Un insieme assemblato di
interventi
e riflessioni sullo scenario palestinese all’indomani della vittoria di
Hamas
alle elezioni legislative a cura di L’altra Lombardia – SU LA TESTA
Le reazioni della comunità internazionale sono state chiare: intimidazioni, ricatti fino alla minaccia di congelamento dei fondi e da ultimo la notizia del 14 febbraio del tentativo degli USA di portare Abu Mazen ad indire nuove elezioni. Cercheremo di fornire notizie per interpretare il panorama attuale della politica palestinese, ad esempio cosa c’è dietro l’ostilità verso Hamas,
al di là delle dichiarazioni strumentali fatte da tutti i governi imperialisti che non riconoscono una formazione democraticamente eletta in libere elezioni in quanto dedita a pratiche terroristiche. L’atteggiamento degli esponenti di Hamas dopo le elezioni è di estrema prudenza. Sono consapevoli che una seria minaccia incombe su di loro, sia per le difficoltà economiche che dovranno affrontare, sia perché non sarà facile gestire l’equilibrio interno sotto la continua minaccia di ritorsioni delle potenze occidentali. Anche perché il potere più forte rimarrà in mano al presidente Abu Mazen e le forze di sicurezza rimarranno sotto il controllo di Fatah. Hamas sta cercando di trovare soluzioni di governo di unità nazionale al suo interno e sta cercando l’appoggio dei paesi arabi amici per affrancarsi in parte dal sostegno economico degli USA e dell’Ue, cercando per il futuro a medio termine di migliorare la situazione economica.
Novità senza precedenti: una nuova classe politica è diventata protagonista in Palestina.
Hamas vuole essere un interlocutore alla pari con le potenze mondiali e per una pace giusta.
Da quando si è creato lo stato di Israele nel 1948 non c’era stato prima un potere ufficiale amministrativo in West Bank e Gaza con un sostegno così forte popolare e non direttamente influenzato dagli interessi di Israele o delle potenze occidentali.
I palestinesi si aspettano da Hamas dei veri cambiamenti anche se solo economici e sociali e non politici.
Sono stanchi della vecchia situazione. Fatah in 10 anni non ha cambiato nulla.
I Palestinesi hanno certe priorità: la sicurezza personale e la sopravvivenza. Una famiglia che vive in povertà con 10 figli non pensa alle future relazioni del governo con Israele, gli USA e l’UE, ma a come potrà sfamare i suoi figli e poi a come crescerli bene. Dicono: “Abbiamo bisogno di pulire le nostre strade, di sicurezza, di tutto questo abbiamo bisogno prima di parlare di stato.” C’è però il pericolo che alle prossime elezioni in Israele il 28 marzo l’estrema destra si rafforzi ora cha ha vinto Hamas. I palestinesi hanno votato per Hamas perché sono stati ingannati dall’OLP, dai paesi arabi amici, dalla comunità internazionale. Sono per la pace, ma non stupidi. Sanno riconoscere tra un vero processo di pace ed uno ingannatore.
Comprendere il significato degli accordi di Oslo è fondamentale per capite la vittoria di Hamas.
Uno dei principali fattori della vittoria di Hamas è stato il fallimento degli accordi di Oslo.
Questi accordi erano così vaghi che entrambe le parti li hanno interpretati a loro favore e in maniera contraddittoria.
Israele vedeva l’accordo come un espediente per continuare l’occupazione perché doveva concedere una limitata autonomia ai palestinesi, la cui presenza era già ridotta, in cambio di niente, in quanto manteneva intatti i suoi insediamenti . Dall’altra parte Arafat interpretava in maniera ingannevole il mutuo riconoscimento perché solo a parole garantiva ai suoi che l’accordo avrebbe portato alla liberazione e ad avere Gerusalemme est come capitale.
Inoltre Israele non ha riconosciuto la legittimità di un futuro stato palestinese, ma solo che l’OLP fosse l’unico rappresentante del popolo palestinese. E il riconoscimento dell’OLP era solo un atto simbolico da parte di Israele, perché non comportava il riconoscimento dei diritti dei palestinesi o l’impegno al ritiro dai territori occupati.
