27 giorni di
deportazione nel LAGER di Parma - memoriale di Bobore (prigioniero di
aMpI)
Cari compagni e compagne,
vi invio il memoriale scritto da Bobore (patriota sardo attualmente
prigioniero) che denuncia la sistematica violazione dei diritti umani
dell’istituzione totale EIV che ha subito durante i 27 giorni di
deportazione che ha subito nel carcere di massima sicurezza d Parma.
Vi invito a leggerlo e a diffonderlo il più possibile,
soprattutto alle
organizzazioni che si occupa della difesa dei diritti umani e dei
problemi legati al carcerario.
Vi ringrazio di cuore
fino alla liberazione!
fino alla vittoria!
fino all'indipendenza!
Cristiano Sabino (responsabile dei rapporti internazionali di a Manca
pro s’Indipendentzia) - Sardigna
***
Alla sensibile attenzione del
Presidente della Repubblica sen. Giorgio Napolitano; Presidente del
Senato sen. Franco Marini; Presidente della Camera on. Fausto
Bertinotti; Ministro della Giustizia on. Clemente Mastella; Presidente
della Comm. Giustizia del Senato Cesare Salvi; Presidente Comm.
Giustizia della Camera Pino Pisicchio; Sottosegretario alla giustizia
sen. Luigi Manconi; Commissione Europea dei Diritti dell'uomo; Senatore
Giovanni Russo Spena; Senatrice Maria Luisa Boccia; Senatore Mauro
Bulgarelli; Onorevole Alberto Burgio; Presidente della Regione Emilia
Romagna; Presidente della Provincia di Parma; Sindaco di Parma;
Segreteria provinciale e regionale di R.C.; Il Manifesto; TG Parma;
Gazzetta di Parma; Ass. Pantagruel; Ass. Antigone; Amnesty
International Italia;
MEMORIA DAL SOTTOSUOLO
Perché nessuno possa dire... Non lo sapevo!
Denuncia della condizione di afflizione e arbitrio cui sono costretti i
detenuti del carcere di Parma e delle gravi violazioni compiute
dall’amministrazione penitenziaria.
A tutti i prigionieri...
...perché il silenzio è un cancro che divora la
dignità dell’uomo e fa
marcire la memoria.
Il carcere è una particolare forma dello spazio e del tempo, il
visibile prodotto dei rapporti sociali e più in generale della
dialettica “rispetto/trasgressione” delle norme sociali e giuridiche e
“legalità/illegalità” dei comportamenti del singolo o di
un gruppo. Il
carcere è il “luogo” (inteso come unità spazio-tempo) in
cui la libertà
individuale nei suoi molteplici aspetti viene istituzionalizzata
cioè
gestita dallo stato e quindi negata attraverso la restrizione fisica,
al fine di salvaguardare, affermare e rafforzare il sistema di valori e
di interessi promossi e praticati da una minoranza che a vario titolo
detiene il potere politico ed economico e di questi è
espressione, a
cui la maggioranza della società aderisce per consenso, paura e
incertezza materiale, perché del potere politico ed economico
conosce
solo il peso dello sfruttamento, la violenza del controllo e della
coercizione quotidianamente vissuti sulla propria pelle. Il carcere
è
il luogo in cui sono ristretti uomini e donne che trasgrediscono la
norma sociale e la legge o che mettono in discussione l’ordinamento
politico ed economico espressi nello stato.
Dietro alte mura di cinta dentro celle asettiche e spersolalizzate sono
rinchiusi e ammucchiati coloro che la società occidentale
borghese e
capitalista rifiuta e nasconde a se stessa, il suo prodotto più
vero e
di dirompente umanità, i prigionieri.
Bobore Sechi.
Il mio nome è SALVATORE SECHI, nato il 22-11-1972 a Sassari,
attualmente ristretto agli arresti domiciliari in quanto indagato e
imputato in attesa di giudizio insieme ad altri 8 patrioti comunisti ai
sensi dell’art. 270-bis c.p. Ho trascorso cinque mesi di custodia
cautelativa nel carcere di Buoncammino (Ca) con una breve parentesi
(dal 23 ottobre al 18 novembre) in un carcere di massima sicurezza
della Penisola.
