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A cinque anni
dal colpo di stato a Caracas dell’11 d’aprile 2002, propongo un saggio
da me scritto nel 2003, ma ancora oggi ritengo attualissimo, per uno
studio comparato delle reazioni delle masse latinoamericane al golpismo
contro governi popolari: dal caso di Juan Domingo Perón, a
quello di Salvador Allende fino a Hugo Chávez. Questo saggio,
tra il 2003 e il 2004, in diverse versioni fu pubblicato su Latinoamerica, Storia e problemi
contemporanei e Zapruder. A quest’ultima si riferisce la versione
pubblicata.
Sono passati 30 anni da quando, l'11 settembre del 1973, un colpo di stato mette fine alla Rivoluzione con empanadas[1] e vino rosso di Salvador Allende in Cile. Non è solo uno slogan: riafferma la pacificità di una transizione al socialismo che si spera tranquilla come una gita domenicale. Fa da contraltare alla Rivoluzione in libertà, onda Alleanza per il progresso kennediana, della presidenza del democristiano Eduardo Frei Montalva (1964-1970).
In Venezuela, l'11
d'aprile del 2002, per la prima volta, un colpo di stato classico,
contro un governo ascrivibile alla categoria dei "governi popolari",
viene sconfitto dalla mobilitazione di chi si riconosce nella
Costituzione bolivariana e nel governo di Hugo Chávez.
Nel mezzo vi sono i
tre decenni neoliberali, che trasformano le classi popolari - sempre
meno operaie, sempre più lumpen - storia dei movimenti,
immaginario, coscienza ed orgoglio di classe, forme di lotta. In
società dove l'agenda politica è dettata e svilita dal
modello economico, il dato guida è la radicale polarizzazione
economica[2]. Quello del 2002 è un altro mondo
riespetto a quando, negli anni '70, un movimento operaio strutturato,
lottava per una rivoluzione che appariva dietro l'angolo.
Proprio la
novità della reazione popolare al colpo di stato dell’11
d’aprile 2002 in Venezuela, offre spunti di riflessione sull’evoluzione
delle forme di militanza. Il golpe a Caracas ha tutto per riuscire:
multinazionali petrolifere, governi di Stati Uniti e Spagna, gran
capitale internazionale, oligarchie locali, gerarchie ecclesiastiche,
buona parte dello stato maggiore delle forze armate. È uno
stereotipo di colpo di stato, per quanto è tipico e scontato.
Con il pieno controllo di tv e giornali, guadagna al golpismo le
ridotte classi medie. Dal rame al petrolio, l’aggettivo “cileno”
è usato a proposito3].
I motivi del
rovesciamento della fortuna golpista, vanno ricercati dunque nel campo
popolare e nell'evoluzione delle forme di militanza, nel modello di
stato inclusivo alla base della Costituzione bolivariana, nei
meccanismi partecipativi che innescano il senso di cittadinanza, nel
diverso ruolo dei partiti. In Europa, si etichetta l'esperienza di Hugo
Chávez come populista, trascurandone gli spiccati elementi di
modernità. È affascinante come molti termini propri delle
categorie politologiche latinoamericane, vengano traslati e
volgarizzati in Europa, per restare incompresi a destra come a
sinistra. Se il termine nazionalismo è tradotto in senso
progressista in America, rimbalza in Europa senza riletture. Come se
per spiegare Velasco Alvarado o Torrijos si dovesse forzosamente
ricorrere a Clemenceau e davvero Perón fosse incasellabile come
ammiratore di Mussolini. Termini come populismo, giustizialismo
e nazionalpopolare restano vittime (sic) del riduzionismo
interpretativo europeo. Quando non si marginalizzano direttamente, come
per peronismo, sono bollati nell'esotismo e nel folklore.
Per comprendere la
modernità dell'esperienza bolivariana, è utile compararne
il successo contro il proprio golpe con la caduta di due modelli
tipici: quello peronista del 1955, che spinge Juan Domingo Perón
ad abbandonare la Casa Rosada, e quello marxista del 1973, che induce
Salvador Allende al suicidio nel Palazzo della Moneda.
Perón
costruisce dall’alto – ma la costruisce - una coscienza di classe
nazionalista, aliena alla sinistra marxista tradizionale. Rispetto al
"populismo" chavista, vi è un abisso semplificativo.