Ma Arafat ha riconosciuto Israele per la prima volta creando un pericoloso precedente senza peraltro che venissero specificati i confini di Israele stesso.
Gli accordi di Oslo e gli accordi successivi (il tentativo di Ginevra e la Road Map) sono la foglia di fico per continuare la colonizzazione del West Bank e di Gaza; sotto la copertura dei negoziati di pace Israele ha continuato a rinchiudere , circondare ed isolare città e villaggi palestinesi con il sistema degli insediamenti, checkpoints e strade riservate ai coloni. E tutto il territorio palestinese è stato sottoposto ad un regime di controllo militare e restrizione della libertà di passaggio.
Questi accordi hanno dato l’impressione ingannevole di un’autonomia , in realtà tutti i controlli sono rimasti in possesso dello stato di Israele che ha accelerato il processo di apartheid.
Il popolo palestinese sa che i leaders dell’ANP, in particolare Abu Mazen e Abu Ala, si sono sottomessi a questi accordi vuoti ed ingannevoli, mentre Hamas proclama che “l’esperienza in questi 50 anni ci ha insegnato che questa via è sbagliata e noi non vogliamo continuare ad ingannare i palestinesi con questa fiction politica”.
Una delle cause imputate alla sconfitta di Fatah è la corruzione contrapposta alle figure oneste, affidabili ed impegnate nell’assistenza delle classi subalterne del movimento di Hamas. Ma nessuno racconta come questa si è sviluppata.
La corruzione sistemica è una conseguenza diretta degli accordi di Oslo.
Oslo ha stabilito un sistema in cui l’Autorità Nazionale Palestinese è diventata completamente dipendente dai fondi esteri per poter continuare a sopravvivere. Israele ha garantito questa subordinazione controllando i confini ed i movimenti tra le città e con una massiccia campagna di confische di terre che ha devastato l’agricoltura palestinese e ha separato la città di Gerusalemme
( che produce il 40% del reddito per l’economia palestinese) dal suo hinterland. La fornitura di elettricità e acqua e le comunicazioni sono rimaste saldamente in mano ad Israele. Questo sistema di controllo è stata ratificato da accordi successivi a quello di Oslo, quali quelli di Parigi del 1994 che stabilivano quali merci palestinesi potevano essere commerciate.
I fondi esteri, principalmente quelli statunitensi ed europei, sono quindi diventati l’unica fonte di denaro liquido per l’ANP. Per l’elargizione di questi fondi chiaramente l’ANP doveva pagare un prezzo politico, l’accettazione della colonizzazione. La corruzione è una conseguenza logica di questa situazione. Con le scarse opportunità di sopravvivenza l’esistenza individuale diviene dipendente dai contatti personali e i contributi dati dall’ANP o da Fatah. Circa mezzo milione di persone sono dipendenti dall’ANP per poter sopravvivere.
Inoltre le figure di spicco dell’ANP tenevano il controllo della maggior parte dei monopoli palestinesi che facevano affari con Israele e le compagnie straniere. I profitti dipendevano dalla situazione di stallo che doveva essere mantenuta. L’esempio più eclatante è lo scandalo della società di proprietà del primo ministro palestinese Abu Ala che commerciava cemento direttamente con i costruttori del Muro dell’Apartheid.
Un divario enorme si è formato tra la maggior parte della popolazione e un’elite ricca ed è diventato una voragine dopo l’intifada del 2000 dove il peso della repressione israeliana è stato sopportato solo dalla parte povera e disagiata sempre in aumento (nella striscia di Gaza dopo il 2000 soffriva di povertà il 70% della popolazione)
Per uscire dalla situazione critica che abbiamo finora descritto Hamas deve cercare di modificare la concezione finora riconosciuta che la lotta palestinese è circoscritta nel West Bank e Gaza. Uno degli scopi dell’accordo di Oslo era quello di restringere la lotta palestinese ad una contesa di confini e di eliminare ogni collegamento tra i palestinesi che vivono nel West Bank e Gaza , gli arabi rimasti nei territori assegnati ad Israele e i profughi. La chiave di questo processo di segregazione era la distruzione dell’OLP come movimento di liberazione nazionale e la sua sostituzione con il progetto di costituzione di una Autorità Nazionale.