Con la presente non voglio denunciare l’attacco politico mascherato da
operazione poliziesca e giudiziaria – tale è l’Operazione
Arcadia –,
portato avanti contro il Movimento Indipendentista e in particolare
contro “a Manca pro s’Indipendentzia”, organizzazione indipendentista
comunista di cui sono militante, ma rispondere a quello che sento
primariamente come mio dovere di uomo che crede fermamente nel valore
sostanziale della dignità umana, della libertà e della
democrazia, e
denunciare le condizioni di assoluta precarietà,
arbitrarietà e
violazione degli elementari diritti dei detenuti – riconosciuti dalla
Costituzione italiana, dall’ordinamento penitenziario e dal regolamento
di esecuzione, nonchè dalla legislazione internazionale sui
diritti
inalienabili dell’uomo e i dispositivi indicati con fermezza dalla
Corte di Strasburgo –, così come io stesso ho potuto toccare
direttamente.
Sento il dovere di unire la mia voce al coro dei detenuti che hanno
denunciato la realtà di quello che è stato descritto da
varie
personalità del mondo politico come il fiore all’occhiello del
sistema
carcerario italiano... il carcere di massima sicurezza di Parma.
Vista dall’esterno l’immagine moderna della struttura confonde il
visitatore o il malcapitato finito nelle maglie della giustizia. Il
prato inglese e i grandi padiglioni danno più la sensazione di
una
struttura ospedaliera o un grande centro polivalente per la
riabilitazione e il recupero sociale delle persone svantaggiate. A
tradire la funzione della struttura sono le sbarre alle finestre,
l’alto muro di cinta sul quale passeggiano le guardie armate e la targa
sulla porta d’ingresso che recita “Istituti Penitenziari di Parma”.
Vista dall’alto e da dentro, dagli occhi che si affacciano dai
finestroni delle celle, il carcere di via Burla appare in tutta la sua
fredda, scientifica e razionale archittettura di pena. L’esclusione
dalla società degli uomini e delle donne che qui dentro si
trovano ad
essere ristretti assume una forma “speciale”. La restrizione della
libertà personale – unica sanzione contemplata dai regolamenti,
dalle
leggi italiane ed internazionali –, è in questa struttura una
pena
sottesa alla vessazione, all’afflizione, all’arbitrio e alla negazione
della dignità umana erette a sistema. Il trattamento
inframurario è
improntato all’osservanza di un regolamento interno che non tiene conto
delle disposizioni dell’O.P. ne del Regolamento di Esecuzione; o meglio
sembra essere stato scritto tenendo conto unicamente di quello che
un’amministrazione penitenziaria può decidere liberamente.
Di fatto la legislazione in materia di ordinamento ed esecuzione della
pena si dimostra conflittuale e contradditoria al suo interno... Molto
di quello che riguarda la vita quotidiana degli uomini e delle donne
privati della libertà è lasciato alla
discrezionalità dei direttori e
dei comandanti della polizia penitenziaria che possono decidere se
applicare o meno ciò che secondo le normative italiane e
internazionali
sono diritti del detenuto. In questo caso il diritto cessa di essere
tale e si trasforma in negazione e arbitrio nel momento in cui la sua
applicazione è un fatto discrezionale.
Ho vissuto 27 giorni nella sezione E.I.V. e dal giorno sucessivo al mio
arrivo ho intuito l’ingiustificabile sproporzione tra il trattamento e
le esigenze di custodia e sicurezza.
Non parlo del mio caso particolare – del tutto simile a quello di tanti
altri compagni e compagne colpiti da repressione politica –, per quanto
l’essere classificato come persona altamente pericolosa per la
società
ed essere deportato dal carcere di Cagliari nell’istituto di via Burla
e sottoposto al trattamento nel regime E.I.V. sia stata la negazione
dei diritti dell’uomo e del cittadino universalmente riconosciuti,
nonchè la sospensione di tutti gli articoli dell’ordinamento
penitenziario e del relativo regolamento di esecuzione e di ogni
diritto e garanzia in quanto detenuto in attesa di giudizio.
