1906-2006
Centenario
della C.G.I.L.
Sezione Brevi
Monografie
IL SINDACATO NELLA
RESISTENZA
1943 –1945
1.
Il Sindacato nella Resistenza: 1943-1945
2.
L’Unità Sindacale: 1944-1948
3.
1948-1955: Dalla rottura dell’unità sindacale alle elezioni del
1955
delle
Commissioni Interne,
4.
1956-1963: Dal Convegno “ I lavoratori ed il Progresso Tecnico” al
1963
5.
La ripresa operaia: 1963-1968
6.
L’Autunno caldo: 1969-1974
7.
1975-1984: dalla ristrutturazione capitalistica al movimento degli
autoconvocati.
8.
Monografia tematica: La stagione dei Consigli
9. La
contrattazione: dalla centralizzazione alla trattazione decentrata.
Le
monografie sono concepite come brevi monografie di max 8-10pagine,
ciascuna a
scadenza quindicinale a partire da novembre. Lo scopo è quello
di aprire un
dibattito sull’esperienza del movimento operaio italiano, come momento
per una
più ampia riflessione sui problemi ed i compiti che stanno
dinanzi alla classe
operaia:
Centralità Operaia,
Scienza e centralità Operaia,
Limiti della dimensione nazionale e
dimensione
europea e ‘ transnazionale’:
nuovi compiti di una Organizzazione mondiale
Sindacale.
Organizzazione del processo produttivo e organizzazione sindacale.
Novembre
2001
Riteniamo utile
aprire questa monografia con un elenco anche se parziale, ma
sostanziale, delle
lotte operaie del periodo in esame.
E’ questa cadenza, è
questo ritmo alto della lotta di classe, l’unico in grado di spiegare
tutte le
scelte che forze borghesi faranno, in grado di spiegare le posizioni
che
prenderanno, in grado di far comprendere la direzione che gli eventi
presero.
Occorrerà sempre
tener presente questo quadro di riferimento per cogliere la dinamica
del
periodo in esame: esso vede la presenza decisiva del proletariato
italiano
sulla scena politica nazionale, europea e mondiale e ne detterà
ritmi, forme e
modi.
Scioperi
operai dall’8
settembre al 25 aprile 1945.
15
novembre 1943 sciopero di tutte le
officine metallurgiche di Torino;
22.
novembre
sciopero di tutte le
officine metallurgiche di Torino;
23.
novembre
sciopero generale a
Genova;
27.
novembre
sciopero dei tranvieri
di Genova;
1. dicembre
sciopero delle officine metallurgiche di Torino;
10.
dicembre
sciopero generale nel
Biellese, nella Valsesia e nella Val d’Ossola
13-21.
dicem sciopero
generale nelle
officine di Milano;
20.
dicembre
sciopero generale nella Valsesia e nel Biellese;
16-20.
dicem sciopero
generale a
Genova;
20-23.
dicem sciopero
a Savona, Vado Ligure
ed in tutta la zona industriale della Val Bormida;
23.
dicembre sciopero
nei cantieri di Monfalcone, nelle officine di
Padova e Porto Marghera;
13-20.
gen. 1944 sciopero di tutte le
fabbriche di Genova;
21. gennaio
sciopero nelle officine di Varese, Sesto Calende, Bolzano;
1-8.
marzo
sciopero generale in
tutta l’Italia occupata dai nazisti;
5. aprile
sciopero generale a Forlì che salvò dalla morte 9
partigiani;
5-12
aprile
sciopero generale a
Modena
1.
maggio sciopero
generale a Imola
e sciopero parziale in tutte le provincie dell’Emilia;
11-12.maggio sciopero ad Omegna di protesta
contro la
fucilazione di 14 partigiani;
15. maggio sciopero
allo stabilimento Eridania di Genova;
20. maggio sciopero
a Parma per strappare alla morte 37 partigiani;
20. maggio sciopero
delle mondine nel Pavese e nel Bolognese;
30.
agosto sciopero
degli stabilimenti
s.Giorgio di Genova;
1. settembre sciopero negli
stabilimenti Fiat di Torino;
10.
settembre sciopero generale dei ferrovieri nel Piemonte – durerà
fino al 25.
aprile 1945;
21. settembre sciopero generale di
Milano;
28. settembre sciopero nelle
fabbriche di Torno contro la fucilazione di 7
partigiani;
7. novembre fermata di lavoro in
tutti gli stabilimenti di Torino per
commemorare la
Rivoluzione
d’Ottobre;
17. novembre sciopero alle
acciaierie Dalmine di Bergamo;
18-20.
novem sciopero delle
maestranze Fiat
a Torino;
21.
novembre sciopero degli operai della
Teti e degli operai del porto di Genova;
22. novembre sciopero degli operai
della san Giorgio di Sestri:
23 novembre sciopero generale
a Milano;
29-30.novem. sciopero generale a Torino e nel
Biellese;
30. novembre sciopero generale nel
Biellese;
1-10.dicembre sciopero al cantiere navale di Monfalcone,
negli stabilimenti di Porto Marghera,
in quelli di Vado
Ligure ed alla Pignone di Firenze;
12. dicembre sciopero generale nel
Biellese;
3-4.gernnaio
1945 sciopero generale nel Biellese e
nella Val sassera, ad Ovada e Varese;
24. gennaio sciopero di
protesta in molte fabbriche di Torino contro le
fucilazioni dei partigiani;
14. febbraio sciopero di
protesta alla Lancia contro le fucilazioni di
partigiani;
23. febbraio fermate di
lavoro in tutte le officine milanesi in occasione
dell’anniversario della
Armata Rossa:
11. marzo sciopero
alla Fiat di Torino;
10-12
marzo sciopero a Novara, Vercelli,
Aosta;
26. marzo
sciopero al cantiere navale s. Giorgio ed
alle fonderie Fossati di Genova;
28. marzo sciopero
in oltre cento fabbriche di Milano;
28. marzo sciopero
generale di 5 giorni nel Biellese contro i
rastrellamenti dei partigiani;
sciopero alla Viberti
di Torino contro la fucilazione di 5 partigiani;
sciopero alla
manifattura tabacchi di Bologna:
10 aprile sciopero
generale a Sesto s. Giovanni.