Perón, al contrario di Chávez, sa lui cosa è bene
per i suoi descamisados e fa calare dall'alto il suo
riformismo. In Venezuela, leggi come la Ley de pesca, non
sarebbero state possibili se illuminatamente volute dall’alto. Sono al
contrario figlie dell’apporto diretto dei pescatori artigiani, che sono
disposti a difendere quella che considerano la loro legge.
Il 16 giugno del
1955, il bombardamento della Plaza de Mayo, da parte della Marina,
causa 300 morti. Il 20 settembre Perón si rifugia
nell’Ambasciata del Paraguay. I 18 anni di Resistenza peronista sono
condotti da rivoluzionari di professione[4]<. È un modello marxista-leninista,
adottato nella prassi ma negato ideologicamente.
Nel caso cileno,
diversamente dall’argentino, Allende ha dalla sua una classe operaia
marxista tradizionale, con una crescente e solida coscienza di
sé. Conta inoltre su settori delle classi medie e, al contrario
di Perón, della parte di Chiesa cattolica che si riconosce in
Medellin>[5]<!. L'uso della piazza è strategico in
entrambi i casi. Ma in entrambi i casi la piazza è convocata,
non gioca la partita, fa il tifo, serve a contarsi. Il centralismo
democratico, risulta tanto soffocante e anchilosato l'11 settembre come
nel peronismo. Le masse non sono mai attrici della difesa.
Le masse
venezuelane sono spontaneamente bolivariane, spesso di debole o recente
politicizzazione generata a partire dalla repressione brutale del caracazo
dell'89<[6]<. Vivono in un paese dove il lavoro fabbrile
- e quindi i sindacati - è diventato marginale e domina
l’economia informale. Non è un caso che i golpisti vantino tra
le loro forze la CTV, un sindacato minoritario che rappresenta appena
il 7% del lavoro del paese. Nulla a che vedere con la classe operaia
strutturata dell’Unidad Popular.
In Argentina la
forza si mostra nella Plaza de Mayo. È proprio l'abbandono della
piazza da parte della sinistra peronista – apostrofata dal Presidente
come "stupidi imberbi" - che il primo maggio del 1974, segna il
riflusso. In realtà lo scontro decisivo, dove la destra
peronista annichila la sinistra, si svolge all'aeoporto di Ezeiza in
occasione del ritorno di Perón dopo 18 anni di esilio, il 20
giugno del 1973. Decine, forse centinaia di militanti della
Gioventú Peronista che invocano la Patria socialista
promessa dal vecchio generale, muoiono vittime di un'imboscata tesa
loro dalla destra peronista alla luce del sole e davanti a due milioni
di persone. Sono i prodromi del genocidio.
In Cile la contesa
è a distanza, lungo le Alamedas, la via che attraversa,
perpendicolarmente alle Ande, tutta la capitale. Le forze dell’Unidad
Popular risalgono dai quartieri popolari verso il centro storico.
Le bande fasciste di Patria y Libertad e le classi medio-alte
discendono da Las Condes e Vitacura, più vicine a dio ed alla
cordigliera. Anche a Caracas sussiste una distanza fisica, rotta solo
in poche zone contese, il Forte Tiuna, Miraflores ed è simbolico
il fatto che i golpisti si mobilitino nel quartiere di Chuao,
fisicamente sotto la sede della compagnia petrolifera PDVSA>[7]<!->. La distinta conformazione urbanistica, non
evita la coincidenza tra le belle signore bianche che caceroleano,
battendo coperchi di pentole mai state vuote. In trent'anni, solo il
bianco e nero è diventato colore !->[8]<>.
Allende, ha
già scelto da tempo come affrontare un 11 settembre che sa con
certezza che verrà. Come unica arma sceglie una legalità
costituzionale che, in questo ambito, è martirio e profezia.
É una visione escatologica del socialismo come destino ultimo
dell’umanità. Non è scontato che così dovesse
andare ma è la scelta di Allende, probabilmente minoritaria
anche all'interno del Partito Socialista ma che trova qualche assonanza
nel No alla guerra civile dove si arrocca un Partito Comunista
che rinuncia a priori alla difesa del processo rivoluzionario. La
rivoluzione delle empanadas e del vino rosso si risolve in una
tragica scampagnata dove pacifico è sinonimo di indifeso.