Parlo di tutte le illogiche negazioni e limitazioni che diventano
soprusi e si manifestano per quello che realmente sono... la
volontà
cieca dell’amministrazione penitenziaria di seppellire il detenuto
sotto una montagna di “domandine” che spesso ricevono come risposta
lunghi silenzi o tempestivi rifiuti, che non feriscono per il “no”
ricevuto ma per il senso che la negazione assume... annientare la
dimensione umana e la dignità di chi è ristretto.
Che senso ha in termini di trattamento e di sicurezza:
1. creare un clima di stato d’assedio nelle sezioni di massima
sicurezza E.I.V., A.S., 41 bis, quando con puntuale scadenza
settimanale arriva una squadra composta da dieci-quindici guardie per
la “perquisizione ordinaria” delle celle. I detenuti vengono rinchiusi
nel lavatoio, per 15-20 minuti, ancora in pigiama o vestaglia
(perché
la perquisizione è un’attività mattutina effettuata di
solito tra le
7.00 e le 8.00). Quei 15-20 minuti bastano e avanzano per mettere
sottosopra vestiti, lenzuola e tutti gli effetti personali;
2. limitare la quantità di indumenti intimi, asciugamani e
vestiario di
cui disporre in cella? Tutto è strettamente numerato e
insufficiente a
garantire un ricambio continuo. E per la sostituzione di un qualsiasi
capo di biancheria o d’abbigliamento è necessario fare apposita
richiesta e attendere il giorno stabilito per turno per recarsi al
magazzino e sostituire l’indumento;
3. spegnere l’antenna centralizzata e oscurare la televisione alle 2.00
di notte per ricollegarla all’etere alle 7.00 del mattino? I migliori
programmi televisivi, trasmissioni culturali o film d’autore sono
trasmessi in seconda serata, o ad orari ancora più tardi...
perché
vietare la possibilità di vedere un bel film per intero?
Perché
l’amministrazione penitenziaria limita la sintonizzazione a soli 8
canali televisivi? Perché preferisce far marcire i telecomandi
in
qualche magazzino dell’istituto piuttosto che darli ai detenuti;
4. limitare a tre i libri che è consentito avere in cella? La
stessa
limitazione numerica vale anche per le riviste. La Bibbia non è
conteggiata come libro ma come effetto personale;
5. negare l’acquisto e l’utilizzo di penne diverse dalle biro Bic e non
poter acquistare o tenere in cella alcun materiale di cancelleria,
righelli, pastelli, matite colorate, fogli da disegno, calcolatrici...?
6. non poter tenere con se un numero di fotografie superiore alle 12
unità, vedersele ritirare dalla guardia che consegna la posta se
queste
arrivano con le lettere, perchè devono essere numericamente
catalogate
in magazzino, e così pure i libri, i quaderni e i diari che
famigliari
e amici inviano ai detenuti?... Si deve fare richiesta e andare a
prenderle in magazzino nel giorno di turno e se si hanno già con
se il
numero massimo di unità per oggetto, si deve fare la scelta di
quali
tenere con se;
7. battere forte e insistentemente per alcuni secondi le sbarre della
finestra, con una barra di ferro che provoca un rumore assordante e
fastidioso incupito dallo spazio ristretto della cella? Questo accade
due volte al giorno, ogni santo giorno. Pochissime guardie, giovani non
ancora del tutto istituzionalizzati, mosse da un senso di vergogna,
entrano nelle celle con aria di chi vorrebbe chiedere scusa e battono
sulle sbarre cercando di fare il minor rumore possibile e per la durata
di tempo più breve possibile;
8. essere contati sei volte al giorno quando si è costretti a
passare
21 ore chiusi in cella, nella totale disperante immobilità? E
che senso
ha il rituale che accompagna una conta mattutina e una serale, quando
tre guardie passano per le celle, una apre il cancelletto, una segna su
un ruolino e un’altra, di solito un graduato entra, fa tre-quattro
passi dentro la cella, gira i tacchi ed esce?
9. privare degli arredi le celle dei detenuti sottoposti a sorveglianza
particolare secondo l’art. 14 bis o.p., che prevede soltanto
l’isolamento notturno o diurno all’interno delle sezioni?
