Nato a Bireh nel 1953.
Diplomato a Ramallah.
Sposato con 4 figli
Iniziò da giovane l'attività politica, nel 1967.
Si iscrisse al PFLP nel 1969.
Ha già passato 152 mesi nelle carceri israeliane, come di
seguito:
- marzo 1969 3 mesi
- aprile 1970 28 mesi
- marzo 1973 10 mesi
- maggio 1975 45 giorni
- maggio 1976 4 anni
- novembre 1985 30 mesi
- agosto 1989 9 mesi
- agosto 1992 13 mesi
Ricercato dalle forze di occupazione dal 1993
Arrestato dall'Autorità Nazionale Palestinese nel dicembre del
1995, e nel 1996 a gennaio e a marzo.
Ha ricoperto diversi incarichi , anche quando era in prigione.
Eletto membro del Comitato centrale del PFLP nel quarto congresso del
1981.
Rieletto membro del Comitato Centrale e del Politburo nel quinto
congresso del 1993 mentre era in carcere.
Membro del comitato del PFLP dei territori occupati e responsabile
della sezione del West Bank dal 1994.
Riconfermato membro del Comitato Centrale e del Politburo nel sesto
congresso del 2000.
Nel 2001 viene eletto segretario del partito subito dopo l'assassinio
del generale Abu Ali Mustafa.
Il 15 gennaio 2002 l'Autorità Nazionale lo arresta su
indicazione degli Israeliani, come scambio per la fine delle
ostilità contro Arafat.
L'Alta Corte di Giustizia si pronuncia per il suo immediato rilascio ma
l'Autorità Nazionale non rispetta la sentenza con il pretesto di
proteggerlo.
In
carcere a
Gerico, il 14 marzo 2006 é stato prelevato dalle truppe di
occupazione
dopo un attacco al carcere durato nove ore e portato in un carcere
israeliano.
La nostra associazione ha immediatamente diffuso un appello
a livello nazionale ed internazionale per la sua incolunità e
liberazione insieme agli altri detenuti politici.
INTERVISTA AD AHMED SA'ADAT
L'intervista che segue è
stata realizzata nella prigione palestinese di Gerico il 9 settembre
2002.
Ahmed Saadat, che a tutt'oggi non è stato processato e nemmeno
incriminato, è detenuto dal 1° maggio, in compagnia di quattro
militanti del FPLP e di Fuad Shubeiki, implicato secondo gli
Israeliani nella vicenda del cargo di armi "Karine A.".
Ahmed Saadat è segretario generale del FPLP. E' succeduto ad Abu
Ali Mustafà, assassinato dall'esercito israeliano il 27 agosto
2001 a Ramallah.
Accusato dalle autorità americane ed israeliane di avere
organizzato l'esecuzione di Zeevi, ministro del governo Sharon
conosciuto per le sue posizioni radicali in materia di espulsione di
massa dei palestinesi, Saadat è stato arrestato
dall'Autorità Palestinese il 15 gennaio 2002 e detenuto nel
palazzo presidenziale di Ramallah.
Il 29 marzo l'esercito israeliano metteva sotto assedio il palazzo
presidenziale di Arafat. Da subito, il governo israeliano ha
condizionato il ritiro dell'assedio alla sorte dei militanti del FPLP.
Il 27 aprile, un tribunale militare palestinese, riunito nei locali
presidenziali assediati dall'esercito israeliano, condannava quattro
militanti del FPLP rispettivamente a 18, 12, 8 e 1 anno di prigione per
l'assassinio di Zeevi. Il 1° maggio, in serata, i sei uomini erano
portati a Gerico, in base ai termini di un accordo imposto dagli USA, e
che li affidava a dei carcerieri palestinesi a loro volta sottoposti ad
un controllo americano-britannico. Nella notte, l'esercito israeliano
si ritirava dalle vicinanze del palazzo presidenziale. Il 3 giugno,
l'Alta Corte di Giustizia palestinese ordinava la liberazione di Saadat.
Da allora, Saadat attende nella sua prigione.
Julien Salingue
Perchè siete qui?
Noi siamo qui per ragioni essenzialmente politiche. Gli Israeliani,
appoggiati come d'abitudine dagli Stati Uniti, hanno chiesto
all'Autorità Palestinese di consegnargli tutte le persone
implicate nell'assassinio del ministro del turismo R. Zeevi.
