APPENDICE AL COMUNICATO SULLA PALESTINA DEL 18 FEBBRAIO 2006

Un insieme assemblato di interventi e riflessioni sullo scenario palestinese all’indomani della vittoria di Hamas alle elezioni legislative a cura di L’altra Lombardia – SU LA TESTA

 

Le reazioni della comunità internazionale sono state chiare: intimidazioni, ricatti fino alla minaccia di congelamento dei fondi e da ultimo la notizia del 14 febbraio del tentativo degli USA di portare Abu Mazen ad indire nuove elezioni. Cercheremo di fornire notizie per interpretare il panorama attuale della politica palestinese, ad esempio cosa c’è dietro l’ostilità verso Hamas,

 al di là delle dichiarazioni strumentali fatte da tutti i governi imperialisti che non riconoscono una formazione democraticamente eletta in libere elezioni in quanto dedita a pratiche terroristiche. L’atteggiamento degli esponenti di Hamas dopo le elezioni è di estrema prudenza. Sono consapevoli che una seria minaccia incombe su di loro, sia per le difficoltà economiche che dovranno affrontare, sia perché non sarà facile gestire l’equilibrio interno sotto la continua minaccia di ritorsioni delle potenze occidentali. Anche perché il potere più forte rimarrà in mano al presidente Abu Mazen e le forze di sicurezza rimarranno sotto il controllo di Fatah. Hamas sta cercando di trovare soluzioni di governo di unità nazionale al suo interno e sta cercando l’appoggio dei paesi arabi amici per affrancarsi in parte dal sostegno economico degli USA e dell’Ue, cercando per il futuro a medio termine di migliorare la situazione economica.

RISULTATI ELEZIONI

Novità senza precedenti: una nuova classe politica è diventata protagonista in Palestina.

Hamas vuole essere un interlocutore alla pari con le potenze mondiali e per una pace giusta.

Da quando si è creato lo stato di Israele nel 1948 non c’era stato prima un potere ufficiale amministrativo in West Bank e Gaza con un sostegno così forte popolare e non direttamente influenzato dagli interessi di Israele o delle potenze occidentali.

I palestinesi si aspettano da Hamas dei veri cambiamenti anche se solo economici e sociali e non politici.

Sono stanchi della vecchia situazione. Fatah in 10 anni non ha cambiato nulla.

I Palestinesi hanno certe priorità: la sicurezza personale e la sopravvivenza. Una famiglia che vive in povertà con 10 figli non pensa alle future relazioni del governo con Israele, gli USA e l’UE, ma a come potrà sfamare i  suoi figli e poi a come crescerli bene. Dicono: “Abbiamo bisogno di pulire le nostre strade, di sicurezza, di tutto questo abbiamo bisogno prima di parlare di stato.” C’è però il pericolo che alle prossime elezioni in Israele il 28 marzo l’estrema destra si rafforzi ora cha ha vinto Hamas. I palestinesi hanno votato per Hamas perché sono stati ingannati dall’OLP, dai paesi arabi amici, dalla comunità internazionale. Sono per la pace, ma non stupidi. Sanno riconoscere tra un vero processo di pace ed uno ingannatore.

FATAH E GLI ACCORDI DI OSLO

Comprendere il significato degli accordi di Oslo è fondamentale per capite la vittoria di Hamas.

Uno dei principali fattori della vittoria di Hamas è stato il fallimento degli accordi di Oslo.

Questi accordi erano così vaghi che entrambe le parti li hanno interpretati a loro favore e in maniera contraddittoria.

Israele vedeva l’accordo come un espediente per continuare l’occupazione perché doveva concedere una limitata autonomia ai palestinesi, la cui presenza era già ridotta, in cambio di niente, in quanto manteneva intatti i suoi insediamenti . Dall’altra parte Arafat interpretava in maniera ingannevole il mutuo riconoscimento perché solo a parole garantiva ai suoi che l’accordo avrebbe  portato alla liberazione e ad avere Gerusalemme est come capitale.