L’elenco parziale degli scioperi che si ebbero non sono che l’aspetto più eclatante dell’opposizione operaia, a questi vanno aggiunte le decine di migliaia di azioni quotidiane di sabotaggio alla produzione, alle materie prime, al prodotto finito, ritardi nei tempi di lavorazione, rallentamenti per mille e mille scuse e per mille inceppi che si attuavano per rallentare, ostacolare, sabotare la produzione; le migliaia e migliaia di azioni quotidiane nel sabotaggio dei trasporti, nel rallentamento delle consegne e nel ritiro dei materiali prodotti; le migliaia di azioni quotidiane nei quartieri, nei bar, ecc.
Il
nemico venne così a trovarsi sotto una costante, quotidiane,
fastidiosa azione
di opposizione, che ne sfiancava il morale, tagliava le gambe, mostrava
appieno
tutta l’inutilità della repressione e faceva chiaramente
intendere la
sconfitta. Il sabotaggio alla produzione era un duro colpo alla
produzione
bellica tedesca.
Era
la fabbrica il centro, il fulcro dell’intera lotta partigiana.
Era
la lotta di fabbrica, la classe operaia delle industrie, che costituiva
la
retrovia e la prima linea della lotta contro i nazisti ed i fascisti.
La lotta
di fabbrica costituiva al tempo stesso la cerniera tra la città
e la campagna,
guidava la lotta delle campagne, che si organizzava attorno ai Comitati
d’agitazione di villaggio. Era la fabbrica la retrovia della resistenza
quella
che formava i quadri per la resistenza, tramite la lotta nelle
fabbriche
venivano reclutati i partigiani e ciascuna fabbrica si faceva carico di
un
distaccamento partigiano, sostenendolo e provvedendo a fornirgli sempre
nuovi
partigiani e quadri per la lotta armata contro i fascisti ed i nazisti.
Era
la lotta di fabbrica che costituiva esempio e slancio alla lotta delle
popolazioni e per tutte le altre categorie: impiegati, lavoratori della
sanità,
ecc. Era ancora la lotta di fabbrica che teneva impegnate interi
reparti
tedeschi, sottraendoli così alla lotta contro i partigiani;
inchiodando il
nemico nelle città e costringendolo a spostare nuove ed altre
forze da altri
teatri di guerra per tenere sotto controllo le zone industriali
dell’intera
Italia del centro e del nord. E’ un contributo di vitale importanza:
politico e
militare che la lotta di fabbrica da.
Le lotte operaie del marzo 1943 segnano un momento di svolte tra le lotte operaie sviluppatesi a partire dall’autunno del 1942 e quelle successive, che sfoceranno nell’insurrezione armata del 25. aprile. 1945. Segnano un salto in avanti dell’opposizione della classe operaia al fascismo, alla guerra, allo sfruttamento. Segnano l’ingresso forte da protagonista del proletariato in quanto classe egemone e dirigente.
Il 5. marzo. 1943 la classe operaia della Fiat incrocia le braccia: è sciopero!
La lotta si estende ben presto alle altre fabbriche di Torino.
Il 14. marzo. 1943 è Porto Marghera.
Il 23. marzo. 1943 sono gli operai della Falck di Sesto San Giovanni.
Alla fine di marzo scioperi ed agitazioni sono diffusi in tutta l’Italia settentrionale, comprese la Toscana e l’Emilia.
L’andamento
della protesta seguiva il
medesimo andamento, a dimostrazione e conferma di una direzione e di un
preciso
piano di lotta, partendo da precisi obiettivi di natura economica:
salario,
abolizione del cottimo, sospensione della produzione durante i
bombardamenti, ecc. approdava a
richieste dal significato più
propriamente antifascista ed anticapitalistico: il rifiuto della
guerra,
innanzitutto, e poi il ripristino delle libertà politiche.
Gli scioperi del marzo 1943 ebbero ripercussioni sul piano economico, politico e militare, interno ed internazionale.
Sul piano politico interno decretò la fine di Mussolini. La minacciosa comparsa sulla scena politica della classe operaia spingeva la borghesia a sostituire Mussolini.
La borghesia in verità nutriva ancora illusioni, dopo la pesante ed umiliante sconfitta a Stalingrado, sulla controffensiva di Leningrado che Hitler stava preparando, gettando sul fronte settentrionale un milione e mezzo di uomini, ritirati dai vari fronti, compreso quello d’Africa. Sarà l’umiliante sconfitta dell’offensiva, esauritasi nel giro di 48ore, la controffensiva su Leningrado a nord e quella sul saliente di Kursk a sud, che stringerà in un tremenda tenaglia d’acciaio le armate di tedesche e l’avanzata dell’Armata Rossa verso Occidente, che spingerà la borghesia ad abbandonare Mussolini, il fascismo e tutti i gerarchi fascisti alla loro sorte: 25 luglio. 1943.
