Ciao, Tom. E grazie Il 13 gennaio, dopo un coma durato
otto mesi, e' morto Tom Hurndall, il pacifista britannico colpito alla
testa dall'esercito israeliano l'11 aprile scorso, mentre tentava di
proteggere alcuni bambini palestinesi nel campo profughi di Rafah,
nella Striscia di Gaza. L'unica arma di Tom era la sua macchina
fotografica. Per ricordare questo ragazzo e le ragioni che lo hanno
portato a mettere in gioco la sua stessa vita, PeaceLink ha tradotto in
italiano un discorso pubblico di Jocelyn Hurndall, la madre di Tom.
16 gennaio 2004
Sono la madre di Tom Hurndall, il giornalista fotografo di 21 anni
che e' stato colpito alla testa e ferito gravemente dalle Forze di
Difesa israeliane nella striscia di Gaza l'11 Aprile.
Tom e' stato colpito mentre stava cercando di mettere in salvo dei
bambini che giocavano su un cumulo di macerie mentre venivano sparati
dei colpi contro di loro.
Tutto questo e' accaduto in piena luce e Tom indossava una giacca
arancione fosforescente da attivista, riconosciuta a livello
internazionale. Tom ha subito danni cerebrali gravissimi e non c'e'
speranza che possa recuperare.
Era un giovane di ferma convinzione, che desiderava affrontare le
situazioni e, come lui stesso ha scritto, "procedere al passo
successivo". Questo era lo spirito con cui Tom prese parte alla
protesta "Stop the War" (Fermate la Guerra) in febbraio, poi si uni'
agli Scudi Umani a Bagdad, lavoro' nel campo profughi Al Rweished in
Giordania trasportando attrezzature mediche, e infine ando' nei
territori occupati nella striscia di Gaza.
Siamo fortunati ad avere i suoi diari-resoconti e centinaia di
fotografie scattate in quel periodo.
I suoi diari-resoconti sono un ritratto commovente del viaggio di un
giovane coraggioso in cerca della verita'.
Egli era profondamente consapevole dei pericoli, ma ancora piu' forte
in lui era il desiderio di vedere di persona il rovescio della medaglia
di ogni situazione, e questo era quello che piu' lo caratterizzava.
Voleva essere perspicace e allo stesso tempo mantenersi critico su
tutto quello che sentiva.
Attraverso le sue fotografie e i suoi scritti, voleva, come lui stesso
ha scritto, "fare la differenza".
La bellezza dei suoi scritti sta nel fatto che esprimono apertamente il
pensiero e i sentimenti di un giovane informato sulla situazione in
Medio Oriente, pur rimanendo scevri dalle limitazioni tipiche di
qualsivoglia fede politica.
Tom stava consapevolmente percorrendo la sua strada, che lo portava a
separare nettamente la propaganda e le reazioni emotive dai fatti, allo
scopo di arrivare a conclusioni ponderate e personali.
Questo coerente percorso mostra perfettamente dove Tom stava tentando
di andare, e come, e dove sarebbe effettivamente arrivato.
Il senso piu' profondo del suo credo lo si coglie nell'importanza che
lui dava all'essere strettamente in contatto con qualcosa di piu' che
non i semplici fatti, per quanto accuratamente riportati. Lui infatti,
quando pensava a quale poteva essere l'efficacia del giornalismo di
guerra, dava un grande valore a cio' che provano gli altri. Era proprio
questo, quel bisogno di essere in contatto con cio' che prova la gente,
che lo porto' a credere che un altro modo di trattare la guerra in Iraq
era possibile.
Quando la guerra stava per cominciare, Tom scrisse: "Abbiamo guardato
avidamente Bush che alle 3 di mattina della notte scorsa dava il suo
ultimatum a Bagdad. Era uno di quei momenti che tracciano una linea di
demarcazione, che io non dimentichero' mai..e mi domandavo.immaginando
se fossi nella parte del mondo che stava per subire quella feroce
potenza, che questi diceva sarebbe giunta sulla regione.Mi sembrava di
poter sentire tutte insieme le grida dei feriti e dei morenti:
risultato di quelle pacate e serene parole che questi aveva pronunciato
con tale ponderata determinazione. Sebbene sapessi che era tutto nella
mia mente, sembrava cosi ' vero, e per un attimo ogni argomentazione e
giustificazione ha abbandonato i miei pensieri. Nella mia mente c'era
quiete, e tutto cio' che potevo sentire era il pianto di migliaia di
persone. Ho dovuto trattenere le lacrime".