Dalla sua formazione nel 1964 fino alla fine degli anni ’80 l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina aveva come obiettivi principali la rappresentanza politica del popolo arabo-palestinese, nonché la lotta armata contro lo Stato di Israele .
Con gli accordi di Oslo questi principi si vanificarono. Arafat allora capo dell’OLP riconobbe Israele e con la costituzione dell’ANP Arafat divenne anche capo dell’ANP anche se OLP e ANP non erano strettamente collegate.
Hamas non fece mai parte dell’OLP ma ora ci sono già affermazioni dei suoi esponenti, in particolare Mashaal, che dicono: “il nostro popolo non è solo quello che vive sotto occupazione in West Bank e Gaza , ma anche quello delle migliaia di rifugiati in Libano, Giordania e Siria o che vivono nella diaspora e non possono tornare a casa. Vi promettiamo che nulla ci impedirà di ottenere la liberazione della nostra terra ed il vostro ritorno. Non esiteremo a lavorare con tutti i partiti per far funzionare il nostro parlamento. Il nostro obiettivo a medio termine, come partito che ha vinto le elezioni, è di riformare l’OLP per rafforzare il suo ruolo di reale rappresentanza di tutto il popolo palestinese, senza eccezioni o differenze.”
E in questo Hamas sta cercando l’appoggio del Fronte Popolare che parimenti sta facendo una campagna per riportare alla ribalta l’importanza delle organizzazioni al di fuori della Palestina. Nel suo programma elettorale il Fronte ha proposto di indire le elezioni per rinnovare l’altra parte del parlamento, quella che riguarda gli esuli che alle ultime elezioni legislative non avevano diritto di voto, per formare di nuovo il vero parlamento cioè il PMC, il consiglio nazionale palestinese che è l’organo più importante dell’OLP ormai svuotato di importanza negli ultimi anni.
Non a caso Hamas nelle sue prime dichiarazioni dopo la vittoria ha affermato che intende liberare Ahmed Saadat, attuale segretario del Fronte in prigione a Gerico.
Ci sono accuse contro
il
movimento di Hamas, secondo cui questo movimento cercherebbe di
"gettare
gli ebrei al mare". Queste sono affermazioni false e infondate. Noi
rispettiamo il giudaismo come religione e gli ebrei come esseri umani.
Invece,
noi non rispettiamo un'occupazione che ci caccia dalle nostre terre e
che
pratica contro di noi ogni forma di aggressione, adoperando le armi
più atroci,
utilizzate contro il nostro popolo palestinese.
Dire di Hamas che si
tratterebbe
di un movimento "terrorista" è inaccettabile. Noi non siamo
"terroristi", noi non predichiamo l'omicidio, non rubiamo la roba
d'altri e noi non siamo gli occupanti, che io sappia, per venire
qualificati
così!
Noi ci difendiamo
contro le
incursioni, contro gli arresti, contro gli omicidi mirati, contro
l'utilizzo da
parte di Israele delle armi più crudeli per colpire senza
pietà e
arbitrariamente i civili. Noi abbiamo il diritto di difenderci. Ma
è evidente
che gli Stati Uniti prendono apertamente la parte d'Israele. E poi
c'è anche
questa debolezza dell'Europa rispetto alla posizione americana. Noi non
possiamo fare a meno di constatare che ne deriva una connivenza europea
con
Israele, fondata sull'allineamento filo israeliano dell'amministrazione
americana.