Le lotte del marzo 1943 acuirono le contraddizioni nel blocco imperialista, staccando definitamente la piccola e media borghesia dal blocco sociale che aveva sino a quel momento sostenuto il fascismo, liberando forze e rendendole disponibili alla lotta.
Giustamente scriverà l’Unità del 31. marzo 1943:
“ La classe
operaia sente che è giunto il momento
di riprendere, sul terreno dell’azione, la sua importante funzione di
avanguardia del popolo italiano nella lotta contro la guerra ed il
fascismo. La
coscienza di classe si ridesta e con la coscienza rinasce la
capacità di lotta
dei lavoratori italiani che vogliono rimuovere dalle loro spalle il
pesante
fardello di sacrifici e privazioni di una guerra ingiusta ed
antinazionale.”.
Sul piano internazionale incrina l’asse Roma-Berlino. L’Italia diventa pericolosa per l’incapacità del regime e della monarchia di tenere il fronte interno e sia anche per il pericolosissimo contagio.
Inoltre indicava a tutta la classe operaia europea la via da seguire ed apre al proletariato ed ai popoli la via della lotta: prendere risolutamente nelle proprie mani le sorti del Paese e dell’Europa, agire da protagonista in quanto classe egemone e dirigente.
Sarà poi sull’onda del marzo 1943 e delle contraddizioni che esso aprirà nel fronte borghese, che si avranno poi le Quattro giornate di Napoli del settembre 1943.
Sul piano sindacale gli scioperi portavano a maturazione definitiva la crisi del sistema corporativo fascista, sconquassandone l’intero edificio oppressivo-burocratico.
Andava così, uno dopo l’altro, in pezzi l’intera struttura del consenso coercitivo della borghesia.
Ma gli
scioperi del
marzo 1943 che erano stati preparati dai comunisti Umberto Massola e
Leo
Lanfranco, che avevano coordinato poi gli scioperi di Torino,
decretarono anche
la fine del lungo dibattito che a partire dal 1926, scioglimento della
CGL da
parte della direzione socialista di D’Aragona, si era aperto nel
movimento
operaio e sindacale.
Il dibattito
vedeva da una parte la
Confederazione Generale del Lavoro, CGL, clandestina, operante in
Italia e
sotto la guida del Partito Comunista d’Italia, sezione della III
Internazionale
[ PCd’i ], che sosteneva la necessità di organizzare la classe
operaia e non
lasciarla sotto l’influenza della borghesia e del fascismo. Di Vittorio
sosteneva che c’era spazio nelle Corporazioni fasciste, perché
viva rimaneva la
contraddizione tra sfruttati e sfruttatori, tra lavoro salariato e
capitale e
che tali contraddizioni tendevano ad esplodere prendendo le più
disparate
forme, che toccava ai comunisti interpretarle correttamente,
organizzarle e
dirigerle e far crescere la coscienza di classe e con essa
l’organizzazione
della classe, a partire dalle singole questioni delle singole aziende.
Questa
attività clandestina nelle fabbriche si coniugava con quella
dell’organizzazione del Partito Comunista d’Italia, attraverso le
cellule sui
luoghi di lavoro[1].
Vedremo in
seguito tutta l’importanza e
centralità di questa scelta fatta nel periodo 1926-1943, che
costò la libertà a
decine di migliaia di quadri operai.
L’altra
posizione era quella sostenuta da Bruno
Buozzi, a capo d i una fantomatica CGL in esilio a Parigi.
A giudizio di
Buozzi la lotta antifascista non
avrebbe potuto in alcun modo essere stata calata all’interno dei luoghi
di
lavoro, giacché le corporazioni rappresentavano nelle loro
funzioni la natura
di uno Stato totalitario, che andava scopertamente e risolutamente
combattuto.
In questo
modo da una parte finiva per “ non
disturbare il manovratore”, cioè il regime fascista e Mussolini,
in sintonia in
fin dei conti con la logica che aveva portato la direzione socialista a
sciogliere
la CGL e dall’altra la fraseologia di sinistra: “ scopertamente e
risolutamente combattuto“ assolveva al
ruolo di provocazione, giacché spingeva quadri ed elementi
attivi a scoprirsi,
mentre loro, e Buozzi in testa, se ne stava a Parigi.
La posizione
assunta di una CGL in esilio è un
assurdo in sé, che copriva assai poco nobili intenzioni e
teorie: “ non
disturbare il manovratore”.
Ma tutto
questo poggiava su una ben solida
concezione teorica, che costituisce poi l’essenza di tutta la
concezione
teorica socialista fino ai nostri giorni, quella che negava alla classe
operaia
qualsiasi ruolo e funzione dirigente e leggeva invece la classe operaia
come
classe subalterna, in grado di essere massa di manovra e carne da
cannone per
la classe borghese. Negava al proletariato qualsiasi ruolo egemone e
dirigente
ed affidava questo alla classe della borghesia. L’intera teoria delle
riforme
dall’alto rimandava poi a questa concezione teorica.
Gli scioperi
del marzo 1943 fecero piazza pulita
di questa teoria di Buozzi e dei socialisti e simili ( repubblicani,
liberali,
cattolici). Confermando in pieno la validità della scelta
teorica, tattica e
pratica del Pcd’i, poneva bene al centro, ed imponeva a tutti, la centralità operaia.
L’avanzata
dell’Armata Rossa verso Occidente
stimola la lotta e l’opposizione. La borghesia è costretta alla
scelta del 25
luglio: arresto di Mussolini e governo Badoglio.