L'Autorità, che raramente è stata così debole, in
questo momento fa tutto quello che le chiedono gli Stati Uniti ed ha
dunque accettato un accordo con Israele e la CIA. questo accordo non ha
alcuna base giuridica. Per la legge palestinese, il nostro arresto
è illegale, e inoltre non esiste in questa legge alcun articolo
che permetta di condannarci ad una qualsiasi pena. Per quanto riguarda
i miei compagni, sono stati condannati secondo la legge israeliana da
un tribunale speciale palestinese composto da persone che non avevano
alcuna esperienza e alcuna responsabilità nel campo della
Giustizia, che hanno inflitto pene che arrivano fino a 18 anni di
carcere. La mia situazione è un po' differente nella misura in
cui io non sono stato giudicato. Loro mi hanno arrestato e portato qui
in quanto segretario generale del FPLP. Nell'accordo che hanno
accettato, io devo essere «isolato», vale a dire che tutti
loro hanno voluto privarmi di qualunque attività politica o
mediatica. La Corte Suprema Palestinese si è pronunciata in
favore della mia liberazione, ma nessuno ne tiene conto.
Noi siamo dunque qui, in questa prigione ufficialmente palestinese,
nella quale, come avete visto, vi sono agenti della CIA e Britannici.
Il loro ruolo è di controllare che nella prigione
l'Autorità Palestinese faccia per bene quello che esige Israele,
infatti questi «osservatori» sono i veri guardiani della
prigione. E' una prigione israeliana, in definitiva. Voi avete visto i
controlli all'entrata: i Palestinesi hanno preso i vostri nomi e li
scrivono su una lista. Alla fine della giornata sono gli Americani e
gli Inglesi che la ritirano, per poi trasmetterne una copia agli
Israeliani. Per questo moltissime persone non osano farmi visita...
Qualche giorno fa è iniziato il
processo a Marwan Barghouti, che è stato fortemente
mediatizzato. Secondo voi, perché, mentre si è molto
parlato di lui, c'è silenzio su voi e i vostri compagni?
Voglio in primo luogo precisare che è importante che si parli di
Barghouti, io sono perché lo si faccia, non perché si
tratta di Barghouti, ma perché può servire da simbolo per
tutti i prigionieri politici palestinesi in Israele. Quanto al silenzio
su di noi, la prima responsabilità, non abbiate dubbi, incombe
sulla stessa Autorità Palestinese, così come alle ONG che
le sono legate. Loro hanno scelto di mettere l'accento su quelli che
sono in Israele perché per loro il nostro caso è
abbastanza fastidioso. Come vi ho detto, ci hanno messo qui
perché glielo hanno chiesto gli Americani, e allora il fatto che
dei responsabili palestinesi abbiano accettato di arrestare dei membri
della Resistenza palestinese può apparire piuttosto
contraddittorioe. Per questa ragione l'Autorità e le sue ONG
hanno scelto di osservare il silenzio sul nostro caso. Questa è
un'enorme ammissione di debolezza. Noi siamo qui perché abbiamo
soppresso Zeevi, un ministro di estrema destra razzista che sosteneva
il transfert di tutti i Palestinesi verso la Giordania, che era membro
del gabinetto israeliano e che appoggiava sistematicamente tutti i
propositi di liquidazione dei responsabili della Resistenza
palestinese. Lui è uno di quelli che hanno chiesto l'assassinio
di Abu Ali Mustafà (segretario del FPLP, assassinato nell'agosto
2001). Noi dovevamo rispondere allo stesso livello, vale a dire
uccidendo uno dei loro responsabili. Quello che avrebbe dovuto e
dovrebbe fare l'Autorità, piuttosto che sottomettersi alle
richieste israeliane, è agire come fanno gli Israeliani, vale a
dire esigere che tutti gli Israeliani che decidono o sono implicati
nelle uccisioni di Palestinesi le siano consegnati. Invece, non dice
nulla ed evita di parlare di noi. Tutto quello che sono riusciti a fare
è stato aiutare gli Israeliani, che chiedevano da tempo che il
FPLP fosse inserito nella lista delle organizzazioni terroriste
dell'Unione Europea. Da allora, è stata cosa fatta. Ancora da
prima, numerosi Partiti Comunisti rifiutavano di incontrarci, ed
è stato ancora peggio dopo. Il Partito Comunista Francese, per
esempio, che era venuto per incontrare la «sinistra
palestinese», ha rifiutato di incontrarci ufficialmente. Idem per
il Partito Comunista di Cipro. E per altri. Questo contribuisce
ugualmente al silenzio che ci circonda.