Inoltre Israele non ha riconosciuto la legittimità di un futuro stato palestinese, ma solo che l’OLP fosse l’unico rappresentante del popolo palestinese. E il riconoscimento dell’OLP era solo un atto simbolico da parte di Israele, perché non comportava il riconoscimento dei diritti dei palestinesi o l’impegno al ritiro dai territori occupati.

Ma Arafat ha riconosciuto Israele per la prima volta creando un pericoloso precedente senza peraltro che venissero specificati i confini di Israele stesso.

Gli accordi di Oslo e gli accordi successivi (il tentativo di Ginevra e la Road Map) sono la foglia di fico per continuare la colonizzazione del West Bank e di Gaza; sotto la copertura dei negoziati di pace Israele ha continuato a rinchiudere , circondare ed isolare città e villaggi palestinesi con il sistema degli insediamenti, checkpoints e strade riservate ai coloni. E tutto il territorio palestinese è stato sottoposto ad un regime di controllo militare e restrizione della libertà di passaggio.

Questi accordi hanno dato l’impressione ingannevole di  un’autonomia , in realtà tutti i controlli sono rimasti in possesso dello stato di Israele che ha accelerato il processo di apartheid.

Il popolo palestinese sa che i leaders dell’ANP, in particolare Abu Mazen e Abu Ala, si sono sottomessi a questi accordi vuoti ed ingannevoli, mentre Hamas proclama che “l’esperienza in questi 50 anni ci ha insegnato che questa via è sbagliata e noi non vogliamo continuare ad ingannare i palestinesi con questa fiction politica”.

LE ORIGINI DELLA CORRUZIONE DI FATAH

Una delle cause imputate alla sconfitta di Fatah è la corruzione contrapposta alle figure oneste, affidabili ed impegnate nell’assistenza delle classi subalterne del movimento di Hamas. Ma nessuno racconta come questa si è sviluppata.

La corruzione sistemica è una conseguenza diretta degli accordi di Oslo.

Oslo ha stabilito un sistema in cui l’Autorità Nazionale Palestinese è diventata completamente dipendente dai fondi esteri per poter continuare a sopravvivere. Israele ha garantito questa subordinazione controllando i confini ed i movimenti tra le città e con una massiccia campagna di confische di terre che ha devastato l’agricoltura palestinese e ha separato la città di Gerusalemme

( che produce il 40% del reddito per l’economia palestinese) dal suo hinterland. La fornitura di elettricità e acqua e le comunicazioni sono rimaste saldamente in mano ad Israele. Questo sistema di controllo è stata ratificato da accordi successivi a quello di Oslo, quali quelli di Parigi del 1994 che stabilivano quali merci palestinesi potevano essere commerciate.

I fondi esteri, principalmente quelli statunitensi ed europei, sono quindi diventati l’unica fonte di denaro liquido per l’ANP. Per l’elargizione di questi fondi chiaramente l’ANP doveva pagare un prezzo politico, l’accettazione della colonizzazione. La corruzione è una conseguenza logica di questa situazione. Con le scarse opportunità di sopravvivenza l’esistenza individuale diviene dipendente dai contatti personali e i contributi dati dall’ANP o da Fatah. Circa mezzo milione di persone sono dipendenti dall’ANP per poter sopravvivere.

Inoltre le figure di spicco dell’ANP tenevano il controllo della maggior parte dei monopoli palestinesi che facevano affari con Israele e le compagnie straniere. I profitti dipendevano dalla situazione di stallo che doveva essere mantenuta. L’esempio più eclatante è lo scandalo della società di proprietà del primo ministro palestinese Abu Ala che commerciava cemento direttamente con i costruttori del Muro dell’Apartheid.