La lotta di
classe conosce nuovi sviluppi e la
borghesia con Picardi, ministro del Lavoro del governo Badoglio, crede
di poter
tornare ad una gestione socialdemocratica e chiama Buozzi a dirigere il
sindacato.
Occorreva
fare i conti con l’organizzazione
comunista salda nelle fabbriche e fu costretto ad affidare a Roveda la
sezione
degli operai delle industrie ed a Di Vittorio quella del proletariato
agricolo:
braccianti; Grandi ed altri dell’opposizione borghese in esilio a
Parigi
facevano da spalla a Buozzi.
Si apre
così una fase di transizione che durerà
fino alla primavera del 1944: rinascita della CGIL.
Mentre per
Buozzi, Grandi ed ‘ i parigini’
l’intento era quello di fornire una base di massa al governo Badoglio e
contenere, spezzare, frammentare la spinta della lotta di classe e
l’organizzazione operaia; per i
comunisti: Di Vittorio e Roveda costituiva solo una fase transitoria
breve, in
grado di avviare un lavoro di riorganizzazione sindacale vasto e
capillare e di
tessere una fitta rete organizzativa provinciale e nazionale in grado
di
assolvere ai compiti che di lì a poco l’organizzazione sindacale
sarebbe stata
chiamare a rispondere: la Resistenza.
Già da
qui si profila un ruolo poco chiaro della
fazione socialista ed in specifico del Partito d’Azione, che si
porrà su di una
posizione estremistica al fine di sfiancare a sinistra il Pcd’i, nel
tentativo
di rivendicare a sé la direzione della lotta al fascismo. Il
loro atteggiamento
sarà deleterio nel corso della Resistenza, quando sotto la
bandiera della falsa
partecipazione e democrazia si pretendeva che ogni azione militare
venisse
discussa ed approvata dalle singole unità componenti le brigate
partigiane, e
la partecipazione dei componenti determinata dalla loro accettazione
dell’azione. Questo consentiva molte volte per esempio a Rodolfo
Morandi di
teorizzare la giustezza dell’astensione dalla battaglie dei singoli,
che
all’interno di una brigata partigiana, si facevano sostenitori delle
sue
teorie. Questo Morandi lo andava scrivendo sui giornali. E’ evidente a
chiunque
quali conseguenze questo può portare sul piano della condotta di
un’operazione
militare.
Nella
situazione sindacale specifica del luglio
1943 i socialisti si facevano sostenitori di una insurrezione generale.
Nelle
condizioni del 1943 voleva dire il massacro dei lavoratori, stroncare
sul nascere
tutte le future azioni. Un ruolo grave, che dall’ultrasinistra assolveva al compito di aiutare la borghesia
nella lotta contro la classe operaia.
Il movimento popolare si riaccendeva al Nord il 19. agosto 1943.
Gli
scioperi partendo da Torino e Milano si facevano subito molto estesi,
malgrado
la ferocia reazionaria borghese. Esteso era il ventaglio delle
rivendicazioni:
ferma richiesta della pace, ripristino degli organismi operai di
fabbrica,
liberazione dei prigionieri politici, fine della disciplina militare.
Dinanzi a
tale innalzarsi dello scontro di
classe la borghesia deve correre ai ripari: incontrare le delegazioni
operaie e
cedere alle loro richieste.
E’ un punto
alto che viene raggiunto: le lotte
avevano segnato un punto di rottura e di non ritorno con il regime
fascista e
le corporazioni. I socialisti giocano all’ultrasinistra, spostando in
avanti i
livelli di rivendicazione e bollando l’accordo siglato. Nelle
condizioni di
transizione dal 25 luglio all’8 settembre si trattava da una parte di
non
spingere settori della borghesia nelle braccia dei tedeschi, ora che si
era
alla vigilia dell’accordo dell’8 settembre e dall’altro di non far
allontanare
i settori più arretrati del movimento operaio e popolare e
consentire nel
contempo al movimento di consolidare quanto aveva raggiunto, riprendere
fiato,
stringere nuove reti organizzative e riprendere su di un nuovo piano lo
scontro.
Ma i
socialisti giocano all’ultrasinistrismo,
mentre la componente Grandi-De Gasperi per ora se ne sta in disparte,
essi che
proprio a partire dal 1924 aveva abbandonato i lavoratori, lavorato per
far
fallire lo sciopero del 1926 ed avere così la giustificazione
per sciogliere la
CGL, che per tutto il ventennio fascista aveva predicato la calma e la
non
necessità di organizzare gli operai sui luoghi di lavoro e da
Parigi davano
vita ad una irrisoria quanto ridicola CGL in esilio. In questo modo
essi
bruciavano fasi e momenti successivi, rendevano impotente la classe
operaia ed
il suo movimento di lotta, per poter poi ripresentare la vecchia
pattumiera
reazionaria, ossia il vecchio apparato burocratico sindacale
prefascista con i
soliti nomi.
Ma è
la lotta della classe operaia che adesso
impone i ritmi dell’azione.
Gli scioperi
che a partire dal marzo 1943 si
erano sviluppati e dilagati in tutte le fabbriche del centro-nord e del
sud
avevano spinto ad una forte ripresa dell’organizzazione della classe
operaia.
Ai vecchi quadri del periodo prefascista si erano andati sostituendo
una nuova
leva operaia.
Queste lotte
avevano trovato nel lavoro di
organizzazione e formazione dei quadri, sviluppato negli anni Trenta
dai
comunisti, svolto nell’assoluta clandestinità, un saldo punto di
appoggio e di
direzione.