Noi facciamo appello
ai
cittadini di tutto il mondo affinché riesaminino la natura del
conflitto
palestino-sionista e a comprendere, davanti alla tregua che noi abbiamo
osservato e che gli israeliani hanno violato, che il problema non
è dalla parte
del popolo palestinese, non è dalla parte della sua legittima
resistenza, ma
piuttosto dalla parte dell'aggressione di cui il nostro popolo è
vittima.
Per
quanto riguarda i "terroristi", e l'affermazione secondo cui la
resistenza non solo ucciderebbe degli innocenti, ma sarebbe un ostacolo
al
processo di pace, noi diciamo: osserviamo in maniera attenta e precisa
lo
scenario palestinese e gli avvenimenti che vi hanno avuto luogo dopo la
firma
dell'accordo di pace tra palestinesi e israeliani.
Chi
ha cominciato a uccidere? Chi è stato il primo a perpetrare dei
massacri? Come
è cominciata l'Intifada di Al-Aqsâ, che noi continuiamo a
vivere ancora oggi?
Non fu per caso con la visita provocatoria di Sharon alla Moschea di
Al-Aqsâ,
benedetta e santa per i musulmani e per il popolo palestinese? I fedeli
[musulmani] avevano protestato e le forze di occupazione hanno ucciso
decine di
loro, in pochi momenti.
Fu
allora che insorsero le folle, ovunque, per difendere i propri luoghi
santi,
come era loro diritto e loro dovere. E la prima Intifada non è
scoppiata forse
dopo che un colono aveva deliberatamente ucciso sette operai
palestinesi a
Jabalya? Di conseguenza, noi difendiamo il nostro popolo, e quelli che
ci
qualificano come "terroristi" si ingannano; devono rivedere il loro
apprezzamento.
Noi
non siamo "terroristi". Noi promoviamo la vita, promoviamo un
progetto di liberazione, difendiamo la dignità e la legittima
fierezza. Il
mondo europeo deve cessare di essere il complice dell'America, nel suo
allineamento evidente con il nemico israeliano. Se studiate e
investigate in
maniera meticolosa i problemi in gioco nell'arena palestinese, capirete
che in
quasi tutti i casi, è l'occupazione che provoca i problemi.
La politica verso il
movimento
Hamas dello scomparso presidente Yasser Arafat è stata una
politica
fluttuante, che cambiava da un momento all'altro. Una cosa è
certa: nel 1996,
l'Autorità palestinese ha condotto una politica di arroganza e
arbitrarietà
verso Hamas; ha gettato in carcere i suoi militanti e dirigenti, fino a
imporre
gli arresti domiciliari a Shaykh Ahmad Yassin.
Siamo stati pazienti,
abbiamo
superato le nostre ferite. Non per debolezza, ma per rispetto per il
sangue
palestinese e per conservare l'unità nazionale. Al contrario, ci
sono stati
periodi in cui il rapporto tra Hamas e il presidente Arafat era un
rapporto
solido: c'è stata un'interazione. Questo rapporto, si vede, non
era monocolore:
al contrario, ha assunto numerosi colori diversi, dei più vari.
Per quanto riguarda,
stavolta, i
nostri rapporti con il presidente Abu Mazen fino a oggi, il presidente
Abu
Mazen si è dimostrato un uomo debole. Noi ci siamo trovati
d'accordo con lui su
molti punti, ma le decisioni prese non sono state tradotte
concretamente sul
campo, e fino ad ora è impossibile fare una vera valutazione
della sua
politica. Da una parte perché l'esperienza non è
abbastanza lunga da permettere
tale valutazione, ma soprattutto, d'altra parte, perché Abu
Mazen non ha mai
realmente applicato alcun progetto sull'arena politica palestinese, per
quanto
possiamo giudicare.
Per quanto riguarda gli arresti e gli omicidi "mirati", bisogna sapere che non avrebbero mai potuto aver luogo senza la collaborazione dei servizi di sicurezza palestinesi con lo Shin Bet.