È quella che Tomás Moulian definisce condotta
autoidealizzante<>[9]<> della società cilena.
E' una trama argomentativa che la sinistra fa propria fino ad illudersi
della vocazione democratica dei militari cileni. Non avendo difeso il
governo dal golpe, s’idealizza il martirio allendista. Jacques
Chonchol, Ministro della Riforma Agraria di UP, nega di avere avuto una
scorta armata addestrata in paesi socialisti<[10]<>. I GAP s]-->[11]<!, assassinati quasi tutti l’11, lottano per
anni, malvisti, perché sia riconosciuto loro l’aver difeso in
armi la democrazia e la vita del Presidente. L’antinomia violenza/non
violenza è pervasiva. La rappresentazione di sé stessi va
scelta all’interno di due sole variabili: o agnelli sacrificali o
stigmatizzati come terroristi.
Chi scrive<>[12]<, ha condiviso un dubbio con la maggior parte
dei sopravvissuti della Moneda e con intellettuali come Mario
Garcés o i già citati Moulian e Chonchol. L'11, Allende
invita i cileni ad andare tranquillamente a lavoro<>[13]< Più tardi preannuncia loro il proprio
martirio nella fede di un remoto futuro socialista. E se invece avesse
invitato un milione di persone a circondare pacificamente la Moneda
sotto gli occhi di mille telecamere? Il potere di chi aveva la forza ma
non la ragione, non sarebbe stato disinnescato? Considerazioni simili
valgono anche per il '55 argentino.
La risposta dei
miei interlocutori è che non è parte della cultura
politica dell’epoca e che i partiti avrebbero dovuto riunirsi. Allende
non parla direttamente di tradimento dei partiti, forse non ha il tempo
di sedimentarlo. Lo fanno, tra i molti militanti di base, i GAP
superstiti, un pugno di uomini che tengono testa per ore ai terroristi.
Le masse di UP appaiono immobili, marginalizzate in un 11 settembre
dove non sono attrici ma già solo vittime. È una camicia
di forza. Gli operai sono asserragliati nel cordone industriale in
sterili assemblee, nell'attesa di riunioni che si tengono altrove, di
decisioni dei partiti che non verranno. Sono presto rastrellati
impunemente per andare a migliaia incontro a tortura e morte.
Allende non sa e
non teme che il neoliberismo che accompagna la dittatura militare,
spazzi via la convivenza civile così come lui la concepisce.
Confida nel tipico associazionismo di classe del XX secolo; nei
sindacati, nei partiti figli della seconda internazionale e non sa
neanche immaginare una società non mediata da quelle strutture.
Anche Chávez
è inizialmente sconfitto. Casa Rosada e Moneda sono bombardate,
il palazzo di Miraflores, sede del governo a Caracas, viene preso,
iniziano i rastrellamenti e le violazioni di diritti umani. Ma i
bolivariani, oltre il golpe, vedono il vuoto assoluto. Niente
più scuole né ospedali. I trent'anni dalla morte di
Allende distruggono la fiducia di classe nelle strutture organizzate,
di derivazione europea, liquefatte dal neoliberismo. In Venezuela il
ruolo di partiti e sindacati è marginale; sono i movimenti
sociali e le unità di base a contare, riprendersi dallo
sbandamento, autoconvocarsi e sconfiggere il golpismo. È la
reazione popolare ad animare parte dell’esercito a difendere la
Costituzione bolivariana.
Chávez
è quindi figlio della ribellione e non uomo della provvidenza.
Questa può offrire, alla prova del golpe, il meglio di sé
sulla base di una partecipazione popolare che è altra
rispetto al novecento dei partiti. Il governo e la stessa Costituzione
fungono da strumenti delle organizzazioni sociali. La bassa
società civile<>[14]<, si autoconvoca per difendere entrambi e,
senza la mediazione di quadri tanto indecisi come quelli allendisti,
cambia la storia.