Dinanzi a
questo salto di qualità della lotta di
classe la Confindustria è costretta a sbaraccare tutto: licenzia
Mussolini ed
il fascismo e con l’accordo del 2. settembre liquida definitivamente le
Corporazioni
e deve accettare di reintroduzione l’organizzazione sindacale dei
lavoratori:
la
Commissione Interna.
All’indomani
dell’8 settembre e con
l’occupazione tedesca dell’Italia del centro-nord e l’occupazione
angloamericana nel sud e nelle isole la lotta di classe si diversifica.
La repubblica
fantoccio di Salò conosce da
subito il nuovo clima politico:
il 2 novembre
1943 alla Breda di Milano
l’agitazione si estende ad altre fabbriche, le lotte chiedevano la
corresponsione del salario anche per i periodi di interruzione forzata
del
lavoro. Ma è a Torino, ed ancora una volta alla Fiat, che la
protesta operaia
divampa a livello di massa e ripetutamente tra il 18 novembre ed il 1
dicembre,
avendo al centro la richiesta della sospensione del lavoro durante i
bombardamenti aerei. Da Torino le agitazioni ritornano su Milano prima
e poi a
Genova, dove la sollevazione operaia raggiungeva una qualità di
lotta mai vista
in precedenza e che aveva dovuto far fronte e respingere la sanguinaria
repressione fascista, con le armi naziste, di due operai e poi la
fucilazione
in gennaio di altri 7 operai e la deportazione in massa di interi
reparti
produttivi in Germania. Ed è nel fuoco di questo scontro di
classe che si
formano i Comitati Sindacali Clandestini, espressione della
volontà di unità e
di lotta della classe operaia.
L’intensificarsi della lotta di classe e la nuova situazione
politica
pongono nuovi problemi di direzione ed organizzazione.
Nell’Italia
del centro-nord occorreva ritornare
alla clandestinità, ma essa si poneva in maniera diversa da
quella che si era
avuta negli anni 1926-1943. Era cioè una forma diversa di
clandestinità: una
era della fase di resistenza all’offensiva capitalistica ( 1926-1943 ),
l’altra
era invece la forma nella fase dell’offensiva operaia. L’organizzazione
doveva
essere sufficientemente elastica per poter consentire all’offensiva
operaia di
espandersi in qualità e quantità, in grado di abbracciare
ed unificare i temi rivendicativi,
quelli politici fino ad includere quelli insurrezionali e della
centralità operaia,
agendo cioè su tutti i possibili sviluppi, che la lotta avrebbe
posto. Questo
richiedeva l’esistenza di un apparato di quadri, in grado di dirigere
la nuova
e fortemente mutevole situazione: i repentini alternarsi di momenti di
attacco,
difesa, resistenza, ecc.
Questi quadri
non potevano essere forniti
all’istante, dovevano essere stati formati in precedenza sul piano
teorico
generale. Doveva infine essere sufficientemente estesa e capillare.
L’altro punto
era il rapporto tra attività
sindacale e Resistenza e quindi il rapporto con il CLNAI ( Comitato di
Liberazione Nazionale Alta Italia ); il rapporto tra lotta operaia e
lotta di
liberazione, tra fronte di fabbrica e fronte partigiano. Queste lotte e
questa
organizzazione, diretta dai quadri formatisi durante la dittatura
terroristica
del capitale finanziario ( fascismo ), impressero all’interno del CLNAI
la
centralità operaia, imponendo la direzione operaia alla lotta
antifascista.
Nell’Italia
del centro-nord l’organizzazione
sindacale è il Comitato Sindacale clandestino, che
prenderà il via agli inizi
del 1944, ma che si era ampiamente legittimato sul campo, negli
scioperi del
novembre-dicembre.
Nell’Italia
meridionale e nelle isole, invece,
il movimento operaio e sindacale procede per altre vie.
Già
verso la fine degli anni Quaranta si era
accentuata la disgregazione del blocco sociale agrario, diveniva ora
inarrestabile la disgregazione dei rapporti agrari tra la grande
proprietà
latifondista, gli affittuari, i piccoli proprietari terrieri ed i
braccianti. I
nuovi meccanismi che si determinano nella fissazione dei prezzi
agricoli
favoriscono la rendita agraria e speculativa a danno della massa dei
piccoli proprietari.
Questo determina una massa crescente di
piccoli proprietari impoveriti, gettati al rango del proletariato. Una
massa
questa che va ad aumentare quella del lavoro precario e giornaliero che
preme
sulle città.
Questo
determina lo sviluppo del movimento di
lotta nelle campagne: Foggia, Campobasso, Matera, Cosenza, Salerno,
Bari,
Brindisi che si combina con il movimento di lotta operaio nei nuclei
industriali
di Napoli, Taranto, ecc. e con quello del movimento popolare nelle
città.
Città
e campagna sono così in movimento al Sud
come nell’Italia del centro-nord con forme, tempi e modi diversi, ma
entrambi
convergenti nella lotta per la modifica dei rapporti di produzione e
lotta
contro il fascismo ed il nazismo.
In questa
complessità città-campagna, lotta
anticapitalistica e lotta per la pace, in questa diversa e complessa
interazione dei movimenti di lotta al sud ed al cento-nord d’Italia
avviene lo
sviluppo del movimento sindacale. L’animarono anime diverse e
contraddittorie.
Su questa
diversità vengono ad articolarsi gli
indirizzi diversi che gli angloamericani, cattolici, socialisti e
comunisti
tendono ad imprimere al movimento operaio e sindacale ed entro cui
matura il
patto di Roma, che costituirà il superamento dell’accordo Buozzi
del luglio ’43
e la nascita della CGIL nell’aprile 1944.