Un divario enorme si è formato tra la maggior parte della popolazione e un’elite ricca ed è diventato una voragine dopo l’intifada del 2000 dove il peso della repressione israeliana è stato sopportato solo dalla parte povera e disagiata sempre in aumento (nella striscia di Gaza dopo il 2000 soffriva di povertà il 70% della popolazione)

HAMAS E L’OLP

Per uscire dalla situazione critica che abbiamo finora descritto Hamas deve cercare di modificare la concezione finora riconosciuta che la lotta palestinese è circoscritta nel West Bank e Gaza. Uno degli scopi dell’accordo di Oslo era quello di restringere la lotta palestinese ad una contesa di confini e di eliminare ogni collegamento tra i palestinesi che vivono nel West Bank e Gaza , gli arabi rimasti nei territori assegnati ad Israele e i profughi. La chiave di questo processo di segregazione era la distruzione dell’OLP come movimento di liberazione nazionale e la sua sostituzione con il progetto di costituzione di una Autorità Nazionale.

Dalla sua formazione nel 1964 fino alla fine degli anni ’80 l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina aveva come obiettivi principali la rappresentanza politica del popolo arabo-palestinese, nonché la lotta armata contro lo Stato di Israele .

Con gli accordi di Oslo questi principi si vanificarono. Arafat allora capo dell’OLP riconobbe Israele e con la costituzione dell’ANP Arafat divenne anche capo dell’ANP anche se OLP e ANP non erano strettamente collegate.

Hamas non fece mai parte dell’OLP ma ora ci sono già affermazioni dei suoi esponenti, in particolare Mashaal, che dicono: “il nostro popolo non è solo quello che vive sotto occupazione in West Bank e Gaza , ma anche quello delle migliaia di rifugiati in Libano, Giordania e Siria o che vivono nella diaspora e non possono tornare a casa. Vi promettiamo che nulla ci impedirà di ottenere la liberazione della nostra terra ed il vostro ritorno. Non esiteremo a lavorare con tutti i partiti per far funzionare il nostro parlamento. Il nostro obiettivo a medio termine, come partito che ha vinto le elezioni, è di riformare l’OLP per rafforzare il suo ruolo di reale rappresentanza di tutto il popolo palestinese, senza eccezioni o differenze.”

E in questo Hamas sta cercando l’appoggio del Fronte Popolare che parimenti sta facendo una campagna per riportare alla ribalta l’importanza delle organizzazioni al di fuori della Palestina. Nel suo programma elettorale il Fronte ha proposto di indire le elezioni per rinnovare l’altra parte del parlamento, quella che riguarda gli esuli che alle ultime elezioni legislative non avevano diritto di voto, per formare di nuovo il vero parlamento cioè il PMC, il consiglio nazionale palestinese che è l’organo più importante dell’OLP ormai svuotato di importanza negli ultimi anni.

Non a caso Hamas nelle sue prime dichiarazioni dopo la vittoria ha affermato che intende liberare Ahmed Saadat, attuale segretario del Fronte in prigione a Gerico.

HAMAS E GLI EBREI (DICHIARAZIONI DI MOSHIR AL MASRI)

Ci sono accuse contro il movimento di Hamas, secondo cui questo movimento cercherebbe di "gettare gli ebrei al mare". Queste sono affermazioni false e infondate. Noi rispettiamo il giudaismo come religione e gli ebrei come esseri umani. Invece, noi non rispettiamo un'occupazione che ci caccia dalle nostre terre e che pratica contro di noi ogni forma di aggressione, adoperando le armi più atroci, utilizzate contro il nostro popolo palestinese.

HAMAS E IL TERRORISMO (DICHIARAZIONI DI MOSHIR AL MASRI)

Dire di Hamas che si tratterebbe di un movimento "terrorista" è inaccettabile. Noi non siamo "terroristi", noi non predichiamo l'omicidio, non rubiamo la roba d'altri e noi non siamo gli occupanti, che io sappia, per venire qualificati così!