<!-->[1]<!> Sorta di rustici di pasta sfoglia; in Cile ripieni di carne macinata e cipolla. Sulla storia politica cilena, in italiano, almeno, M. R. Stabili, Il Cile. Dalla repubblica liberale al dopo Pinochet (1861-1990), Giunti, Firenze 1991 e il classico, J. Garcés, Democrazia e controrivoluzione in Cile, Saggiatore, Milano 1977 (ed. or. Democracia y contra-revolución. El problema chileno, Buenos Aires, 1974).
<!--[[2] A. Boron ed altri, a cura di, Tiempos violentos. Neoliberalismo, globalización y desigualdad en América Latina, Clacso-Eudeba, Buenos Aires, 1999. A uso d'esempio: in Argentina, dal 1972 al 2003, si passa dal 2 al 40% di disoccupazione, dal 10 al 60% di povertà mentre quintuplica la concentrazione di ricchezza. Cfr: G. Carotenuto, «Perché in Argentina si muore di fame», Latinoamerica, Anno XXIII, n. 83, Roma, aprile-settembre 2003, pp. 78-83.
<![3]Non è possibile, in questa sede, addentrarsi nel fattore militare ma va ricordata almeno l’abilità di Chávez nel dividere rispetto all'incapacità di Allende di leggere e reagire al tradimento. Inoltre, le Forze armate cilene (Cfr. P. Manns, Chile: una dictadura militar permanente. 1811-1999, Editorial Sudamericana, Santiago 1999), si considerano al di sopra dello stato e tutrici delle classi dominanti. Nello schema venezuelano invece, la dialettica tra classi ricorda il 18 luglio spagnolo, quando la Marina rimane fedele alla II Repubblica, contribuendo allo stallo del colpo di stato di Francisco Franco.
[4]<D. James, Resistencia e integración. El peronismo y la clase trabajadora argentina. 1946-1976. Sudamericana, Buenos Aires 1990 (ed. or. Resistance and integration, Cambridge 1988).
<![5] Dal luogo della Conferenza episcopale latinoamericana del 1968, dove fu manifesto il ruolo della Teologia della Liberazione.
[6]<
La rivolta popolare repressa dall'esercito con un numero di
morti compreso tra i mille e i tremila alla quale si fa risalire la
rottura tra classi popolari e democrazia fondomonetarista che
genererá il movimento bolivariano. M.
López Maya, Protesta y cultura en Venezuela, Clacso, Buenos Aires-Caracas, 2002; M.
López Maya, Venezuela después del caracazo. Formas de
la protesta en un contexto desinstitucionalizado, Notre Dame
University, luglio 2001.
<![7]< L. Lander, «Venezuela, golpe y petróleo», intervento al Foro Sociale Mondiale, Porto Alegre 2003, in corso di pubblicazione in Revista venezolana de economía y ciencias sociales.
[8]< Per lo studio della piazza, sul Cile sono indispensabili i documentari: La última batalla de Salvador Allende di Patricio Henríquez, La Memoria Obstinada e La batalla de Chile, entrambi di Patricio Guzmán. Sul Venezuela, distribuito in Italia, Un altro mondo e' possibile...in Venezuela, di Elisabetta Andreoli, e il sito http://www.venezuela-en-videos.com.
<![9]> T. Moulian, Chile actual. Anatomía de un mito, Lom, Santiago 1997. Squarciano il velo dell’idealizzazione cilena anche P. Manns, op.cit., e E. Lira, B. Loveman, Las suaves cenizas del olvido, Lom, Santiago 1999.
<[10]> Conversazione con l'autore.
<>[11]<! Grupo amigos del Presidente, la scorta di Allende.
<!>[12] Nell’ambito di uno studio sulla memoria della militanza politica in Argentina, Chile ed Uruguay di prossima pubblicazione.
<>[13]<!Tra le molte ricostruzioni, Ó. Soto, El
último día de Salvador Allende, Aguilar, Santiago
1999.
[14] L’opposizione a Chávez si autodefinisce, senza un filo d’ironia, “alta società civile”. Nelle televisioni commerciali compromesse con il golpismo, i democratici sono sprezzantemente definiti “lumpen” o direttamente “negros”. L’elemento razzista creolo è parte integrante di un classismo arcaico che ritroviamo sia in Cile che in Argentina, dove i peronisti di origine non europea sono chiamati cabecitas negras, testoline negre.