Già qui si delineano le linee strategiche delle tre
componenti che
daranno vita alla CGIL: la democristiana, la socialista e la comunista
e delle
tre organizzazioni sindacali: CGIL, CISL, UIL.
Si delineano
già qui le interconnessioni
tattiche tra democristiani e socialisti e l’unitarietà del loro
piano
strategico. Sostanzialmente la componente democristiana è quella
che ha il
ruolo dirigente, che segna la direttrice di marcia, mentre la
socialista ha il
duplice ruolo in supporto alla democristiana o nella forma
dell’ultrasinistrismo, con il compito di sfiancamento della comunista,
o ultra
destra al fine di rendere credibile, o quantomeno accettabile, la
proposta
democristiana ed al tempo stesso cortina fumogena degli intenti
strategici che
entrambi perseguono, pur nella diversità tattica. Una disamina a
parte va
condotta - ma qui la diamo per data –
circa il ruolo e la funzione del sindacalismo americano AFL-CIO sul
sindacalismo democristiano e socialista: finanziamento, formazione
quadri, ecc.
Già da
qui si diceva.
Infatti i
socialisti proponevano il sindacato
unico ed il riconoscimento giuridico dal governo. Mentre gli fa eco la
posizione dei democristiani di Grandi-De Gasperi che volevano invece
garantire
la preminenza degli organismi verticali su quelli orizzontali. Questo
significava la negazione di qualsiasi ruolo della partecipazione
democratica
dei lavoratori, imponendo nel contempo il vecchio apparato sindacale
prefascista: risuscitando così vecchie cariatidi e loschi
figuri, facendo
infine chiaramente intravedere quale era la loro idea dopo la guerra:
un
semplice ripristino del vecchio apparato monarchico-reazionario.
Inoltre essi
chiedevano di fissare sul piano statutario norme rigorose per
l’attuazione del
diritto di sciopero e che negassero, inoltre, l’intervento del
sindacato nelle
questioni politiche.
Di
Vittorio-Roveda si oppongono sia alle
posizioni De Gasperi-Grandi e sia a quelle socialiste.
Essi
sostenevano, giustamente, che il
riconoscimento giuridico del sindacato equivaleva a mantenere in vita
il
vecchio apparato riformista della burocrazia sindacale prefascista a
danno di
una reale partecipazione alle decisioni da parte della classe operaia.
Entrambe
le posizioni mostravano appieno tutta la loro natura liberticida,
entrambe
perseguivano lo stesso obiettivo strategico di rimettere in sella il
vecchio
apparato burocratico sindacale prefascista, di cui essi in prima
persona ne era
parte, mettere da parte la classe operaia, riconducendola al ruolo di
subalternità alla borghesia in
quanto massa
di manovra e carne da cannone
Risuscitando
uomini, strutture e mezzi
perseguivano l’obiettivo di svuotare di qualsiasi contenuto democratico
e
programmatico la CGIL e vanificare il ruolo della classe operaia,
riducendo la
massa operaia a cassa di risonanza per
il carrierismo opportunistico-burocratico di questi individui e loro
comparielli. La posizione assumeva in verità una ben grave
dimensione se
inquadrata nel momento storico in cui veniva formulata: una posizione
del
genere avrebbe spezzato sul nascere tutto lo slancio delle lotte
operaie, non
solo imponendo vecchi figuri compromessi con il fascismo, ma
demoralizzato il movimento
rivoluzionario negandogli qualsiasi ruolo e funzione nei processi
decisionali.
Costituiva
cioè un attacco collaborazionistico:
sfiancava le lotte operaie, demoralizzava le proprie fila, forniva al
nemico
strumenti forti di repressione. Il loro obiettivo principale non era
tanto la liberazione
del Paese dai criminali fascisti e nazisti, quanto quello di lottare
contro la
classe operaia in ogni modo possibile: aperto o subdolo, armato o
parolaio.
Per ora sotto
il possente incalzare delle lotte
operaie, con il profilarsi alto della centralità operaia, la
questione viene
spazzata via: la classe operai in piedi ha facile gioco di queste trame
cospirative e gli stessi socialisti e democristiani sono costretti a
camuffarsi
da amici dei lavoratori e del popolo italiano, ed impone l’unità
e la
direttrice di marcia verso un sindacato unitario dei lavoratori.
In questo
precisa situazione tattica la
posizione socialista assolve al ruolo di cortina fumogena per quelle
ben più
gravi di De Gasperi-Grandi .
Il
Patto di Roma
Lo sviluppo alto della lotta di classe rintuzza le aspirazioni
democristiane
e socialiste ed impone di giungere alla nascita della Confederazione
Generale
Italiana del Lavoro il 4. giugno 1944.
Al Partito
d’Azione viene affidato il compito di
mantenere aperte le porte del dissidio e della divisione; questo da
posizioni ultrasinistre
avanza critiche, sospetti, cautele, pregiudiziali.
Anche questa
posizione assume una gravità
eccezionale: il popolo lavoratore era in lotta contro un nemico feroce
e
spietato, l’importanza della costituzione di un sindacato di tutti i
lavoratori,
il segnale forte di unità di tutte le sensibilità e
convincimenti politici in
un unico grande sindacato costituiva un contributo forte per la lotta,
una
spinta in avanti. Il lavoro svolto invece dal Partito d’Azione agiva
nella
direzione opposta: seminava sfiducia, seminava il veleno dei sospetti.