Noi ci difendiamo contro le incursioni, contro gli arresti, contro gli omicidi mirati, contro l'utilizzo da parte di Israele delle armi più crudeli per colpire senza pietà e arbitrariamente i civili. Noi abbiamo il diritto di difenderci. Ma è evidente che gli Stati Uniti prendono apertamente la parte d'Israele. E poi c'è anche questa debolezza dell'Europa rispetto alla posizione americana. Noi non possiamo fare a meno di constatare che ne deriva una connivenza europea con Israele, fondata sull'allineamento filo israeliano dell'amministrazione americana.

Noi facciamo appello ai cittadini di tutto il mondo affinché riesaminino la natura del conflitto palestino-sionista e a comprendere, davanti alla tregua che noi abbiamo osservato e che gli israeliani hanno violato, che il problema non è dalla parte del popolo palestinese, non è dalla parte della sua legittima resistenza, ma piuttosto dalla parte dell'aggressione di cui il nostro popolo è vittima.

Per quanto riguarda i "terroristi", e l'affermazione secondo cui la resistenza non solo ucciderebbe degli innocenti, ma sarebbe un ostacolo al processo di pace, noi diciamo: osserviamo in maniera attenta e precisa lo scenario palestinese e gli avvenimenti che vi hanno avuto luogo dopo la firma dell'accordo di pace tra palestinesi e israeliani.

Chi ha cominciato a uccidere? Chi è stato il primo a perpetrare dei massacri? Come è cominciata l'Intifada di Al-Aqsâ, che noi continuiamo a vivere ancora oggi? Non fu per caso con la visita provocatoria di Sharon alla Moschea di Al-Aqsâ, benedetta e santa per i musulmani e per il popolo palestinese? I fedeli [musulmani] avevano protestato e le forze di occupazione hanno ucciso decine di loro, in pochi momenti.

Fu allora che insorsero le folle, ovunque, per difendere i propri luoghi santi, come era loro diritto e loro dovere. E la prima Intifada non è scoppiata forse dopo che un colono aveva deliberatamente ucciso sette operai palestinesi a Jabalya? Di conseguenza, noi difendiamo il nostro popolo, e quelli che ci qualificano come "terroristi" si ingannano; devono rivedere il loro apprezzamento.

Noi non siamo "terroristi". Noi promoviamo la vita, promoviamo un progetto di liberazione, difendiamo la dignità e la legittima fierezza. Il mondo europeo deve cessare di essere il complice dell'America, nel suo allineamento evidente con il nemico israeliano. Se studiate e investigate in maniera meticolosa i problemi in gioco nell'arena palestinese, capirete che in quasi tutti i casi, è l'occupazione che provoca i problemi.

 

HAMAS E FATAH (DICHIARAZIONI DI MOSHIR AL MASRI)

La politica verso il movimento Hamas dello scomparso presidente Yasser Arafat ­ è stata una politica fluttuante, che cambiava da un momento all'altro. Una cosa è certa: nel 1996, l'Autorità palestinese ha condotto una politica di arroganza e arbitrarietà verso Hamas; ha gettato in carcere i suoi militanti e dirigenti, fino a imporre gli arresti domiciliari a Shaykh Ahmad Yassin.

Siamo stati pazienti, abbiamo superato le nostre ferite. Non per debolezza, ma per rispetto per il sangue palestinese e per conservare l'unità nazionale. Al contrario, ci sono stati periodi in cui il rapporto tra Hamas e il presidente Arafat era un rapporto solido: c'è stata un'interazione. Questo rapporto, si vede, non era monocolore: al contrario, ha assunto numerosi colori diversi, dei più vari.

Per quanto riguarda, stavolta, i nostri rapporti con il presidente Abu Mazen fino a oggi, il presidente Abu Mazen si è dimostrato un uomo debole. Noi ci siamo trovati d'accordo con lui su molti punti, ma le decisioni prese non sono state tradotte concretamente sul campo, e fino ad ora è impossibile fare una vera valutazione della sua politica. Da una parte perché l'esperienza non è abbastanza lunga da permettere tale valutazione, ma soprattutto, d'altra parte, perché Abu Mazen non ha mai realmente applicato alcun progetto sull'arena politica palestinese, per quanto possiamo giudicare.

