigliacca: il tempo passato a vivere
non-realtà, nel tentativo di farci rinnegare quelle che per
noi sono strade indelebilmente segnate nei nostri percorsi.
I castelli costruiti sulla base del niente per incatenare chi
orgogliosamente lotta per un "sogno", sono sufficienti
a tenerci in gabbia per lungo tempo. È dalle piccole cose
che troviamo la forza di reagire e continuare a lottare,
piccole cose in sè ma grandi per noi, come l'affetto e la
solidarietà che sentiamo arrivare dall'esterno di questa
esistenza fatta di sbarre e cemento. È, inoltre, anche
questo che ci spinge ad andare avanti a testa alta: la
consapevolezza che dietro le sbarre siamo molto più liberi
dei "portachiave in grigio", la consapevolezza che è
meglio stare dentro con la nostra coscienza che fuori con la
loro! Il fatto che, dopo tanti mesi, i giudici non abbiano ancora
fissato la data per l'udienza dal GUP è dovuto alla
pochezza delle motivazioni che hanno portato al nostro
arresto. Siamo stati
accusati di essere gli ideatori e gli esecutori materiali di un
attentato alla sede provinciale
di Alleanza Nazionale a
Nuoro. Le "prove" sono tutte incentrate su intercettazioni
effettuate mediante GPS, e
relativa microspia,
piazzati all'interno della macchina di uno di noi. Questa
macchina avrebbe funzionato, secondo
gli..."inquirenti", da vero e
proprio "covo", visto che tutte le discussioni sulla presunta
pianificazione
dell'attentato
sarebbero avvenute all'interno della stessa. Con la stessa si
sarebbe poi andati a posizionare
materialmente l'ordigno....
Ma dalle intercettazioni non si rileva nessuna discussione che
faccia riferimento a quanto
asseriscono i "pinotti".
Questi ultimi si "scordano", poi, di far presente che quella
vettura veniva sottoposta a
minuziosi controlli e
perquisizioni per tre/quattro volte alla settimana, alla ricerca
di armi, esplosivi e
"materiale eversivo"
(perquisizioni che hanno sempre dato esito negativo). È quindi
improbabile che sia stata
utilizzata per
commettere un atto delicato e rischioso come quello addebitatoci, a meno
che non si vogliano mettere in
discussione le nostre
capacità mentali! Ma dai verbali delle indagini da "loro" svolte, risulta
pure che qualcuno di noi
era "sotto osservazione"
già dal 2001, e qualche volta era stato indagato per "legami con
gruppi eversivi" -- e poi
prosciolto -- senza che
gli sia mai stato notificato alcunché! La verità
sta nel fatto che gli "investigatori"
dovevano portare
risultati e motivazioni per giustificare lo sperpero di miliardi di
lire (o milioni di euro, se
preferite), spesi per
pedinare e "intercettare" decine di persone in base al famoso, e molto
fumoso, "teorema-Pisanu"
(che sarebbe meglio definire
meteora-Pisanu...!!!).
Secondo il "nostro
(purtroppo) conterraneo", che in quei tempi era ancora ministro
degli interni, la Sardegna era diventata
una sorta di laboratorio dove
si cercava di unire, sotto la stessa bandiera di lotta,
Marxisti-Leninisti,
Indipendentisti e Anarchici
per dare vita ad una organizzazione sovversiva. Nei suoi cinque
lunghi anni di
mandato come ministro,
tutte le indagini da lui "sentitamente" seguite non hanno mai
avuto alcun riscontro.
Ma, guarda caso, proprio alla
vigilia delle elezioni del 2006, gli "sforzi" delle "forze
dell'ordine" danno
finalmente i frutti
sperati: vengono arrestati tre pericolosi terroristi (i
sottoscritti)! Un'altra strana
"coincidenza" è che,
riguarda caso, il "nostro" ministro proprio in quei giorni si
trovava in Sardegna, per la sua
tournee di campagna
elettorale. Che tempismo!!!!
Questa "grande operazione antiterrorismo" è stata poi,
naturalmente, il suo cavallo di battaglia: confermava
"tutte le paure (sue!) di un insorgere delle nuove leve del
terrorismo". L'ultima coincidenza, ma anche la più
strabiliante, è che pochi giorni dopo i nostri arresti
sarebbero terminati i tempi limite di questa indagine con i
relativi finanziamenti!