L’unico
risultato di una tale azione in un momento decisivo di scontro armato
poteva
essere solo quello di demoralizzare le forze, sfiancarle, e consegnarle
così
alla ferocia nazista e fascista.
Ma essi non
erano nessuno e non avevano alcun
legame con la classe operaia per cui non fecero danno alcuno: ma questo
non
toglie la gravità dell’azione condotta: non vai mai dimenticato
il grave
momento costituito dalla preparazione delle forze per l’assalto
decisivo contro
il nazismo ed i loro servi fascisti.
A fianco di
questa azione del Partito d’Azione
si articola l’opposizione democristiana nella forma della cautela, ma
che
annuncia già i futuri motivi della lacerazione e delle divisioni.
Essi portano
avanti la polemica pubblica,
provvedendo così ad informare bene e nei dettagli il nemico
delle divisioni
interne al fronte di lotta antinazista, di cui la propaganda hitleriana
se ne
avvarrà nel disperato tentativo di sfiancare e demoralizzare la
classe operaia,
i contadini ed il popolo italiano in lotta. Tentativo disperato ma
vano: ma
resta la gravità di Grandi che il 13. giugno 1944 in un articolo
sul Popolo espone le riserve, le divergenze
e l’opposizione e la forma molto condizionata dei democristiani alla
nascita della
CGIL.
L’articolo
tra l’altro espressamente dichiara in
tono minaccioso che prelude a scissioni:
“ Ma se per
deprecabile evento l’accordo [ sulle
questioni ancora controverse: sciopero e preminenza struttura verticale
]
dovesse fallire ogni corrente sindacale riprenderà la sua
libertà d’azione .. “
Ciascuno
può valutare da solo il vero senso di
una tale dichiarazione espresso nel giugno 1944, mentre furiosa si
abbatteva la
belva nazista sul popolo lavoratore italiano che in tutte le forme:
sindacali,
politiche e militari si opponeva.
Ma questa
è già
la scissione annunciata del 1948!
Aspetteranno
i democristiani tempi migliori.
Atteggiamento
diverso viene utilizzato
nell’Italia meridionale, posta sotto l’occupazione militare delle
truppe
angloamericane. Qui sotto il diretto controllo ed egemonia statunitense
e del
sindacalismo americano AFL – CIO e con il sostegno esplicito e attivo
delle
gerarchie reazionarie vaticane viene data vita ad una Confederazione
Generale
del Lavoro. Se ne facevano promotori esponenti del Partito d’Azione –
sempre
pronto! – che avevano trascorso l’esilio in America ed in Inghilterra,
da
vecchi quadri del sindacalismo prefascista ed esponenti socialisti:
tutti uniti
nell’opposizione alla Confederazione Geniale Italiana del Lavoro,
ponendosene
in netta antitesi.
Il sostegno
angloamericano e delle alte
gerarchie reazionarie vaticane deve pur dire qualcosa!
In
realtà questa costituiva il terzo braccio
della tenaglia che doveva stritolare la nascente CGIL.
Come le
precedenti due anche questa era di una
gravità eccezionale: costituivano tutte e tre espliciti e
dichiarati sostegni
alla belva nazista. L’odio sincero contro la classe operaia in lotta li
faceva
preferire di aiutare la ferocia sanguinaria nazista anziché dare
un aiuto al
popolo in lotta contro i traditori fascisti e gli occupanti tedeschi.
Lo scontro
divenne particolarmente forte man
mano che si procedeva verso la costituzione della CGIL: era affidato ad
essi,
posti sotto la protezione delle armate angloamericane, che occupavano
l’Italia
meridionale, il compito di assalto violento e truculento.
Ma proprio la
loro manovra scoperta, la rozzezza
dell’attacco che gli angloamericani affidano loro, è la causa
del loro essere
spazzati via e senza tante cerimonie, e finiranno per essere scaricati
dai loro
mandanti.
Era questo un
tentativo angloamericano di
spezzare il fronte dell’opposizione ed al tempo stesso iniziare una
penetrazione silente, un agganciare uomini e strutture con ampi mezzi
finanziari e prospettive premianti. Questa linea di opposizione
violenta alle
lotte della classe operaia costituiva un momento tattico della
direttrice
strategica di sconfiggere la classe operaia, demoralizzarla, spezzare
la
resistenza operaia: sindacale, politica e militare per giungere alla
conclusione
della guerra in una maggiore posizione di forza la fine di sottomettere
maggiormente l’Italia ai destini e voleri dell’imperialismo americano.
Esso si
coniugava con altri momenti:
* il proclama
Alexander, che imponeva il disarmo
dei partigiani;
* aiuti
scarsi, molto condizionati, di pessima
qualità ed efficienza: non raramente le armi si rivelavano
difettose, si
inceppavano durante le azioni di guerra o scoppiavano tra le mani dei
partigiani, ecc. ecc. e gli ‘ aiuti’ erano molto discriminati tra le
varie
forze, le munizioni in gran parte scadenti ed i viveri di pessima
qualità ed
assolutamente scarsi;
* l’azione di
rallentamento nell’avanzata degli
angloamericani all’80% non trovava alcuna giustificazione sul piano
militare,
l’unico risultato che otteneva era quello di consentire alle milizie
fasciste e
naziste di abbattere la Resistenza in quel luogo.