Per quanto riguarda gli arresti e gli omicidi "mirati", bisogna sapere che non avrebbero mai potuto aver luogo senza la collaborazione dei servizi di sicurezza palestinesi con lo Shin Bet.

Per quanto riguarda gli omicidi mirati e gli arresti, è evidente che esiste tutta una rete di traditori, che vanno e vengono liberamente in Palestina. Sono loro che giocano un ruolo essenziale e diretto nelle operazioni israeliane di eliminazione. Lo stesso vale per le incursioni e le perquisizioni.

Purtroppo, l'Autorità palestinese non è stata all'altezza delle sue responsabilità, in questo campo, e noi non abbiamo voluto assumerci i compiti di ordine pubblico, per non creare dissensi nel campo palestinese, e anche perché non si potesse dire che noi avremmo uno stato nello stato. Noi dirigiamo le nostre armi solo contro quelli che ci aggrediscono, e spetta alla giustizia palestinese prendere le proprie responsabilità e risolvere ogni problema interno. E' evidente che l'Autorità palestinese si è legata le mani da sola firmando accordi che ci proibiscono di perseguire i traditori che praticano l'omicidio dei nostri concittadini e indicando alle forze di occupazione i luoghi in cui si nascondono i [resistenti] palestinesi ricercati, che essi cercano per arrestare o ancora più spesso, per assassinarli.

HAMAS E ISRAELE (DICHIARAZIONI DI MOSHIR AL MASRI)

Per quanto riguarda l'imposizione di un riconoscimento arabo e palestinese dello stato d'Israele in quanto stato ebraico e il riconoscimento del fatto compiuto, io penso che tale riconoscimento dello stato d'Israele sia estremamente pericoloso, perché significa l'abbandono del diritto palestinese, e questo significa che la politica del fatto compiuto si è imposta definitivamente al mondo arabo-musulmano. Noi accogliamo a braccia aperte gli ebrei in quanto tali, ma non accogliamo a braccia aperte un'occupazione che schiaccia la nostra terra e il nostro popolo. Come ho già detto, noi non possiamo accettare di essere cacciati da casa nostra, dalle nostre case, dalle nostre terre, dopo di che torniamo a prendere possesso di una parte di quelle terre e riconosciamo al ladro la proprietà di tutto il resto, dicendo che questo gli spetta di diritto e consacrando questo diritto davanti al mondo intero. Ecco perché noi, di Hamas, mettiamo in guardia tutte le parti contro le conseguenze terribili che avrebbe il fatto di cadere nella trappola israeliana che consiste nel consacrare la politica israeliana dei fatti compiuti. Ci tengo a dire che il movimento Hamas crede alle soluzioni per tappe, ma non alle soluzioni basate sulle concessioni. E' questo che aveva affermato lo Shaykh Yassin, fondatore e dirigente di Hamas, più di quindici anni fa. Egli aveva detto: "Noi possiamo accettare la creazione di uno stato in Cisgiordania, nella striscia di Gaza e a Gerusalemme Est, con il ritorno dei profughi e la liberazione di tutti i prigionieri.

Allora potremo firmare una tregua di lunga durata, per dieci anni se occorre, o anche di più". Ma è chiaro che il nemico sionista vuole perpetuare la sua occupazione. Prova ne è che Sharon, dopo aver venduto il ritiro da Gaza come una "dolorosa concessione", ritorna a Gaza uccidendo e bombardando, e ritorna al nord della striscia di Gaza per crearvi una terra di nessuno. Si vede: non conosce altra lingua che quella dell'occupazione.