Attualmente, si parla molto di unità dell'insieme delle forze
palestinesi. Come percepite questo, voi che siete stati imprigionati
con l'accordo dell'Autorità Palestinese?
Sapete, la situazione è complessa. Alcuni membri di Fatah, fra i
quali diversi quadri del partito, hanno partecipato alle manifestazioni
per esigere la nostra liberazione. Vi sono sempre più
contraddizioni in seno a questo partito, fra il ruolo che gioca o
vorrebbe giocare nella Resistenza e il ruolo che gioca in seno
all'Autorità. L'Autorità vorrebbe che la Resistenza
cessasse completamente al fine di negoziare con gli Israeliani, il che
non è il caso né della popolazione né dei partiti
politici. Noi vogliamo molto di più: dopo il fallimento di Oslo,
vogliamo una vera strategia di lotta che permetta alle rivendicazioni
palestinesi di affermarsi, costruendo una società realmente
democratica. Al Fatah è d'accordo, direi anche che l'insieme dei
partiti politici è oggi d'accordo per fondare una direzione
temporanea che diriga la Resistenza palestinese. Evidentemente
l'Autorità Palestinese non vuole sentire parlare di questa
direzione temporanea che rimetterebbe in causa il loro potere. Oggi
è chiaro che l'Autorità è un ostacolo per la
resistenza, nella misura in cui rappresenta esclusivamente gli
interessi della borghesia palestinese, interessi che sono quelli degli
Israeliani, non quelli della popolazione palestinese. Loro non hanno
alcun interesse a che l'Intifada prosegua, al contrario quello che
vogliono è fermare la Resistenza, in altri termini si può
dire che i loro interessi vanno contro quelli della popolazione.
Vedete, anche se pervenissimo a fare l'unità fra i partiti
politici palestinesi, resterà un ostacolo che si chiama
Autorità Palestinese.
Come analizzate la situazione attuale?
Per comprenderla, bisogna tornare agli accordi di Oslo. Quegli accordi
erano un progetto, quasi esclusivamente commerciale, fra la borghesia
palestinese e l'occupante israeliano. Israele è riuscito, grazie
a questi accordi, a far sì che l'OLP abbandonasse il suo
programma e la sua strategia, a detrimento delle condizioni di vita
della popolazione palestinese. Ricordatevi che a quell'epoca, dopo la
guerra del Golfo, l'OLP aveva delle grosse difficoltà
finanziarie. Gli accordi di Oslo hanno rappresentato una
possibilità di recuperare denaro grazie ad importanti accordi
commerciali. Oslo non è un accordo politico che avrebbe potuto
permettere di raggiungere una soluzione per il popolo palestinese, ma
un progetto bello e buono che riguardava solo questioni sicuritarie e
commerciali, fra le cui finalità c'era la sicurezza israeliana.
C'è stato con Oslo un passaggio del testimone fra gli Israeliani
e l'Autorità in un certo numero di regioni, comprese zone in cui
l'Autorità non controllava assolutamente nulla. Gli anni sono
passati, con i risultati che conoscete, e con un dato essenziale,
contenuto negli accordi di Oslo, i quali implicano che è vietato
cercare una «soluzione» altra dalla negoziazione con gli
Israeliani. E c'è stato l'episodio di Camp David e le proposte
scandalose di Barak e Clinton. Il FPLP era (ed è sempre) per
fermare ogni negoziazione con l'occupante, il che avrebbe comportato
per l'Autorità Palestinese di diventare un vero movimento di
resistenza, a fianco del popolo. Ma essa non ha scelto questa strada.
Ed oggi siamo arrivati a questa situazione, nella quale la sola
opposizione che esiste fra occupante e occupato è l'opposizione
fra il popolo palestinese e lo Stato di Israele, con una
Autorità che guarda tutto questo dall'esterno, una
Autorità spettatrice che vuole una cosa sola: recuperare ad ogni
costo il suo potere.
Quale strategia, oggi, permetterà di ricostruire un forte
movimento palestinese?