Ed in fatti
in molte azioni di ritirata i
tedeschi mostravano molta sicurezza nell’attardarsi per esecuzioni e
massacri
di partigiani e popolazioni, mentre avevano il ‘ nemico’ angloamericano
alle
spalle;
* azione di
contatto e collaborazione con le forze
naziste al fine di frenare,
ostacolare, distruggere forze partigiane ed il movimento di lotta della
classe
operaia: una di queste forme era costituita dal ‘ lancio’ di aiuti, che
nel
modo e nella forma in cui avvenivano, e per l’alta perdita di uomini
che si
aveva, fanno chiaramente intendere che i tedeschi erano lì ad
aspettarli o
perché sapevano o perché per la lentezza e la forma erano
facilmente individuabili
e quindi in grado i tedeschi di appostarsi per imboscate. Dopo un po’
di questa
storia le forze partigiane molte volte non si presentavano
all’appuntamento del
lancio, ma aspettavano le truppe germaniche che razziavano quanto gli ‘
alleati’
avevano paracadutato e lì infliggevano dure perdite ai tedeschi.
Molte volte
con la scusa di coordinare le
azioni, imponevano loro ufficiali che facevano opera di disgregazione,
sabotaggio, demoralizzazione e delazione ai tedeschi. Molti sono i casi
di
brigate partigiane che hanno dovuto cacciare tali ‘ consiglieri amici’;
nella
maggior parte li tenevano all’oscuro e non consentivano loro di
seguirli nelle
azioni partigiane con vibrate proteste dell’alto comando alleato al
CLNAI.
Lo sviluppo imponente della lotta di classe, che era ormai
saldamente
nelle mani del proletariato italiano, diretto dal Partito Comunista
d’Italia e
che vedeva nella fabbrica il centro decisivo dell’intera azione
sindacale,
politica e militare impone a tutti i ritmi del proletariato.
Chi tenta una
minima opposizione è spazzato via.
In queste
esatte condizioni politiche e
militari, ossia con la classe operaia in piedi nelle fabbriche ed in
armi, si
svolge il primo congresso della Confederazione Generale Italiana del
Lavoro,
che raccoglie l’eredità della Confederazione Generale del
Lavoro, che aveva
continuato ad esistere sotto il fascismo ad opera della tenacia degli
operai
comunisti.
I nemici del
proletariato sono costretti a
camuffarsi e ad accettare la convocazione e lo svolgimento del 1°
Congresso
della C.G.I.L.
Esso si tiene
in due fasi: il 15-16 settembre
1944 si tiene il Convegno delle organizzazioni sindacali dell’Italia
liberata e
poi quattro mesi dopo il 1° Congresso delle organizzazioni
sindacali svoltosi a
Napoli dal 28. gennaio al 1° febbraio. 1945.
Lo
sfalsamento dei tempi di quattro mesi è
determinato dalla presenza del falso sindacato messo su dagli
angloamericani
con la complicità del Partito d’Azione, socialisti e agenti del
vecchio sindacalismo
prefascista e delle alte gerarchie del Vaticano.
Il Congresso
conferma appieno le indicazioni e
le linee programmatiche e statutarie dei comunisti, spazzando via le
tesi
socialiste sul sindacato unico e quelle sul diritto di sciopero e le
strutture
verticali democristiane. Di Vittorio sarà eletto Segretario
Generale della
Confederazione Generale Italiana del Lavoro.
Sarà
il Sindacato di tutti i lavoratori
ricostituito a dirigere gli ultimi mesi della lotta operaia contro i
fascisti
ed i tedeschi, ad avere un ruolo centrale nell’insurrezione generale
del 25.
aprile.
Si tende in
generale a sminuire l’importanza del
Sindacato di tutti i lavoratori in questa ultima fase della lotta.
Ancora una
volta una borghesia pavida e mentecatta che aveva gozzovigliato al
banchetto
delle armate germaniche che occupavano il suolo italiano con
commissioni e
profitti, adesso dinanzi alla disfatta fuggono, cercano riparo
all’estero in
Svizzera o sotto le armi angloamericane.
Questi mentecatti non opporranno alcuna Resistenza ed abbandoneranno le fabbriche al nemico senza alcuna preoccupazione se non quella di portare in salvo se stessi ed i soldi che avevano arraffato con il collaborazionismo e preoccupati di distruggere incartamenti che li potessero compromettere nell’Italia post-1945. Molti dei figli di questi ricchi borghesi verso la fine del 1944 pensano bene di acquistare qualche credito aiutando i partigiani e la Resistenza, alcuni sul finire della guerra aderendo con funzione del tutto subalterna e secondaria alla Resistenza stessa, ma ben pronti a far pesare questo trasformismo dell’ultim’ora. Ma essi non si preoccupano affatto delle sorti del Paese. Spetta ancora alla classe operaia italiana, al proletariato italiano, farsi carico dei problemi non solo di accelerare la fine della guerra, ma di provvedere al futuro del Paese stesso. I tedeschi nella ritirata tentano disperatamente di portare via i macchinari e distruggere materie prime e quanto potesse essere utile per la ricostruzione alla fine della guerra oramai imminente. Mentre i caporioni mentecatti borghesi pensano a salvare la loro pelle, la classe operaia provvede a smontare interi macchinari, o privarli di elementi centrali, rendendole così inservibili, salvando così il patrimonio tecnico ed industriale del Paese premessa fondamentale per la ripresa. Ai borghesi non resterà, finita la guerra, e sotto la protezione delle armi dell’esercito occupante angloamericano, che presentarsi e rivendicarne la proprietà, mentre non se ne erano preoccupati affatto prima.
[1] Atti e risoluzioni del III Congresso, Lione 1926, del IV Congresso Basilea, 1933.
Atti, risoluzioni dell’Internazionale Comunista.