Tom dunque viaggio' fino a Rafah, nella punta meridionale della
striscia di Gaza, dove le sue e-mail assunsero un tono diverso, e, nel
complesso, di maggiore urgenza.
Scriveva: "Nessuno potrebbe dire che io non sto vedendo cio' che adesso
era necessario vedere", tale era il livello di disumanita' e
oppressione di cui era testimone.
Ma anche allora lui continuo' a porsi domande, determinato a non
giudicare. Anche fino al giorno prima di essere colpito, nella
penultima giornata del suo diario-resoconto, Tom fa riferimento alla
necessita' di distinguere la propaganda dai fatti. Comunque trovava
sempre piu' difficile non essere di parte.
Nelle 7 settimane che abbiamo passato in Israele, quando Tom era all'
ospedale, ho incontrato molte altre madri, Israeliane e Palestinesi,
che avevano perso I loro figli e le loro figlie. Ho ascoltato molte
storie toccanti e personali.
Parlo semplicemente come una di quelle madri: come spieghi a due
giovani fratelli affezionatissimi e ad una sorella piu' grande che ci
sono persone nel mondo, come Tom, che danno un valore cosi' alto alla
vita, che la amano cosi' tanto, che la loro vocazione piu' profonda li
porta ad avventurarsi alla ricerca della verita'?
Tom ci chiedeva questo: "di comprendere, per favore, che non farlo
avrebbe significato semplicemente non essere me stesso".
Trovo una grande ispirazione ad immaginare progetti di cooperazione tra
Palestinesi e Israeliani che sviluppino una cultura di tolleranza in
cui le persone si ascoltano, lavorano insieme, si considerano come
individui con abilita' e qualita', piuttosto che considerarsi solo come
membri di opposte fazioni secondo una visione ristretta.
Recentemente sono andata ad un concerto alla Albert Hall: l'orchestra,
piena di talenti, e' stata fondata da Edward Said, che e' morto ieri ed
e' la perdita maggiore per la causa dei territori occupati, e Daniel
Baremboim, ed e' composta da giovani musicisti israeliani e palestinesi.
Fanno concerti nei paesi arabi allo scopo di diffondere un messaggio
rivolto a tutti. Un altro progetto attualmente porta avanti una
spedizione tra i ghiacci che coinvolge Palestinesi e Israeliani, una
vera sfida, ed e' stata chiamata giustamente "Rompere il Ghiaccio".
Iniziative comuni che si basano sull'uso della musica, della
letteratura, de l lavoro di gruppo mi sembrano modi efficaci ed umani
per aiutare a ricomporre fazioni opposte. Io sono impegnata a trovare
un progetto che possa nascere sotto il nome di Tom e dare un contributo
a questo tipo di approccio illuminato, creativo e partecipativo.
Tom ha scritto: "Che conseguenze avra' sulla mente di un bambino,
crescere in queste condizioni? Non posso immaginare le lacrime che
hanno versato e cosa hanno pensato di dover diventare anche solo per
sopravvivere".
I nostri stessi bambini sono sensibilizzati e si sentono responsabili
di dover fare il possibile- sia che siamo inglesi, americani, iracheni,
palestinesi o israeliani.
Tom, come altri prima di lui, ha lasciato le sicurezze del suo paese
per documentare le ingiustizie e la disumanita' che hanno luogo nei
territori occupati.
Lui voleva comprendere appieno le responsabilita' del suo paese e fare
uso della scrittura e della fotografia per tornare a casa con una gran
quantita' di storie di persone.
Questo e' il suo contributo, che ci aiuta a percepire e partecipare
della realta' della vita nella striscia di Gaza, cosicche' possiamo, a
nostra volta, sentire e poi agire.
Alessandro Marescotti
presidente di PeaceLink
Note:
Traduzione a cura di Paola Merciai. L'utilizzo di questa versione
tradotta e' liberamente consentito citando le fonti (Fondazione Thomas
Hurndall/Associazione PeaceLink) e l'autore (Paola Merciai).
Testo originale: http://www.tomhurndall.co.uk/jocelyn-speech.asp
Tutte le informazioni sulla vicenda di Tom sono raccolte nel sito della
"Fondazione Thomas Hurndall": http://www.tomhurndall.co.uk