La Resistenza, per tutte le ragioni che abbiamo evocato, è oggi
in una situazione molto difficile. Ma anche in questa situazione
difficile, si può vedere che continua a produrre effetti,
specialmente in Israele, che sia l'instabilità sociale crescente
o la crisi economica che li colpisce da diversi mesi. Bisogna costruire
le basi perché la Resistenza continui e diventi sempre
più forte. Questo comporta molte cose: in primo luogo bisogna
costruire una resistenza popolare, aperta a tutti, nella quale
l'insieme della popolazione trovi il suo posto. E perché
non si riproducano gli errori del passato, vale a dire perché
non si sacrifichi il popolo e solo la borghesia ne tragga benefici,
è essenziale non separare resistenza contro l'occupazione e
lotta per la democrazia. Oggi conviene ricostruire una OLP forte
e democratica, sola istanza che possa rappresentare gli interessi di
tutta la popolazione palestinese, compresi i rifugiati. Si tratta di
combinare una unità «dal basso» ed una unità
«dall'alto». Il secondo elemento fondamentale è di
non dimenticare mai che la nostra lotta deve essere collocata nel
contesto internazionale, e dunque nel sistema imperialista mondiale.
Israele è uno Stato il cui ruolo essenziale è la
protezione degli interessi dell'imperialismo nella regione. Questo ha
delle forti assonanze con la situazione del Sud Africa del periodo
dell'Apartheid. La nostra lotta è fondamentalmente
anti-imperialista, la questione palestinese è oggi nel cuore dei
problemi mondiali, è per questo che dobbiamo costruire una
resistenza che sia in rapporto con i movimenti anti-imperialisti del
mondo intero. La solidarietà di cui abbiamo bisogno è una
solidarietà anti-imperialista, penso specialmente al movimento
anti-globalizzazione che si è sviluppato negli ultimi anni. Se
vogliamo riuscire, dobbiamo certo costruire una resistenza popolare, ma
anche non separare mai il locale e il globale ed essere coscienti che
la nostra lotta si integra nel contesto più ampio delle lotte
contro l'imperialismo e contro la globalizzazione capitalista, verso le
quali dobbiamo indirizzarci.
Abbiamo parlato della strategia. Qual'è il progetto politico?
Come FPLP, non pensiamo che la soluzione dei «due Stati per due
popoli» sia una soluzione che abbia una prospettiva. Anche se noi
pervenissimo a soddisfare questa rivendicazione, il problema sarebbe
lontano dall'essere risolto, in primo luogo perchè lo Stato di
Israele continuerebbe ad esistere così come è. E
soprattutto si porrebbero due questioni principali:
Che si fa dei rifugiati? Per noi la questione del diritto al ritorno
dei rifugiati, che rappresentano più della metà dei
Palestinesi, è una questione fondamentale, nella misura in cui
il diritto al ritorno è un diritto inalienabile. Ora, con la
soluzione «due Stati per due popoli», si escludono di fatto
i rifugiati. E' fuori questione che vivano in Cisgiordania o a Gaza...
lo vedete, il problema principale rimane.
Cosa diventano i Palestinesi del 1948? Il problema è ugualmente
importante, nella misura in cui sono più di un milione e che
sono prima di tutto Palestinesi e che vivono anche loro l'oppressione
dello Stato di Israele.
Non mi dilungo, ma lo vedete, la soluzione dei due Stati non può
essere, nella migliore delle ipotesi, che una soluzione temporanea. Una
soluzione reale al conflitto dovrà rispondere a tre questioni
fondamentali: la fine dell'occupazione, il ritorno dei rifugiati e
l'instaurazione di un potere realmente democratico sull'insieme della
Palestina storica. Quando ci si rapporta alla storia, è la sola
soluzione legittima. E soprattutto, come dicevo prima, dobbiamo
considerare la soluzione a livello internazionale. Anche da questo
punto di vista, solo un vero potere democratico sull'insieme della
Palestina del mandato potrà rispondere alle nostre aspirazioni.
Certamente è una risposta che attacca frontalmente
l'imperialismo a livello mondiale ed è chiaro che gli
imperialisti non l'accetteranno mai. Questo significa che la nostra
resistenza continuerà, che conoscerà alti e bassi, ma
è evidente che per raggiungere i nostri obiettivi avremo bisogno
di tempo. E di sostegno. Ma io credo che l'emergere del movimento
anti-globalizzazione è un segnale eminentemente positivo. Anche
la vostra presenza qui e il fatto che ci siamo incontrati mi fa dire
che, anche se il momento attuale è difficile, l'avvenire non
è forse così buio.
Intervista realizzata da Julien
Salingue
Traduzione da www.solidarite-palestine.org