10. essere rinchiusi e dimenticati in celle isolate in aree isolate
dell’istituto (celle di segregazione e di tortura) che hanno come unici
arredi un tavolo, uno sgabello e un piano su cui dormire, che sono
tutt’uno con le pareti e il pavimento della nuda cella, e passarvi
dentro infiniti giorni, seminudi, o nudi completamente quando lo
richiede la perversa e maniacale cura della sicurezza, senza
sufficienti coperte con cui ripararsi dalle rigidità
dell’inverno
padano, spesso senza la possibilità di avere carta e penna o
quotidiani
o libri con cui ingannare il tempo e tenere viva la mente? Ad usufruire
di tali alloggi sono i detenuti che indotti dalle rigide misure
coercitive e dai sopprusi subiti, o da particolari debolezze
psicofisiche compiono o potrebbero compiere atti di autolesionismo o
rendere manifesto il proprio raggiunto limite di sopportazione. Altri
sono detenuti che hanno rivendicato i propri diritti e denunciato le
vessazioni e gli arbitri del sistema, e sono considerati turbolenti,
aggressivi e destabilizzatori. Queste particolari celle hanno una
doppia funzione repressiva e deterrente per dissuadere, sedare,
castrare la vivacità della personalità secondo il motto:
“se fai da
bravo vieni premiato (forse), se fai da cattivo sei bastonato
(sicuramente)”. Tutto avviene col tacito consenso che diventa
complicità di tutte le figure istituzionali e professionali che
a vario
titolo hanno a che fare col penitenziario di via Burla;
11. negare l’utilizzo di lettori cd e l’ascolto di musica su supporto
digitale? ...Ormai difficilmente si trovano in vendita musicassette...
È proibito persino avere in cella una semplice radio e si
è costretti
ad acquistare un walkman che costa molto di più;
12. negare l’utilizzo del computer nelle celle, che è un valido
strumento di lavoro e di studio, nonché un’alternativa alla
mortificazione intellettuale e all’istupidimento generato dalla
televisione?
13. negare la possibilità di fare attività sportiva e di
usufruire del
campo di calcio, – vietato ai ristretti nelle sezioni E.I.V., A.S. e 41
bis –, e della palestra in cui si può accedere solo un giorno a
settimana nonostante l’indulto abbia risolto i problemi di
sovraffollamento?;
14. negare la possibilità di acquistare un tappettino di gomma
per fare
ginnastica e portare con se una bottiglia d’acqua e un asciugamano nel
cortile dell’aria?
15. danneggiare le giacche e i pantaloni dell’abbigliamento sportivo,
privandoli dei lacci e rendendoli scomodi se indossati per fare
ginnastica?
16. vietare l’utilizzo di sciarpe, maglioni e golfini a collo alto,
cuffie di lunghezza superiore ai 18 cm, giubotti imbottiti o
trapuntati, e quant’altro servirebbe per affrontare le umide giornate
autunnali e il gelo invernale?
17. vietare l’utilizzo del corredo personle, coperte, paid, copriletto
e lenzuola, diversi dal materiale di casermaggio fornito
dall’amministrazione, che è freddo e avendo alle spalle diversi
lustri
è spesso malridotto?
18. avere a disposizione 2 ore d’aria al mattino e 2 ore al pomeriggio
ed essere di fatto impossibilitati ad usufruirne pienamente
perché
tutte le attività e tutti i servizi sono concentrati proprio in
quelle
ore? Chi frequenta i corsi scolastici deve rinunciare all’aria, chi
vuol farsi la doccia, o lavare i panni, o andare al magazzino, o farsi
visitare dal medico, o andare nella biblioteca del carcere a prendere
un libro, o parlare con l’ispettore o con le figure professionali o
compiere qualsiasi altra attività che richieda di stare fuori
dalla
cella deve rinunciare ad una parte di aria. Inoltre il tempo da passare
nel cortile murato è suddiviso in “moduli” di un’ora ciascuno
per cui
il detenuto è costretto a una scelta fortemente condizionata
dall’impossibilità di decidere quando, all’interno delle ore
stabilite,
uscire o fare ritorno in cella;
19. rendere impossibile anche solo immaginare l’idea di spazio aperto?