Per quanto riguarda
gli omicidi
mirati e gli arresti, è evidente che esiste tutta una rete di
traditori, che
vanno e vengono liberamente in Palestina. Sono loro che giocano un
ruolo
essenziale e diretto nelle operazioni israeliane di eliminazione. Lo
stesso vale
per le incursioni e le perquisizioni.
Purtroppo,
l'Autorità
palestinese non è stata all'altezza delle sue
responsabilità, in questo campo,
e noi non abbiamo voluto assumerci i compiti di ordine pubblico, per
non creare
dissensi nel campo palestinese, e anche perché non si potesse
dire che noi
avremmo uno stato nello stato. Noi dirigiamo le nostre armi solo contro
quelli
che ci aggrediscono, e spetta alla giustizia palestinese prendere le
proprie
responsabilità e risolvere ogni problema interno. E' evidente
che l'Autorità
palestinese si è legata le mani da sola firmando accordi che ci
proibiscono di
perseguire i traditori che praticano l'omicidio dei nostri concittadini
e
indicando alle forze di occupazione i luoghi in cui si nascondono i
[resistenti] palestinesi ricercati, che essi cercano per arrestare o
ancora più
spesso, per assassinarli.
Per quanto riguarda
l'imposizione di un riconoscimento arabo e palestinese dello stato
d'Israele in
quanto stato ebraico e il riconoscimento del fatto compiuto, io penso
che tale
riconoscimento dello stato d'Israele sia estremamente pericoloso,
perché
significa l'abbandono del diritto palestinese, e questo significa che
la
politica del fatto compiuto si è imposta definitivamente al
mondo
arabo-musulmano. Noi accogliamo a braccia aperte gli ebrei in quanto
tali, ma
non accogliamo a braccia aperte un'occupazione che schiaccia la nostra
terra e
il nostro popolo. Come ho già detto, noi non possiamo accettare
di essere cacciati
da casa nostra, dalle nostre case, dalle nostre terre, dopo di che
torniamo a
prendere possesso di una parte di quelle terre e riconosciamo al ladro
la
proprietà di tutto il resto, dicendo che questo gli spetta di
diritto e
consacrando questo diritto davanti al mondo intero. Ecco perché
noi, di Hamas,
mettiamo in guardia tutte le parti contro le conseguenze terribili che
avrebbe
il fatto di cadere nella trappola israeliana che consiste nel
consacrare la
politica israeliana dei fatti compiuti. Ci tengo a dire che il
movimento Hamas
crede alle soluzioni per tappe, ma non alle soluzioni basate sulle
concessioni.
E' questo che aveva affermato lo Shaykh Yassin, fondatore e dirigente
di Hamas,
più di quindici anni fa. Egli aveva detto: "Noi possiamo
accettare la
creazione di uno stato in Cisgiordania, nella striscia di Gaza e a
Gerusalemme
Est, con il ritorno dei profughi e la liberazione di tutti i
prigionieri.
Allora potremo firmare
una
tregua di lunga durata, per dieci anni se occorre, o anche di
più". Ma è chiaro
che il nemico sionista vuole perpetuare la sua occupazione. Prova ne
è che
Sharon, dopo aver venduto il ritiro da Gaza come una "dolorosa
concessione", ritorna a Gaza uccidendo e bombardando, e ritorna al nord
della striscia di Gaza per crearvi una terra di nessuno. Si vede: non
conosce
altra lingua che quella dell'occupazione.
Non sa cosa voglia
dire una
tregua, come mostra la sua violazione della tregua attuale, e non
conosce la
lingua della pace. Non conosce altro che la lingua del crimine e del
terrore
contro il nostro popolo. Di conseguenza, confermiamo la nostra adesione
a
soluzioni a tappe, ma in cambio, non sapremo riconoscere l'occupazione
del
nostro territorio. Ecco perché il resto del mondo dovrà
riunirsi per mettersi
al fianco del nostro popolo dolente e martoriato, il cui territorio
è occupato,
i cui luoghi sacri sono violati e i cui figli sono le vittime della
peggiore
aggressione. Quanto alla creazione di uno stato che riunisca ebrei e
palestinesi, noi abbiamo sempre affermato - ma io lo voglio riaffermare
ancora
una volta - che noi abbiamo convissuto durante tutta la storia islamica
con gli
ebrei che in quanto dhimmi, nello stato musulmano, godevano degli
stessi
vantaggi ed erano soggetti agli stessi obblighi nostri; facevano parte
della
nostra patria. Di nuovo: il problema non è con gli ebrei.