Ma, tralasciando queste "piccole casualità", come dicevamo prima
tutte le "prove inconfutabili" che hanno portato al
nostro arresto trovano evidentemente difficoltà ad essere
portate davanti ad un tribunale per essere confermate e
discusse (...anche se la nostra fiducia nei confronti di questi
tribunali e giudici è pari a zero visto il loro
ruolo all'interno delle istituzioni borghesi -- ne abbiamo un
palese esempio dalle condanne emesse a Milano per i
"fatti di marzo"). Così come si sta rivelando, in eguale
misura, una grossa buffonata un'altra inchiesta, cosiddetta
Arcadia, che a Luglio ha portato all'arresto di una decina di
compagni di "A Manca Pro s'Indipendentzia" -- ai quali va
il nostro più caloroso e solidale saluto -- la cui unica colpa
è quella di aver dato vita ad una organizzazione
politica, presentata anche ufficialmente, in cui si riconoscono
tanti giovani proletari delusi da altre
realtà "indipendentiste" istituzionalizzate. Anche se, per
vari motivi politici, noi tre non abbiamo mai aderito a questa
organizzazione, non possiamo non riconoscergli l'impegno, la
serietà e gli sforzi, fatti per portare avanti le loro
lotte e ideologie. Le nostre differenze non hanno comunque
impedito di ritrovarci tutti insieme a manifestare per
quelle problematiche che sono di tutto il popolo sardo, e del
proletariato in generale, quali disoccupazione, basi
militari, situazioni detentive del proletariato prigioniero, e
tante altre. Noi tre abbiamo sempre partecipato a titolo
individuale, non essendo aderenti a nessun partito o associazione
di alcun tipo, ed anche se potrà arrivarci
qualche critica, siamo comunisti che preferiscono muoversi senza
i vincoli che il "gruppo" comporta. Le nostre singole
esperienze non hanno comunque compromesso o limitato la nostra voglia
di partecipare alle lotte, combattere e
criticare la "nuova" organizzazione della società
capitalista e la sua brutale retorica, che porta gli esseri
umani ad un nuovo scontro di civiltà nel cuore di una
società opulenta, dove il diverso, il vicino, il simile e
il nemico si toccano, contendendosi uno spazio senza
qualità, un tempo senza spessore, un agire senza
significato. Società nella quale, intorno ai templi del
consumismo, si conforma un "nuovo" fascismo, molto più
insidioso in quanto più afasico, persuasivo e subliminale.
Dove un nazionalismo xenofobo e violento verso i più
deboli , dal nulla del consumo cerca di generare una "patria" e
una senso di "appartenenza". La futilità, l'opulenza, il
pacifico conformismo, la mentalità infantile, sono
divinità che troneggiano al centro della società del
consumo. Esse, grazie alla loro rassicurante mediocrità,
avrebbero dovuto
"proteggerci", secondo i propositi dei padroni, dai grandi conflitti
e dalle "tragiche passioni" del Novecento,
diventando il fondamento della gerarchia e il dispositivo del
dominio. Il fascismo post moderno si annida nelle
innocue consuetudini del presente, nei suoi bisogni, reali o
indotti, di sicurezza, in un tempo di vita interamente
colonizzato dai profitti. Ma sembra quasi che il fascismo post
moderno non voglia la conquista del potere politico,
solo creare le condizioni affinchè il potere politico
realizzi un "programma minimo": l'instaurazione di una
democrazia plebiscitaria in cui la tolleranza repressiva sia il
contraltare di una feroce gerarchia sociale. Basti
pensare a come le strategie di sicurezza sono organizzate oggi
rispetto alla criminalità: uno specchio che deforma
fino al grottesco, che astrae artificialmente i comportamenti
delinquenti dal tessuto dei rapporti sociali
nei quali essi acquistano senso. Dall'incarcerazione di massa
alla telesorveglianza, dalla criminalizzazione e
segregazione del "diverso" alla proliferazione dei reati di
sospetto e d'opinione, i confini dello Stato poliziesco si
estendono sempre di più. Non a caso le carceri sono da
sempre luoghi di interruzione del dialogo, in cui il
silenzio e l'esclusione dallo sguardo altrui rivelano gli aspetti
più nascosti della asimmetria del potere. E
quanto più il potere agisce nell'ombra, tanto più
esige dal singolo la trasparenza dell'uomo di vetro, giustificando
ogni espropriazione della dignità, della privacy e della
libertà in nome delle supreme esigenze di sicurezza della
società. Così il carcere torna ad essere oggi lo
spazio simbolico di politiche di esclusione e controllo degli
"esclusi sociali", che la dinamica neoliberista rilega ai margini
della società. Vittime di logiche repressive che
fanno di chi non è conforme a questa "libertà" un
nemico da punire con l'arma della pena. La pretesa di risolvere
con la
prigionia problemi e comportamenti che nascono dalla crisi dello
Stato sociale e dalle disuguaglianze strutturali del
sistema neoliberista, serve da tecnica per rendere invisibili i
reali problemi sociali. La prigione diventa
una sorta di "pattumiera" giudiziaria dove gettare i "rifiuti"
umani della società di mercato non soggiogati al
"loro" credo. Anche noi tre -- come tanti altri compagni -- ci
troviamo a subire le "loro" soluzioni, fatte di galere e
repressione per il "reato" di non avere abbassato o chiuso gli
occhi davanti a questi orrori, condividendo con tanti
altri momenti di lotta, per non essere risucchiati nel torpore
della rassegnazione. Possiamo concludere affermando
che, se essere comunisti è un reato, noi ci consideriamo
colpevoli! Siamo ancora convinti che l'utopia è una
cultura che arricchisce chi sa coltivarla e praticarla, ed
è una forte speranza per la quale vale la pena battersi.
Vogliamo infine ricordare quello che diceva il NOSTRO CONTERRANEO
Antonio Gramsci, che di sicuro sarà ancora
ricordato a lungo per quello che proponeva con i suoi grandi
ideali, a differenza del piccolo "teoreta" Pisanu,
del quale rimarrà ben poco....
"Vivere vuol dire essere partigiani. Indifferenza è
parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Vivo,
sono
partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli
indifferenti."
A pugno chiuso e sempre in alto. Antonella, Ivano, Pauleddu.