I muri di cemento armato alte 6 metri delimitano i cortili dell’aria –
uno spazio grande quanto 12x24 passi normali, controllato da due
telecamere –, che impediscono al sole di passare tanto che il cemento
è
vistosamente abbellito dal verde del muschio e dell’umidità, e
danno la
sensazione di essere le pareti di una fossa scavata nella terra?
20. negare li spazi verdi per i colloqui e costringere i detenuti ad
incontrare i famigliari nella stanza con il bancone divisore, non
essendo rispettato il regolamento d’esecuzione che prevede i tavolini
per un maggior contatto umano e intimità famigliare?
21. essere svegliati alle 7.00 e attendere la colazione che passa alle
8.00, ricevere il pranzo alle 11.30 e la cena alle 17.00? Tale
scientifica scansione dell’orario dei pasti rende indispensabile
l’integrazione con generi alimentari acquistati al sopravvitto.
Perciò
si può sospettare che sia un metodico meccanismo di esborso e
spoliazione delle esigue finanze dei detenuti che certo non hanno il
portafoglio del signor Callisto Tanzi per permettersi, come faceva lui,
di avere pranzo e cena forniti direttamente da un vicino ristorante;
22. negare la possibilità che il detenuto possa avere una
fotocopia
della lista dei generi del soppravvitto con relativi prezzi, per meglio
monitorare le proprie ordinazioni e le proprie spese?
23. limitare fortemente la scelta qualitativa del prodotto? Il
prezziario risulta aggiornato al mercato nero, eppure non siamo in
guerra, e non c’è l’inflazione al 20% ne la svalutazione
dell’euro. E
allora perché un pacco da 250 g di caffè lavazza
Qualità Oro (non c’è
altra scelta ad eccezzione del lavazza Dek), costa al prigioniero 3.25
euro e al supermarket del centro lo si paga poco più di 2 euro?
Altre
differenze di prezzo sono rilevabili attravero le pubblicità che
vengono fatte sui giornali per cui, facendo i relativi accostamenti, si
può affermare che a danno dei detenuti vengono applicati prezzi
da
albergo a cinque stelle in alta stagione in Costa Smeralda;
24. trattenere in magazzino il necessario per l’igene, la pulizia
personale e la barberia, costringendo il detenuto che arriva da
un’altro carcere ad acquistare di nuovo tutto l’occorrente? Questo
accade perfino al detenuto che nello stesso carcere da una sezione di
massima sicurezza passa ad un’altra. È una forma di estorsione
che va
ad ingrasssare le già pingui tasche dell’impresa che ha in
appalto la
gestione del vitto e del sopravvitto, nonché, sembra ovvio, le
tasche
di coloro che dirigono la struttura dal punto di vista amministrativo e
di custodia;
25. essere costretti a svolgere i colloqui telefonici senza nessuna
privacy, essendo il telefono installato nel bel mezzo dell’androne, di
fronte alle celle e senza nessuna cabina che garantisca la riservatezza
della comunicazione?
26. trasformare l’assistenza medica in una odissea fatta di attese,
scarso rispetto della privacy e negligenze...? Il personale medico
spesso visita il detenuto sulla soglia della cella, durante le ore
d’aria, per cui costringe il detenuto che ha richiesto un consulto a
stare in cella e il più delle volte l’attesa viene delusa. Dal
punto di
vista dei medicinali è da denunciare una grave carenza di quelli
più
comuni e il divieto di avere alcuni medicinali o pomate specifiche per
medicamento senza l’autorizzazione del medico. Anche le piccole
patologie, curabili con farmaci adatti, vengono trattati
specialisticamente. Le visite specialistiche sono a totale carico del
detenuto e quindi è facile credere che il sistema sanitario
dell’istituto penitenziario sia in realtà un’associazione a
delinquere
che lucra sulle spalle del detenuto. Inoltre accade che i prigionieri
che hanno necessità di essere assistiti vengano lasciati nelle
mani di
personale non specializzato, ovvero altri detenuti che piantonano
anziani, malati, convalescenti.