L'unico problema che
noi abbiamo è con l'occupazione israeliana.
Quali
sono le priorità di Hamas, al momento attuale? Mettiamo i
puntini sulle
"i": Hamas ha tre priorità, nessuna delle quali è caduca
o meno
importante delle altre.
La
prima priorità è il rafforzamento dell'unità
interna perché è chiaro che è
questa unità che protegge il campo palestinese da ogni sviluppo
pericoloso.
La
seconda è il rafforzamento della partecipazione politica, che
rappresenta
un'opzione in grado di salvare la scena palestinese dall'attuale
marasma.
Il
terzo punto è il rafforzamento del programma della resistenza
come scelta
strategica del nostro popolo, finché un'occupazione
continuerà a pesare sulla
nostra terra e finché dura l'aggressione continua contro il
nostro popolo.
Questa è stata la scelta di tutte le rivoluzioni del mondo,
compreso in Europa
e in America. Si tratta di una scelta riconosciuta dal diritto
internazionale.
Noi
pensiamo che uno dei principi della democrazia consiste
nell'accettazione dei
risultati delle elezioni. La nazione non è il monopolio di
nessuno, essa
appartiene a tutti. Il movimento Hamas ci tiene a rassicurare tutto il
mondo,
l'Europa, l’America e il mondo intero, così come
l'Autorità palestinese: noi
non abbiamo alcuna intenzione di prendere il posto di nessuno in queste
elezioni, né di contestare nessuno.
Noi
vogliamo consacrare una nuova tappa, quella della partecipazione
politica, per
farla finita con l'esclusiva nella presa delle decisioni in Palestina.
Il
fatto che Hamas abbia concluso alleanze con il Fronte Popolare per la
Liberazione della Palestina, o con altre organizzazioni conferma che
non si
tratta di un movimento settario, né sclerotico, né
ripiegato su se stesso.
Hamas è un movimento che si afferma come una pagina aperta a
tutti, come un
movimento pronto ad allearsi con tutti i figli del nostro popolo
palestinese,
per difendere gli interessi superiori del nostro popolo, nel quadro di
un
cambiamento e di una riforma reali nell'arena palestinese.
Da
qui deriva il sostegno dato da Hamas a un candidato di sinistra per il
posto di
sindaco di Ramallah, un sostegno che non costituisce affatto un caso
isolato,
tutt'altro. Noi diciamo a tutti che non vogliamo prendere il posto di
nessuno,
non vogliamo cacciare nessuno. Vogliamo vivere un'esistenza degna e
tranquilla,
al riparo da tutti i fenomeni di degrado e corruzione che la scena
palestinese
conosce da dieci anni. Noi vogliamo accordarci su una strategia ben
definita
che protegga i diritti del popolo palestinese e conservi le sue
conquiste,
senza fare considerazioni sulle appartenenze di questi alleati:
è sufficiente
che siano palestinesi e che vogliano servire la causa del popolo
palestinese.
Il
popolo palestinese è a maggioranza un popolo musulmano. Ora,
Hamas è un
movimento musulmano, che vuole che il nostro popolo viva l’Islam come
una
realtà concreta per quanto ci è possibile. E' chiaro che
l'Autorità palestinese
non ha tratto la lezione dai suoi errori, e la sua situazione è
deplorevole. E'
addirittura incapace di tenere testa ai propri membri che praticano il
sequestro degli stranieri, che nuocciono all'immagine onorevole del
nostro
popolo, o che praticano l'occupazione di diverse istituzioni, il racket
e
l'intimidazione. Tutto ciò fa sì che l'Autorità
palestinese attraversi un
periodo di grande debolezza e di decomposizione. Ecco perché noi
ci tenevamo a
partecipare alle elezioni, affinché l’Autorità
recuperasse il proprio prestigio
e il diritto ritrovasse il proprio primato. Noi vogliamo creare
un'Autorità
palestinese rispettabile, affinché il popolo la possa
rispettare.
