Dalle facoltà occupate della Sapienza di Roma, dall'ateneo in
mobilitazione
ottobre 2008
La realtà accademica chiede che venga ritirata la riforma
Gelmini. Ecco il testo redatto dalle facoltà occupate de La
Sapienza di Roma, che propone una giornata di mobilitazione per il 7/11
e un corteo nazionale nella capitale il 14 (in parallelo allo sciopero
dell'università promosso dai confederali), mentre rilancia
quello generale del 30 ottobre
Alle facoltà in mobilitazione,
alle studentesse e agli studenti,
ai dottorandi, ai precari della ricerca
"Noi la crisi non la paghiamo", è questo lo slogan con cui poche
settimane fa abbiamo iniziato le mobilitazioni all'interno
dell'università la Sapienza. Uno slogan semplice, ma nello
stesso tempo diretto: la crisi globale del nostro tempo è stata
prodotta dalla speculazione finanziaria e immobiliare, da un sistema
senza regole né diritti, da manager e società senza
scrupoli; questa crisi non può ricadere sulle spalle della
formazione, dalla scuola all'università, della sanità,
dei contribuenti in genere. Lo slogan è diventato famoso,
correndo veloce di bocca in bocca, di città in città.
Dagli studenti ai precari, dal mondo del lavoro a quello della ricerca,
nessuno vuole pagare la crisi, nessuno vuole socializzare le perdite,
laddove la ricchezza è stata per anni distribuita tra pochi,
pochissimi.
Ed è proprio il contagio che si è determinato in queste
settimane, la moltiplicazione delle mobilitazioni nelle scuole, nelle
università, nelle città, che deve aver suscitato molta
paura. Si sa, il cane che ha paura morde, altrettanto la reazione del
presidente del Consiglio Berlusconi non si è fatta attendere:
"polizia per le università e le scuole occupate", "faremo fuori
la violenza dal paese". Soltanto ieri Berlusconi aveva dichiarato di
voler aumentare i sostegni economici alle banche e di voler fare dello
stato e della spesa pubblica garanti in ultima istanza per i prestiti
alle imprese: in una parola, tagli alla formazione, meno risorse per
gli studenti, tagli alla sanità, ma soldi alle imprese, alle
banche, ai privati.
Ci chiediamo allora dove si trova la violenza: è violenta
un'occupazione o piuttosto è violento un governo che impone la
legge 133 e il decreto Gelmini, in barba a qualsiasi discussione
parlamentare? E' violento il dissenso o chi intende soffocarlo con la
polizia? E' violento che si mobilita in difesa dell'università e
della scuola pubblica o chi intende dismetterle per favorire gli
interessi economici di pochi? La violenza sta dalla parte del governo
Berlusconi, dall'altra parte, nelle facoltà o nelle scuole
occupate, c'è la gioia e l'indignazione di chi lotte per il
proprio futuro, di chi non accetta di essere messo all'angolo o
costretto al silenzio, di chi vuole essere libero.
Ci è stato detto che sappiamo soltanto dire no, non abbiamo
proposte. Niente di più falso: proprio le occupazioni e le
assemblee di questi giorni stanno costruendo una nuova
università, un'università fatta di conoscenza, ma anche
si socialità, di sapere ma anche di informazione, di
consapevolezza. Studiare è per noi fondamentale, proprio per
questo riteniamo indispensabili le proteste: occupare per poter far
vivere l'università pubblica, dissentire per poter continuare a
studiare o fare ricerca. Molte cose nell'università e nelle
scuole vanno cambiate, ma una cosa è certa, il cambiamento non
passa per il de-finanziamento. Cambiare l'università significa
aumentare le risorse, sostenere la ricerca, qualificare i processi
formativi, garantire la mobilità (dallo studio alla ricerca,
dalla ricerca alla docenza). Il de-finanziamento, invece, ha un solo
scopo: trasformare le università in fondazioni private,
decretare la fine dell'università pubblica.
Il disegno è chiaro, anche gli strumenti: la legge 133 è
stata approvata nel mese d'agosto, di fronte al dissenso di decine di
migliaia di studenti si invoca l'intervento della polizia. Questo
governo vuole distruggere la democrazia, attraverso la paura,
attraverso il terrore. Ma oggi, dalla Sapienza in mobilitazione e dalle
facoltà occupate diciamo che noi non abbiamo paura e di certo
non torneremo indietro sui nostri passi. È nostra intenzione,
piuttosto, far retrocedere il governo: non fermeremo le lotte fin
quando la legge 133 e il decreto Gelmini non verranno ritirati! E
questa volta andiamo fino in fondo, non vogliamo perdere, non vogliamo
abbassare la testa di fronte a tanta arroganza. Per questo invitiamo
tutte le facoltà in mobilitazione del paese a fare la stessa
cosa: vogliono colpire le occupazioni e allora che altre mille
facoltà occupino!
In più, al seguito dello straordinario successo dello sciopero e
delle manifestazioni del 17 ottobre, indetti dai sindacati di base,
riteniamo giunto il momento di dare una risposta unitaria e coordinata
nelle piazze delle nostre città. Proponiamo di dare vita a due
scadenze nazionali: una giornata di mobilitazione per venerdì 7
novembre, con manifestazioni dislocate in tutte le città; una
grande manifestazione nazionale del mondo della formazione,
dall'università alla scuola, a Roma per venerdì 14
novembre, giornata in cui i sindacati confederali hanno decretato lo
sciopero dell'università. Altrettanto riteniamo utile
attraversare, con le nostre forme e i nostri contenuti, lo sciopero
generale della scuola promosso dai sindacati confederali fissato per
giovedì 30 ottobre.
Quello che sta accadendo in questi giorni ci parla di una mobilitazione
straordinaria, potente, ricca. Una nuova onda, un'onda anomala che non
intende fermarsi e che piuttosto vuole vincere. Facciamo crescere
l'onda, facciamo crescere la voglia di lottare. Ci vogliono idioti e
rassegnati, ma noi siamo intelligenti e in movimento e la nostra onda
andrà lontano!