Negli Istituti Penitenziari di Parma sono quindi sistematicamente
disattesi, elusi, violati i seguenti articoli del Ordinamento
penitenziario e del relativo Regolamento di esecuzione, del codice
penale, della Costituzione, della Convenzione dei Diritti dell’Uomo:
l’art. 608 c.p. misure di rigore non consentite dalla legge;
l’art. 27 comma 3 della Costituzione le pene non possono consistere in
trattamenti contrari al senso di umanità;
l’art. 1 della legge n 354/75 Il trattamento penitenziario deve essere
conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della
dignità della
persona;
l’art. 3 della Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali: titolo 1 - Diritti e Libertà.
Proibizione
della tortura. Nessuno può essere sottoposto a tortura nè
a pene o
trattamenti inumani o degradanti;
l’art. 73 comma 2 - 6 - 8 del Regolamento di Esecuzione che sancisce in
modo chiaro dove e come si scontano le sanzioni disciplinari e il
relativo l’isolamento, ovvero nella propria cella, senza che questa
venga denudata degli arredi, con la sola esclusione dalle
attività in
comune (isolamento);
l’art. 9 del Regolamento di Esecuzione che indica la quantità di
indumenti che deve consentire un ricambio che assicuri buone condizioni
di pulizia e la funzionalità dell’abbigliamento in base alle
particolari condizioni climatiche delle zone in cui gli istituti sono
ubicati;
la circolare del D.A.P. n 687465 la tariffa dei generi posti in vendita
dovrà essere diffusa all’interno delle sezioni e aggiornata
costantemente. I generi alimentari devono rispondere ad un buon
rapporto qualità prezzo e il prezzo non può essere
superiore a quello
effettuato nei centri commercìali;
l’art. 1 del Decreto n 230 del 30-6-2000 Il trattamento degli imputati
sottoposti a misure privative della libertà consiste
nell'offerta di
interventi diretti a sostenere i loro interessi umani, culturali e
professionali;
la circolare del D.A.P. n 3556/6006 sul possesso dei computer, lettori
cd e componenti vari;
l’art. 27 della legge n 354/75 negli istituti devono essere favorite e
organizzate attività culturali, sportive e ricreative e ogni
altra
attività volta alla realizzazione della personalità dei
detenuti e
degli internati, anche nel quadro del trattamento rieducativo.
Non avevo mai sentito parlare di sezioni E.I.V. Alla prima esperienza
diretta con l’istituzione totale, deportato da una casa circondariale
della Sardegna, in cui ero ristretto nella sezione “ordinaria”, ero
portato a credere che simili limitazioni fossero il “normale”
trattamento per i reclusi nelle sezioni di massima sicurezza. Con
rabbia e stupore, parlando con gli altri detenuti e con i pochissimi di
altre sezioni che potevano accedere alla E.I.V. perché
lavoranti, con
le figure professionali che affiancano il lavoro della direzione, con
gli stessi religiosi, e soprattutto approfondendo la conoscenza
dell’Ordinamento Penitenziario e del Regolamento di esecuzione, ho
preso atto della situazione di arbitrio e di abuso che si verificano
nella sezione E.I.V. e in tutto il complesso concentrazionario, essendo
il trattamento inframurario standardizzato e fatto subire a tutti i
prigionieri senza distinzioni.
Ho trovato riscontro oggettivo alle storie che ho registrato nella
memoria e che stentano ad uscire dalle spesse e alte mura di via Burla
nelle lettere dei tanti detenuti, inviate alle associazioni che si
occupano dei problemi del mondo carcerario e alle istituzioni... Hanno
un significato diverso se lette con la coscienza di chi ha conosciuto
via Burla dall’interno, e non c’è nessuna esagerazione se
affermo che
gli Istituti Penitenziari di Parma sono una tomba che produce morti
assassinati dalle inesorabili, ingiustificabili e arbitrarie condizioni
di detenzione nel tentativo di ridurre uomini e donne a individui
lobotomizzati, deprivati di ogni impulso vitale e sterilizzati nei
sentimenti e nell’umanità.