Sul
piano del dialogo con l'Europa e gli Stati Uniti, Hamas non è
ostile verso
nessuno, e noi siamo pronti a dialogare con chi vorrà dialogare
con noi. Noi
abbiamo dialogato con l'Europa, in particolare con dei parlamentari
europei, e
abbiamo instaurato un dialogo con degli universitari americani a Beirut
(ma non
si tratta di persone in possesso di qualunque potere esecutivo negli
Stati
Uniti).
Hamas
è un movimento aperto a tutti. E' chiaro, Hamas è un
movimento portatore di un
progetto islamico, che vuole che tutti vivano nella libertà e
nella dignità, e
quindi che il nostro popolo viva nella libertà e nella
dignità. Quello che
chiediamo al mondo è di non allinearsi, di non continuare con
questo
allineamento palese, omicida e provocatore con il nemico sionista, al
prezzo
degli interessi nazionali del popolo palestinese.
Noi
siamo pronti a dialogare con qualunque partner, con l'eccezione di
Israele che
perpetua l’occupazione e l’aggressione contro il nostro popolo
palestinese, al
fine di rendere esplicito ciò che deve e può essere, e di
mettere tutti al
corrente di ciò che succede sulla scena palestinese, e anche al
fine di
ricordare ai nostri partners che il problema è l'occupazione e
l'aggressione, e
niente affatto il nostro popolo e la sua legittima resistenza. Il
problema è da
parte di coloro che sono venuti per cacciare il nostro popolo da casa
sua e
occuparne le terre. Di conseguenza, siamo convinti che il mondo libero
deve fare
uno sforzo perché il popolo palestinese possa vivere libero e
con dignità.
In
effetti, noi abbiamo bisogno di una vasta campagna mediatica. Ma
è chiaro che i
sionisti e i loro amici possiedono mezzi di informazione estremamente
potenti
che schiacciano i nostri. Israele ha violato la quasi totalità
delle
risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, come tutte le
Convenzioni di
Ginevra, commettendo i peggiori crimini terroristici contro il nostro
popolo:
distruzione di case, di terre agricole, omicidio deliberato di bambini
innocenti e tutto ciò senza giudicare il più piccolo
soldato responsabile di
questi omicidi, in particolare di bambini come quello del giovane
Muhammad
Al-Durra, a cui tutto il mondo ha assistito: l'hanno visto gridare,
supplicare.
Invano. Il risultato? Il soldato responsabile di aver ucciso
deliberatamente è
stato in carcere per appena un mese. Questo equivaleva puramente e
semplicemente a farsi beffe del sangue palestinese versato.
Sì,
dobbiamo denunciare tutte queste esecuzioni israeliane, tutte le
violazioni
israeliane delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e anche di
quelle delle
Convenzioni di Ginevra. Noi abbiamo bisogno degli sforzi delle
giornaliste e
dei giornalisti europei, dei giuristi, di tutte le persone e istanze
portatrici
del senso della parola "umanità", che capiscono cosa significhi
l’occupazione e che conoscono l'orrore del crimine e del terrorismo
sionisti
contro il nostro popolo, affinché facciano capire al mondo,
finché è loro
possibile, qual è la vera situazione. Noi sappiamo che esiste
una connivenza
tra i regimi politici europei e il nemico israeliano, ma sappiamo anche
che
esiste presso di voi, in Europa, gente che difende i valori umani, e
noi
stringiamo loro fraternamente la mano, mentre li preghiamo di
moltiplicare i
contatti con noi.