Non sa cosa voglia dire una tregua, come mostra la sua violazione della tregua attuale, e non conosce la lingua della pace. Non conosce altro che la lingua del crimine e del terrore contro il nostro popolo. Di conseguenza, confermiamo la nostra adesione a soluzioni a tappe, ma in cambio, non sapremo riconoscere l'occupazione del nostro territorio. Ecco perché il resto del mondo dovrà riunirsi per mettersi al fianco del nostro popolo dolente e martoriato, il cui territorio è occupato, i cui luoghi sacri sono violati e i cui figli sono le vittime della peggiore aggressione. Quanto alla creazione di uno stato che riunisca ebrei e palestinesi, noi abbiamo sempre affermato - ma io lo voglio riaffermare ancora una volta - che noi abbiamo convissuto durante tutta la storia islamica con gli ebrei che in quanto dhimmi, nello stato musulmano, godevano degli stessi vantaggi ed erano soggetti agli stessi obblighi nostri; facevano parte della nostra patria. Di nuovo: il problema non è con gli ebrei. L'unico problema che noi abbiamo è con l'occupazione israeliana.

IL PROGRAMMA DI HAMAS (DICHIARAZIONI DI MOSHIR AL MASRI)

Quali sono le priorità di Hamas, al momento attuale? Mettiamo i puntini sulle "i": Hamas ha tre priorità, nessuna delle quali è caduca o meno importante delle altre.

La prima priorità è il rafforzamento dell'unità interna perché è chiaro che è questa unità che protegge il campo palestinese da ogni sviluppo pericoloso.

La seconda è il rafforzamento della partecipazione politica, che rappresenta un'opzione in grado di salvare la scena palestinese dall'attuale marasma.

Il terzo punto è il rafforzamento del programma della resistenza come scelta strategica del nostro popolo, finché un'occupazione continuerà a pesare sulla nostra terra e finché dura l'aggressione continua contro il nostro popolo. Questa è stata la scelta di tutte le rivoluzioni del mondo, compreso in Europa e in America. Si tratta di una scelta riconosciuta dal diritto internazionale.

 

Noi pensiamo che uno dei principi della democrazia consiste nell'accettazione dei risultati delle elezioni. La nazione non è il monopolio di nessuno, essa appartiene a tutti. Il movimento Hamas ci tiene a rassicurare tutto il mondo, l'Europa, l’America e il mondo intero, così come l'Autorità palestinese: noi non abbiamo alcuna intenzione di prendere il posto di nessuno in queste elezioni, né di contestare nessuno.

Noi vogliamo consacrare una nuova tappa, quella della partecipazione politica, per farla finita con l'esclusiva nella presa delle decisioni in Palestina.

 

Il fatto che Hamas abbia concluso alleanze con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina, o con altre organizzazioni conferma che non si tratta di un movimento settario, né sclerotico, né ripiegato su se stesso. Hamas è un movimento che si afferma come una pagina aperta a tutti, come un movimento pronto ad allearsi con tutti i figli del nostro popolo palestinese, per difendere gli interessi superiori del nostro popolo, nel quadro di un cambiamento e di una riforma reali nell'arena palestinese.

Da qui deriva il sostegno dato da Hamas a un candidato di sinistra per il posto di sindaco di Ramallah, un sostegno che non costituisce affatto un caso isolato, tutt'altro. Noi diciamo a tutti che non vogliamo prendere il posto di nessuno, non vogliamo cacciare nessuno. Vogliamo vivere un'esistenza degna e tranquilla, al riparo da tutti i fenomeni di degrado e corruzione che la scena palestinese conosce da dieci anni. Noi vogliamo accordarci su una strategia ben definita che protegga i diritti del popolo palestinese e conservi le sue conquiste, senza fare considerazioni sulle appartenenze di questi alleati: è sufficiente che siano palestinesi e che vogliano servire la causa del popolo palestinese.