Qualsivoglia forma di socializzazione finalizzata al reinserimento
sociale attraverso corsi di formazione o scolarizzazione, attraverso il
lavoro, attraverso lo sport, sono un fatto del tutto marginale e
assolutamente secondario, in quanto tutto è parametrato in
funzione
della massima sicurezza. La piccola saletta 3x3 metri non ha nessuna
velleità di essere un “laboratorio artigianale” come recita il
foglio
scritto a computer sulla porta. A fianco un’altra saletta delle stesse
dimensioni ha sulla porta un foglio con scritto “laboratorio artistico”
e un cavalletto per pittori che cerca di nascondere le macchie di
colore perché stonano col grigiore e la razionale efficenza del
lagher
di via Burla. Ancora a fianco un’altra saletta un pò più
grande
dovrebbe essere una sala informatica. Ciò è dimostrato
dall’esistenza
di tre computer, che definire giurassici è un eufemismo
perché rispetto
alla tecnologia che supportano è come dire che i dinosauri si
sono
estinti nel 1800. Ancora a fianco una saletta musicale con qualche
strumento impolverato... Tutto sembra essere realizzato per nascondere
la vera natura del carcere-lagher... Forse queste salette vengono fatte
vedere con orgoglio ai senatori, agli uomini del ministero di Grazia e
Giustizia, al magistrato di sorveglianza e alle istituzioni dell’Emilia
Romagna, della Provincia e del comune di Parma, che così possono
dire
ai giornali e in parlamento, che bell’esempio di carcere moderno
è
quello di via Burla, e continuarre a credere che gli ingenti
finanziamenti che gli “Istituti Penitenziari di Parma” ricevono, siano
realmente spesi per offrire servizi ai prigionieri e soprattutto per
mettere in atto progetti di reinserimento e risocializzazione.
Così scriveva un detenuto nel 2000: «All'interno del
carcere di Parma
il verbo della sicurezza ha congelato tutta la struttura (…) gente
chiusa in cella dalla direzione a non far niente per 21 ore al giorno,
assenza del lavoro, attività trattamentali vicine allo zero. In
poche
parole, il duro regime detentivo previsto dall'articolo 41 bis, in
vigore in una sezione del carcere di Parma, permea di sé
l'intero
carcere e viene fatto ricadere su tutti i prigionieri di via
Burla».
Ancora una denuncia di un’associazione che lavora in difesa dei
detenuti: «Da settembre a dicembre 2005 sono morte 5 persone,
appena
dopo la visita al carcere di via Burla del presidente della commissione
Giustizia al Senato che, facendo anche dell'ironia, ha dichiarato che
nel carcere è tutto a posto e che il problema del
sovraffollamento è
inesistente [nel 2005 nel carcere di Parma erano rinchiuse 650 persone
n.d.s.]. Per il direttore del carcere Di Gregorio [capelli fulvi e
barba colta, aspetto insignificante e un sorriso da burocrate del
terrore n.d.s.] sono episodi normali che accadono sia fuori che dentro;
peccato che a Parma succedano un pò troppo spesso, come
denunciamo già
dal 2001, quando la notizia di una serie di morti a catena ci
arrivò
dalle lettere dei detenuti».
Unisco la mia voce a quella dei tanti prigionieri che hanno denunciato
le disumane condizioni di vita nel carcere di Parma e in generale in
tutte le strutture di reclusione dello stato italiano, comprese quelle
disseminate nella mia terra, affinchè l’indifferenza e il
complice
silenzio delle istituzioni – cemento che consolida le spettrali mura
del carcere –, siano soffocati dalla melodia di un canto di
libertà che
nasce dalla lotta quotidiana per la difesa e l'affermazione della
dignità umana e dell’identità politica, culturale,
religiosa,
personale, di ogni uomo e donna, condotta con coraggio dentro e fuori
le mura... contro l’istituzione totale!
Con l'auspicio di un vostro puntuale interessamento al problema e una
incisiva e pronta azione per sanare la situazione di grave
illegalità
che vige negli Istituti Penitenziari di Parma, porgo i miei saluti.
...dalla “prigione domiciliare”...
Via Vittorio Emanuele III n 3 - 07012 Bonorva (SS) – Sardigna
20 marzo 2007
Salvatore Sechi