Il popolo palestinese è a maggioranza un popolo musulmano. Ora, Hamas è un movimento musulmano, che vuole che il nostro popolo viva l’Islam come una realtà concreta per quanto ci è possibile. E' chiaro che l'Autorità palestinese non ha tratto la lezione dai suoi errori, e la sua situazione è deplorevole. E' addirittura incapace di tenere testa ai propri membri che praticano il sequestro degli stranieri, che nuocciono all'immagine onorevole del nostro popolo, o che praticano l'occupazione di diverse istituzioni, il racket e l'intimidazione. Tutto ciò fa sì che l'Autorità palestinese attraversi un periodo di grande debolezza e di decomposizione. Ecco perché noi ci tenevamo a partecipare alle elezioni, affinché l’Autorità recuperasse il proprio prestigio e il diritto ritrovasse il proprio primato. Noi vogliamo creare un'Autorità palestinese rispettabile, affinché il popolo la possa rispettare.

 

Sul piano del dialogo con l'Europa e gli Stati Uniti, Hamas non è ostile verso nessuno, e noi siamo pronti a dialogare con chi vorrà dialogare con noi. Noi abbiamo dialogato con l'Europa, in particolare con dei parlamentari europei, e abbiamo instaurato un dialogo con degli universitari americani a Beirut (ma non si tratta di persone in possesso di qualunque potere esecutivo negli Stati Uniti).

Hamas è un movimento aperto a tutti. E' chiaro, Hamas è un movimento portatore di un progetto islamico, che vuole che tutti vivano nella libertà e nella dignità, e quindi che il nostro popolo viva nella libertà e nella dignità. Quello che chiediamo al mondo è di non allinearsi, di non continuare con questo allineamento palese, omicida e provocatore con il nemico sionista, al prezzo degli interessi nazionali del popolo palestinese.

Noi siamo pronti a dialogare con qualunque partner, con l'eccezione di Israele che perpetua l’occupazione e l’aggressione contro il nostro popolo palestinese, al fine di rendere esplicito ciò che deve e può essere, e di mettere tutti al corrente di ciò che succede sulla scena palestinese, e anche al fine di ricordare ai nostri partners che il problema è l'occupazione e l'aggressione, e niente affatto il nostro popolo e la sua legittima resistenza. Il problema è da parte di coloro che sono venuti per cacciare il nostro popolo da casa sua e occuparne le terre. Di conseguenza, siamo convinti che il mondo libero deve fare uno sforzo perché il popolo palestinese possa vivere libero e con dignità.
 

In effetti, noi abbiamo bisogno di una vasta campagna mediatica. Ma è chiaro che i sionisti e i loro amici possiedono mezzi di informazione estremamente potenti che schiacciano i nostri. Israele ha violato la quasi totalità delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu, come tutte le Convenzioni di Ginevra, commettendo i peggiori crimini terroristici contro il nostro popolo: distruzione di case, di terre agricole, omicidio deliberato di bambini innocenti e tutto ciò senza giudicare il più piccolo soldato responsabile di questi omicidi, in particolare di bambini come quello del giovane Muhammad Al-Durra, a cui tutto il mondo ha assistito: l'hanno visto gridare, supplicare. Invano. Il risultato? Il soldato responsabile di aver ucciso deliberatamente è stato in carcere per appena un mese. Questo equivaleva puramente e semplicemente a farsi beffe del sangue palestinese versato.

Sì, dobbiamo denunciare tutte queste esecuzioni israeliane, tutte le violazioni israeliane delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e anche di quelle delle Convenzioni di Ginevra. Noi abbiamo bisogno degli sforzi delle giornaliste e dei giornalisti europei, dei giuristi, di tutte le persone e istanze portatrici del senso della parola "umanità", che capiscono cosa significhi l’occupazione e che conoscono l'orrore del crimine e del terrorismo sionisti contro il nostro popolo, affinché facciano capire al mondo, finché è loro possibile, qual è la vera situazione. Noi sappiamo che esiste una connivenza tra i regimi politici europei e il nemico israeliano, ma sappiamo anche che esiste presso di voi, in Europa, gente che difende i valori umani, e noi stringiamo loro fraternamente la mano, mentre li preghiamo di moltiplicare i contatti con noi.